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NICOLA SEVERINO LA MISTERIOSA STORIA DEGLI OROLOGI A SEI ORE L’affascinante avventura di un orologio che ha segnato il tempo agli Italiani per due secoli Prima edizione, Roccasecca, 2011 3
Le ricerche e gli studi sull’orologio a sei ore ebbero inizio nel 1989, durante il primo censimento degli orologi solari della Provincia di Frosinone. Da allora, l’argomento è stato da me rivisto e sviluppato in diverse direzioni. Il presente volume rappresenta ciò che di più importante ho potuto trovare su questo tema. Desidero rivolgere un ringraziamento particolare a Marisa Addomine, Daniele Pons e Carlo Liberati per tutto il supporto tecnico e la pazienza con cui hanno corretto le bozze. Ringrazio, inoltre, tutti gli amici che in qualche modo hanno collaborato alla realizzazione di questo progetto. Dedico questo lavoro alla memoria di mia madre Gelsomina, e di mio padre Renato, scomparsi in questi ultimi anni, e alla mia meravigliosa famiglia: a mia moglie Daniela e alle mie principessine Altea e Stella. Prima edizione, Roccasecca (FR), Maggio 2011 4
INDICE Far merenda a ventun’ore 7 P r e f a z i o n e 9 Ringraziamenti 11 Cronaca di una scoperta 13 L’orologio a sei ore svelato 20 Una babilonia di ore 20 Scusi, quanto manca al tramonto? 3 7 Pro e contro il sistema Italiano A favore del sistema Oltramontano 41 A favore del sistema Italiano 42 La semplicità alla base di ogni cosa DaIaIIII,daIaVI,daIaXII,daIaXXIIII 45 Le origini dell’orologio a sei ore 47 La soluzione in una frase 54 Gli inventori dell’orologio a sei ore romano 54 DaXXIIIIaXIIepoiaVI 60 Elenco degli orologi a sei ore di Roma 60 L’ora Italica del Vaticano 72 L’orologio a sei ore scomparso di Piazza S. Pietro 73 Datazione dell’orologio 73 Gli orologi all’Italiana di Roma nel XVIII-XIX secolo 81 Italico o Francese? 85 Il ritorno all’Italiana 88 I L C E N S I M E N T O Tipologia dei quadranti a sei ore 89 Gli orologi scolpiti su pietra 93 Gli orologi in maiolica napoletana 101 Tipologia mista 108 Tabella delle ore Italiche della meridiana di Guarcino 156 Notizie storiche dell’orologio di San Gemini 159 5
Peculiarità meccaniche degli orologi con quadrante alla romana 160 Immagini storiche di quadranti a sei ore e di alcune macchine orologiche 165 La macchina orologica di Vibo Valentia 171 La macchina orologica di Vilminore 175 Le ore Italiche dell’orologio a campana si computano in modo diverso a Venezia 176 Tracce dell’orologio Italiano di Lodi 176 Le ore Italiane dell’Irrigazione 177 Testimonianza dell’uso delle ore Italiche ad usum campanae in Firenze 179 Curiosità: orologi meccanici ad ore Italiche e Babiloniche 180 L’orologio alla romana 182 Notizia dell’orologio da torre più antico d’Italia e le campane con il suono alla romana nella Bologna rinascimentale 183 Riferimenti letterari 186 Conclusioni 189 Appendice: Cenni sulla teoria delle macchine orologiche 191 Elenco alfabetico degli orologi a sei ore esistenti 213 L’orologio a sei ore di Veroli 216 Tipologia della sfera negli orologi a sei ore 220 Bibliografia 223 6
"far merenda ...a vent un’ore". (fa mrenna a vintun’ore) E’ una frase che ha accompagnato la mia infanzia, fino ad almeno il 1974. Non ho mai compreso cosa significasse, se non per l’ azione pratica che ne derivava, cioè che ad una certa ora del pomeriggio era arrivato il momento di fare merenda (sebbene in quel caso il mio appetito fosse il miglior orologio). Solo dopo vent’anni, attraverso la passione per la gnomonica, ho pot ut o comprendere il significato di quella frase che è anche una preziosa testimonianza di un’antica tradizione tramandata da generazioni. Dai miei bisnonni mia madre aveva appreso l’usanza delle ore italiche, pur tuttavia senza mai sapere cosa fossero queste ore. Ma il modo di dire era rimasto. Non solo. Insieme al modo di dire era rimasta anche la vaga idea di collocazione temporale dell’azione, grazie all’esperienza pratica. Cioè fare merenda a ventun’ora in inverno significava farla verso le 16 del pomeriggio; fare merenda a vent un’ ora, d’estate significava farla verso le 17,30! Sorpresa! Senza sapere di cosa si trattava, mia madre teneva presente la differenza d’ora italica tra l’inverno e l’estate, in funzione del tramonto del sole! 7
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Prefazione Non di rado alcune persone mi contattano perché hanno avuto un “incontro ravvicinato” con uno strano quadrante orologico che non riescono a spiegarsi. Si tratta di una mostra meccanica in cui sono riprodotti i numeri da I a VI (il quadrante dell’orologio) e con una sola sfera centrale, oppure con un ferro piantato nel centro o, nel peggiore dei casi, con solo un foro, visibile al centro del quadrante. Questa è la situazione che può presentarsi ad un ipotetico osservatore del monumento storico sul quale l’orologio è visibile; monumento che può essere una torre campanaria comunale, più sovente il campanile di una chiesa, o anche la facciata di un municipio e, in qualche caso, di un’abitazione privata. L’incontro con un quadrante a sei ore, stimola la curiosità e la fantasia, nonché il desiderio di saperne di più. Per curiosità, ecco un esempio di cosa mi scrivono i lettori quando si imbattono in questo strano orologio: Sono andato a fare un week end in val di Nievole, e mi sono imbattuto in uno strano orologio, indica solo 6 ore. Ho chiesto informazioni in loco, senza però avere lumi sul motivo di questo strano quadrante. Ho pensato sia un quadrante diurno, ma la mia è solo un'ipotesi. C'è anche una finestrella molto curiosa, e la stella intorno all'unica lancetta. Non sono riuscito a vedere il movimento, anche se mi hanno detto che quando è stato restaurato, il restauratore ha consigliato di sostituirlo con uno...elettrico, per cui, pagandogli la spesa della disinstallazione, ha provveduto a portarlo via...che buon cuore!!! E tra gli altri lettori che mi hanno scritto si legge: 1) “...Vorrei farle ancora delle domande... 9
1. da quando si è passati dal sistema con partenza dal tramonto a quello con partenza dalla mezzanotte? 2. l'orologio a "6 ore" faceva anche i rintocchi del "quarto d'ora"? 3. Per editto napoleonico intende "Napoleone I" o quelli successivi?” 2) “Ieri sera la puntata di Ulisse era dedicata a Roma e ai suoi sotterranei. Ne ho visto solo un pezzo, in cui si illustravano i sotterranei di un edificio religioso (non so essere preciso perchè seguivo il programma solo a sprazzi), che fungeva da sepolcro per dei monaci. Questi erano usi riutilizzare le ossa dei monaci defunti per fare delle decorazioni sulle pareti. In uno dei locali visitati dal programma si è visto un simulacro di orologio a 6 ore realizzato con le ossa dei monaci, cosa che fa pensare che a quel tempo gli orologi a 6 ore fossero abbastanza comuni”. 3) “...Prima di tutto le faccio i complimenti per l'iniziativa, veramente interessanti le informazioni che fornisce. Da anni mi stavo chiedendo come mai l'orologio dell'Abbazia di S. Pietro di Perugia, la mia città, mostrasse 6 ore e finora non avevo mai trovato risposte a questo quesito”. 4) “Mi chiamo (...) e sono proprietario di una villa nei pressi di Urbino, che possiede un orologio a sei ore funzionante mediante un meccanismo installato una paio di anni fa (...) vorrei porre due domande: su quale principio si basa il funzionamento di un orologio a sei ore? Come si legge l’orario?” Questi quattro esempi, mostrano come gli italiani siano non solo attenti alle bellezze artistiche e monumentali del proprio paese, ma anche alla loro storia, cultura e tradizione. 10
Devo dire che dal 2004, anno in cui realizzai il mio sito web sulla gnomonica, www.nicolaseverino.it, molti lettori si sono mostrati interessati agli orologi a sei ore, sia dal punto di vista dei reperti, sia per l’indagine storica. L’iniziativa di realizzare un censimento dei quadranti a sei ore ancora visibili nelle città italiane, ha avuto un successo insperato e, ancora oggi, è unica nel suo genere. Tutto ciò, e, non da ultimo, la richiesta crescente di presenziare a manifestazioni culturali dove questi antichi segnatempo finalmente trovano la loro giusta rivalutazione artistica e culturale, mi ha spinto a pubblicare questo volumetto che raccoglie tutto quanto ho potuto scoprire in questi anni sull’argomento. Nicola Severino Ringraziamenti: Ho iniziato ad occuparmi dell’orologio a sei ore nel 1989. Come potrei ricordarmi di tutte le persone che in qualche modo mi hanno aiutato a realizzare queste ricerche? Sicuramente sono debitore a Giorgio Consolini di Roma che mi offrì il primo fondamentale contributo regalandomi una copia del libro rarissimo di Pietro Romano Orologi di Roma, pubblicato a Roma nel 1946. Sono riconoscente all’astronomo Walter Ferreri, allora direttore dell’Osservatorio Astronomico di Torino, che mi permise di pubblicare il primo articolo nella letteratura moderna che tratta di questo argomento sulle pagine della rinomata rivista Orione, nel 1990. Ringrazio Enrico Macchia che ospitò nelle pagine della rivista Pegaso, dell’Associazione Astronomica Umbra di cui era direttore ed editore, un altro articolo sulla disputa dei vantaggi o svantaggi derivati dalla scelta di uno dei due sistemi orari concorrenti. Ricordo piacevolmente la corrispondenza sull’argomento con il fisico e gnomonista, Edmondo Marianeschi di Terni e con il prof. Don Alberto Cintio di Fermo con il quale discorremmo 11
dell’orologio di Monte San Martino e del testo di Bruton. Negli ultimi anni, devo molto al prezioso contributo di Carlo Liberati che ha sapientemente riorganizzato tutto il materiale fotografico con una ottima presentazione online sulla pagina internet di Panoramio, integrando tutti gli aggiornamenti e preparando varie tabelle ed elenchi e rileggendo le bozze di questo lavoro, dandomi preziosi suggerimenti. Un grazie particolare anche all’amico Maurizio Grande del Comune di Collepardo, il quale durante le sue gite culturali non ha mai dimenticato di cercare per me nuovi quadranti a sei ore. Ringrazio infine tutti coloro che visitando il mio sito web, hanno collaborato al censimento inviando preziose segnalazioni, descrizioni, ricerche storiche e fotografie dei quadranti scoperti: Andrea Giardi, Maurizio Tumminelli, Antonio Coppola, Renzo Righi, Enzo Corezzola, A. Migliaro, Brikka 59, M. V. Zongoli, Frank King, Franco Cinquini, Vincenzo Valletta, Selcon75, Mauro Flamini, Carlo Giordano, Matteo Giongo, Stephen Kleckner, Sandro Vallocchia, Giuseppe Cosenza, Nando Roveda, Daniela Rossi, Francesco Cillo, Donato Pepe e Angelo Schiavone del comune di Acerenza. Un ringraziamento particolare va a Marisa Addomine, presidente del Registro Italiano Orologi da Torre, esperta di orologeria antica, ricercatrice e collaboratrice della prestigiosa rivista “La Voce di Hora” e Daniele Pons per i preziosi contributi presenti in questo volume. Mi scuso, infine, con tutte le persone di cui non riesco più a rintracciare i nominativi. 12
OROLOGI A SEI ORE Cronaca di una scoperta Nella primavera del 1988 iniziai una prima catalogazione degli orologi solari presenti sul territorio della provincia di Frosinone, subito estesa a tutto il basso Lazio, l’alta Campania e al centro Italia. In una tersa e bella mattina assolata, arrivai nel caratteristico paesino di Vico nel Lazio. Visitai la piazza dove esiste la torre civica per vedere se vi fossero meridiane solari, ma trovai solo uno strano quadrante circolare, in pietra, scorniciato con un bordo di qualche centimetro. All’interno vi erano incisi sei numeri romani, da I a VI tra i quali vi era anche inciso un giglio e dei punti di suddivisione dentro un settore circolare che collegava i numeri. Al centro si intravedeva un qualcosa simile ad un buco. Lo fotografai per pura curiosità, ma non diedi importanza a quello strano ritrovamento! Continuando nei giri per il censimento delle meridiane, un giorno arrivai in visita alla graziosa ed importante cittadina di Arpino, patria di Cicerone. Giunto nella piazza principale, uno strano orologio dipinto su un muro secondario di una chiesa catturò la mia attenzione. Mi venne subito in mente quello che avevo visto a Vico nel Lazio, ma sembravano molto diversi nello stile e nel disegno. Tuttavia gli elementi erano identici, a parte il ferro posto al centro nel nuovo quadrante di Arpino. Nel suo prospetto frontale d’insieme esso era costituito da un riquadro in cui era inscritto un cerchio suddiviso in sei numeri romani, da I a VI e al cui centro vi era un’asta di ferro abbastanza lunga da indurre a credere che potesse trattarsi dello gnomone di una meridiana. A guardarlo bene, il cerchio intorno allo “gnomone” era suddiviso in 24 parti e tra i numeri romani vi era un simbolo, simile ad un giglio, sovrapposto ad alcuni tratti della 13
suddivisione del cerchio minore. Null’altro era possibile vedere di quello strano orologio. Anche se da poco ero un novello appassionato della gnomonica, tuttavia era fin troppo facile rendermi conto che i numeri V, VI e I non potevano indicare nulla di “gnomonicamente corretto”, dato che l’ombra dell’ipotetico gnomone centrale non poteva elevarsi al di sopra della linea orizzontale che passa per la sua base, perché in quegli istanti il sole si trova sull’orizzonte (al sorgere o al tramonto). Perché, quindi, uno gnomone centrale? E che tipo di numerazione poteva mai essere questa con numeri romani da I a VI? Mentre riflettevo su queste domande, ebbi l’idea di chiedere informazioni a degli anziani presenti sul posto. Era una bella giornata di sole, ma l’orologio presente su quel muro secondario, sebbene esposto in direzione sud-ovest, era in ombra a causa della sporgenza del tetto soprastante. Gli anziani mi risposero che, senza alcun dubbio, si trattava di un orologio solare, di una meridiana! Come poteva essere possibile? Io che avevo già una buona conoscenza degli orologi solari sapevo che non poteva trattarsi di una meridiana, a meno che non fosse stato il risultato di un errato restauro. La risposta non mi convinceva, ma in quel momento non sapevo trovarne altre più soddisfacenti. A malincuore e con il relativo carico di curiosità, dovetti accettare di andarmene senza aver compreso il significato di quello strano quadrante. Non mi rimaneva che chiedere lumi agli esperti. E chi meglio dell’ammiraglio Girolamo Fantoni, mito degli gnomonisti italiani e autore di uno dei più grandi trattati di gnomonica moderni, dopo quelli antichi di Cristoforo Clavio e Athanasius Kircher, poteva ragguagliarmi su ciò che era ormai diventato per me un mistero da svelare? Avevo conosciuto Fantoni grazie al giro di conoscenze della Sezione Quadranti Solari dell’Unione Astrofili Italiani che organizzava i primi Seminari di Gnomonica. Egli mi rispose con la sua consueta, fredda e distaccata razionalità: 14
“Ammesso che siano orologi solari, non ho alcuna idea di come possano funzionare. In ogni caso non si tratta sicuramente di ore temporarie, né, per quanto possa saperne io, di altri tipi di ore a me note”. Si può ben capire il mio sconforto nel leggere questa risposta. Non mi rimaneva che gettare la spugna ed attendere tempi migliori. Devo precisare che nel 1988, senza gli sviluppi che conosciamo della globalizzazione nella comunicazione digitale, era impossibile espletare ricerche che potessero dare risposte in breve tempo. Interpellai altri studiosi di gnomonica e orologeria, ma ebbi solo risposte vaghe, tra cui una allusione all’orologio alla romana in uso nei secoli scorsi che indicava le ore da I a VI, ma niente di più preciso. Dopo qualche tempo ebbi a vedere sulla rivista regionale Itinerario Lazio, la foto di un edificio del 1500. Si trattava dello splendido Palazzo Farnese realizzato dal Vignola nel 1559 a Caprarola (Viterbo). Sulle facciate dei due bastioni vi erano due orologi: a sinistra una gigantesca meridiana a ore italiche; a destra un quadrante circolare di circa due metri di diametro, uguale a quello che avevo visto ad Arpino, ma più completo: esibiva una lancetta al centro!. Inoltre, riuscii ad entrare nel vano che si trova dietro il quadrante dell’orologio e vidi che vi era un antico macchinario. Pensai che potesse trattarsi della vecchia macchina orologica del quadrante esposto fuori, ma non ne avevo alcuna conferma. Nello stesso anno mi trovavo a Roma per una gita e nel passeggiare mi ritrovai di fronte alla facciata della chiesa di Santa Maria dell’Orto in Trastevere. Quale sorpresa nel vedere un quadrante identico a quello che avevo visto ad Arpino! Per fortuna avevo con me la mia fedele reflex Yashica FX-3 con teleobiettivi al seguito; così ebbi modo di scattare delle foto ravvicinate dell’orologio. A casa compresi subito che c’era una fondamentale differenza tra il quadrante di Arpino e quello della chiesa di Santa Maria dell’Orto in Trastevere: quest’ ultimo aveva al centro non un 15
ferro impiantato come uno gnomone, ma bensì una “sfera”, come veniva chiamata la singola lancetta degli orologi meccanici, a forma di freccia e lavorata in ferro. Questa differenza, confermata anche dall’esemplare che avevo visto sul palazzo Farnese a Caprarola, già da sola faceva si che l’orologio si trasformasse, senza ombra di dubbio, da “meridiana” a “orologio meccanico”. Allora perché gli anziani di Arpino insistevano nel sostenere che si trattava di una meridiana solare? Quel giorno la fortuna volle riservarmi ulteriori sorprese. Dopo essere stato nella chiesa conobbi un signore, Giorgio Consolini, che non finirò mai di ringraziare per la sua gentilezza e disponibilità. Egli aveva una ferramenta nelle vicinanze dell’edificio religioso ed io, per caso, capitai proprio da lui per chiedere informazioni sull’orologio! Ricordo ancora tutto il suo entusiasmo nel dedicarmi il tempo per recarci di nuovo in visita alla bella chiesa e fece in modo che potessi fotografare la macchina dell’orologio che avevo visto; inoltre, mi fece dono, nei giorni seguenti, di un libro molto raro, ancora oggi difficilissimo da reperire: Orologi di Roma, di Pietro Romano, pubblicato a Roma nel 1944 per l’Anonima Romana Stampa in Via dei Portoghesi. L’originale era di proprietà del dr. Piero Morsani “insigne scrigno di cose romane”, come Consolini ebbe a definirlo. Egli mi aveva fatto omaggio della copia di questo libro perché potessi scoprire e comprendere il significato dell’orologio che tanto aveva suscitato il mio interesse. Il testo del libro di Romano mi portò sulla buona strada, anzi mi svelò praticamente il “segreto” di quei quadranti e mi offrì i necessari spunti bibliografici per ampliare le ricerche. Così, poco tempo dopo, approdai all’opera di Giulio Cordara dei Conti di Calamandrana, De’ Vantaggi dell’Orologio Italiano sopra l’Oltramontano, che era la versione a stampa di un discorso recitato all’Accademia degli Immobili in Alessandria il giorno 28 febbraio del 1783. All’inizio non mi resi conto che stavo per aprire uno dei tanti 16
libri pubblicati tra la seconda metà del XVIII e il XIX secolo sull’accesa diatriba della scelta dell’adozione definitiva dell’orologio Italiano o di quello Oltramontano. Tutte queste cose che in quegli anni erano per me, come per la maggior parte degli altri appassionati, nuove e poco conosciute, andavano poco a poco delineandosi per la loro importanza man mano che i documenti venivano letti ed analizzati, storicamente e relativamente al contesto gnomonico. La lettura dei testi di Romano e Cordara mi avevano ormai fatto capire che si trattava di un orologio meccanico che probabilmente indicava in qualche modo, e in quella strana suddivisione da I a VI, le ore italiche. Nel frattempo, stavo ultimando il censimento degli orologi solari della provincia di Frosinone, o, a dir meglio, stavo passando al setaccio, alla ricerca di meridiane, ogni angolo dei paesini non lontani da dove vivo. Un giorno mi trovavo a San Pietro Infine, in provincia di Caserta e al confine tra il Lazio e la Campania. Visitando l’antico borgo e parlando con alcuni anziani del posto, sentii ancora notizie dell’orologio a sei ore e del fatto che esso era una “meridiana” o che “funzionava con l’orologio solare”. Mi dissero che ancora ricordavano di aver sentito l’orologio di una chiesetta andata distrutta dalla guerra suonare all’italiana fino al 1935. Che esistessero orologi meccanici a ore italiche, cioè basati sul sistema delle ore Italiane, da 0 al tramonto fino a 24 ore al tramonto successivo, era già noto. L’esemplare dipinto da Paolo Uccello nel 1443 per il Duomo di Firenze ne è uno dei maggiori esempi, ma la numerazione in quel caso è antioraria e da I a XXIIII non da I a VI. Ad ogni modo, tra il Romano e il Cordara, riuscii finalmente a venirne a capo sul significato dello strano orologio che avevo visto prima ad Arpino e poi a Roma e del perché gli anziani lo identificassero con una “meridiana”. La risposta è semplice: questi quadranti indicavano sostanzialmente le ore Italiane che dal XVI al XVIII secolo erano il principale sistema di computo del tempo adottato in Italia, tanto da essere appunto denominato “all’italiana”, 17
regolati dalla meridiana. La lettura di Romano e di Cordara, tra l’altro, mi aveva curiosamente riportato alla memoria un tradizionale episodio della mia infanzia. Mia madre, nata nel 1928 e sempre vissuta in terra laboris, era solita dirmi (se ben ricordo dai tempi della primavera a tutta la stagione estiva) che a “ventun’ore dovevo fare merenda”. Lungi dal preoccuparmi delle “ventun’ore”, e ammesso che il mio stomaco non si fosse ribellato prima, detto fatto, mi apprestavo a fare merenda, circa alle 16 in primavera e attorno 17 o 17,30 in estate. Non avevo mai compreso il significato di quella definizione temporale di “ventun’ore”, anche perché detto in dialetto risultava “vintunora”, che era per me incomprensibile. Ma doveva esserlo anche per mia madre la quale aveva ereditato dai genitori questo modo di dire, che a loro volta l’avevo ereditato dai loro genitori, ecc. Avevo 6 o 8 anni, ma anche se fossi stato più grandicello, non avrei mai potuto capire il senso ed il significato di quella parola. E’ stato per me meraviglioso essere protagonista della trasmissione indiretta di un retaggio culturale e sociale, come può essere un determinato computo della misurazione del tempo in uso presso un popolo, nell’ambito della mia stessa famiglia! In piena epoca degli orologi meccanici ad ore astronomiche e con l’ora legale in voga! Sarà forse ancora una volta la rivincita del sistema Italico su quello Oltramontano la cui adozione dell’uno o dell’altro tanti accesi dibattiti favorì nel XVIII secolo? Tutto quanto avevo scoperto su questo orologio e sulla controversa vicenda dell’adozione del sistema orario italico o francese, lo scrissi nel mio primo articolo intitolato Le ore Italiche... perdute, pubblicato nella rivista di astronomia Orione, n. 4 del 1990. Questo fu il mio primo contributo sullo specifico argomento. Il titolo voleva sottolineare che questo tipo di quadrante e le relative ore italiche che indicava, erano in qualche modo cadute non solo in disuso, ma anche nell’oblìo. A seguire, scrissi un articolo intitolato “Italico o Francese”, pubblicato da Enrico Macchia, direttore della rivista di 18
astronomia Pegaso, dell’Associazione Astronomica Umbra, nel 1992. Il 26 giugno del 1993 ricevetti una lettera del caro amico Don Alberto Cintio, uno dei decani gnomonisti italiani, con la quale mi chiedeva spiegazioni su uno strano orologio che aveva trovato nel Museo del comune di Montalto Marche. La lettera era accompagnata da un bel disegno dell’orologio fatto da Cintio e da una sua breve descrizione: “E’ costituito da 4 spicchi di travertino (spessore 4-5 cm.) di diametro complessivo di cm 120, tenuti insieme da graffe di ferro piombate. C’è un foro centrale”. Dopo avergli detto quel che sapevo sull’argomento, il 5 luglio dello stesso anno Don Alberto mi rispondeva ringraziandomi e dicendomi che aveva acquistato l’importante ed autorevole libro di Eric Bruton Horloges, montres et pendules, in cui aveva trovato, alle pagine 64 e 65, notizie di quello strano quadrante a sei ore “ben spiegato” ed aggiunse “il testo conferma quanto mi hai detto”! Le parole di Don Cintio furono per me un vero sollievo, perché era la prima vera ed autorevole conferma a quanto avevo scoperto e divulgato fino ad allora su questo tipo di orologio. Poco tempo dopo Don Cintio trovò un altro esemplare del genere, quasi identico a quello di Vico nel Lazio, cioè in pietra con i numeri scolpiti, tanto da far credere che esso rappresentasse una vera e propria tipologia stilistica di questo quadrante a VI ore, utilizzata principalmente per le antiche torri in pietra. Che tutte queste cose fossero praticamente state dimenticate e quindi sconosciute nel 1988, almeno nell’ambito degli appassionati di gnomonica, è ampiamente confermato dalle lettere di Fantoni e Cintio e dalla totale assenza di informazioni e pubblicazioni moderne specifiche in merito nella lingua italiana. E ancora oggi, come è facile vedere, la gran parte delle persone continua a meravigliarsi e ad interrogarsi su questo strano e misterioso quadrante. 19
L’OROLOGIO A VI ORE SVELATO Don Cintio aveva allegato alla lettera inviatami la paginetta del libro di Bruton in cui si leggeva del quadrante a sei ore. Riporto il passo che mi sembra interessante nel comprensibile francese: “Considérant le système de sonnerie de 1 à 12 comme typiquement français, ou le désignant parfois par oltramontane (au-delà des montagnes), les Italiens essayèrent de résoudre le problème de la force motrice requise par la sonnerie en équipant leurs horloges d’un cadran original numéroté de 1 à 6 et d’une sonnerie conçue en conséquence, de sorte que l’aiguille des heures tournait quatre fois au cours d’uno journée. Son propriétaire devait donc savoir si, disons, 3 heures correspondait à 3 heures du matin, à 9 heures du soir.” Bruton, però, non dice espressamente quale “tipo di ora” segnasse il quadrante a VI ore, anche se la risposta sarebbe implicita nel riferimento “gli Italiani”, a sottintendere il sistema delle ore indicato da quell’orologio fosse strettamente legato alle tradizioni degli Italiani. Un mistero così fitto fino ad allora, quello del quadrante a VI ore, svelato alla fine in poche righe! Ma per capire bene tutta la vicenda è necessario iniziare da capo e, soprattutto, dare un accenno sul significato dei termini comunemente usati nella gnomonica e relativi alle definizioni dei diversi sistemi di computo del tempo che si sono avvicendati nei secoli e nelle diverse tradizioni dei popoli. Una babilonia di ore Il sistema dell’unificazione e della standardizzazione della misura del tempo nel mondo trova giustificazione nella incessante e crescente necessità, fin dai tempi antichi, di conoscere l’ora in modo sempre più preciso, specialmente a seguito dello sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione atti a 20
facilitare lo scambio tra i popoli. Quando i sistemi di comunicazione sono diventati via via più veloci, la necessità di adottare un tempo uguale per tutti, prima per le città e regioni più vicine tra loro, poi per le nazioni appartenenti ad uno stesso meridiano geografico della terra, è diventata talmente impellente che è stato necessario effettuare subito questo cambiamento. Più di tutto hanno contribuito a questa evoluzione la realizzazione delle ferrovie, il telegrafo e il telefono che hanno avvicinato d’un sol colpo i popoli più di quanto non sia stato nei venti secoli prima della loro scoperta. Ma come si presentava la situazione nell’antichità e fino al Rinascimento? Nei tempi passati esisteva la consapevolezza che per coprire un viaggio di centinaia di chilometri occorrevano diversi giorni, a piedi, con il cavallo o in carrozza. A chi poteva interessare a che ora precisa di chissà quale giorno un amico, un parente o un politico, poteva ricevere il messaggio inviatogli? Non esisteva alcuna necessità pratica di unificare il modo di contare le ore e così queste risultavano essere diverse, per uso, costumi e tradizioni, da un popolo all’altro. Basta leggere un buon libro di Gnomonica, anche antico, oppure uno di quei libri eruditi pubblicati tra il XVI e il XVII secolo sugli usi e costumi degli antichi per avere una buona conoscenza dei diversi sistemi di computo adottati dalle diverse nazioni. Il Causabon, il Graevio o le Exercitationes Plinianae di Claudio Salmasio, per fare qualche esempio, sono più che soddisfacenti. Ma per il nostro scopo basterà qui accennare solamente alle differenze tra i diversi sistemi di computo. Le più antiche risultano essere le cosiddette “ore temporarie”. Non abbiamo certezze sul tipo di ora in uso presso gli antichi popoli della Valle dell’Eufrate, in quanto il concetto di “ora” così come l’abbiamo ereditata dai Romani, si sviluppò nella 21
Grecia Ellenica attorno al IV secolo a.C . Abbiamo qualche certezza in più, invece, sul fatto che la suddivisione del giorno e della notte, ereditata dai Babilonesi, fosse scandita suddividendola in 12 parti uguali. Ciò poneva delle difficoltà, ovviamente, in quanto le ore che ne scaturivano dovevano per forza avere una durata diversa tra loro a seconda della lunghezza del giorno chiaro e delle notti che era in funzione delle stagioni. Le ore derivate da questa suddivisione e di cui abbiamo testimonianza almeno sugli orologi solari greco-romani pervenuti dagli scavi archeologici, sono le cosiddette ore Ineguali, comunemente appellate ore Temporarie, o ore Temporali. Esse furono adottate da quasi tutti i popoli dell’antichità e per tutto il medioevo. Per tale motivo, e a seconda degli usi e costumi, esse ricevettero anche altri appellativi: ore giudaiche, perché usate dai Giudei ed usate nei Vangeli; ore naturali, perché derivate dalla divisione del giorno e della notte naturali; ore Antiche perché usate dai popoli antichi, ecc. Le ore Temporarie furono adottate, durante l’alto medioevo e fino al XIV secolo, dalle diverse comunità monastiche europee, spinte dai dettami della Regola di San Benedetto, per un’accurata osservazione degli Uffici Religiosi. Queste ore furono denominate ore Canoniche e variavano a seconda degli usi e costumi delle diverse comunità, probabilmente anche per effetto dell’influenza sugli orologi solari della latitudine geografica in cui si viveva. Nell’uso astronomico, fin dall’antichità, ovvero almeno dai tempi di Tolomeo, si utilizzavano le ore Equinoziali che essendo computate sull’Equatore erano “ore eguali”. Usate per i calcoli astronomici, divenne uso comune denominarle ore Astronomiche. Adottate in seguito principalmente dalla Francia, divennero famose nel periodo napoleonico come ore Francesi e, per noi Italiani, ore Oltramontane. In Germania ebbe successo nel Rinascimento il sistema delle ore di Norimberga che erano in funzione della eccezionale lunghezza dei giorni e delle notti alle latitudini delle città 22
tedesche, arrivando ad una lunghezza dell’arco diurno fino a oltre 16 ore! Mentre in Italia e in Boemia, ereditando l’usanza dagli antichi Ateniesi, si iniziò a computare il tempo da un tramonto all’altro, iniziando la numerazione da 0 = tramonto del Sole fino a 24 = al tramonto del sole del giorno seguente. A partire forse dalla metà del XVII secolo, nella tradizione religiosa questo computo fu spostato di mezz’ora avanti per fare in modo che l’ora dell’Ave Maria venisse suonata mezz’ora dopo il tramonto del sole. Le meridiane italiche costruite su questo presupposto hanno le linee delle ore spostate di mezz’ora avanti, così che la linea oraria delle 18 italica intersechi la linea meridiana sulla linea equinoziale mezz’ora dopo. Questi tipi di orologi solari sono stati definiti oggi come meridiane italiche da campanile perché indicavano l’ora italica sulla quale erano basati gli orologi meccanici con quadrante di VI ore. Ed erano sovente accoppiate agli orologi meccanici per favorire le correzioni da apportare alla macchina orologica meccanica dal temperatore di turno. Accennato brevemente ai diversi sistemi orari in uso presso i diversi popoli dall’antichità, riconsideriamo quello che più ci interessa da vicino perché legati alla macchina orologica del quadrante a VI ore, cioè il sistema delle ore Italiche. Per non tediare il lettore, farò solo una breve cronologia. Il significato e l’uso del sistema sono piuttosto semplici. Tradizionalmente si attribuisce ad una cronaca di Galvano Fiamma, divulgata da Ludovico Muratori nella sua monumentale opera Rerum Italicarum Scriptores, la notizia da cui si fa iniziare l’uso divenuto pubblico del sistema orario all’italiana. La cronaca parla di quello che potrebbe essere uno dei primi orologi meccanici pubblici da torre realizzati in Italia. Esso si trovava sul campanile della chiesa della Beata Vergine, o di S. Eustorgio, a Milano. Non è dimostrato, dalla cronaca, l’esistenza o meno di un quadrante orologico con la numerazione, ma sappiamo che l’orologio suonava le ore da 1 23
a 24. In seguito si diffusero gli orologi con numerazione oraria da I a XXIIII. Le ore Italiche fanno parte del sistema delle “ore uguali”, cioè che suddividono il giorno in 24 ore uguali indipendentemente dalle stagioni. A questo sistema fanno parte tre tipologie di sistemi orari che brevemente riassumiamo così: 1) Ore uguali computate dal tramonto del sole a quello successivo. Sono le nostre ore Italiche, dette in latino ab occasu solis. 2) Ore uguali computate dal sorgere del sole a quello successivo. Sono le ore Babiloniche, ab ortu solis. 3) Ore uguali computate dalla mezzanotte a quella successiva (a media nocte), o dal mezzogiorno a quello successivo (a meridie). Sono le ore del sistema detto alla francese, oppure “astronomico”, o “oltramontano”, come spiegato in precedenza. Il sistema delle ore uguali, quindi, è comune alla maggior parte dei popoli fin dal medioevo, mentre esso veniva usato dagli astronomi nell’antichità, esso venne definitivamente adottato, dopo il medioevo, da quasi tutte le nazioni europee tranne che l’Italia. Per questo si continuò a chiamarle “ore all’italiana”. Un po’ come anche il nostro “matrimonio all’italiana”, “divorzio all’italiana”, e via dicendo, giusto per rubare un sorriso al lettore. Ma evidentemente doveva esserci anche qualche ragione di questa ottusa insistenza nel mantenere in uso in Italia un sistema totalmente abbandonato nella maggior parte dell’Europa post rinascimentale. Tra le ragioni di ciò si possono annoverare certamente le abitudini stesse degli italiani, legati alle loro tradizioni, e tra queste quella religiosa legata alla recita dell’Ave Maria che avveniva generalmente, e a seconda delle diverse usanze, all’alba, al mezzogiorno e al tramonto del sole. Generalmente, le campane dell’orologio erano solite suonare, 24
per indicare ai fedeli che era il momento della recita dell’Ave Maria, 24 rintocchi, poi 12 e quindi 6, nel quadrante a VI ore, nel momento della ventiquattresima ora Italica. Così erano regolate anche tutte le meridiane solari sulle quali si poteva evincere questo tipo di ora italica dall’intersezione sulla linea equinoziale della linea oraria delle 18 italica, con quella del mezzodì. Quando la recita dell’Ave Maria fu spostata, non sappiamo con certezza quando, a mezz’ora dopo il tramonto del sole, subentrò questo nuovo sistema dell’ora italica e i primi segnatempo ad essere sottoposti a tale modifica furono ovviamente gli orologi da torre. Presumibilmente, questo cambiamento avvenne verso la metà del XVII secolo e le ragioni possono essere diverse, tra cui una abbastanza plausibile, quella di dare tempo ai lavoratori di prepararsi, dopo una giornata di fatica, per essere presenti senza ritardo alla funzione religiosa. Una delle prime e principali testimonianze del nuovo sistema italico “ad usum campanae”, venne testimoniato da Bartolomeo Scanavacca in un noto libro di gnomonica 1 pubblicato a Padova nel 1688: “...Horologi Solari, insegnand’anco a farli non solo che mostrino le hore secondo l’antico uso; ma ancora secondo un uso nuovo, non ancora da altri (ch’io sappia), introdotto; che è di farli che si conformino in tuto e per tutto con gli Horologi delle Torri, e da ruote, acciocché nei Paesi dove si usa suonare le hore 24 mez’ora doppo che il Sole è tramontato, si possa havere un Horologio a Sole che si concordi del tutto con tale usanza...” . In questo passo Scanavacca, per “uso nuovo, non ancora da altri (ch’io sappia) introdotto”, documenta un sistema orario nuovo all’usanza del popolo. Riferendosi, forse, principalmente all’introduzione di metodi per la costruzione delle meridiane che non indicavano ancora quel tipo di ore. Infatti, le ore italiche computate da mezz’ora dopo il tramonto 1 Bartolomeo Scanavacca, Novissima inventione per dissegnare con grandissima facilità e prestezza Horologi solari Italiani, Babilonici e Francesi”, Padova, 1688. 25
del sole erano già conosciute, come visto, e l’opera di Giuseppe Maria Figatelli, Retta Linea Gnomonica, pubblicata a Modena nel 1675, non poteva essere sfuggita a Scanavacca. Per questo, presumo che egli si riferisse con le sue parole ai metodi geometrici per progettare meridiane solari che indicassero questo “uso nuovo” che a sua conoscenza nessun altro autore aveva ancora descritte in modo adeguato. Nel 1736, il bolognese Ludovico Quadri, pubblicò delle tavole contenenti dei metodi utili per “regolare di giorno in giorno gli orologi a ruote” e per costruire meridiane ad ore italiche da campanile. Il frontespizio, non a caso, mostra in primo piano un orologio a VI ore. Nell’introduzione egli specifica la differenza del sistema italico normale e quello da campanile. Probabilmente proprio da queste pagine deriva la nostra usanza di denominare le ore italiche spostate di mezz’ora avanti “da campanile” o “ad usum campanae”. ”Queste mie (tavole) sono calcolate per l’ore comuni, dette volgarmente della Campana, che secondo l’uso d’Italia hanno il loro termine mezz’ora dopo, che è tramontato il Sole” . Frontespizio dell’opera di Ludovico Quadri 26
Tavole come quelle di Quadri dovevano essere molto popolari negli ambienti dei temperatori per gli orologi pubblici. Ma chi non disponeva di esse, poteva fare affidamento sulla lettura di una buona meridiana solare. Nel Settecento si realizzarono meridiane solari in coppia con gli orologi a campana in modo che il segnale dell’ora solare potesse facilitare continuamente l’aggiustamento degli anticipi o ritardi dell’orologio italico meccanico. Addirittura si ha notizia di situazioni ottimali in cui, intenzionalmente o casualmente, troviamo abbinato all’orologio italico a campana anche una linea meridiana pavimentale la quale poteva fornire una precisione davvero inconsueta per le esigenze del popolo. E’ bene precisare, già che ci siamo, che l’orologio a VI ore che stiamo comunemente chiamando “italico”, non è, per buona pace di tutti e soprattutto per coloro che amano queste sottigliezze, un “orologio italico” per sua concezione o per sua natura, come può essere la meridiana a ore italiche concepita appositamente sfruttando l’esatta teoria matematica ed astronomica dell’orologio italico. Questo strumento meccanico, è solo una macchina concepita e architettata in modo da suddividere 24 ore uguali in quattro parti di sei ore ciascuna, e facendo iniziare il computo mezz’ora dopo il tramonto. Ciò corrispondeva, in modo approssimativo, al sistema delle ore italiche in vigore in quell’epoca. Ciò è dimostrato anche dal fatto che il quadrante e la macchina orologica, possono essere modificati a piacere nei “ruotismi” e far segnare al quadrante a VI ore l’ora astronomica. Due esempi eccelsi di queste modifiche sono l’orologio del Quirinale e quello all’interno della basilica di San Pietro. Al contrario, una meridiana solare italica non può servire ad indicare un diverso sistema orario. Il fatto di chiamare “orologi italici” questi quadranti meccanici a VI ore è solo un vizio di forma, o una licenza letteraria per non incorrere in ulteriori problemi di chiarezza. D’altra parte, come dovrebbe chiamarsi un orologio meccanico costruito per indicare l’ora italica? Credo che debba prendersi per buona quindi la 27
denominazione usuale per i quadranti a VI ore di “orologi meccanici ad ore italiche da campanile” o “che indicano le ore italiche da campanile”. L’esigenza di Ulisse Quadri nel realizzare la sua operetta con le tavole per rimettere a punto gli orologi a campana, non era di poco conto. Almeno all’incirca la metà del Settecento è testimoniata la stessa esigenza anche a Roma e le Effemeridi Letterarie di Roma, n° 14 del 3 aprile del 1790, ne sono una bella prova. “Tavole nelle quali si mostra il punto del mezzo giorno e della mezza notte, del nascere e del tramontar del sole, secondo il meridiano di Roma, per regolare gli orologi all’italiana e alla francese, pubblicate dall’Ab. D.P .G .M . (Don Pietro Giuseppe Marquez). Nella stamperia Salomoni, alla piazza di Sant’Ignazio, 1790.” Dalla testimonianza che si riporta sotto, sembrerebbe che in Roma vi fosse la difficoltà da parte dei temperatori di correggere gli orologi pubblici per mezzo della meridiana solare. “Ove si contano le ore all’Italiana, come in Roma, non è possibile senza di queste o consimili tavole di ben regolare un orologio, che mostri le ore italiane, per mezzo di una meridiana. Imperocchè per il commodo della vita civile si è stabilito, che in questa nostra maniera di contar le ore, il punto del mezzo giorno salti da un giorno all’altro di un intiero quarto d’ora, cosicchè per es. suonandosi oggi il mezzo giorno a diciassette e mezza, domani si suoni a diciassette e un quarto; ma il fatto sta che realmente questo quarto d’ora non si guadagna o si perde ad un tratto, ma a poco a poco e successivamente si va guadagnando o perdendo dal giorno in cui si suona fino a quello in cui si fa suonare un quarto prima o un quarto dopo. Così nell’addotto esempio se dovrà corrispondere il mezzo giorno di domani alle 17 e un quarto cioè a 17 ore e 15 minuti, si trova che 28
oggi dovrebbe suonarsi, non già alle 17 e mezza, ossia 17 e 30 minuti, come lo annunciano le pubbliche campane, ma bensi alle 17 e 16 minuti; il giorno innanzi alle 17 e minuti 18, ecc. Chi dunque oggi, riguardando una meridiana mettesse, nel punto del mezzo giorno, il suo orologio alle 17 e mezza, s’ingannerebbe di assai, e si avvederebbe di questo suo inganno dal dissesto in cui si ritroverebbe il suo orologio nei giorni consecutivi. Queste tavole adunque potranno guidarlo, stando in Roma, perché non s’inganni; poiché giorno per giorno egli vi troverà segnate le ore italiane e i minuti, che corrispondono al vero mezzo giorno.” Questi salti di quarti d’ora descritti dall’abate Marquez, sono anche testimoniati, sempre in Roma, da Filippo Luigi Gilii (1756-1821), reso celebre dall’incarico di realizzare la grande meridiana pavimentale di Piazza San Pietro il cui gnomone è costituito dall’obelisco che sta al centro. Nel suo libretto Memoria sul regolamento dell’orologio Italiano colla meridiana, pubblicato a Roma nel 1805 (ripreso dal Cancellieri ne Le due nuove campane del Campidoglio, Roma 1806, “pubblicato da’ Torchi della Stamperia Caetani sul colle Esquilino”), riporta: “L’uso di far variare, come noi facciamo, il mezzo giorno di quarto in quarto, sebbene credasi comodo, è però incontrastabile che induce un errore quale, perché piccolo, meglio sarebbe l’evitarlo. Queste variazioni, o piuttosto salti del mezzo giorno “Italiano” da un quarto d’ora all’altro, derivano da un calcolo ridotto ai punti medi, né combinano giammai col vero momento dell’arrivo del Sole alla metà del suo corso” 2 . L’ombrosa spiegazione di Gilii, che accenna ai salti di quarti d’ora ma non li spiega chiaramente, è definitivamente chiarita 2 Questa notizia è stata data in tempi moderni, primo fra tutti, da Mario Catamo nel suo libro “L’evoluzione della misura oraria del tempo”, Civita Castellana, 2008, pag. 47. 29
da quella più pratica delle Tavole delle Effemeridi Letterarie di Roma le quali, a mio conoscenza, sono qui divulgate per la prima volta in tempi moderni. Per curiosità, vorrei citare una notizia appresa da Gregorio Frangipane dal suo libro Storia del Monastero di San Martino, del 1905, in cui scrive che “una ruota, detta di Archimede, regolava da sé le variazioni del mezzogiorno supplendo o sottraendo i minuti deficienti od eccedenti, giusta l’orologio all’italiana regolato sul tramonto del sole”. Questa ruota orologica, detta “di Archimede”, dovrebbe essere il meccanismo con il quale gli autori, come dirò tra poco, descrivevano l’inconsueto modo di “aggiustare” i ritardi o i posticipi dell’orologio Italico sul mezzogiorno. L’ora italica da campanile era regolata, come si è visto, sul momento della mezz’ora dopo il tramonto del sole, mentre il sistema comportava una variabilità di non poca importanza per quanto riguarda gli istanti dell’alba e del mezzogiorno. In pratica era come noi oggi per le variazioni dell’alba e del tramonto. Abbiamo il mezzogiorno che avviene sempre alla stessa ora di tempo medio (del nostro orologio), indipendentemente dal passaggio del sole vero sul meridiano locale, mentre variano continuamente i momenti del sorgere e del tramontare del sole rispetto a quando il nostro orologio da polso segna le 6 del mattino o le 18 del pomeriggio, istanti in cui solo nei giorni di equinozio si trovano allineati. Noi oggi non facciamo molto caso a che ora sorge o tramonta il sole, se non in modo poetico, o per spirito di osservazione della natura. Il nostro sistema di computo è basato su un sole fittizio che ruota apparentemente intorno alla terra, compiendo un giro completo in 24 ore esatte, in modo che tutti gli orologi regolati su uno stesso fuso indichino sempre la stessa ora, indipendentemente dalla latitudine, longitudine e usanze dei Paesi. E’ l’unificazione dell’ora astronomica, per arrivare alla quale, si è prima dovuto sottostare a passaggi intermedi che tenevano conto dell’ora media del meridiano locale e, successivamente, del meridiano del fuso di 30
appartenenza. Oggi siamo in grado di apprezzarne gli indiscutibili vantaggi, ma dopo la metà del Settecento e per circa un secolo, non dovette essere facile accettare un simile cambiamento. Gli autori che hanno scritto sui vantaggi dell’orologio italico su quello oltramontano non sono molti, mentre lo erano i sostenitori dell’orologio alla francese. Entrambi, però, basavano le loro dispute essenzialmente sul problema visto prima. relativo ai ritardi che l’orologio Italiano accumulava durante l’anno e per i quali aveva necessità di essere “aggiustato”, ovvero rimesso da un uomo appositamente incaricato, chiamato “temperatore”, mentre l’orologio alla francese, basato sul mezzogiorno, non ne aveva bisogno o, almeno, lo sfasamento era di molto contenuto rispetto a quello Italiano. L’orologio italico da campanile, accumulava in una settimana all’incirca un quarto d’ora di anticipo o ritardo e il temperatore era addetto settimanalmente a spostare avanti o indietro la lancetta dell’orologio del quarto d’ora accumulato. Sulla questione del ritardo e anticipo dell’orologio Italiano su quello Oltramontano, abbiamo trovato una rara e interessante testimonianza di un anonimo scrittore che fece pubblicare una dissertazione sugli orologi nella rivista “Il Caffè: o sia, Brevi e varij discorsi già distribuiti in fogli periodici”, pubblicata in Venezia nel 1766, seconda edizione, tomo primo, pagg. 467 e segg. Questa pubblicazione è anteriore di circa venti anni a quella di Cordara ed è quindi da considerarsi una delle prime sulla disputa dei vantaggi tra l’orologio Italico e l’Oltramontano. Qui di seguito si riportano alcuni passi, a volte interpretati nel linguaggio moderno per abbreviazione, a volte in originale per tener fede all’intento dell’autore. “Perché ci si possa servire utilmente dell’orologio, conviene fissare un punto di partenza della giornata, altrimenti se ciascuno a sua voglia fissasse quel punto che più gli piace, 31
l’Orologio sarebbe inutile nel commercio degli Uomini, come inutile sarebbe il dono della lingua, se ciaschedun Uomo si fabbricasse un linguaggio a suo talento. Tutte le nazioni si sono accordate nel misurare il tempo con il moto del sole, che è il più sensibile, ma diverso è il principio da cui iniziano a contarle le ore. E’ naturale che i più antichi osservatori scegliessero per principio delle loro misure il punto più visibile che vi fosse, più costante e sicuro: lo spuntar del sole. Così facevano i Caldei e gli Ebrei e così fanno oggi, per aver ereditato la tradizione, gli abitanti delle isole di Maiorca e Minorca... Gli antichi Ateniesi, gli antichi Boemi e i moderni Italiani, non so come, si sono appigliati al tramontar del sole... Il volgo che vede sempre arrivare la sfera alle ventiquattr’ore, e vede che è ancora giorno ora ad un’ora ora ad un’altra ora, crede che il momento del tramonto del sole sia un punto inalterabile. Al contrario, invece, esso è variabile ed incostante... Poiché il giorno, piuttosto che la notte, suol destinarsi agli affari, pare più ragionevole iniziare il computo delle ore dal suo inizio, cioè dal sorgere del sole, ma a tal proposito devo dire che le azioni più importanti per noi Nazione colta, polita, civile, ben accostumata, cioè le veglie, le conversazioni, il giuoco, sogliono destinare al principio della notte, non servendo la mattina ad altro che alle vili occupazioni dell’ultima feccia del popolo.” Quest’ultimo periodo farebbe scatenare aspre polemiche al giorno d’oggi, perché le “vili occupazioni dell’ultima feccia del popolo” sarebbero da intendere le umili fatiche degli operai, contadini ed artigiani. Ma a parte questo, vediamo il passo, che riporto in originale ma semplificato, relativo al paragone tra l’orologio meccanico Italico e quello Oltramontano. “Dei due orologi, l’Italiano e l’Oltramontano, uno perlomeno dev’essere fallace. Ora, perché l’orologio sia giusto il suo ago (sfera) deve scorrere in modo uguale su tutto il circolo della mostra e ritornare nel punto da cui era partito. Dati 32
dunque due oriuoli giusti, e messi i loro aghi su d’uno stesso punto, ambedue gli aghi dovranno sempre segnare la stessa ora, e se io metterò un ago tre ore avanti rispetto all’altro, questa differenza dovrà essere mantenuta: E se io farò che se un ago segni le ore dodici e l’ago dell’altro orologio lo metterò diagonalmente opposto che segni le ore sei, sempre questi aghi saranno diametralmente opposti, e segneranno costantemente il tempo con sei ore di diversità...Ciò posto, si prendano due oriuoli verso la metà di ottobre, e uno di essi si regoli all’Italiana e l’altro all’Oltramontana. Siccome allora il Meriggio è alle nostre ore 18, seguirà che quando l’orologio all’Italiana segnerà le sei ore, o le 18, l’altro orologio segnerà le dodici ore. Che avverrà di questi due oriuoli verso la metà di Giugno allorchè mezzodì arriva circa alle nostre ore 16? Il loro movimento sarà stato sempre uguale? Avranno mantenuto la differenza costante di sei ore? Oppure il mezzogiorno d’allora ha per così dire anticipato di due ore; onde quando all’orologio Italiano sono dodici ore, non v’essendo in giugno che quattr’ore per arrivare al mezzo giorno, di quattr’ore dovrebbero gli aghi esser tra loro distanti. Lo stesso dicasi se i due oriuoli si accomodino li 21 Giugno, in modo che l’Oltramontano segni dodici ore e l’Italiano 15 3⁄4 ; alli 21 Dicembre, l’Oltramontano segnerà al mezzodì ore 12 giuste, e l’taliano, che dovrebbe segnare 19 1⁄4 perché a tal’ora è mezzodì al solstizio di dicembre, segnerà nuovamente ore 15 3⁄4, avendo sempre gli aghi conservato il rapporto di lontananza d’ore di 3 3⁄4 . Converrà dunque dire che uno dei due punti fissati non è invariabile”. L’autore procede nei dettagli delle definizioni della sfera celeste e del moto del sole su di essa. Quando ritorna agli orologi per completare i suoi esempi, ci avverte che l’orologio Oltramontano, basato sul principio del mezzogiorno ha un anticipo o ritardo massimo sul punto di inizio del computo pari a circa mezz’ora in tre mesi, mentre da un giorno all’altro la massima differenza è di circa mezzo minuto, portando 33
diversi esempi pratici e concludendo che “l’Oriuolo Oltramontano varia bensì nelle diverse stagioni, ma le sue variazioni si compensano l’una coll’altra, ed alla fine dell’anno l’Orologio tornerà a segnare il giusto mezzodì”. “Passiamo ora ad esaminare – scrive l’anonimo autore – l’Oriuolo Italiano. Nel solstizio d’estate, al 21 giugno abbiamo il meriggio alle ore 15 3⁄4 . Nel solstizio d’inverno, al 22 dicembre, è alle ore 19 1⁄4 . La differenza dall’ora del meriggio d’estate a quella d’inverno, cioè in sei mesi, è di ore 31⁄2.” L’orologio oltramontano sbaglia rispetto al punto d’inizio, cioè il mezzogiorno, di circa mezz’ora in tre mesi: novembre, dicembre e gennaio, il quale errore viene in parte compensato dai 18 minuti di ritardo che accumula dall’11 febbraio al 15 maggio. Quindi, in totale, l’orologio oltramontano sbaglia di soli 12 minuti da novembre a metà maggio. Mentre nei circa sei mesi dall’11 febbraio al 25 luglio, sbaglia di circa 8 minuti. Dal 15 maggio al 1 novembre, l’orologio sbaglia di 12 minuti e dal 25 luglio all’11 febbraio di 8 minuti. Dunque il massimo sbaglio dell’orologio Oltramontano in sei mesi è di minuti 12 3 . Da tanta confusione numerica, il risultato è che l’orologio Italiano accumulava in sei mesi un errore di circa 3 ore e mezza. Una differenza con l’Oltramontano di minuti 12 a 210! Ma l’errore dell’orologio Italiano è tanto più vistoso quanto più è grande la durata dell’arco diurno alle diverse latitudini. Lo stesso discorso fa l’autorevole astronomo Giuseppe Piazzi, sebbene lo scritto dell’anonimo autore della dissertazione sull’orologio pubblicata ne “Il Caffè”, del 1766, sembri essere 3 L’autore computa questi calcoli per la latitudine di Milano per l’anno 1765, rilevando che l’errore medio diurno per l’orologio oltramontano da un giorno all’altro sarebbe di secondi 17 2/3 rispetto ai 254 secondi dell’orologio Italiano! 34
molto simile a questo del Piazzi, come uscito quasi dalla stessa mano, nel suo opuscolo “Sull’orologio Italiano e l’Europeo”, pubblicato a Palermo nel 1798. Ecco come riassume il tutto con la sua proverbiale chiarezza: “Dovendo quindi l’orologio Italiano segnare costantemente 23 ore e 30 minuti al tramonto del sole; egli è chiaro che deesi portare indietro per due ore, e 40 minuti dal solstizio d’inverno al solstizio d’estate, e di altrettanto da questo a quello spingerlo innanzi. Se vogliasi nell’orologio conservare l’uniformità del movimento, sarà necessario per sei mesi ogni sera al tramonto del sole portare indietro l’indice dell’orologio di un minuto prossimamente, e per altri sei mesi portarlo innanzi. Ma come ciò riesce troppo incomodo si preferisce nella pratica il metodo di accelerare, o ritardare il movimento secondo il bisogno. Dee farsi ritardare dal solstizio d’inverno al solstizio d’estate, indi farsi accelerare da questo a quello; in modo però che dal solstizio all’equinozio il ritardo sia sempre in più, e dall’equinozio al solstizio in meno: l’accelerazione similmente dee farsi prima in più, poi in meno con la stessa legge del ritardo.” E a questo inconveniente si cercò di rimediare costruendo orologi meccanici “così regolarmente irregolari che s’adattassero al vario incostante moto del Sole”. Questo durò fin quando nel 1699 Sully pubblicò l’orologio ad Equazione nel suo libro “Règle artificielle du temps”. Piazzi continua elencando i vantaggi dell’orologio Oltramontano rispetto a quello Italiano e finalmente riconduce il tutto all’utilità della vita pubblica per la quale ci dice: “Ciascuno sa per esperienza quanto incomodo sia un così molesto cambiamento di mezzodì e mezzanotte. Si tratta dell’osservanza dei digiuni ecclesiastici, si deve sempre domandare l’ora della mezzanotte. Voglionsi regolare le ore degli uffici, incumbenze, ed occupazioni così pubbliche, come 35
private; amministrazione della giustizia, scuole, educazione, salmeggiamento, ecc. due e tre volte al mese nuovo orario. E’ uno in viaggio, spesso nuovo mezzodì, nuova mezzanotte. Gli orologi pubblici di tratto in tratto soggetti alla subitanea mutazione di un quarto d’ora, per cui nell’intero corso dell’anno, non vi è forse un giorno solo, in cui il mezzodì sia annunziato all’ora conveniente. Nissuno di sì fatti incomodi nell’orologio Europeo. Il mezzodì e la mezzanotte, sempre alle 12, e fatta una volta la distribuzione delle ore, essa non avrà più bisogno di essere alterata, se non se nel dopo pranzo dell’estate per maggior comodo delle persone”. E ancora: “Dovendo costantemente segnare 24 ore da un tramonto all’altro, molto in un tempo deesi accelerare il loro moto, e molto ritardarlo in un altro. Nell’Europeo non si richiede che una picciola accelerazione, ed un picciolo ritardo. Questa riflessione sola dovrebbe bastare a bandire una volta per sempre, l’uso dell’orologio Italiano, almeno per quei da tasca e da tavolino”. Piazzi annuncia tutta la sua convinzione sul vantaggio dell’orologio Europeo sull’Italiano. Eppure dovrà passare ancora circa mezzo secolo prima che l’antica “irresistibile forza dell’abitudine” fosse soppiantata dalla ragione e dalla logica dell’uniformità ad un sistema adottato ormai da tutte le nazioni d’Europa in quella che è una delle prime “globalizzazioni” del mondo. Quando il sistema Oltramontano conquistò la fiducia degli Italiani, esso iniziò a far bella mostra di sé anche sulle meridiane solari che caldeggiavano il nuovo computo con la dicitura “Orario Europeo”, come se ne vedono spesso sui muri dei palazzi ottocenteschi. 36
“SCUSI QUANTO MANCA AL TRAMONTO?” Il sistema delle ore Italiche, come si è visto, era perfetto per la maggior parte del popolo in Italia, come per i religiosi. Il viandante durante il suo peregrinare, il mercante con le sue vendite, l’artigiano nella sua bottega, il contadino lontano al lavoro nelle sue terre, quando sentivano l’orologio Italico che batteva sulla campana 18, 19 o 20 rintocchi, oppure il loro equivalente nelle frazioni di due volte 12 ore o in frazioni di 4 colpi ogni sei ore (questi ultimi sono i quadranti a VI ore), potevano subito conoscere quanto tempo mancava al tramonto del Sole, cioè quante ore di luce avevano ancora per svolgere le loro attività lavorative. Una informazione di estrema importanza in una epoca in cui i rapporti sociali e di lavoro erano condizionati dalla presenza della luce solare. Essi potevano conoscere una informazione di tipo astronomica, cioè le ore che mancavano al tramonto del sole, altrimenti molto difficile da sapere, per di più per ogni giorno dell’anno, ovvero senza tener conto (lo faceva l’orologio per loro) dell’allungarsi o dell’accorciarsi delle giornate in funzione delle stagioni. Infatti, l’orologio meccanico italico, come detto in precedenza, veniva regolato periodicamente (in genere una volta la settimana) dal suo temperatore (l’uomo addetto a tale compito), in modo che non sfasasse rispetto al variare periodico degli istanti del tramonto del sole. L’orologio meccanico alla francese, invece, battendo le ore dalla mezzanotte a quella successiva, quando suonava le 17 o le 18 pomeridiane, non poteva dare alcuna indicazione di quanto tempo si aveva di luce prima del tramonto del sole. Per sapere questo, infatti, i lavoratori avrebbero dovuto conoscere almeno ogni settimana più o meno a che ora tramontava il sole! Per fare un esempio, se un lavoratore sentiva il 21 marzo 21 rintocchi dell’orologio italico, immediatamente sapeva che 37
aveva poco più di due ore di luce per continuare a lavorare, il tutto senza sapere preventivamente che il 21 marzo il sole tramonta alle 18 pomeridiane. Se fosse stato in estate, quando le giornate sono molto più lunghe, ascoltando 20, 21 o 22 rintocchi dell’orologio italico, il lavoratore avrebbe subito saputo che mancavano rispettivamente 3, 2 o 1 ora al tramonto del sole (o mezz’ora in più in caso di ore italiche da campanile alla romana). Un sistema semplice e senza la necessità di conoscere preventivamente a che ora tramonta il sole! Cosa sicuramente non possibile con immediatezza usando gli orologi alla francese. Sarebbe curioso fare una prova oggi e andare per le botteghe e chiedere ai lavoratori, per esempio, il giorno 18 marzo, alle 16 pomeridiane del nostro moderno sistema, quante ore avrebbero ancora di luce solare per continuare a lavorare. Credo che pochi o nessuno potrebbero dare in pochi istanti una risposta anche solo approssimativa. Chi di noi, oggi, leggendo l’ora sul proprio orologio da polso, o su quello della torre comunale, saprebbe dire in pochi secondi e in modo abbastanza preciso quante ore di luce restano fino al tramonto? La persona che abbia studiato un po’ di astronomia, sa che nei periodi di equinozio la durata del giorno è equivalente a quella della notte. Quindi, solo in quei periodi, se egli legge l’ora alle 15 pomeridiane, sa subito che mancano 3 ore al tramonto del sole. Ma nel resto dell’anno, come farebbe a regolarsi? Le nostre giornate non sono più scandite dal movimento apparente del sole nel cielo, ma da una serie di impegni che da soli formano un orologio completo: alle 8 al lavoro (o a scuola), alle 12-13 il pranzo, alle 18 uscita dal lavoro, alle 19-20 la cena, alle 21 la televisione o il cinema o l’uscita di ricreazione, alle 23 a nanna! Come i monaci del medioevo, assuefatti ai tempi regolati dalle loro stesse funzioni religiose, anche noi non avremmo bisogno dell’orologio se non fossimo soggetti ad appuntamenti precisissimi dove neppure l’orologio italico avrebbe potuto fare qualcosa. Ecco quindi la ragione della 38
vittoria dell’orologio alla francese su quello Italiano. Dev’essere stato duro per i nostri antenati passare dal sistema Italico a quello Oltramontano. Abbandonare certe tradizioni legate ad un modo di conoscere il tempo ormai consolidato, certo, sicuro, che indicava continuamente ai lavoratori quanto tempo di luce avevano ancora a disposizione, per cadere, invece, improvvisamente nell’incertezza del sistema alla francese il quale, specie nelle campagne, non poteva indicare ai contadini quante ore di luce avessero ancora a disposizione. Per questo basterà osservare il sole nel cielo, si potrà dire, e stabilire quanto tempo si ha di luce, ma per tutti quelli che il sole non lo vedevano? Quelli che erano chiusi nelle botteghe artigiane tra gli angusti vicoli dei borghi medievali? Come tutti gli uomini d’affari e delle amministrazioni pubbliche, gli studiosi rinchiusi nelle biblioteche dei monasteri, e i religiosi nelle chiese? Sentire le campane, anziché leggere l’ora sul quadrante, era una comodità non da poco. E l’ora francese non dava alcuna indicazione sonora da cui si poteva conoscere quante ore mancavano alla fine della giornata. Ma anche l’orologio italico, a causa del variare degli istanti del tramonto del sole sull’orizzonte, doveva costantemente essere regolato e la precisione che offriva non poteva competere con quella dei quarti e dei minuti dell’orologio francese, suddiviso nelle mostre fino anche a 60 minuti! La considerazione appena fatta costituì, insieme a tanti altri dettagli, una lunga ed accesa disputa tra chi era a favore del sistema Italiano e chi desiderava cambiare con quello oltramontano. Le dotte disquisizioni degli studiosi, tradotte nel moderno linguaggio mediatico, sarebbero finite in pasto a trasmissioni popolari televisive e, magari, in un vivace referendum. All’epoca, però, si poteva solo scrivere le proprie convinzioni in articoli e pubblicazioni che poco influivano, alla fine, sulle scelte dei potenti. L’ora italica era saldamente legata a tradizioni religiose e popolari degli italiani, il sistema oltramontano era visto con spirito usurpatore e generava 39
quindi, soprattutto negli spiriti conservatoristi, un profondo scetticismo. La maggior parte degli uomini che avevano vissuto regolando la loro vita con il sistema italico, come i loro padri e i loro bisnonni, non ne volevano sapere di accettare il nuovo metodo alla francese che di fatto aboliva, in un sol colpo, tradizioni e abitudini, provocando un senso di completo smarrimento tra la popolazione. Di questo si hanno ancora vivaci testimonianze nella letteratura italiana. Una delle più autorevoli è senza dubbio legata al nome di un grande scienziato del Settecento, Giuseppe Toaldo, definito uno “scienziato europeo”, perché il suo ultimo scritto, pubblicato post mortem nel Giornale Astro Meteorologico nel 1798, si legge “iniziava in Italia la bella istituzione dell’Etat du ciel di Pingré e della Connaissance des Temps di Maraldi e Lalande che già da molti anni si pubblicavano in Francia, dando fama alla Specola Patavina ed emulazione alla Germania e all’Olanda che cominciarono a pubblicare somiglianti pubblicazioni”. Una specola all’avanguardia, diciamo, quella di Padova, molto vicina alle innovazioni “oltramontane” e proprio per questo, Camillo Ugoni 4 , scrivendo la vita di Giuseppe Toaldo e riferendosi proprio all’anno 1789 in cui fu pubblicato anche il trattato Metodo facile di descrivere gli orologi solari, ossia Trattato di Gnomonica, scrive: “Quest’anno, per impulso di certi magistrati, l’A. (Toaldo) introdusse l’orologio oltramontano in Padova, con tavole, dichiarazioni, ecc. di che poi si pentì per la confusione cagionata nel popolo, e perché l’orologio Italiano è assai più comodo, e pel termine visibile del giorno, nel tramontar del sole, e per la sequenza della numerazione”. L’orologio del Collegio Romano, anche quando il quadrante era suddiviso in 12 ore, continuava a suonare all’italiana, ossia da I a VI. Pietro Romano, che ci offre questa notizia, aggiunge “particolare notevole: dopo il primo suono lo ripete a pochi minuti di distanza. Era il limite di tolleranza 4 Camillo Ugoni, Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII, 1856, Vol. 1, pag. 105. 40
accordato agli alunni per entrare nella scuola e assistere alle lezioni?”. Senza saperlo, l’autore ci offre forse l’unica rarissima testimonianza di ciò che potrebbe definirsi la “ribotta” dell’orologio meccanico Italico. A tal proposito ci viene in aiuto la spiegazione di Marisa Addomine, presidente del Registro Italiano Orologi da Torre, nonché una delle maggiori esperte di orologeria meccanica da torre in Italia: “Dobbiamo a tal proposito – scrive Addomine - introdurre il concetto delle ore ripetute, dette con ribotta, o in alcuni testi detti ore alla Lombarda. Allo scadere delle ore, l'orologio faceva suonare una prima volta la campana con un numero di rintocchi pari alle ore scoccate, e, dopo circa un minuto, ripeteva lo stesso numero di rintocchi per permettere a chi si fosse distratto e non avesse contato bene i colpi la prima volta, di prestare attenzione ed ottenere l'informazione voluta. Questa ripetizione era detta ribotta. Ciò comportava che, nelle suonerie con partitora - le più antiche, cui fecero seguito, a partire dall'Ottocento, quelle con chiocciola e rastrello, il numero delle tacche dovesse essere raddoppiato, visto che il procedimento dei rintocchi, a distanza di un minuto, doveva essere ripetuto con identica modalità.” Così doveva funzionare anche l’orologio del Collegio Romano. Non un limite di tolleranza, quindi, ma un’abitudine per favorire la comprensione dell’informazione cercata da parte degli “utenti”. Un’abitudine a cui gli italiani dovranno poi rinunciare per sempre, quando il sistema Italico sarà definitivamente soppresso e sostituito con quello Francese. Pro e contro il sistema Italiano A favore dell’orologio Oltramontano Giuseppe Piazzi, astronomo: “In occorrenza d’essersi posto un orologio sul Reale Palazzo di Palermo volle egli dimostrare in un suo opuscolo i vantaggi che si ottengono, regolando gli orologi sul tempo vero, o Europeo, e non 41
particolarmente all’Italiana.” Antonio Cagnoli (1743-1816) astronomo: “Le generazioni future non saprebbero più intendere negli scritti e nei libri dei tempi andati”. Domenico Troili (1722-1792) Gesuita: “Avendo il duca di Modena ordinato che nella facciata del suo palazzo si collocasse un orologio che allora, a differenza degli orologi italiani indicanti le 24 ore, si disse oltramontano, l'a., premesso un erudito discorso sulle divisioni del giorno usate nei secoli addietro dalle diverse nazioni, prende a dimostrare quanto l'orologio oltramontano sia più comodo et utile dell'orologio Italiano” Giuseppe Toaldo (1719-1797) astronomo: “e se si pentì d’aver dimostrata l’utilità dell’orologio oltramontano, e di averne ottenuta dal Governo l’introduzione in Padova, ciò dee unicamente attribuirsi alla confusione che vide generata nel popolo”. Federico Cavriani, scrisse “Dei Vantaggi dell’orologio Oltramontano sopra l’Italiano”, Urbino, 1792 A favore dell’orologio Italiano Giulio Cesare Cordara (1704-1785). E’ uno dei più accaniti sostenitori del sistema all’italiana: “Ho detto che l’Orologio Italiano per la maggior parte degli uomini è più usuale e più comodo. L’ho detto e lo dimostro”. Francesco Cancellieri nel noto libretto Le due nuove Campane di Campidoglio del 1806: “Ma se dee confessarsi, che quest’Orologio Astronomico sia il più ingegnoso, ed esatto, sembra peraltro, che l’Italiano sia più facile a capirsi, e per la maggior parte degli uomini più usuale, più comodo, e più necessario. Poiché la natura 42
medesima si è dichiarata in favore del sistema Italiano... Inoltre l’orologio Italiano è necessario per tutti i viandanti, che vogliono viaggiare, finché ci si vede, ed arrivare alle città prima che se ne chiudano le porte. Molto più ai religiosi che si devono trovare in convento, prima di notte. Molto più a tutti quelli artigiani, che non possono lavorare a lume di luna, né a lume di candela. Molto più ai soldati, che prima di notte si devono trovare al quartiere. Molto più agli uomini di campagna. Le stesse Spedizioni Militari devono regolarsi con l’orologio Italiano; e quel Generale, che pensa di dar battaglia, bisogna prima, che sappia, quanto gli resta di giorno, per poterla ultimare... così carissimo ci dev’essere il nostro Orologio Italiano, che ci viene avvisando a tutte le ore, quanto propriamente ci resta, per arrivare alla Notte”. L’argomento utilizzato da Cancellieri non è casuale. Egli tenta l’unica strada per giustificare la tradizione e l’uso dell’orologio Italiano quale il più utile strumento orario per l’indicazione delle ore che mancano al tramonto del sole. E questo è sacrosanto. Oggi, nessuno sarebbe in grado di dire a che ora precisa fa buio, leggendo la mattina o nel primo pomeriggio il proprio orologio da polso. A meno che uno si legga tutti i giorni l’almanacco astronomico o faccia caso alle effemeridi del sorgere e tramonto del sole riportate su alcuni calendari. Ma senza la preventiva conoscenza di queste cognizioni, e senza essere astronomi, è difficile che qualcuno, in una piazza di città o campagna, a cui si chieda a metà mattina di leggere l’ora sul proprio orologio da polso, possa rispondere, senza essere tratto in inganno, sull’ora precisa in cui farà buio. Avendo al polso un orologio alla francese, potrebbe dire con una buona approssimazione solo a che ora si avrà il mezzogiorno (medio), ma non a che ora tramonterà il sole, o, peggio, quante ore precise mancano al tramonto. Cancellieri spiega tutta una serie, certamente incompleta, di attività civili, religiose e militari, strettamente legate alla 43
comodità di conoscere immediatamente, in qualsiasi istante del giorno, quante ore si avevano disponibili di luce, prima che facesse buio. E’ in questo senso che bisogna comprendere le perplessità dei sostenitori dell’orologio Italiano i quali vedevano, come il Cancellieri, le tradizioni della vita quotidiana minacciate da un sistema orario, quello francese, che se da un lato era dimostrato dagli astronomi come migliore, meno fallace e più agevole nella sua pratica, dall’altro era vissuto con un senso di angoscia per la confusione che avrebbe potuto generare (e che certamente generò per un certo tempo) nelle abitudini e consuetudini civili di quanti erano assuefatti dal sistema Italiano. L’orologio ad ore Italiane della chiesa di S. Caterina a Finalborgo, in Liguria. Il quadrante ha le ore a I a XII in senso inverso, come nell’antico. Datato probabilmente 1561. 44
LA SEMPLICITA’ ALLA BASE DI OGNI COSA DaIaIIII,daIaVI,daIaXIIedaIaXXIV Quando mi domandavo, insieme a qualche mio collega gnomonista, a cosa potessero servire quei sei numeri romani e come funzionasse il quadrante, non potevo sapere che la soluzione era talmente semplice da non poter essere neppure immaginata! Devo premettere però, che da alcune foto di meridiane su torri civiche dell’Austria inviatemi da un mio amico, ebbi modo di osservare un quadrante simile, incorporato ad orologi meccanici e sotto le meridiane stesse, come se ne fossero parte integrante, con una numerazione ancora più semplice, cioè da I a IIII! Chi dovesse vedere questi orologi con i numeri da I a IIII, potrebbe essere tratto in inganno e pensare che possa trattarsi di un parente stretto dell’orologio con i numeri da I a VI. Quindi, vorrei chiarire subito questo dubbio e dire che i quadranti con numerazione da I a IIII venivano denominati “ora meccanica”. A tal proposito Antonio Lenner, in un suo recente articolo 5 , scrive: “Con il termine ora meccanica si identifica quel tipo di orologio, o meglio meccanismo, utilizzato per misurare il periodo di un’ora, o frazione di ora, e contemporaneamente segnalare tramite un campanello il passaggio dei quarti d’ora e la fine dell’ora”. Nel caso dei quadranti con divisione in quattro parti, presenti soprattutto sui campanili nelle aree di lingua tedesca, non si tratta però di una ora meccanica, ma solo della ripetizione, su un quadrante separato, della sfera che serviva per determinare con migliore precisione i minuti. Esempi di questi quadranti sono ben visibili sugli orologi da torre di maestosi campanili di chiese ed abbazie, come ad Innsbruck, Metz, Bressanone, Ulm, ecc.Giusto per completare l’argomento, vorrei ricordare che lo stesso Lenner ci offre un 5 A. Lenner, L’Ora Meccanica, in La Voce di Hora, n. 26, Milano, Giugno 2009, pp. 51-58. 45
esempio di quadrante rarissimo con suddivisione addirittura da I a II, denominato “mezz’ora meccanica”, perché misurava un periodo appunto di mezz’ora invece che di un’ora intera! Le “ore meccaniche” furono utilizzate nelle regioni del Trentino soprattutto verso la metà del Settecento e principalmente a scopi religiosi, per segnalare alle comunità i momenti della preghiera. Infatti alcuni di essi sono stati ritrovati nelle loro collocazioni originali, cioè nel coro, o dietro l’altare delle chiese. Un orologio con doppio quadrante, da 1 a 12 e da I a IIII, accoppiato ad una meridiana, sulla facciata del Municipio di Ulm (foto, cortesia di Ferdinando Cancelli, anno 1989). 46
Le origini dell’orologio a VI ore L’orologio alla romana a VI ore deve questa sua curiosa denominazione al fatto che esso ebbe grande diffusione inizialmente soprattutto nello stato pontificio, e di conseguenza nell’agro romano. Da qui, poi, esso fu adottato quasi in tutto il Lazio, buona parte della Campania e del centro Italia. Il fatto che l’orologio mostrasse le ore Italiane, ne fece un caposaldo anche per il resto d’Italia. Il censimento stesso, nella sua casistica, mostra che esso si sviluppò principalmente a Roma e nel Lazio, ma fu adottato anche altrove. La scelta delle ore Italiane differenziavano l’Italia dal resto delle nazioni dell’Europa, come ebbe a lamentarsi Lalande nel ‘700, che avevano adottato il sistema delle ore “francesi”, o “astronomiche”. Ma l’uso delle ore Italiche “ad usum campanae”, cioè quelle che facevano iniziare la conta delle 24 ore mezz’ora dopo il tramonto del sole, cioè al crepuscolo, lo si ritrova anche fuori d’Italia, il che ha fatto venire il dubbio a qualche autore se questa usanza fosse realmente di origine italiana. Parlando delle origini dell’orologio a sei ore, è necessario fare una fondamentale distinzione. La suddivisione della mostra dell’orologio in sei ore è più antica di almeno due secoli rispetto a quanto fu adottata da Roma, e pare che essa fosse utilizzata anche fuori d’Italia. Probabilmente però fuori d’Italia, la suddivisione in sei ore del quadrante era usata non per le ore Italiane, ma per una maggiore suddivisione delle ore astronomiche. E’ infatti noto che la macchina orologica a sei ore può essere adattata sia all’ora astronomica che a quella Italiana. Giuseppe Brusa, in un importante articolo pubblicato sulla rivista La voce di Hora 6 mette bene in evidenza tutto ciò, 6 G. Brusa, “Origini e sviluppi del computo delle ore all’Italiana”, La voce di Hora, n. 1, dicembre 1995. 47
mostrando le prove dell’esistenza di quadranti in sei ore molto prima che questi fossero adottati in Roma e distinguendo i quadranti con suddivisione in XXIIII e successivamente in XII con suoneria all’italiana. Così egli scrive dei quadranti a sei ore: “La riduzione del numero delle ore fu suggerita o meglio imposta dall'opportunità di farle concordare con un numero ridotto di rintocchi, non più ventiquattro ma dodici, come preferibile per motivi meccanici... I cerchi orari in sei, che presuppongono la suddivisione del nittemero in quattro cicli di sei ore ciascuno, costituirono uno sviluppo del computo orario all'italiana. La lettura riusciva semplificata e i larghi intervalli tra un numero e l'altro (60°) consentivano di distinguere frazioni di un paio di minuti con una sola lancetta. I cerchi orari in sei furono suggeriti da una preesistente suoneria in sei, di origine bizantina 7 che costituiva una facilitazione anche per l'orologiaio. Il numero ridotto di rintocchi (84) richiedeva un peso motore ridotto rispetto a quello del computo in dodici (156) e ancor più rispetto a quello del computo in ventiquattro (300). Meccanicamente riusciva inoltre più affidabile. La suoneria in sei venne detta 'alla romana', ma il più antico caso lo si ricorda a Napoli, nel 1481, opera di Antonio Bouchet, catalano 8 . Il cerchio orario era in ventiquattro. Un importante e raro esempio in un orologio da mensola quasi certamente Italiano è stato descritto e illustrato dal Simoni (La Clessidra, Anno X, N° 8, Agosto 1954). 7 Ne riferisce intorno alla metà del VI secolo lo storico e consigliere imperiale Procopio, che visse anche nell'Italia meridionale. Credo probabile però che la suoneria in sei dell'orologio pubblico di Gaza, da lui ricordata, distinguesse le ore temporali ( H. Diels, Über die von Prokop beschriebene Kunstuhr von Gaza,1917) – (nota di G. Brusa) 8 Si veda G. Filangeri, Documenti per la Storia, le Arti e le Industrie delle Provincie Napoletane, vol. VI, 1891, dove si precisano il pagamento e alcune caratteristiche del grande orologio da camera fatto dal Bouchet per conto del Duca di Calabria. Dai documenti relativi non pare che la suoneria in sei fosse una novità. 48
E' posteriore di circa un secolo a quello del Bouchet e ha la suoneria in sei, ma il cerchio orario é numerato quattro volte da uno a sei in caratteri romani. Al suo interno fa riscontro la numerazione in ventiquattro in cifre arabe. Di epoca più tarda, ma rappresentativi i quadranti...... Numerosi sono gli esempi tedeschi -tra cui vanno inclusi quelli fatti a Praga- che mostrano in sei, in dodici e in ventiquattro. I più antichi risalgono al secondo quarto del Cinquecento. 1 2 1. Orologio da camera con cerchio orario in sei. La lancetta effettua quattro giri al giorno. Costruito da Ludovico Manelli a Bologna intorno al 1670. Suoneria delle ore in sei con partitora a due serie di tacche. Collezione privata. 2. Orologio a lanterna, da parete, con cerchio orario in sei e suoneria di ore e di quarti pure in sei mediante meccanismo "a canne d'organo". Autore ignoto. Inizi del Settecento. Collezione privata. (foto e didascalie da La voce di Hora, nell’articolo di G. Brusa citato) Straordinario e affascinante il quadrante esclusivamente in sei attribuito all'orefice norimberghese Wenzel Jamnitzer fatto certamente per un committente Italiano verso il 1570. Le caratteristiche del movimento, che si ritrovano soltanto a sud delle Alpi, la suoneria in sei (con partitora eccezionale) e una tabella incisa sul fondo della cassa, con i dati per calcolare le ore all'italiana, confermano la destinazione a una località della Padania (P.G. Coole & E. Neumann, The Orpheus 49
Clocks, 1972, p.30).” Gli esempi di Brusa visti sopra, dimostrano che il quadrante dell’orologio meccanico suddiviso da I a VI ore, non era una prerogativa della Roma seicentesca. Tuttavia se la suoneria era in sei, il quadrante era in XXIIII o in XII, e l’unico esemplare con la numerazione da I a VI fatto su committenza italiana dall’orologiaio Wenzel Jamnitzer di Norimberga, ha una tabella sul fondo per calcolare le ore Italiane, il che farebbe pensare che la suddivisione oraria in VI fosse per le ore astronomiche e attraverso una tabella di conversione si potesse conoscere l’ora Italiana. Si tratterebbe, in pratica, di un orologio a VI ore che, indirettamente, farebbe conoscere le ore all’italiana! Insomma, prima dell’orologio a VI ore romano, esistevano quadranti con suddivisione da I a XXIIII, poi da I a XII che suonavano all’italiana e da I a VI, ma che indicavano e suonavano l’ora astronomica. Alcuni di questi furono forse adattati all’uso Italiano per mezzo di tabelle di conversione e, finalmente, l’adozione definitiva in gran stile dell’orologio a VI ore con suoneria all’italiana, sembra proprio che fosse una “invenzione” (meglio sarebbe dire un adattamento) utilizzato nella Roma barocca. Agli esempi di Brusa si può aggiungere un esemplare, portatile, conservato nel Museo Nazionale di Ravenna datato al 1531, mentre uno dei più vecchi orologi solari murali con ore italiche “da campanile”, e con incisa la data ben visibile del 1695, pare sia quello di Cavona in provincia di Verbania (Piemonte) 9 . Ma se diversi ed approfonditi studi sono stati fatti, negli ultimi anni, sulle origini e sugli sviluppi del sistema delle ore Italiane comuni e da campanile, unitamente agli orologi solari che le indicavano, nessuno si è mai pronunciato fino ad oggi sulle origini e su qualche probabile autore degli orologi meccanici a VI ore per le ore Italiche. Al contrario delle meridiane solari, le quali spesso recavano 9 Mario Arnaldi, Le ore Italiane. Origine e declino di uno dei più importanti sistemi orari del passato, Gnomonica Italiana, n. 12, maggio 2007, pag. 7. 50
incisa la data di costruzione e il come del costruttore, gli orologi meccanici a VI ore sono rimasti anonimi nella loro nascita e paternità. La scarsissima documentazione storica a riguardo, poi, completa un quadro che è già di per sé abbastanza oscuro. Basti l’esempio del libro di Bruton, citato in precedenza, che nonostante fosse non proprio vecchio di pubblicazione e di assoluta autorevolezza sull’argomento, dedica solo poche righe a questo tipo di orologio meccanico. Se mi azzardo, quindi, nel tentare di formulare una ipotesi sulle origini e sul probabile “ideatore” di questa tipologia di orologio meccanico, è perché mi è venuta l’ispirazione ancora una volta grazie all’importante libro di Pietro Romano che è una miniera di informazioni storiche. Stando alle ricerche effettuate in tempi moderni, uno dei primi orologi solari in Italia che mostra le ore “ad usum campanae” - cioè con le ore italiche da campanile, ovvero che inizia la conta delle 24 ore mezz’ora dopo il tramonto del sole, quindi con il tipo di computo per il quale era stato inventato l’orologio meccanico a VI ore, quale rimarchevole semplificazione dell’antico quadrante antiorario a XXIV ore - risale a circa il 1670. E pare che si possano avere delle certezze che prima di questa data non ve ne fossero, almeno sul nostro territorio. Ora, ipotizzando che questa meridiana potrebbe non essere stata in assoluto la prima e che gli orologi meccanici a VI ore potrebbero essersi sviluppati a partire più o meno dallo stesso periodo o da qualche decina di anni prima del 1670, possiamo ricollegarci alle importanti notizie che si leggono nel libro di Romano. Prima però, vediamo quali autori trattarono di questo sistema orario. Stando ai documenti storici, i primi accenni alla costruzione degli orologi solari “ad usum campanae”, si trovano nelle opere di Giuseppe Maria Figatelli, Retta Linea Gnomonica, pubblicata in Bologna nel 1675, poi da Bartolomeo Scanavacca in Novissima inventione per dissegnare con grandissima facilità e prestezza Horologi 51
solari Italiani, Babilonici e Francesi, edita a Padova nel 1688, ma il più antico riferimento trovato sullo spostamento di mezz’ora dopo il tramonto del sole si trova nell’Almagestum Novum di Giovanni Battista Riccioli, pubblicato a Bologna nel 165110 . Il Riccioli, come fa notare Catamo, parla di questo spostamento di mezz’ora dopo il tramonto vero come di un uso già consolidato, quindi il sistema era stato inventato e utilizzato già da prima, ma non ne abbiamo la certezza che gli orologi meccanici fossero stati modificati per la nuova usanza prima che le meridiane solari. Ora bisogna riflettere che l’introduzione di una nuova usanza nella misura del tempo non è cosa da poco. Un evento simile, atto a sconvolgere usi ed abitudini della popolazione civile, non può passare inosservato, come accadde per esempio quando si passò dal sistema Italiano a quello Oltramontano delle ore “francesi”. Inoltre, lo spostamento di mezz’ora nel computo delle ore Italiche nell’uso civile significava spostare continuamente le lancette degli orologi meccanici, e riscrivere i metodi di progettazione degli orologi solari. Infatti, per quanto riguarda questi ultimi, ne possiamo trovare testimonianza nei libri citati sopra, ma per gli orologi meccanici? Qui ci viene in aiuto il libro di Pietro Romano. Possiamo fare due ipotesi. La prima riguarda il Palazzo del Monte di Pietà di Roma, realizzato da papa Paolo III Farnese nel 1539. Ma l’orologio della sua facciata fu aggiunto più tardi e fu dovuto ad un tedesco molto rinomato come tecnico. “Narra la leggenda – scrive Romano – che l’orologiaro non soddisfatto del compenso datogli, inferiore al pattuito, al momento di consegnare il lavoro ultimato, alterò alquanto i complicati congegni e poi per dare notizia ai posteri che non aveva fatto ciò per imperizia, ma per vendetta, incise sull’orologio stesso questi due brutti versi: 10 Mario Catamo, Fiorella Proietti, L’evoluzione della misura oraria del tempo e le meridiane di Civita Castellana, Civita Castellana, 2008, pag. 43. 52
Per non essere state a nostre patte, Orologio del Monte sempre matte. L’apparizione di questo orologio costituì, a quanto sembra, un avvenimento per Roma, perché della sua costruzione si occuparono tutti i diaristi del tempo, come risulta dalle notizie che seguono: “11 dic. 1694 – Il papa (Innocenzo XII) vuol far innalzare sopra il tetto del palazzo di Monte Citorio una torre con orologio, al quale fine ha fatto venire da Napoli un padre Gesuita peritissimo a far orologi da macchina...E un altro cronista conferma: “A dì 14 dic. 1694 N.S ., per fare l’orologio ha fatto venire un padre gesuita espertissimo a far gli orologi da macchina, per fare l’orologio di Monte Citorio”. Nel primo caso abbiamo l’anonimo padre gesuita “espertissimo nel far orologi da macchina” che ha realizzato l’orologio del Palazzo del Monte di Pietà. Avendo stupito tutta Roma con il suo nuovo orologio, Papa Innocenzo XII lo volle replicare per il palazzo di Monte Citorio. Non vi è dubbio quindi che l’orologio che aveva costituito “un avvenimento per Roma” era quello meccanico a VI ore, ed infatti l’orologio antico di Montecitorio, come si vede dalle stampe dell’epoca, è prima a VI ore e poi alla francese 11 . Ma questa ipotesi è in contrasto con l’attestazione dell’”usanza consolidata” del sistema, come si legge dallo scritto di Riccioli detto prima. Quale strumento allora aveva “consolidato” tale usanza già nel 1651 prima dell’orologio a VI ore? A questa domanda si può rispondere solo ipotizzando che anche l’orologio con la numerazione antioraria da I a XXIIII 11 Ciò è definitivamente confermato dalle notizie documentali fornite da Romano: “Gli orologi pubblici di Roma vennero modificati “alla francese” nel 1846 e primo a funzionare con questo sistema fu quello del Quirinale il 7 novembre del detto anno. Più tardi quelli di Montecitorio e del Collegio Romano, come risulta dalla seguente annotazione che abbiamo trovato nel Diario Chigi: “1 gennaio 1847 – Oggi l’orologio di Monte Citorio ha incominciato a segnar l’ore alla francese o astronomica, come pure quello del Collegio Romano”. P . Romano, op. cit. pag. 50. 53
fosse stato aggiustato spostando le lancette e conformandosi all’usanza della mezz’ora dopo il tramonto del sole. Il secondo caso, invece, mi permette di esporre nei paragrafi successivi una mia idea che cercherà di risolvere il problema posto dalla domanda precedente nell’intento di collocare ancora più indietro nel tempo l’introduzione dell’orologio a VI ore. La soluzione in una frase La spiegazione dell’orologio a VI ore stava tutta in una semplice frase, ripetuta più volte nel corso del libro di Pietro Romano, che confermava così tutte le supposizioni che avevo potuto fare in precedenza, quando dalla prima volta mi ero imbattuto in questo strano tipo di quadrante. La prima frase è a pag. 43 del libro di Romano e recita: “L’orologio del Collegio Romano, dovuto forse allo stesso padre gesuita che fabbricò quello di Montecitorio, quantunque la mostra segni 12 ore, suona ancora all’italiana, cioè da uno a sei”. “Suona ancora all’italiana”: conferma dell’uso del sistema delle ore Italiche; “da uno a sei”, il quadrante in questione! A pag. 45: “L’antico orologio - (del palazzo dei Filippini) – suonava all’italiana da uno a sei, ripetendo come il nuovo, le ore ad ogni quarto, e il quadrante aveva una sola lancia, mentre il nuovo ne presentava due, una per le ore e l’altra per i minuti”. Tombola! Ecco svelato il quadrante a VI ore. Gli ideatori dell’orologio a VI ore alla romana Ecco, quindi, la mia ipotesi di cui accennavo prima e che riguarda la storia degli orologi meccanici dell’Oratorio di San Filippo Neri a Roma. La facciata del palazzo è un’opera di Francesco Borromini al quale erroneamente molti libri, antichi e moderni, attribuiscono anche gli orologi che vi 54
furono realizzati nelle torrette. Il testo di Romano chiarisce questo aspetto e ci aiuta a formulare una nuova ipotesi, molto verosimile, su uno dei primi orologiai che introdusse nell’uso pubblico di Roma il quadrante il quadrante a sei ore. Borromini non realizzò gli orologi (che erano due, uno rivolto verso la piazza, l’altro verso il cortile interno) e le macchine che li facevano funzionare, ma si prese cura di progettare le loro decorazioni e la torretta in cui i quadranti dovevano essere posti. Se Romano non ci avesse fornito le preziose informazioni dei documenti dell’Archivio di Stato e quello dell’Oratorio, avremmo potuto cadere nella tentazione di credere, come accaduto a molti altri, che gli orologi, e il quadrante a sei ore, furono concepiti dal Borromini stesso! Nel passo che segue, troviamo il riferimento dell’autore che fabbricò l’”orologio nuovo”, cioè il quadrante a sei ore, concepito per l’Oratorio di San Filippo Neri: “Nella ‘Congregazione generale dei Deputati’ alla fabbrica, tenutasi il 30 agosto 1647 venne incaricato il P. Pietro Bacci di eleggere ‘una mediocrità competente (!) per l’orologio nuovo’...Inoltre in altra Congregazione (2 ottobre 1647) fu concluso ‘che sopra ciascuna delle tre campane per l’orologio si mettino l’immagine della Madonna e del S. Padre (S. Filippo). Il 16 settembre dello stesso anno avvenne un primo pagamento a ‘Gasparo Alberti, da Pesaro, et a Francesco Santini horologiari compagni, di sc. 100 moneta a buon conto dell’horologio da farsi da essi per servito della Congregazione della fabbrica di Monte Giordano’. Il 12 febbraio 1643 si fissarono ai medesimi sc. 200 a lavoro ultimato. Sul telaro dell’orologio esiste il nome del fabricante: Gaspar Albertus pisaurensis fecit 1649.” E’ da precisare che Romano avverte dell’esistenza di un altro orologio, precedente a questo, con doppio quadrante nella prima abitazione del Padri dell’Oratorio, sul lato ovest della chiesa. Ma non sappiamo di che tipologia erano i due quadranti. Siamo nel 1649, cioè appena due anni prima la pubblicazione 55
del Riccioli del 1651. Ma questi aveva scritto il libro sicuramente diversi anni prima che fosse stampato, quindi è probabile che il differimento di mezz’ora nell’uso del sistema Italico, fosse ancora anteriore al 1649. Tuttavia, non si hanno notizie di quadranti a VI ore anteriori a questo dell’Oratorio di S. Filippo Neri. L’osservazione di qualche dettaglio ci permette di valorizzare in qualche modo la nostra ipotesi. Borromini si era occupato di decorare sia gli orologi che le torri su cui erano posti. “Per farlo – scrive Romano - egli pensò di utilizzare gli emblemi araldici scelti dal santo fondatore degli Oratoriani, S. Filippo Neri: il cuore, la stella e il giglio. Così nel centro sopra il fulcro della sfera immaginò un cuore ardente, circondato da lingue di fuoco e attraversato nel mezzo da una lancia dorata indicante le ore e terminata con un giglio”. Ora, si deve evidenziare che l’immagine del giglio è quella che si ritrova costantemente nelle suddivisioni dei quarti nella quasi totalità dei quadranti a sei ore conosciuti. Cioè, l’uso dell’immagine del giglio per indicare i quarti delle ore del quadrante, divenne una consuetudine, una tradizione. Quindi, l’orologio a sei ore dell’Oratorio di S. Filippo Neri, dovrebbe essere il punto di partenza di questa tradizione. I due quadranti dell’orologio, che possiamo ammirare nei progetti originali di Borromini nelle figure di seguito proposte, avevano un diametro di 3 metri e 80 cm. quello prospiciente la piazza, l’altro di 3 metri e 50 cm. rivolto verso il cortile maggiore (probabilmente era quello a sei ore). Il disegno di Borromini è la migliore testimonianza del quadrante a sei ore, ma vi è anche la testimonianza documentale del Mastrigli, citata da Romano, che dice “L’antico orologio suonava all’italiana da uno a sei, ripetendo, come il nuovo, le ore ad ogni quarto, e il quadrante aveva una sola lancia”. Entrambi i quadranti vennero brutalmente imbiancati a calce nel dicembre del 1914, quando furono sostituiti gli antichi meccanismi, compreso quello dell’orologio a sei ore e la lancetta dall’orologiaio Gino Pieri. 56
L’edificio venne restaurato dall’ingegnere Pernier attorno al 1931 il quale riuscì a ripristinare anche le antiche decorazioni di Borromini secondo i progetti originali. Il quadrante antico a sei ore di Montecitorio. Da Jean Barbault, Les plus beaux edifices de Rome moderne, Rome, 1763 A sinistra l’orologio a sei ore di Montecitorio in una incisione di Francesco Barbazza, attivo a Roma tra il 1765 e il 1790. A destra, il nuovo orologio ad ore francesi di Montecitorio nel 1840 in una incisione di Domenico Amici. 57
L’orologio a sei ore e le due decorazioni come volute da Borromini. Incisioni tratta da Sebastiano Giannini, Opera del Caval. Francesco Boromino cavata da suoi Originali, T. 2, L'Oratorio e fabrica per l'abitazione de' PP. dell'Oratorio di San Filippo Neri di Roma, Roma, 1725, Tav. XXX. Si vedono i dettagli del cuore ardente e del giglio. 58
E’ questa una delle più antiche stampe del quadrante a sei ore. Il disegno fu eseguito da Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio (1639-1709). L’orologio è raffigurato in modo spartano, con la numerazione spostata di un’ora indietro, forse ispirandosi a qualche modello che il pittore vide a Roma durante la sua permanenza ad iniziare dal 1657. 59
DaXXIIIIaXIIepoiaVI Gli antichi orologi all’Italiana di Roma Sappiamo, da alcune testimonianze storiche, che l’ora Italiana veniva suonata dalle campane già dal XVI secolo. Per esempio, l’orologio del municipio di Torino “segnava il diurno correre del tempo all’Italiana sino al 1568 e dopo quell’epoca alla francese, e poi nuovamente all’italiana sino al 4 gennaio 1791...” 12 . Una meridiana portatile conservata nel Museo dal nome impossibile Przypkowskich a Jedrejow in Polonia, e datata 1637, segna le ore Italiche “ad usum campanae”, cioè spostate mezz’ora avanti il tramonto del sole, sembra essere un caso unico al mondo perché non si conoscono, su migliaia di esemplari censiti, altri orologi solari che indicano lo stesso sistema orario, datati e più antichi del 1670. Quindi, escluso questo esemplare, che ha peraltro fatto pensare a qualche autore ad una probabile origine non italiana di questo sistema italico da campanile, tutto sembra indicare che in Italia esso si sia sviluppato a partire dal 1649 in poi, cioè dopo la realizzazione di quello dell’Oratorio di S. Filippo Neri e che potrebbe essere realmente il primo esemplare di orologio meccanico battente le ore italiche da campanile con il quadrante orario da I a VI ore. A riprova di ciò, alcune incisioni e stampe di Roma del XVII secolo, testimoniano l’uso dell’orologio meccanico con numerazione da I a XII. Che l’ora Italiana fosse l’unico sistema orario in uso a Roma prima del cambiamento alla francese, non è da mettere in discussione. Nel 1665 il prestigioso Collegio Romano, che possiamo facilmente definire come una delle istituzioni più autorevoli e 12 Goffredo Casalis, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale, degli stati S.M. il Re di Sardegna, Torino, 1851, vol 21, pag. 250 60
all’avanguardia della scienza romana e italiana dell’epoca, era dotato sulla facciata dell’edificio di un orologio con numerazione da I a XII in senso antiorario. Nel 1771 è visibile, in un’altra stampa, un quadrante con numerazione da I a VI. Sempre nel 1665, il palazzo del Quirinale (all’epoca Palazzo Pontificio detto di Monte Cavallo) era dotato di un orologio uguale a quello del Collegio Romano, con numerazione antioraria da I a XII. Nel 1595, Girolamo Franzini, nel suo libro Le cose meravigliose della Città di Roma, rappresenta la chiesa di San Rocco con un grande quadrante con una sola lancia in cui, anche se non si vedono i numeri, la suddivisione suggerisce una numerazione antiorario da I a XXIIII. Se il quadrante a VI ore era una innovazione “tecnologica”, il Collegio Romano se ne sarebbe dotato (come poi fece) già dai primi anni della sua invenzione. Altre stampe dell’epoca mostrano diversi monumenti religiosi, come la chiesa di S. Maria dell’Orto in Trastevere che nel 1665 non è ancora dotata del suo orologio a sei ore. Da queste poche, ma importanti testimonianze, possiamo stabilire una prima cronologia dell’orologio a sei ore e del computo delle ore Italiche da campanile con lo stesso quadrante: 1) Dalla fine del XVI secolo erano in uso orologi da torre con la suddivisione oraria da I a XXIIII in senso antiorario che indicavano il tempo delle ore Italiche. Non è certo il momento in cui fu adottata (probabilmente non nello stesso periodo da tutte le regioni italiane) l’ora italica da campanile. Alla fine del XVI secolo la differenza era già nota; 2) E’ probabilmente dalla fine del XVI secolo che l’antico quadrante con numerazione antioraria da I a XXIIII, iniziò ad essere sostituito con quello semplificato da I a XII. 3) Dal 1649 il quadrante con numerazione da I a XII fu sostituito con il nuovo e ancora più semplificato quadrante 61
con numerazione da I a VI in senso orario. Il fatto che i quadranti del 1665 del Quirinale e del Collegio Romano fossero identici con numerazione antioraria da I a XXIIII, dimostra che essi battevano l’ora Italiana, sicuramente “ad usum campanae”. Il quadrante a I a XII in senso antiorario del Collegio Romano, da una stampa del 1665. L’orologio nel 1689 in una stampa di M Rossi. 62
Il nuovo quadrante a sei ore del Collegio Romano, come si vedeva nel 1771. Il quadrante da I a XII con numerazione antioraria del Quirinale in una stampa del 1665. 63
Il quadrante con numerazione da I a XII in senso orario in una stampa del 1679. La rappresentazione oraria, in questo caso, potrebbe essere casuale, o un errore da parte dello stampatore. 64
Nelle due immagini si vede Castel Sant’Angelo in una stampa del 1771. Il dettaglio a sinistra mostra il quadrante dell’orologio a VI ore di cui era dotato in quell’anno. Il primo orologio venne installato nel 1594 e un secondo orologio venne aggiunto nel 1734, sotto Clemente XII, ma si tratta di questo a sei ore che dovette sostituire l’antico in epoca posteriore. Infatti, l’orologio di Clemente XII – come ci dice Pietro Romano (pag. 40) era “a suoneria con due banderuole per indicare la direzione del vento e un orologio lunare con una sfera che marcava i giorni e i mesi della luna”. Penso di aver visto i resti di questo quadrante durante una mia visita al Castello, circa nel 2004. Esso si trova sul muro di una loggia interna, quindi non ha relazione con l’orologio a sei ore della facciata principale. 65
L’orologio a sei ore del palazzo di Montecitorio in una incisione di Jean Barbault del 1705 (a sinistra) e del 1760 circa a destra, di Francesco Barbazza. Da notare che la figura di sinistra mostra la numerazione in senso inverso! Sicuramente un errore dello stampatore. L’incisione ottocentesca di Domenico Amici mostra il cambiamento con l’orologio astronomico “alla francese”, il secondo di Roma, dopo quello del Quirinale del 7 novembre 1846. 66
L’orologio a sei ore della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. A sinistra in una incisione settecentesca e a destra di Domenico Amici del 1837. L’orologio a sei ore della chiesa di Santa Maria in Trevi in una incisione di Vasi del 1756. 67
Orologio a sei ore della chiesa di Sant’Agnese in Agone a Piazza Navona, in una incisione del 1771. Orologio a sei ore sul campanile della basilica di San Lorenzo fuori le mura. 68
La chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, sempre a Roma, fu dotata dell’orologio a sei ore solo nella seconda metà del XVIII secolo, come dimostrano queste due stampe: a sinistra una rara immagine di Gaetano Quojani del 1779 e a destra, la torre campanaria senza orologio, in una stampa di Jean Barbault del 1763. Un’altra stampa di Rudolfino Venuti del 1767, mostra ancora la torre senza orologio. Roma, Santa Maria in Cosmedin. Una stampa di Barbault del 1705 mostra un orologio con numerazione da I a XII ad una 69
sola lancia. Era l’antico orologio italico che poi fu sostituito da quello a sei ore, come si vede nelle immagini che seguono. Qui a sinistra si vede una stampa di Zuccaro del 1771, quando l’orologio doveva era stato posto da pochi anni. Roma, Santa Maria in Cosmedin, un altro orologio a sei ore sul campanile in una stampa di Gaetano Quojani del 1779. 70
Achille Pinelli realizzò questo meraviglioso acquerello nel 1833, regalandoci una rarissima immagine dell’orologio a sei ore della chiesa dei Santi Quattro Coronati in Roma. L’orologio fu posto nel 1769 ed aveva due quadranti, uno sul lato ovest, l’altro a est. Purtroppo fu rimosso da Antonio Munoz nel 1912 durante un restauro architettonico. 71
L’ora Italica del Vaticano Una breve visita alla grandiosa pinacoteca del Museo di Capodimonte a Napoli, mi ha riservato una interessante sorpresa. Entrando in una delle tante sale espositive mi è saltato subito all’occhio un particolare stupefacente. Stavo osservando il dipinto, olio su tela, intitolato “Carlo di Borbone visita la Basilica di San Pietro in Roma”, inv. Q208, del noto pittore piacentino Giovanni Paolo Pannini (Piacenza 1691-Roma 1765), quando ad un tratto la mia attenzione è stata totalmente catturata da un dettaglio relativo ad una bellissima riproduzione di un grandioso orologio meccanico a sei ore, posto sull’ala di uno dei palazzi del Vaticano che prende il nome da Paolo V, a poca distanza dove è la finestra dalla quale tradizionalmente si affaccia il Santo Padre per salutare i fedeli nella piazza. Essendomi occupato a fondo, da qualche decennio, di tale desueto meccanismo di misurazione del tempo, mi fu subito chiaro che stavo osservando qualcosa di sconosciuto oggi ai maggiori cultori di orologeria romana. Mi chiedevo se non fosse stato un abbellimento del pittore, una decorazione od altro, ma si sa che i pittori di quel tempo usavano riprodurre con molta fedeltà ciò che vedevano con i propri occhi. Ed infatti l’orologio è riprodotto con precisione straordinaria, nonostante che nel dipinto generale di grandi dimensioni esso costituisca solo un piccolo dettaglio. Aveva dimensioni eccezionali, come si può vedere da un confronto del suo diametro con le finestre del palazzo disegnate nel dipinto. Il quadrante poteva raggiungere forse i 4 o 5 metri di diametro e ciò per renderlo comodamente visibile non solo dalla grande piazza del colonnato, ma probabilmente anche da altre zone di Roma più vicine. Il quadrante era realizzato forse in intonaco contenuto dentro una cornice circolare di stucco di stile barocco. 72
L’orologio a sei ore scomparso di Piazza San Pietro Un settore di colore bianco ospitava i grandi numeri romani da I a VI, mentre il settore centrale, dipinto con colore verde intenso, ospitava una grande “sfera” di colore rosso arancione che sembra essere quasi a forma di cuore. L’orologio era stato pensato in una posizione perfetta nello stretto prospetto frontale del palazzo orientato quasi verso sud e in direzione della piazza antistante. Il quadrante pare “sforare” di un po’ la linea del solaio sotto il quale doveva esserci certamente una capiente stanza destinata a contenere il grande meccanismo che faceva funzionare l’orologio. Sarebbe interessante oggi fare un sopralluogo e vedere se è rimasta qualche traccia di quell’antico meccanismo. Sopra il quadrante vi è la torretta campanaria che contiene di sicuro (perché sono visibili nel dipinto) due piccole campane, come era in uso per il suono delle ore Italiche ma un terzo alloggiamento sulla destra fa pensare che esse fossero tre. Questo grande orologio meccanico era forse l’unico che offriva la lettura del tempo italico ai fedeli e a tutti i Romani delle zone vicinali da quando fu soppressa la prima torre campanaria della Basilica, costruita tra il 1616 e il 1617 da Martino Ferrabosco, su incarico di Papa Paolo V. La torre fu abolita per far posto al grandioso colonnato di Bernini e così, probabilmente, fu necessario realizzare un altro orologio, al di fuori del colonnato, ma il più vicino possibile alla piazza. Datazione dell’orologio Il Pannini ha dipinto due volte questo orologio in due quadri diversi. Il primo è in una suggestiva rappresentazione generale di Piazza San Pietro, olio su tela, del 1725 in cui, se ingrandita, è possibile riconoscere l’orologio meccanico. 73
In tempi più antichi la Basilica di San Pietro aveva un orologio meccanico sul cui quadrante vi era la numerazione daIaXXIIIIodaIaXII,comeinvogadallafinedel Quattrocento e per tutto il Rinascimento. Una delle più antiche testimonianze si trova nei Mandati Camerali per l’anno 1470, pag. 69, in Archivio dello Stato: “A mastro Enrico d’Alemagna duc. 31 e bol. 28 per aver restaurato l’orologio del palazzo apostolico presso S. Pietro”. Trattandosi di un restauro, si presuppone l’orologio sia più antico del 1470. Un orologio meccanico sotto il papato di Paolo V (1552-1621) è citato da Pietro Romano, e durante questo periodo si hanno notizie di diversi orologiai pontifici 13 . Ma stranamente Romano non accenna a questo orologio gigantesco a VI ore pure vicino al palazzo apostolico. In una incisione anonima del XVI secolo, si riconosce un orologio meccanico ad una sola sfera con numerazione probabilmente da I a XXIIII o da I a XII. Potrebbe trattarsi dell’orologio restaurato dal mastro orologiaio Enrico d’Alemagna nel 1470. Nel XVII secolo l’orologio fu soppresso, oppure fu spostato dalla sua sede originale, all’ala sinistra che sta dietro al colonnato, sotto la finestra da cui oggi si affaccia il papa. Non era ancora il momento dell’orologio a sei ore, ma era ormai diffuso il quadrante con la 13 Pietro Romano nell’op. cit. offre a pag. 36 molti riferimenti in merito. 74
semplificazione della numerazione oraria o antioraria da I a XII. E questo si vede benissimo dalla stampa del 1684 di Martino Ferabosco, tratta dall’opera Architettura della Basilica di San Pietro, Tav. XII e XXX. Ferabosco Tav. III Ferabosco Tav XII 75
Il Ferabosco ha disegnato l’orologio in due modi diversi in due sue opere diverse: la prima, nel Libro dell’Architettura di San Pietro nel Vaticano, Roma, 1620, con la numerazione da I a XII in senso antiorario; e una seconda volta (tav. III), nell’edizione del 1684, con la numerazione in senso orario. Una stampa di Viviano Codazzi, del 1630, conferma che lo stesso orologio, di cui può discernersi la sagoma del gran sole raggiante al centro del quadrante, era già presente sulla torretta campanaria. Viviano Codazzi, 1630 Ferabosco, 1620 La rappresentazione della numerazione oraria invertita, a distanza di oltre mezzo secolo, non è ben spiegabile. Potrebbe dipendere forse dal fatto che prima gli orologi meccanici ad ore italiche avevano la macchina orologica per cui necessitava la numerazione antioraria, in seguito, visto che ne sono testimoniati altri esempi, la macchina dell’orologio potrebbe essere stata modificata per funzionare con la stessa 76
numerazione, ma in senso orario, ma i tecnici non sono molto propensi a credere che dipendesse dal meccanismo dell’orologio; Inoltre, nei due disegni del Ferabosco si nota bene che l’orologio è sostanzialmente lo stesso, con il sole raggiante al centro, mentre le decorazioni della torretta che lo ospita sono cambiate. Quindi un restauro nel frattempo c’era stato e, probabilmente, furono rimaneggiati anche l’orologio e la macchina oraria. Qui sopra vediamo un’antica stampa anonima del XVI secolo in cui si riconosce un orologio meccanico sulla facciata della basilica di San Pietro nella parte sinistra (destra per chi guarda). L’antico quadrante potrebbe essere stato spostato in seguito sul torrino del palazzo pontificio. Ma il dettaglio dell’immagine mostra un quadrante sostanzialmente diverso da quello delle stampe di Ferabosco. Al posto del grande sole raggiante infatti, qui si vede al centro una grande sfera. E’ possibile che sia stato utilizzato la stessa macchina orologica, mentre il quadrante fu rinnovato. 77
Giovanni Paolo Pannini, dipinge almeno tre volte l’orologio a sei ore del Vaticano. Nell’immagine sopra si vede un dettaglio del dipinto “Piazza San Pietro”, olio su tela, realizzata dal pittore nel 1725, poco più che ventenne. Si tratta forse della più antica immagine di questo quadrante in piazza San Pietro. 78
Il secondo dipinto di Pan le disegnato in terzo dipinto (fig. sotto), in cui si nini è “Carlo III di Borbone visita Piazza San Pietro”, datato 1745 il cui originale è nella pinacoteca del Museo di Capodimonte a Napoli. Il dettaglio dell’orologio è visibi nella figura qui a lato. L’orologio è molto ben ogni particolare e nei suoi colori originali. Il vede il quadrante a VI ore è quello della “Partenza del Duca di Choiseul da Piazza San Pietro”, datato 1754. 79
In altri dipinti non è stato possibile accertare con sicurezza la presenza dell’orologio. Ad ogni modo possiamo dire con certezza che esso esisteva nel 1725 ed ancora nei primi decenni del 1800, cioè subito dopo le campagne italiane napoleoniche. Mentre in una stampa dell’800 l’orologio sembra essere scomparso e il palazzo lo si vede come è oggi. Alcune foto antiche ci testimoniano ancora la presenza di un orologio e della torretta campanaria. questa foto risalente a circa il 1860, si vede torretta, ma In ancora la torretta campanaria e un orologio ad una sfera, probabilmente ancora il quadrante a sei ore. Mentre in un’altra foto del 1865 si vede ancora la non più l’orologio. L’ora italiche che indicava ai romani era stata abolita dal 1846. 80
A fianco, ancora una rara immagine i all’Italiana di Roma nel XVIII-XIX secolo Grazie a Pietro Romano, è possibile elencare gli orologi • Sant’Agnese in Piazza Navona lle Fratte Greci ngelo no Gerusalemme Paola (ai Monti) ra dell’orologio a sei ore di piazza San Pietro, in una stampa del 1771. Gli orolog publici romani più conosciuti nei primi anni dell’Ottocento: • Sant’Agostino • Sant’Andrea de • Sant’Apollinare • Sant’Atanasio ai • Campidoglio • Cancelleria • Cappuccini • Castel Sant’A • Certosini alle Terme • Chiesa Nuova • Collegio Roma • Consolazione • Santa Croce in • Crocefisso a Trevi • Fatebenefratelli • San Francesco di • San Francesco a Ripa • San Lorenzo in Lucina • San Lorenzo fuori le mu 81
• Santa Maria in Cosmedin • Santa Maria Maggiore • Santa Maria de’ Miracoli e llora Orti Farnesiani al Babuino) Babuino) due) ntanone) nti questo elenco si devono aggiungere tutti gli altri orologi • Santa Maria in Montesanto • Santa Maria in Monserrato • Santa Maria in Aquiro • Santa Maria del Pianto • Santa Maria del Popolo • Santa Maria in Trastever • Montecitorio • Orti Aliberti (a • Ospedale di San Giovanni • Ospizio di San Michele • Palazzo Barberini • Palazzo Carafa (al • Palazzo Vaticano • San Paolo • San Pietro ( • Ponte Sisto (al Fo • Palazzo della Sapienza • San Silvestro • Santo Spirito • Trinità de’ Mo A che si trovavano nei “luoghi pii”, nei cortili e nei giardini e perciò non pubblici. Un discreto numero di orologi segnalati nel 1803 è scomparso, soprattutto dopo il 1873, quando si iniziò a procedere all’attuazione del piano regolatore per cambiare gli orologi all’italiana nel nuovo sistema alla francese. 82
Athanasius Kircher. Pianta della città di Preneste (Palestrina) Da Latium, Amsterdam, 1671. 83
Dettaglio della figura precedente di Kircher in cui si vede la strana rappresentazione di un orologio a sei ore come ornamento floreale in un giardino. quadrante italico con numerazione invertita da I a XXIIII Il disegnato da Paolo Uccello. Controfacciata del Duomo di Firenze 1443. 84
ITALICO O FRANCESE? ’adozione del sistema oltramontano, come è facile capire, primo cambiamento si ebbe in Toscana, nel il duca Filippo di Borbone, impose 22, la Repubblica decretò l’utilizzo i Maria del a francese avvenne nel 1802. vo di instaurare il regime delle ore francesi N.°418. LIBERTA' LIANZA In a Nella Seduta degli 8. Messifero A ll' Era Repubblicana.. one del L non fu accettato universalmente e in una sola volta da tutti gli Stati dell’Italia, i quali solo gradualmente si uniformarono al rinnovamento. Sembra che il 1749, e precisamente a Firenze, dove per legge gli orologi cominciarono ad essere regolati alla francese, abbandonando il vecchio sistema italico. Quindi a Parma, nel 1755, l’uso dell’ora francese. Poi in Liguria, nel 17 dell’ora francese e l’abbandono del sistema italico, ma si dice che i cittadini furono molto contrariati e protestarono. A Milano, nel 1786, sotto l’impero Austro-Ungarico d Teresa e Giuseppe II, venne firmato dal conte De Wilzeck l’editto più famoso che imponeva l’uso delle ore francesi. A Bologna durante l’occupazione francese, per ordine generale Manneville, gli orologi pubblici della città iniziarono ad essere regolati alla francese. In Piemonte il passaggio con l’or A Roma le difficoltà erano maggiori perché era davvero molto difficile abbandonare, per er santo Padre, il momento del tramonto del Sole che si faceva corrispondere con la preghiera dell’Ave Maria. Un primo tentati venne attuato nel 1798, al tempo della Repubblica franco- romana con il seguente editto: EGUAG nome della Repubblica Roman LEGGE nno 6. de Il Senato dopo aver inteso tre letture della seguente risoluzi Tribunato La Prima nella Seduta dei 24. Pratile, 85
La Seconda in quella del primo Messifero, rno 8. Messifero dichiara, che esto - dopo aver inteso tre letture di un ima nella Seduta dei 22. Fiorile o giorno 23. Pratile ; 4 sull'Era uso delle Nazioni più colte, l' uniformità delle Regole nno VII. l’Orario Astronomico, ovo iano pubbliche, siano private dovranno portare nte determinerà col solo nuovo stile i giorni, ato dell' esecuzione di ta sotto questa Legge la seguente Istruzione, che ne faciliti si divide in due parti, cioè in dodici ore cominciando dalla ri Pubblici, i a mentre si procedeva all’attuazione del suddetto editto, La Terza in quella di questo medesimo gio non vi è luogo ad aggiornamento. Nella seduta dei 23. Pratile Anno S Progetto di risoluzione sullo stabilimento in tutto il Territorio della Republica dell’ uso dell' Orario Astronomico, e Calendario Repubblicano - cioè La Pr La Seconda in quella dei 7. Pratile La Terza in quella di questo medesim Il Tribunato dichiara, che non v'è luogo ad aggiornamento Considerando il Prescritto Costituzionale dell’Artico 36 Repubblicana, Considerando l' Considerando i vantaggi, che risultano dal Nazionali - Prende le seguente risoluzione I. Cominciando dal primo Vendemmiale A ed il Calendario Repubblicano saranno in uso per tutta la Repubblica . II. Tutti gli Orologj esposti alla pubblica vista saranno regolati col nu metodo. Gli Edili sono incaricati dell' esecuzione del presente Articolo sotto la loro responsabilità. III. Le Stampe, e Scritture s la data del solo nuovo stile. I Contraventori incorreranno nella multa di scudi Cinque per ogni volta . IV. Il Consolato provisoriame e le ore de' Corrieri Ordinarj, di Mercati, dei Tribunali, delle Feste Nazionali, e di qualunque altra funzione periodica. V. Il Ministro di Polizia è particolarmente incaric questa Legge . VI Sarà stampa l'osservanza. (omissis...) VII Il giorno mezza notte, e si chiamano ore della mattina, in altre dodici ore cominciando dal mezzo giorno, e si chiamano ore della sera. Sarà opera della Fratellanza Repubblicana, che i Funziona Ministri del Culto, e le Persone più intendenti ajutino gl'Idioti nell'intelligenza, e pratica delle denominazioni indicate. M cadde la Repubblica e, appena restaurato il governo pontificio, Pio VII diede ordine che si ritornasse all’antico. Finalmente una delle prime riforme di Pio IX consistette nel divieto dell’antico metodo Italiano, sostituendovi il sistema 86
europeo. “In tal modo - dissertava il Balducci a quel tempo – la città e stesse osservazioni, ma seguendo criteri esclusivamente nostra non forma più un’eccezione con tutta l’Europa, eccezione che contrastava con l’odierno incivilimento. Incomodo, infatti, ed erroneo era il modo antico, e ciò si vuol avvertire pe’ suoi tenaci sostenitori, che pur ven’hanno, ma utilissimo invece questo in uso... Sbaglio eccezionalissimo dell’orologio Italiano si è il fissare un punto unico al giorno (contandosi di ventiquattro in ventiquattr’ore), il punto cioè del tramontare del sole che ha nome dal suono dell’Ave Maria. Questo lo sappiamo senza oriuolo dall’oscurità, e in fine tanto c’importa di conoscerlo quanto il momento in cui il sole nasce, poiché in quelle ore ciascuno è scarico delle giornaliere occupazioni. Noi abbiamo bisogno, invece, che s’indichi il momento del mezzodì e di mezzanotte all’intendimento di ben regolare i nostri affari in quelle ore, che comunemente si trattano e per tenere buon metodo di vita, e ciò anche sotto l’aspetto religioso per adempiere alcune pratiche, l’esercizio delle quali è legato all’uno e all’altro di questi due punti”. L scientifici, aveva fatto un secolo prima lo scienziato De La Condamine, che nel suo Giornale di Viaggi in Italia, pubblicato in estratto nelle Memorie dell’Académie Royale des Sciences (tomo XVII), a proposito dell’orologio esistente a Trinità dei Monti, regolato alla francese, rilevava che era il solo della città “dal quale si poteva apprendere quale ora fosse”. Egli aggiungeva “La giornata ecclesiastica cominciando a mezzanotte in tutto il mondo cristiano, e tutti i riti della Chiesa Romana essendo regolati di conseguenza è strano che il giorno civile non s’inizi a Roma con quello ecclesiastico, e che l’Italia sola, per una singolarità rimarchevole, rifiuti quanto a questo di seguire l’uso comune a tutto il resto d’Europa. Le ore cominciano a contarsi in Italia alla fine del giorno, termine equivoco, arbitrario e impossibile a determinarsi con precisione”. 87
Gli orologi pubblici di Roma vennero modificati alla francese ll’Italiana olti sono i riferimenti che si possono trovare nella ed è facile trovarli oggi che si ha a agosto (19 Termidoro) 1798. Allorché partirono i Francesi alle Memorie per la storia di Ferrara, diario di Antonio solo nel 1846, come visto in precedenza, quando papa Pio IX fece attuare il cambiamento nell’orologio del Quirinale, abbandonando l’antico modo Italiano. Il ritorno a M letteratura in cui si manifesta il desiderio di ritornare all’antico e quindi il ripristino dell’orologio all’italiana dopo che questo era stato usurpato da quello alla francese. E’ la dimostrazione della volontà di molti italiani a non voler abbandonare l’antica usanza, le tradizioni e le loro abitudini, da sempre accompagnati dal suono delle campane dell’orologio all’italiana. Tali riferimenti sono tanti disposizione uno strumento straordinario come quello delle biblioteche digitali su internet. Ne riporto qui, come esempio, uno particolarmente significativo: 6 da Ferrara, il Cardinale Mattei, nostro Arcivescovo spedì per espresso l’avviso di ciò al Papa. Dopo che ebbe avuto risposta positiva dal Papa, “immediatamente l’Arcivescovo mandò ordine al custode dell’orologio di Castello perché rimettesse il pubblico orologio alla italiana, dove prima segnava alla francese...” . Ma il 7 agosto, egli fu costretto vedere rimettere l’orologio alla francese perché nessuno della locale municipalità voleva prendersi responsabilità per gli ordini ricevuti dal Papa. D Frizzi, Ferrara 1857. 88
IL CENSIMENTO IPOLOGIA DEI QUADRANTI A SEI ORE ulla base del censimento che ho iniziato da diversi anni, circa settanta orologi a sei ore che sono stati identificati fino ica i vari, tra cui principalmente ) I quadranti incisi su pietra sembrano essere i più primitivi, ituite di T S tento di stabilire una prima sommaria tipologia dei quadranti a sei ore, in funzione delle peculiarità stilistiche e costruttive che li caratterizzano. Non sono considerati gli orologi restaurati in tempi moderni e di cui non si ha una testimonianza grafica di come erano stati concepiti in origine. Non si è tenuto conto anche degli esemplari per i quali si dispone solo di una immagine con risoluzione insufficiente a distinguerne bene i dettagli. I ad oggi, di cui la maggior parte a Roma e nel Lazio, possiamo classificarli in tre specifiche categorie stilistiche: 1) Quadranti incisi in pietra 2) Quadranti dipinti su maiol 3) Quadranti dipinti su material intonaco, marmo o stucco. 1 ma essi furono così concepiti per almeno due motivi: a) perché dovevano farsi su torri e campanili cost blocchi di pietra; b) perché forse più economici nella loro semplice realizzazione. In totale sono stati riscontrati dodici quadranti incisi su pietra di cui sei nella sola provincia di Frosinone. Essi sono di estrema semplicità, ma non per questo mancanti dei principali dettagli di cui questi orologi erano dotati, anche graficamente. Per esempio, oltre ai numeri delle ore, erano presenti anche i punti di suddivisione intermedi. Alcuni di questi orologi furono eseguiti su un blocco di pietra scorniciato, oppure, come in diversi altri casi, direttamente sui blocchi che costituivano il corpo dell’edificio. Al centro del 89
quadrante veniva praticato un grosso foro in cui era imperniata la lancetta mossa per mezzo di un lungo braccio che comunicava dall’altra parte del muro, dove era stata posizionata la macchina orologica. Sono esemplari semplici ed affascinanti che al primo sguardo ) I quadranti a sei ore dipinti su maiolica si trovano, con una l quadrante dipinto su maiolica ha tutto un’altro ) Alla terza categoria possiamo associare tutte le altre di un osservatore non esperto, richiamano subito per qualche istante alla mente le antiche meridiane canoniche graffite sulle chiese dei monasteri medievali. 2 sola eccezione, tutti a Napoli, nella sua provincia e territori limitrofi. Il motivo è fin troppo semplice: l’arte della maiolica aveva raggiunto il suo apice a Napoli proprio nel XVIII secolo, con gli artisti che avevano dato vita alla scuola delle famiglie Chiaiese e Massa delle quali, l’ultima realizzò lo splendido chiostro maiolicato del monastero di Santa Chiara. Con una tradizione artistica così forte, la soluzione di abbellire i quadranti degli orologi a sei ore con questa mirabile arte della maiolica napoletana era addirittura un fatto scontato. Ovviamente non sappiamo chi fossero i mastri che realizzarono i quadranti di questo tipo che in totale, tra quelli finora conosciuti, sono sei, di cui tre nel centro di Napoli e due fuori, mentre uno solo si trova nel comune viterbese di Vignanello. Certo è che i aspetto! Un’eleganza unica con i suoi colori mediterranei e decorazioni che ricordano vagamente gli arabesque dello stile campano-siculo medievale. I colori predominanti sono l’azzurro e il giallo per le decorazioni e il nero per i numeri e le suddivisioni. 3 tipologie stilistiche dei quadranti a sei ore che risultano essere principalmente quelle del quadro di intonaco scorniciato in forma circolare, oppure di marmo, su cui i numeri e le decorazioni venivano dipinti con colori vivaci, oppure incisi. Alcuni dei quadranti presentano abbellimenti in stucco in stile 90
barocco; altri presentano i numeri realizzati in ferro battuto. Molti degli orologi trovati si presentano nelle loro fattezze originali e in uno stato conservativo mediamente buono, ma in molti casi la lancetta è andata distrutta o sostituita in tempi recenti da un ferro pensato erroneamente come il possibile gnomone di una inesistente meridiana. Alcuni funzionano, anche se è difficile stabilire se sono regolati ancora all’italiana o alla Oltramontana. Altri sono fermi con le macchine orologiche a volte ben conservate, in altri casi semidistrutte. Alcuni degli esemplari sono stati recuperati, restaurati e rimessi in funzione. Le strutture di questi orologi sono tutte del tipo a gabbia, in ferro, quindi di tipo più antico rispetto alle macchine con telaio in ghisa fusa la cui costruzione iniziò solo alla fine del XIX secolo. Alcuni, più antichi, mostrano i due treni (treno del tempo e ei circa ottanta orologi censiti, oltre la metà presentano nella questo libro ho presentato per la prima treno della suoneria) con i cilindri in linea, mentre quelle a partire dal XVIII secolo mostrano i due tamburi di carica allineati. Alcuni restauri sono stati eseguiti con competenza e responsabilità, recuperando il valore dell’antico. In altri casi sono stati affidati a manovalanza inesperta e si è avuto un danno storico e artistico. D decorazione dei quarti tra i numeri romani il disegno del giglio. Si presume che la tradizione di disegnare il giglio tra i numeri possa essere andata scemando, specie nei territori al di fuori del Lazio, a causa della perdita della memoria storica sull’inventore e sui primi costruttori di questo nuovo quadrante a sei ore. Come si è visto, in volta una ipotesi su chi possa aver introdotto il quadrante a sei ore alla romana e della relativa macchina orologica, ma potrei essermi sbagliato, in mancanza di un documento storico ufficiale che possa comprovarlo inequivocabilmente. Sono certo, invece, del periodo in cui si iniziò a costruire questi orologi e presumo che probabilmente il primo esemplare fosse realmente quello decorato dal Borromini nel complesso 91
religioso dell’Oratorio di San Filippo Neri a Roma. Egli pensò di utilizzare gli stemmi araldici del santo padre Filippo Neri, tra cui il giglio, e di rappresentarli nell’orologio a sei ore. Nel complesso, il censimento mostra un patrimonio, quello i n patrimonio culturale di cui nessuno poteva immaginarne le degli orologi a sei ore, che fino a pochi anni fa era stato non solo abbandonato a se stesso, ma addirittura dimenticato. E’ anche grazie al mio primo timido tentativo di ricostruire la storia di questi quadranti, nel lontano 1990 e di effettuare un primo censimento di quelli sopravvissuti all’incuria e alle intemperie, che oggi molti appassionati hanno trovato un motivo, lo spirito e il piacere di continuare questo lavoro di ricerca che ha dimostrato, all’opposto di quanto sembrava in un primo momento, l’esistenza di un mondo oggi sconosciuto a molti, eppure così intriso di testimonianze della nostra storia, della storia dei nostri padri e di quella dei nostri avi. Tradizioni, abitudini e dettagli di vita quotidiana che la storia di questi orologi ci consente di rivivere a distanza di secoli. Non si tratta di sapere solo “come misuravano il tempo” nostri predecessori, ma anche come la loro vita era regolata attraverso la misurazione del tempo. In mancanza della macchina fotografica e dei filmati di una telecamera, possiamo immaginare i nostri vecchietti intenti a ragionare delle loro faccende private, all’ombra del campanile della chiesa, nella piccola piazzetta del paese; l’artigiano che lavora nella sua bottega nell’ombroso e angusto vicolo del centro storico; il commerciante che si appresta a mostrare le proprie mercanzie per la vendita; il brulichio della folla al mercato di tanto in tanto sovrastato dal suono delle campane delle ore Italiche che annunciavano a tutti quante ore c’erano ancora di luce prima che facesse buio; e alla fine, l’ora dell’Ave Maria, quando tutti, finalmente sgombri delle proprie attività, fanno voto di recarsi in chiesa per la celebre funzione religiosa. U potenzialità e che ora, si spera, sia degnamente considerato per quello che merita. 92
GLI OROLOGI INCISI SU PIETRA Acerenza (Potenza) Acquafondata (Frosinone) 93
Ancona. Orologio datato 1709 e la scritta dello stemma della città: ANCON DORICA CIVITAS FIDEI. Ancona. Abbazia di Chiaravalle. Foto Sandro Vallocchia 94
Arrone (TR). Chiesa di S. Valentino. Foto Andrea Giardi Collalto Sabino (RI). Foto di M.V. Zongoli 95
Collepardo (FR), Chiesa San Salvatore. Foto Maurizio Grande Collepardo (FR). Certosa di Trisulti. Foto M. Grande, N. Severino 96
Sinistra: Fano (PS), Santuario Madonna del Ponte Destra: Firenze, orologio in un chiostro non bene identificato visto dal campanile di Giotto (foto galilaeus da Picasa). Forli del Sannio (Isernia) Chiesa romanica di San Biagio 97
Ancora un quadrante scolpito nella pietra. Una scritta posta sul lato superiore recita: ANNO AB ORBI REDENTO 1711 Uno dei rari orologio a sei ore datati Il macchinario dell’orologio sembra essere andato distrutto. Fumone (FR). Foto Sandro Vallocchia 98
Loreto (AN) Santuario della Beata Vergine. Reca la scritta “ITALICUM”. Dal lato opposto c’è un orologio ad ore astronomiche. Segni (FR). Foto N. Severino, 1989 99
Vico nel Lazio (FR). Foto di N. Severino del 1989 Vico nel Lazio (FR). Quadrante ridipinto. Foto N. Severino 100
QUADRANTI IN MAIOLICA NAPOLETANA Napoli. Basilica di S. Maria alla Sanità Avella (AV), fraz. Purgatorio. Chiesa di San Ciro. Foto Vincenzo Valletta. 101
Cesa (CE). Chiesa Parrocchiale. Foto N. Severino Vignanello (VT). Foto Nino Fanti 102
Napoli, Basilica di S. Maria in Montesanto. 103
La chiesa di S. Maria in Montesanto a Napoli conserva uno dei maggiori esempi di orologi a sei ore in maiolica napoletana. La sfera è curiosamente sopraelevata dal piano del quadrante, attaccata ad un’asta di ferro. Sull’altro lato della chiesa si trova una semplice meridiana solare. 104
Napoli, Basilica di S. Maria del Soccorso all’Arenella. I due orologi a sei ore. Foto Antonio Coppola Dettaglio dell’orologio di destra. 105
Sant’Agata dei Due Golfi. Penisola Sorrentina, NA. Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Splendido orologio in maiolica napoletana finemente decorato. E’ stato certamente restaurato di recente e riadattato al sistema astronomico anche con la sostituzione dell’antica sfera con due lancette moderne. 106
Capri (NA). Anacapri, chiesa di Santa Sofia. Quadrante ad ore astronomiche in coppia con un antico quadrante a sei ore in maiolica napoletana. I dettagli delle decorazioni ed i colori, come è evidente, sono concepiti in uno stile abbastanza diverso in cui fu realizzato il quadrante in maiolica della chiesa di S. Maria in Montesanto a Napoli, certamente di scuola artistica ben più autorevole e sofisticata. 107
QUADRANTI A SEI ORE – TIPOLOGIA MISTA Allumiere (Roma) Palazzo Camerale. Foto Carlo Liberati L’orologio di Allumiere è conosciuto ora grazie all’amico Carlo Liberati che collabora con il mio sito e al censimento degli orologi a sei ore dal 2008. Egli mi scrisse una lettera di presentazione di cui mi piace riportare alcuni passi perché caratteristici dell’effetto “meraviglia” che oggi suscitano questi orologi. 108
18 agosto 2008 “Mi presento: sono un appassionato di astronomia, attratto dalla gnonomica ( e quindi...dalla misura del tempo). Frequento da sempre il paese di Allumiere, dove è nata mia madre. Da bambino, quando passavo le vacanze estive ad Allumiere, mi aveva incuriosito questo tipo particolare di orologio con una sola lancetta e 6 ore. Avevo chiesto come si leggeva ai miei coetanei, ma nessuno mi sapeva rispondere. In effetti in quegli anni c'era solo tanta voglia di giocare e tutti gli orologi erano solo dei nemici che ci costringevano a smettere di giocare. In ogni caso, capii ben presto da solo come funzionava, ovvero come leggerlo per poterlo rapportare all'orologio con le 12 ore. Proprio per quella tendenza che ci porta a considerare "normali" le cose che abbiamo sotto il naso, questo "strano" orologio è per me talmente "usuale" che vedendo la pagina sul suo sito che riporta il censimento di questi tipi di orologi, mi sono meravigliato di non trovarlo in elenco. Rimedio subito, approfittando del periodo di ferie, inviando queste tre foto dell'orologio che si trova sulla torre del Palazzo edificato dalla Reverenda Camera Apostolica intorno al 1580”. Da allora Carlo ha ideato e realizzato, sulla base del materiale che avevo raccolto, il censimento di questi orologi su Panoramio dal quale è possibile accedere da internet e dal mio sito web di gnomonica. Di questo orologio si conserva ancora la macchina, realizzata secondo i canoni dell’epoca, con struttura a gabbia e treni di ruote in linea. L'orologio è stato costruito dal frate Antonio da Lorena nel 1777, su ordinazione del Cardinale Pallotta. E' rimasto in funzione fino al 1850. Dal 1969 funziona con un dispositivo elettronico. 109
La macchina orologica del quadrante di Allumiere, costruita nel 1777. Foto Carlo Liberati. 110
Amelia (Terni) 111
Arpino (FR) Foto N. Severino Realizzato su intonaco e scorniciato a stucco. Borgo Velino (Rieti). Foto Sandro Vallocchia 112
Brisighella (RA) Quadrante monumentale. Calcara (BO), Villa Rusconi Campagnano, Roma, Campanile S. Giovanni Battista. Foto Maurizio Grande 113
Calcata (Viterbo). Torre. Foto Sandro Vallocchia. Questo quadrante, consunto nel tempo, nella sua estrema semplicità di realizzazione, riesce a farci immaginare, tuttavia, la necessità in luoghi isolati di avere un segnatempo per la popolazione. In questo caso era l’orologio meccanico ad ore Italiche. 114
Cancellara (Potenza) Franco Cillo di Cancellara, un paesino a circa 20 chilometri da Potenza, mi ha segnalato di recente l’esistenza di un orologio a sei ore: "Dalla piazza del castello, attraverso la stretta e tortuosa via che scendendo si fa largo tra le antiche abitazioni, si raggiunge la piazzetta S. Rocco. Sulla stessa si affaccia la chiesetta del XV sec. dedicata al Santo con il campanile e l'orologio settecentesco. Fabbricato a Potenza nel 1772 su commissione di Teodosio Di Martino, ha segnato il tempo sin dal 1790 quando, per 10 ducati l'anno, venne incaricato Mastro Sisto Tamburrino per la gestione e la carica (due volte al giorno). E' attualmente funzionante, con ingranaggi ancora integri nonostante gli anni, e scandisce con precisione le 24 ore della giornata suddivise in blocchi di 6 ore e segnalazione dei quarti." Si tratta di una delle non rare testimonianze dell’uso dell’orologio alla romana a sei ore al di fuori del Lazio. Tuttavia, è opportuno notare la notevole differenza nella tipologia stilistica e il fatto che esso sia l’unico quadrante che mostra numeri arabi da 1a6alpostodei numeri romani. Ciò potrebbe significare che il quadrante originale sia stato sostituito, oppure che esso sia solo un adattamento allo stile dell’ora Italiana in voga nel XVIII secolo. Tuttavia, sembra 115
davvero strano che in una tradizione che prevede esclusivamente l’uso dei numeri romani sulla mostra dell’orologio, sia stata qui abbandonata per numeri arabi. Inoltre non sono presenti gli stilemi classici dell’orologio a sei ore, come il giglio per i quarti ed altri dettagli comuni agli orologi romani. Il quadrante a sei ore di Cancellara La macchina dell’orologio ancora funzionante 116
Capena (VT). Piazza del Popolo. Torre dell’orologio L’orologio restaurato da pochi anni 117
Lettera di Giuseppe Matteo Giongo, studioso di Capena sull’orologio a sei ore della sua città. Ho trovato quasi per caso il sito dove lei ha censito gli orologi a sei ore distribuiti in Italia, e le scrivo per farle innanzi tutto i complimenti per l'ottimo lavoro. Ed in secondo luogo per portare un piccolo contributo al catalogo. L'orologio di cui le racconto la storia è quello che sta a Capena (RM), illustrato da tre fotografie nel suo catalogo, che peraltro fanno riferimento al solo quadrante così com'era nel 1933 e com'è adesso. Le faccio una breve storia dei tempi recenti. Nel 1973 mi trovavo per caso a Capena, ho avuto modo di visitare il paese vecchio ed in particolare mettere piede entro la torre dell'orologio, cosa molto facile, visto che il tetto era a metà diroccato, la porta d'ingresso sparita, e la macchina dell'orologio - o piuttosto la parte di essa che ancora stava sul castello di sostegno - semisepolta dai travi del tetto e dalle tegole, esposta alle intemperie ed abbastanza a malpartito. Ho chiesto ed ottenuto dal Comune di recuperare il recuperabile, ivi compresi i pezzi finiti in fondo al pozzo dei pesi, ho portato tutto a casa (in garage) e col tempo sono riuscito a rimetterlo insieme. Mi spiace di non aver pensato di prendere alcune fotografie ad illustrare lo stato di partenza della macchina e del suo alloggiamento, ma è questa una dimenticanza assai comune nel mondo dei dilettanti. Fortuna ha voluto che, mentre il lavoro sulla meccanica faceva la sua lenta strada, il Comune di Capena trovò il modo ed i mezzi per avviare il recupero del manufatto, così che ai primi anni '90 venne inaugurata la nuova torre dell'orologio, così come è raffigurata nelle foto più recenti, entro la quale è anche allocato un piccolo museo di reperti archeologici della zona. Fine della storia. L'orologio è praticamente integro nelle sue parti originali, 118
con l'eccezione del pendolo, mai trovato; di alcune (3/4) boccole in ottone dei perni dei ruotismi, rifatte a mano. Ho rifatto anche un pignone a gabbia di scoiattolo (ma conservo l'originale) perchè troppo consumato. Uno dei due rocchetti in legno, del tutto marcito causa pioggia, è stato tornito ex-novo, ma riassemblato con tutta la sua ferramenta originale. La macchina è stata costruita nel 1796 da Antonio Baldotti in Roma, come risulta dall'incisione sul telaio. La suoneria è quella delle sei ore, con ripetizione. L'orologio funziona, o meglio ha funzionato per diverso tempo, senza dare problemi di nota, a parte la precisione, a volte discutibile. Il problema è stato ed è tuttora quello della mancanza di un volenteroso che si occupi della ricarica, che va fatta ogni due giorni circa. Quanto alla manutenzione, il solo problema è quello di tenere la macchina lontano dalle mani di certe persone, il cui entusiasmo è secondo solo alla loro incompetenza, che vorrebbero innaffiarlo d'olio un giorno sì e l'altro pure. Ma adesso che tutto è fermo, almeno per il momento, l'orologio non corre rischi. Da ultimo le dirò che, osservando le fotografie delle macchine che sono riportate sul suo elenco, ho l'impressione che questa di Capena sia abbastanza differente, non tanto per complessità quanto per struttura, a sviluppo prevalentemente orizzontale. Se lei fosse interessato, potrei inviarle qualche fotografia dell'oggetto, così che possa farsene un'idea. CAPRAROLA, PALAZZO FARNESE Orologio a sei ore a destra della meridiana e macchina orologica all’interno del bastione. 119
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In una stampa del 1679 non erano presenti né le meridiane, né l’orologio a sei ore. In una stampa di metà secolo XVIII si vede l’orologio; a destra dopo l’ultimo restauro Casperia (Rieti). Porta Santa Maria 121
Castel Gandolfo. Palazzo Pontificio (foto Fabio Rosati) 122
Castro dei Volsci (FR). Orologio originale prima del restauro. 123
Castro dei Volsci (FR). Condizione originaria del quadrante. L’orologio è stato restaurato di recente. 124
Cerveteri. Torre civica Foto sopra: Rolando Profita 125
Città Ducale (Rieti). Frazione Santa Rufina. Chiesa del Santissimo Sacramento. Foto Sandro Vallocchia. Collescipoli (Terni) Chiesa S. Maria Maggiore 126
Falconara Marittima (AN). Fortezza di Rocca Priora. 127
Fano (PS), Santuario Madonna del Ponte Fontecchio (AQ) 128
Frascati (RM). Cattedrale di San Pietro. Due quadranti a sei ore su due lati del campanile di sinistra. Sul campanile destro un orologio ad ore astronomiche. Uno dei quadranti. L’altro, sul lato nord, è identico a questo. Foto sopra di N. Severino 129
Mercato San Severino (SA) 130
Monte Porzio Catone (Roma) Cattedrale. Due orologi. Anche in questo caso, uno è stato riadattato con le lancette moderne. 131
Monte Porzio Catone (Roma). Villa Lucidi 132
Monte San Martino (MC). Foto Alberto Cintio Montecatini Alto (PT), Torre Montevettolini (PT), Torre 133
Napoli, Certosa di San Martino. Chiostro. Foto N. Severino Napoli, a destra: Chiesa dei Gerolamini a sinistra: Chiesa nel Complesso di Santo Spirito Pagina accanto: L’orologio sulla chiesa dei Girolamini fotografato da Angelo Schiavone. 134
Per quanto riguarda l’orologio della chiesa dei Girolamini, Angelo Schiavone del comune di Acerenza, ha condotto una ricerca storica interessante: “La Chiesa dei Padri Girolamini, il cui appellativo deriva dalla sede romana dell'ordine fondato da San Filippo Neri, nel convento di San Girolamo alla Carità, fu eretta nel XVI secolo. L’architetto napoletano Dionisio Lazzari a metà del XVII secolo ne realizzò la facciata e, come si evince da una stampa del 1620, inserì nei campanili due orologi con quadranti a 12 ore. Ferdinando Fuga ridisegnò la facciata nel 1780 dotando i campanili di due nuovi orologi. Munì il campanile destro di una meridiana ed il sinistro di un orologio meccanico con quadrante a sei ore. Anche in questo caso sorprende la somiglianza dell’orologio incluso nel campanile di sinistra con quello di Acerenza. Fu quindi la mano di questo grande architetto a disegnare l’orologio di Acerenza? Ricordo che a Ferdinando Fuga fu commissionata a Napoli la costruzione di “Villa Monteleone”, iniziata dal duca Diego Pignatelli di Monteleone nel 1728 e portata a termine da suo figlio, duca Fabrizio nel 1766. Le famiglie Pinelli e Pignatelli, fra le più antiche e prestigiose della nobiltà napoletana, furono proprietarie del Castello di Acerenza per più di due secoli. In particolare, il duca Diego Pignatelli di Monteleone fu uno degli aristocratici più ricchi e potenti nel periodo del vice- regno austriaco e suo fratello minore, Francesco Pignatelli di Monteleone fu cardinale arcivescovo di Napoli dal 1703 al 1734. Una così potente famiglia avrebbe ben potuto commissionare al noto architetto l’orologio per il castello lucano”. Angelo Schiavone 135
Sinistra: Orciano di Pesaro. Destra: Paganica (AQ) Perugia, Basilica di San Pietro Quadrante davvero strano, sospeso sullo spigolo delle due facciate. (foto di galilaeus, Picasa) 136
Pescaglia (LU) Prossedi (LT) Roma, Convento dei Minimi di San Francesco da Paola. Chiostro. Foto N. Severino. Questo orologio a sei ore è pressoché sconosciuto. 137
Roma, l’antico e glorioso orologio a sei ore del Collegio Romano di cui abbiamo scritto la storia. Oggi il quadrante non mostra alcun segno. Roma, Ospedale di Santo Spirito, Palazzo del Commendatore. 138
Roma, Cortile interno di Palazzo Rondinini. Roma, Palazzo del Quirinale. Sicuramente il più famoso orologio a sei ore. Oggi è stato anch’esso riadattato al sistema delle nostre ore astronomiche, ma la lancetta è quella originale. 139
Roma, Chiesa di Santa Maria dell’Orto in Trastevere Uno dei più antichi orologi a sei ore di Roma. Conservatosi egregiamente, mostra tutte le caratteristiche del nuovo quadrante. Foto di N. Severino, 1989. Roma. Sinistra: Chiesa di S. Croce in Gerusalemme. Il quadrante ad una sola lancia e il restauro in soli quattro numeri, da III a XII, ricorda il vecchio orologio a sei ore. Destra: Un quadrante a sei ore sconosciuto, su una casa privata in via Portuense. 140
quadrante interno quadrante esterno Roma. XIX Municipio, località Santa Maria di Galeria. Casale Celsano vicino alla chiesa di S. Maria in Celsano. Doppio quadrante monumentale a VI ore. Potrebbe essere scolpito in pietra o su muratura. Pregevole lancia centrale. 141
Il secondo quadrante, esistente sul lato opposto è ancora a VI. Entrambi erano collegati alle due campane che si vedono nella foto. Sotto il quadrante che guarda nel cortile interno esiste una scritta ANNO DNI MDCCCXXII che è ovviamente la data in cui furono realizzati i due orologi a sei ore. Dovettero funzionare per poco tempo, visto che nel 1846 il sistema Italiano fu abolito. Anche il campanile della chiesa mostra un quadrante ad una sola lancia. E’ ovvio pensare che fosse a sei ore, ma nell’immagine non si notano tracce visibili che possano dimostrarlo. 142
San Felice Circeo (LT). L’orologio a sei ore nel centro storico della cittadina. Pare fosse ancora funzionante all’epoca in cui N. Severino lo fotografò nel 1990 circa. Recentemente è stato restaurato. (La data sovraimpressa è della ristampa) S. Felice Circeo (LT). Foto originale di N. Severino del 1990 143
Sinistra: San Gemini (TR)14 . Palazzo Pretorio. Destra e in basso: Castel San Niccolò (AR). Doppio quadrante monumentale sulla torre del Castello. Questi quadranti di enormi dimensioni servivano non solo per fare ascoltare il suono delle campane da lontano, ma anche per essere visti. 14 Informazioni storiche relativo a questo orologio alla fine del catalogo fotografico. 144
Sarno (Salerno), Santuario di San Francesco 145
S. Severino Marche (MC), doppio quadrante a VI e a XII ore. Entrambi di pregevole fattura. Il quadrante a sei ore conserva ancora una bella “sfera”, lavorata artisticamente. Vi sono le suddivisioni principali e la figura del piccolo giglio stilizzato. L‘orologio mi fu segnalato una prima volta da Maurizio Tumminelli. 146
Subiaco (Roma). La cittadina conserva tre monumentali testimonianze di orologi a sei ore. La Torre Abbaziale ne è provvista di due giganteschi, di ottima fattura, completi di campana. Realizzati nella migliore tradizione, con i gigli tra le ore, essi si presentavano all’autore nel 1989 come si vedono in queste foto. 147
Subiaco. Il secondo orologio a sei ore monumentale, sulla Torre Abbaziale. Foto N. Severino, 1989. Subiaco. Il terzo orologio a sei ore sulla Cattedrale. Foto N. Severino, 1989. 148
Sutri (VT). L’orologio a sei ore con la bella sfera artisticamente lavorata con il sole raggiante. Il quadrante restaurato di recente 149
foto Alberto Cintio Tolentino (Macerata). Sul campanile della chiesa di San Francesco, furono realizzati quattro orologi meccanici: il primo in alto indica le fasi lunari; il secondo è quello a sei ore e che viene spesso erroneamente scambiato per un orologio a ore canoniche; il terzo, un orologio astronomico; il quarto un orologio calendariale che mostra i giorni, le settimane e i mesi. L’opera fu realizzata nel 1822 da Antonio Podrini di Sant’Angelo in Vado. Nelle Marche si nota un più frequente accoppiamento dei quadranti meccanici, come anche a San Severino Marche, dove l’orologio a sei ore è in coppia con il quadrante ad ore astronomiche. Probabilmente questo tipo di soluzione poteva essere dettata da una più sentita esigenza di conformarsi, per l’indicazione dell’ora pubblica, a entrambi i sistemi orari, quello all’italiana e quello alla francese, in un periodo, come la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, in cui la disputa sull’adozione di uno dei due sistemi era molto accesa e il sistema dell’ora astronomica guadagnava sempre più popolarità, soprattutto al di fuori del Lazio. 150
Torre Orsina (Terni). Foto Andrea Giardi Orologi di Torre Orsina, Collestatte e Castel di Lago Lettera di Andrea Giardi all’autore Sono uno studioso di storia locale e dopo aver consultato il sito del censimento degli orologi a sei ore mi accingo ad inviare alcune foto di due orologi esistenti nel territorio in cui 151
abito ed altro orologio oggi distrutto. Mi chiamo Andrea Giardi e vivo a Torre Orsina, piccolo centro storico del Comune di Terni in Valnerina, a poca distanza dalla Cascata delle Marmore, territorio un tempo feudo dei conti Manassei di Terni, signori di Collestatte e Torre Orsina. Su wikipedia ho inserito note storiche di Torre Orsina. Nelle piccola piazzetta interna alle mura, i Manassei costruirono nel 1777-78 un Casino con relativo Orologio. Conservo lettera dell'agosto 1778 inviata da Roma dal Protonotario Apostolico Mons. Giuseppe Manassei al fratello Pietro in Terni con la quale si lamenta il ritardo della posa in opera dell'orologio (già spedito da Roma) sulla facciata del Casino di Torre Orsina. Con i restauri eseguiti negli ultimi anni, si è voluto rimettere in funzione l'antico orologio, il cui meccanismo a pesi originario è scomparso da decenni, sostituendolo con uno moderno. Nel corso del XIX secolo l'orologio a sei ore era stato modificato con uno a dodici ore e, durante il restauro si è preferito togliere lo scolorito orologio alla francese riportando alla luce quello all'italiana con unica lancetta. Altro orologio molto più antico si trova inciso nelle pietre della facciata della chiesa del XV secolo di San Valentino a Castel di Lago, medioevale castello oggi facente parte del Comune di Arrone. Vi è una cartolina degli anni '930 con la torre civica di Collestatte che dal XVIII secolo funge anche da campanile della chiesa di S. Pietro. In essa si nota l'antico quadrante dell'orologio a sei ore con sottostante meridiana, sostituiti nell'ottocento dall'orologio a dodici ore che conserva ancora funzionante tutto il meccanismo originario. Negli anni cinquanta del secolo scorso si è aperta una piccola finestra nel posto ove era posizionato il vecchio quadrante. Andrea Giardi 152
Calduca (Urbino). Casa privata. Foto Stephen Kleckner. Villa Santo Stefano (FR). Chiesa. Foto Maurizio Grande 153
Vilminore di Scalve (Bergamo). Frazione Pianezza. Dagli archivi del Comune è possibile conoscere alcune preziose informazioni storiche relative a questo orologio15 : Un orologio alla romana nella frazione Pianezza in Val di Scalve (BG) costava 425 lire! Nell’antica frazione di Pianezza, nel comune di Vilminore in Val di Scalve (BG), e' conservato un orologio alla romana e alcuni importanti documenti che offrono preziose e finora uniche testimonianze del costo di tale macchinari attorno al 1870. Un orologio "all’italiana" Nell’archivio del Comune di Vilminore non c’e' traccia della risposta della Giunta; tuttavia, a seguito di una analoga petizione degli abitanti delle contrade di Dezzolo e S. Andrea, che e' datata 27 aprile 1878, che era intesa ad ottenere la sostituzione dell’orologio, risulta che quello di Pianezza entrò in funzione al termine dell’anno 1873. Gli artigiani incaricati dal Comune furono Memi Lorenzo con figlio Giuliano "orologiaio da torre in Albino". Nel "breve 15 http://www.scalve.it/contrade/pianezza-1 .htm 154
progettino", nonché preventivo presentato dallo stesso Memi per l’orologio di S. Andrea, si legge che la "piccola macchina ascenderà al carico approssimativo di Kg. 44 non meno". Il sistema della batteria sarà "all’italiana, cioè a ore sei, con sei, escluso però della mezz’ora". Il prezzo della macchina e' di 425 L. ed il vecchio orologio dovrà rimanere "di ragione del fabbricatore". Per analogia, quindi, si può ritenere che anche il prezzo dell’orologio di Pianezza, avendo le stesse caratteristiche di quello di S. Andrea, sia stato di circa 400 L., o poco più. In una lettera del 30 settembre 1878, il Memi fa presente al Sindaco che dovendosi recare a Nona per collocarvi l’orologio, sarebbe. Disposto ad effettuare la riparazione di un guasto di quello di Pianezza, ma essendo scaduto il triennio per la "gratuita manutenzione": a questo punto chiede un adeguato compenso. Nella minuta abbozzata dal Sindaco di Vilminore sul dorso della lettera del Memi, si chiede che la riparazione potrebbe essere gratuita: "... Dappoichè ancor molto le resta da fare in questa Valle, voglio ritenere che non la baderà per il sottile a un’inezia e correre rischio di compromettersi in affari di maggior rilevanza. Il Sindaco conchiude la sua risposta senza occultare il tentativo di mettere in atto una velata e appassionata concussione: "... La prego pertanto confidenzialmente (...) acciò Ella abbia il meritato onore, e le sia arra (cioè: caparra) di nuove imprese, cui dove valga troverà dal canto dello scrivente appoggio, favore, preferenza". O tempora! o mores! L’orologio di Pianezza mantiene ancor oggi la sua peculiarità "all’italiana", anche se nel 1992 la parte meccanica e' stata sostituita con un sistema elettrico, mentre il quadrante sulla torre non e' stato modificato. Il vecchio orologio e' diventato per Pianezza un importante e prezioso cimelio. 16 16 Nell’ultima sezione di questo libro si possono ammirare alcune foto della macchina orologica di questo quadrante. 155
LA TABELLA DELLE ORE ITALICHE DELLA MERIDIANA DI GUARCINO Nella piazza di San Nicolò della caratteristica cittadina di Guarcino, in provincia di Frosinone, esiste un ponteggio in muratura tra la collegiata di San Nicola ed un altro fabbricato. Su tale ponteggio fu realizzato un muro verticale con piccola copertura a tetto. Sul lato sud venne disegnata una lemniscata del tempo medio locale. Sul lato nord venne disegnata la seguente tabella: SUONO DELL’AVE MARIA TEMPO MEDIO ASTRONOMICO ORE E QUARTI Lo schema indicava al passante, per tutto l’anno, l’ora di tempo medio astronomico in cui le campane suonavano l’Ave Maria, con riferimento particolare ai periodi in cui vi era un cambiamento significativo dei quarti. Per esempio, il 1 gennaio il suono dell’Ave Maria viene prodotto alle 5 e 2 quarti del pomeriggio dell’ora del tempo solare medio locale. Il 20 marzo (equinozio) alle 6 e 3 quarti di pomeriggio e il 24 maggio alle 8 di sera. Giugno non è compreso, forse perché le otto di sera era il tempo limite per il suono dell’Ave Maria e quindi per tutto il mese veniva adottato il momento delle 8 156
pomeridiane. Da agosto il tempo si accorciava dalle 7 e 3 quarti fino alle 5 e 1 quarto di novembre. Lato nord del muretto sul ponte, con la tabella dell’Ave Maria. Foto N. Severino, 2011 157
Dettaglio della parte iniziale della tabella. La tabella era connessa, ovviamente, con l’orologio solare, ovvero la lemniscata del tempo medio astronomico disegnata sul lato sud del muretto. E’ ovvio, quindi, che questo orologio è stato realizzato in sostituzione o di un più antico orologio solare ad ore italiche da campanile, o di un orologio meccanico a sei ore che dava le stesse indicazioni in ora Italica. Per tale motivo, dunque, questa tabella, con la lemniscata solare, venne realizzata presumibilmente dopo il 1846, quando a Roma tutti gli orologi all’italiana vennero conformati all’ora astronomica. Ma a cosa poteva servire una lemniscata solare che indicava l’ora dell’Ave Maria, quando erano ormai stati adottati gli orologi meccanici pubblici ad ora astronomica? La risposta può essere interessante perché, trovandoci in un paesino come Guarcino, dove la realizzazione di un nuovo orologio meccanico nuovo, o in sostituzione di uno a sei ore che poteva esserci prima, non doveva essere una cosa da poco ed occorreva del tempo prima che si facesse. E’ probabile, quindi, che la lemniscata solare e la tabella per le ore dell’Ave Maria, fosse un’idea provvisoria, in attesa della realizzazione di un nuovo orologio pubblico meccanico. 158
Notizie storiche relative all’orologio a sei ore di San Gemini, fornite da Andrea Giardi. Dopo essere stato Ducato degli Orsini dal 1530 al 1720, il Ducato passò ai Principi Poblicola di Santa Croce fino al 1817. Il primo di questi, Scipione cominciò una serie di lavori (Restauro delle Mura,costruzione della Torre del Palazzo Pretorio, costruzione del nuovo Palazzo Comunale, la Porta Romana ed il Palazzo Ducale ecc. Al Palazzo Pretorio del XIII secolo aggiunse la parte superiore della Torre utilizzando una campana del 1318, inserendovi un orologio a sei ore che conserva ancora il suo meccanismo, da alcuni anni non funzionante. Il Comune pagava fino ad alcuni anni addietro una persona che si occupava di tenere in ordine il funzionamento dell'orologio. L'addetto, classe 1920, non è più in grado di salire sulla Torre ! Andrea Giardi Orologio Italico con numeri romani e arabi. Affresco di fine ‘400 nella chiesa di San Zeno a Verona. Foto di Giuseppe De Berti. 159
PECULIARITA’ MECCANICHE DEGLI OROLOGI CON QUADRANTE ALLA ROMANA di Marisa Addomine 17 I turisti stranieri, o i nostri conterranei appassionati di torri e campanili provenienti da zone diverse dall'Italia centrale, restano spesso stupiti nell'ammirare, su tante torri campanarie o sulle facciate di palazzi di destinazione sia religiosa che laica in quello che fu lo Stato Pontificio, dei quadranti che, anziché riportare l'indicazione delle XII ore come di consueto, riportano solamente le ore da I a VI, con il numero VI in corrispondenza di quelli che per noi sono solitamente il mezzogiorno o la mezzanotte. Sull'argomento, molti dei nostri lettori avranno già consultato le note di Nicola Severino (www.nicolaseverino.it ). Forse potranno essere utili alcune note circa la storia di questa insolita suddivisione del quadrante orario, e delle sue implicazioni a livello orologistico. Anticamente, le ore in Italia venivano conteggiate con la fine della giornata (la XXIV ora) in corrispondenza del tramonto. Ciò ci induce subito a due osservazioni: la prima è che le ore venivano conteggiate da I a XXIV, e non, come oggi spesso si fa, in due intervalli da 1 a 12, e che, variando il momento del tramonto in funzione delle stagioni dell'anno, conseguentemente anche le ore risultavano modificarsi su base temporale. Da ultimo, ma non ultimo aspetto, l'uso antico, risalente agli Egizi, di suddividere l'arco del giorno in dodici ore di luce e dodici ore di buio, implicava che d'estate le ore di luce fossero più lunghe e di inverno più corte, comportando il computo di quelle che prendevano il nome di Horae Inaequales, le ore variabili in funzione della latitudine e della stagione dell'anno. Gli orologi meccanici, al contrario, dividevano le ventiquattro 17 Marisa Addomine è ingegnere, studiosa di orologeria antica e presidente del Registro Italiano Orologi da Torre. Questo breve saggio venne realizzato per il sito web dell’autore nel 2008. 160
ore della giornata in ore di lunghezza costante, dette Horae Aequales. Quando, verso la fine del XIII secolo, comparvero i primi orologi meccanici mossi dai pesi, cui veniva collegata una campana, si pensò di far suonare alla campana un numero di rintocchi pari all'ora esatta segnata dall'orologio: ciò comportava, volendo suonare 1, 2, 3 ... 24 rintocchi nell'arco di una giornata, ben 300 colpi complessivi. A causa di questo, era necessario costruire grandi ruote che governassero la suoneria, dette partitore, su cui un numero pari a (N- 1) tacche, con N = numero massimo di rintocchi da suonare permetteva ad un gioco di leve e blocchi, di determinare il numero esatto di rintocchi voluti. Un gran numero di colpi da suonare comportava molta spesa in termini di energia, quindi molta corsa del peso e molta ricarica da effettuare. Nello stato della Chiesa, che comprendeva gran parte dell'Italia centrale sino all'Unità d'Italia, venne adottata la suddivisione della giornata in quattro intervalli da sei ore cadauno, con il duplice risultato di ottenere d'un lato la necessità di un numero inferiore di colpi da suonare (1 + 2 + .. . + 6) x 4 = 84 colpi al giorno, con una ruota partitora più semplice, con solo 5 tacche, derivanti da N - 1 quando N = 6, e la necessità di minor energia e minor corsa del peso della suoneria. Inoltre, essendo gli antichi segnatempo dotati della sola lancetta delle ore, in un quadrante in cui alla singola ora corrispondeva un arco di 60 gradi sulla fascia oraria (360 : 6), la risoluzione spaziale con cui la lancetta poteva essere letta dai passanti avrebbe fornito un'indicazione più precisa del momento temporale, in assenza della lancetta dei minuti. Si aggiunga il fatto che, in un'epoca in cui l'analfabetismo era diffuso, e la capacità di far di conto scarsa presso gran parte della popolazione, contare un numero elevato di rintocchi, magari a distanza, avrebbe potuto indurre in errore molto più che non il dover contare che pochi colpi. Le soluzioni meccaniche tipiche di questa sorta di orologi sono in sé assai semplici: una ruota partitora con 5 anziché 11 o 23 tacche (nel caso di suoneria in 12 o in 24), e la ruota che porta con sé la 161
lancetta delle ore demoltiplicata in modo da effettuare un giro ogni sei ore anziché in 12 o in 24. Particolare interesse presentano, soprattutto per gli appassionati stranieri che restano interdetti davanti ad alcuni di essi, gli orologi ibridi, in cui la suoneria in dodici e quella in sei convivono. Dobbiamo a tal proposito introdurre il concetto delle ore ripetute, dette con ribotta, o in alcuni testi detti ore alla Lombarda. Allo scadere delle ore, l'orologio faceva suonare una prima volta la campana con un numero di rintocchi pari alle ore scoccate, e, dopo circa un minuto, ripeteva lo stesso numero di rintocchi per permettere a chi si fosse distratto e non avesse contato bene i colpi la prima volta, di prestare attenzione ed ottenere l'informazione voluta. Questa ripetizione era detta ribotta. Ciò comportava che, nelle suonerie con partitora - le più antiche, cui fecero seguito, a partire dall'Ottocento, quelle con chiocciola e rastrello, il numero delle tacche dovesse essere raddoppiato, visto che il procedimento dei rintocchi, a distanza di un minuto, doveva essere ripetuto con identica modalità. Se si osserva l'illustrazione alla fine del testo si nota che la lunghezza delle tacche incavate è ineguale: infatti, essa è proporzionale al numero di rintocchi che l'orologio dovrà suonare, e sarà tanto più lunga quanti più colpi dovranno essere eseguiti. In cosa consiste la soluzione ibrida? In un certo numero di orologi, distribuiti dalla Liguria all'Italia Centrale, ma con esempi anche nel resto del territorio Italiano, le ore venivano suonate una prima volta in dodici, ma alla seconda occorrenza, in corrispondenza della ribotta, ripetute in sei. In questo modo, si risparmiava sul numero dei rintocchi (e quindi, come visto precedentemente, sulla riserva di carica della suoneria) e si permetteva alla gente di contare un numero inferiore, per il quale sarebbe stato più facile seguire, magari con l'ausilio delle dita, il computo dell'ora scoccata. Questo dava luogo a partitore di cui non esistono esempi al di fuori del territorio Italiano, in cui le tacche si susseguono 162
identiche a due a due fino alle ore sei, e, a partire dalle sette, diventano diverse, dato che la prima deve permettere l'esecuzione di un numero di rintocchi in base dodici, mentre la seconda tacca della sequenza riparte da uno e prosegue sino a sei. L'invasione delle truppe napoleoniche nel territorio Italiano portò all'introduzione delle ore dette Oltramontane o alla francese, in cui la giornata iniziava con la mezzanotte ed era divisa in due intervalli di dodici ore. Lo Stato Pontificio, all'allontanarsi dell'invasore francese, tentò di ritornare al metodo precedente, ma nel 1846, anche il Pontefice fu costretto ad adottare quello che era divenuto ormai, per tutta Europa, il metodo di conteggio del tempo universale. Gli orologi pubblici erano un bene costoso, per cui si cercò di provvedere riducendo al minimo i costi dell'intervento, e, in molti casi, i risultati furono quantomeno curiosi. A memoria della situazione ci restano degli appunti manoscritti di Gioacchino Belli, noto poeta satirico vernacolare romano, che in margine ai suoi scritti riporta una frase da lui sentita pronunciare, con pesante accento tedesco, da una guardia svizzera: "Oh, Griste sante! Segnar quattre, sonar tiece, e star fentitue". Ora che conosciamo la divertente storia del computo delle ore nello Stato della Chiesa, ci è facile comprendere il motivo del disappunto del baldo giovane elvetico: erano le dieci di sera, montava di guardia, vedeva un orologio con il vecchio quadrante (che indicava le quattro), la suoneria era stata trasformata in dodici, per adattarla alle nuove regole, per cui suonavano le dieci, e nella sua mente, con la giornata che terminava con la ventiquattresima ora alla mezzanotte, secondo l'antico uso germanico, erano le ventidue! 163
La ruota partitora di un orologio in sei con ribotta sempre in sei: le cinque tacche ripetute permettono di scandire con 1+1, 2+2, ... 6+6 rintocchi in corrispondenza dell'ora segnata dalla lancetta sul quadrante alla romana. Lo schema di un ruota partitora del tipo con suoneria in dodici e ribotta in sei. 164
Immagini storiche Collestatte (Terni). L’antico quadrante a sei ore citato da Andrea Giardi che ha gentilmente concesso l’immagine (vedi orologio di Torre Orsina) 165
Rocca di Papa (Roma). L’orologio antico della chiesa dell’Assunta era in sei ore e lo sappiamo da questa vecchia cartolina, dove nel piccolo ingrandimento il quadrante a sei ore può essere riconosciuto. Oggi è andato perduto e al suo posto c’è un orologio moderno. 166
Incisione del 1769 di Giovanni Battista Piranesi in cui sono raffigurati artisticamente tre orologi a sei ore. In quei tempi, il quadrante a sei ore era l’indiscusso segnatempo di Roma e dello Stato Pontificio. Qui però si nota la presenza sui tre quadranti di una doppia lancetta e la suddivisione dei minuti di 10 in 10 fino a 60. Ciò fa credere che il meccanismo, in questo caso, fosse regolato per l’ora alla francese. 167
Sora (FR). Sul lato sud della Chiesa di S. Restituta esistevano nel XIX secolo ben due quadranti a sei ore, scomparsi nel XX secolo. L’orologio a sei ore sulla torre medievale di Cetona ((Siena), come si vedeva in una antica cartolina. L’immagine è rappresentativa della vita semplice, contadina, regolata dal suono delle campane dell’orologio ad ore Italiane. 168
Narni (Terni). Nelle cosiddette “carceri dell’Inquisizione”, scoperte nel 1979 nei sotterranei del vecchio convento dei Domenicani, si trova una stanza con dei graffiti. Tra questi si vede il disegno del quadrante dell’orologio a sei ore, tra l’altro, eseguito a pochi decimetri dalla finestra della stanza, come se l’autore avesse voluto farlo funzionare con la luce del sole! Forse esso rappresentava solo la speranza e l’augurio che il tempo passasse in fretta in un posto così triste e senza futuro. Il disegno però permette di datare il graffito in un periodo compreso presumibilmente tra il 1660 e il 1846. Alcune date lasciano pensare al 1760 circa. 169
Roma, il disegno di un quadrante a sei ore su un palazzo nel Borgo di S. Spirito. Foto Sandro Vallocchia Roma, Basilica di San Pietro in Vaticano. Interno. Orologio a sei ore per interno. Si noti la differente decorazione tra i quarti, diversa dall’adozione classica del giglio, come in quasi tutti gli altri orologi. 170
LA MACCHINA OROLOGICA DI VIBO VALENTIA A Vibo Valentia, in tempi recenti, è stata ritrovata da un membro della Pro Loco, una macchina orologica nel campanile della Chiesa di San Michele. Riporto l’interessante commento degli esperti dell’Associazione Italiana Cultori Orologeria Antica, Hora (www.hora.it ): Gentilissimo Dott. Francesco, quelle che Lei ci ha inviato sono le immagini di un bellissimo orologio da torre con tre treni di ruote con al centro il tempo, ore e quarti in 6 all'italiana. Ha pignoni a gabbia e gli alberi delle ruote sono ben torniti e di buona fattura. Appare sufficientemente completo. E' una tipologia di orologio che si può collocare fra la seconda metà del '600 e la metà del '700. E' indubbiamente regolato da un pendolo! 171
Questi orologi da torre erano quasi sempre allineati al quadrante o avevano solo dei piccoli rimandi, perciò l'attuale allocazione non deve far testo in quanto dovuta probabilmente a spostamenti avvenuti a seguito del terremoto del 1783. Per quanto riguarda il valore, se per tale intende quello venale e come già detto più volte, i soci dell'associazione HORA, quando parlano come tali, non possono pronunciarsi. Lei richiede se può essere restaurato. Rispondiamo: dovrebbe essere restaurato, affidandosi ad un esperto orologiaio che abbia gli spazi adatti e che sappia trattare i metalli antichi o che si rivolga a chi e' uso operare su i metalli d'epoca. Diciamo dovrebbe perchè e' da evidenziare che piuttosto che un cattivo restauro e' meglio conservarlo così come e' in luogo protetto dalle intemperie; (ha resistito per più secoli e perciò 5 o 50 anni in più lo danneggerebbero molto meno di un cattivo restauratore). Veniamo a chi lo ha costruito e aggiungiamo noi in che data? 172
Il campanile a noi risulta essere posteriore rispetto alla Chiesa di S. Michele in quanto alcuni documenti lo indicano come edificato nel 1671. Se l'orologio fosse stato realizzato nella stessa data del campanile e fosse già nato a pendolo si tratterebbe di uno dei primi esempi Italiani dell'applicazione dell'invenzione di Christiaan Huygens alla scoperta di Galileo Galilei (isocronismo del pendolo a parità di ampiezza delle oscillazioni).Abbiamo detto nato già a pendolo perché sul finire del 1600 e inizi del 1700 questi orologi, costruiti precedentemente con regolazione a "bilancia del tempo", venivano trasformati a pendolo (per ragioni di precisione). Queste trasformazioni lasciavano però tracce sull'incastellatura metallica (essenzialmente fori) che e' abbastanza facile reperire a posteriori da parte di un occhio esperto. I molti "se" potrebbero essere, almeno parzialmente, fugati dal reperimento della esatta data di costruzione, che in mancanza di stampigliature (da ricercare sotto le incrostazioni dovute al tempo), occorre reperire tramite ricerche di archivio sulla committenza e sul costruttore con eventualmente i relativi pagamenti dei quali molto spesso si ritrova traccia (atti notarili, registri del comune e della chiesa, archivi privati dei notabili del luogo, ecc.) . Per quanto riguarda la sua sistemazione pensiamo che il Vostro bel Museo di Arte Sacra sia una ottima allocazione perché, pur non essendo propriamente un oggetto sacro, serviva pur sempre a chiamare a raccolta i fedeli per le funzioni religiose, oltre che, naturalmente, a scandire i tempi dei lavori nei campi. Infine, per concludere, ritorniamo sul valore dell'oggetto che per Voi dovrebbe essere notevole: affettivo e storico. G.G. e G.P. 173
La macchina dell’orologio di S. Maria dell’Orto in Trastevere. Foto N. Severino, 1990 circa. 174
LA MACCHINA OROLOGICA DEL QUADRANTE A SEI ORE DI PIANEZZA FRAZ. DI VILMINORE (BG) Foto, cortesia Comune di Vilminore 175
In Venezia, le ore Italiche dell’orologio a campana non erano computate da mezz’ora dopo il tramonto e non differivano, quindi, dalle ore Italiche normali. Testimonianza tratta da da Metodo di computare i tempi di G.Battista Pagani, Palermo, 1726 Si avverta qui, che l'hore, e minuti di questi quattro punti del giorno naturale, che sono 1' orto, e 1' occaso del Sole, il mezo giorno, e la meza notte, non sono hore, che lì regolano col tempo dell'Orologio a campana, le quali cominciano a numerarsi da quel punto, in cui la sera suona la campana per dare il segno dell' Angelica salutazione; ma sono hore, che si regolano con l'occaso del Sole, e cominciano a numerarsi dal punto, in cui il Sole tramonta, il quale precede ordinariamente quasi una meza hora, più, o meno seconda le frazzioni il suono della campana, con li quale si dà il segno della salutazione Angelica. In quei Paesi però, ne’ quali il segno dell Angelica salutazione si dà nel tramontare del Sole, come si usa nella Città di Venezia, 1'hore dell'occaso dall'hore dell'Orologio a campana non dìfferiseono. Tracce dell’orologio Italiano di Lodi L’orologio della cattedrale di Lodi, la cui storia molto antica risale alla metà del XVI secolo, doveva segnare le ore all’italiana come nella tradizione di quel tempo, cioè con un quadrante a 12 o a 24 ore e con la sfera singola centrale adornata di un sole raggiante, così fino ad almeno il 1664, come narrano le cronache riportate dalla nostra fonte 18 : “Da uno schizzo della facciata del Duomo, nelle carte dell’Archivio Storico del Municipio), parrebbe risultare che il 18 G. Baroni, Il campanile e l’orologio della cattedrale, in Archivio storico per la città e i comuni del circondario e della Diocesi di Lodi, Fasc. 2, giugno 1915, pagg. 82-83 176
dipinto del Morello consistesse in un fascio di foglie d’alloro ch’intende il circolo delle ore, con sotto una targa portante la data 1664; nel centro eravi un raggiante che teneva quasi tutto il campo”. Nel 1854, quando cioè si è trovato testimonianza di un nuovo intervento sull’orologio, sembra siano stati aggiunti i “minuti”, ciò che dimostra l’orologio essere ad ore astronomiche. Nelle memorie di P. Bricchi, viste da Baroni in un manoscritto della Biblioteca Civica di Lodi, troviamo la preziosa testimonianza del passaggio dal sistema Italiano a quello “alla francese”: “Il dì 9 May 1786 al mezzogiorno, si cominciò a regolare l’orologio del Duomo all’Europea vulgo ‘alla Francese d’ordine Regio abbassato alla Città..’.” . Negli anni successivi, dopo il primo cambiamento immediato del suono delle campane, seguì la modifica della macchina orologica a cura di Giacomo Silva di Lodi sulla quale si firmò nel 1787. E, continua, Baroni, “Successivamente da altro artista venne aggiunto il roteggio per la suoneria del mezzogiorno e della mezzanotte”. Le ore Italiane dell’irrigazione Come noi oggi siamo abituati, anzi, assuefatti alle indicazioni dei nostri comuni orologi da polso e da campanile, applicando la lettura dell’ora ad ogni circostanza ed attività della vita quotidiana, sia essa religiosa, ricreativa o lavorativa, allo stesso modo nel XIX secolo la popolazione italiana era assuefatta all’applicazione del sistema delle ore all’italiana nelle pratiche incombenze quotidiane. Un fatto curioso, di cui si hanno diverse e precise testimonianze, riguarda l’applicazione degli orari di irrigazione nell’agricoltura in relazione prima al sistema delle ore Italiane e poi alla confusione generatasi con l’introduzione del sistema orario alla francese. Così, si esprimeva nel 1870 Antonio Cantalupi nel suo libro Scienza e la pratica per la stima delle proprietà stabili: 177
“Per misurare il tempo delle irrigazioni è ancora in uso l’orologio all’Italiana 19 , il quale si presta alle ruote interrotte da un certo numero di ore ed in epoca determinata del giorno. Suppongasi, per esempio, che in una ruota di 10 giorni un utente abbia il godimento di ore 8 ogni 7 giorni cominciando sempre a sera, cioè alle ore 24. Se si volesse in tal caso far uso dell’orologio alla francese e consegnare a questo utente le ore che gli competono sempre dopo un certo numero di giorni e di ore, avverrebbe che in principio di primavera esso le conseguirebbe di notte; in giugno e luglio nelle ore ancor calde, in settembre nuovamente di notte; circostanze tutte calcolabili...” Sull’argomento esiste una dotta relazione dell’Ing. Achille Cavallini, Sulla traduzione degli orarj d'acqua d'irrigazione dell'antico sistema secondo l'orologio Italiano al nuovo secondo l'orologio francese detto anche tedesco, pubblicata nella rivista Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto civile ed industriale, anno 1872, vol. 4, fasc. 8 -9, pagg. 36 e segg., che dimostra quanto sia stato un problema impellente e sentito fortemente dalla popolazione contadina in quegli anni, essendo stata pubblicata soli due anni dopo il volume di Cantalupi. Inoltre, nello spiegare i difetti comuni ad entrambi i sistemi e i vantaggi dell’uno o dell’altro sulla pratica delle irrigazioni, Cavallini richiama l’attenzione all’auspicata adozione dell’orologio a tempo medio che risolverebbe quasi del tutto il problema. Egli così si esprime: “Se quegli orarij si formassero coll’orologio a tempo medio piuttosto che con quello a tempo vero regolato ogni giorno ad una meridiana, nelle diverse epoche dell’anno riuscirebbero tra loro diversi di impercettibil numero di minuti secondi, perché l’uso del 19 Qui l’autore scrive “ancora in uso” in quanto gli orologi pubblici furono conformati all’orario Europeo nel 1846, ma è comprensibile un buon lasso di tempo entro il quale una simile radicata abitudine come l’orologio Italiano, rimaneva ancora ostinatamente in uso. 178
tempo medio influirebbe piuttosto a cambiar di posizione gli orarij, che ad alterarne la durata da una ruota 20 all’altra”. Si capisce, quindi, basandosi il sistema Italiano sull’inizio del computo delle ore su un punto instabile come il tramonto del sole, che varia da stagione a stagione, come tali orari potevano cadere una volta di giorno e una volta di notte, con gran scomodo degli utenti. “L’immobilizzare così il tramonto del sole – prosegue l’autore – per rendere applicabile l’orologio francese, ormai famigliare a tutti, e che tradotto in macchinetta è nelle tasche anche dei poveri, non reca divario tra gli orarj cadenti nelle diverse ruote d’irrigazione d’un intiero anno, o della così detta stagione estiva...”. E ancora: “Quando il conte di Wilzeck impose col suo editto che si seguisse negli usi civili l’orologio francese invece dell’Italiano, gli agricoltori avvertirono tosto il bisogno, che per legge, e non per opinione di individui fosse a quale ora del nuovo orologio si avesse a porre invariabilmente il principio del giorno dell’orologio abolito, cioè il tramonto del sole fisicamente variabile, per la distribuzione degli orarj d’irrigazione instituiti per diritto o per possesso con indicazioni dei limiti nel sistema dell’orologio Italiano”. Importante testimonianza dell’uso delle ore Italiche “ad usum campanae” in Firenze. Grazie ad un piccolo fascicoletto, intitolato Confronto dell’ore all’uso comune d’Europa con l’ore all’uso d’Italia esposto in dodici tavole, pubblicato a Firenze nel 1750, possiamo dire con una buona approssimazione che in quell’anno nella città toscana si usava in modo popolare l’ora italica da campanile. Il passo che riporto è uno dei pochi in cui l’autore spende qualche parola in più sul detto sistema: 20 Per “ruota” è inteso un periodo che va da 10 a 15 giorni in cui l’utenza poteva esercitare il diritto all’irrigazione secondo gli orari stabiliti. 179
“La prima colonna (della tabella) è calcolata non a ore dell’Oriuolo a Sole, ma bensì a ore dell’Oriuolo a Ruote o sia a Campana, il quale secondo lo stile più comune dell’Italia, si regola 30. Minuti più tardi dell’Oriuolo Solare. Un tal Sistema è più comodo a praticarsi, perché libera dal pensiero e dall’obbligo di fare un conteggio, e di sottrarre ad ogni Ora i detti 30 Minuti, ed è il più adatto alla capacità d’ognuno, non essendo sì facile alle persone idiote il levare a mente sempre una mezz’Ora...” . Curiosità: orologi meccanici ad ore Italiche e Babiloniche! Se appare curioso al lettore che un orologio meccanico sia stato concepito per indicare le ore Italiche, aggiungo un esempio storico di come siano state concepite macchine orologiche che indicassero, oltre a queste, anche le ore Babiloniche che, al contrario, fanno iniziare il computo e l’inizio del giorno al sorgere del Sole. Nel volume 2 dell’opera Completa raccolta di opuscoli, osservazioni e notizie diverse, curata da Giuseppe Toaldo ed altri autori, pubblicata in Venezia nel 1802, ma i cui scritti si riferiscono ad un periodo precedente compreso tra il 1773 e il 1798, si legge una dissertazione sulle ore Oltramontane, molto probabilmente scritta dallo stesso astronomo Toaldo, che era un forte sostenitore di questo sistema orario. L’ultima nota, in fondo all’articolo, ci ragguaglia in modo preciso sulla confusione che il sistema Italiano procurava con il suono delle campane: “Gli Eccellentissimi Riformatori dello studio di Padova hanno ultimamente comandato, che l’Orologio di questa Università, e la Campana delle pubbliche Scuole, si regoli d’oravanti al Meridiano, vale a dire coll’ora Oltramontana, e tal metodo comincerà all’aperta di esse Scuole, ai primi di Novembre del cadente anno 1788. Quest’esempio darà coraggio come si spera, di bandir dappertutto la barbarie dell’Orologio Italiano. 180
Si vedrà tosto l’ordine, che induce questo metodo. Le ore della Campana variavano di Mese in Mese talor di 15 in 15 giorni, d’un’ora o d’una mezz’ora, anche d’un quarto d’ora (come la Campanella della Cattedrale, che dà regola a tutta la Città). Era una confusione per non badare gli Scolari quando si faceva questa mutazione. Fissata ora la Campana alle 8 della mattina, non si altera più; e per tutte le stagioni riesce opportuna, perché suona sempre quattr’ore avanti del Mezzodì, e resta l’istesso spazio d’ore per le Scuole”. Toaldo ci regala ancora un altro passo interessante nella sua dissertazione, che riguarda dettagli della misura della mezz’ora dopo il tramonto del Sole: “V’è però un abuso (nel sistema Italiano), che consiste nel non osservare fedelmente quella mezz’ora dopo il Tramontare; per lo più si fanno battere le 24 ore all’ora dell’imbrunire, quando termina il crepuscolo chiaro; questo crepuscolo chiaro è circa un terzo della durata di tutto il crepuscolo; sicché quando il crepuscolo è lunghissimo, come nei Mesi d’Estate, le 24 ore si suonano non mezz’ora, ma tre quarti e più, dopo del Tramontar del Sole; e quindi tutte le ore seguenti spezialmente in città si trovano in ritardo per lo meno d’un quarto d’ora”. E’ curioso, ed interessante, anche leggere l’accenno che Toaldo fa dell’uso della “Lemniscata” del tempo medio locale come una delle soluzioni per ovviare ai pochi minuti di anticipo o ritardo sul mezzodì dell’orologio oltramontano, e scopriamo che la denomina in modo assai curioso: “Si traccia anche intorno la Linea Meridiana del Mezzodì vero, una Meridiana curva a doppia Classe, che mostra il mezzodì dell’orologio, o sia del tutto equabile; ma questa richiede molto artifizio...” . 181
L’orologio alla romana il riferimento letterario più antico. L’orologio con quadrante da I a VI ore, è da sempre denominato e conosciuto come l’orologio alla romana. Questa dicitura, sebbene frequente nelle pubblicazioni relativamente moderne, è rara in quelle antiche. Mi sembra interessante qui riportare quella che ritengo forse più antica di tutte, nonché autorevole, a nome di Domenico Martinelli, autore di un curioso trattato d’orologeria del XVII secolo, dal titolo Horologi elementari: divisi in quattro parti, nella prima parte fatti con l'acqua, nella seconda con la terra, nella terza con l'aria, nella quarta col fuoco, alcuni muti & alcuni col suono, tutti facili e molto commodi, pubblicato a Pisa nel 1669. Qui, si leggono almeno un paio di volte riferimenti all’orologio “di sei in sei ore... alla romana”, con una naturalezza da far pensare che la definizione alla romana fosse già nel 1669 diventata totalmente usuale e generalizzata, non solo in Roma ma soprattutto al di fuori del Lazio. E siamo nel 1669, cioè appena un ventennio dopo la presunta messa in opera del primo orologio a sei ore decorato dal Borromini per l’Oratorio di San Filippo Neri. Nel descrivere, al capitolo XII, un orologio ad acqua che “mostra, e batte l’hore con un Vaso solo”, Martinelli scrive: “...poi adattar alla testa del Vaso, l’ordegno per la mostra, e per la batteria, in modo però, che non si muova senza il Vaso, e si haverà la mostra di hore sei in sei alla Romana”. L’orologio alla Romana ad acqua di Domenico Martinelli. 182
Anche nella parte IV, Martinelli presenta un orologio da fuoco la cui mostra è ancora suddivisa in hore VI, alla Romana. Una terza volta, l’autore ripete l’appellativo anche nell’indice dei capitoli. E’ così dimostrato che nel 1669, anno di pubblicazione del libro, l’orologio era già usualmente appellato con le ore di sei in sei alla Romana, attestando la peculiarità del quadrante alla tradizione romana, iniziata circa venti anni prima nella città. L’orologio da torre più antico d’Italia e le campane col suono alla romana nella Bologna rinascimentale. Prima di dare alle stampe questo libretto, ho trovato una testimonianza singolare e forse preziosa. Essa si trova nel volume di Antonio Masini, Bologna perlustrata, Bologna, 1666, vol. 1, pag. 467. Innanzitutto la bella testimonianza dell’uso delle ore italiche in Bologna nel 1666. All’inizio del capitolo dedicato al mese di Settembre, si legge: “Leva il Sole à hore 10. minuti 58. Mezo giorno à hore 17. minuti 29. Meza notte à hore 5. minuti 29.” A pag. 467, l’autore da notizie degli orologi pubblici di Bologna e le campane che battono le ore, da cui apprendiamo di un orologio da torre esistito ancor prima di quello del 1309, ritenuto il primo in Italia, di S. Eustorgio a Milano: “Nona comincia à suonare alle hore 17. e così continua sino adì 4 ottobre, e Vespro suona à hore 19. e mezo. Vi sono circa 40. tra Horologi, e luoghi, dove s’odono con Campane batter 183
l’hore. Il primo pubblico horologio della Città fu fatto nel 1294, nella via detta dell’Accuse, su la Torre de’ Lambertini, che si vede unita al Palazzo del Podestà, e dall’una parte vi è rincontro la Compagnia de’ Merciari, e dall’altra quella de’ Speciali. Circa il 1440 li Canetoli fecero far un Horologio alla sua Torre, la quale anco si vede appresso il Campanile della Chiesa di S. Francesco, che dal 1261 fu edificato. Del 1451 fu fatto l’Horologio del Palazzo nuovo, sul canto della via di S. Mamolo, la cui Campana pesa 6 mila libre; e del 1498 vi furono poste quelle scolture delli tre Magi, che vanno attorno, quando vogliono suonar l’hore, e del 1550 l’hore cominciarono a suonare di sei in sei, che prima quante n’erano, tante ne suonavano”. Implicito il richiamo alla scelta di ridurre i troppo numerosi rintocchi delle campane per gli orologi ad ore Italiane di XXIIII e XII ore. La notizia viene riconfermata da una fonte più antica del Masini di circa mezzo secolo: Giovanni Niccolò Pasquale Alidosi 21 che scrive: “Torre dei Lambertini, su’l canto dell’Accuse rincontro alla Compagnia de’ Speciali, et à quella di Merzari. Del 1266. in una divisione di questa Fameglia, è nominata detta Torre in Capella di San Giusta. E l’an. 1294. la vendetero con casamenti alla Città per ampliare il Palazzo dove stà il Podestà, e fu detta del Capitano, perché da quel lato vi habitava il Capitano del Popolo di Bologna, e sopra se gli fece un’Orologio, e fu il primo fatto nella città”. Una terza fonte, posteriore alle prime, riprende la notizia che sembra passare inosservata nel XIX secolo e fino ad oggi. Cesare Monari 22 così scriveva nel 1865 in riferimento agli eventi accaduti in Bologna nel 1294: “Per ordine del Senato pure fu posto nel Palazzo del Podestà il primo orologio per servizio del Popolo”. E’ curioso notare che l’autore fa una distinzione tra i due orologi del Palazzo del Podestà in quanto 21 G.N.P . Alidosi, Istruttione delle cose notabili della città di Bologna, 1621, pag. 193. 22 C. Monari, Storia di Bologna, 1865, pag. 129-130 184
nella prima citazione parla di “primo orologio per servizio del Popolo”, nella seconda, per l’anno 1357, parla di un “primo orologio per comando dell’Oleggio”, in riferimento a quello che abitualmente viene considerato il primo orologio pubblico di Bologna. Una distinzione che confermerebbe l’esistenza di un antico orologio sul Palazzo nel 1294 fatto per il Popolo e di quello “comunale”, sempre sullo stesso palazzo, fatto nel 1356. E’ abbastanza strano però che queste fonti siano sfuggite, o sconosciute ad un personaggio come Ludovico Antonio Muratori che nelle Dissertazioni 23 scriveva: “Ne gli Annali di Bologna da me dati alla luce troviamo, che nell’anno 1356. fu posto nella Torre pubblica di quella Città un Orologio, la cui campana battuta annunziava l’Ore: e questo fu il primo Orologio, che cominciasse mai a sonare per lo Comun di Bologna”. La citazione dell’orologio sulla Torre dei Lambertini, ritenuto del 1294, è anteriore a quella di Galvano Fiamma per l’orologio di S. Eustorgio in Milano, per l’anno 1309. D’altronde altri autori hanno evidenziato che lo stesso Galvano Fiamma non sembra parlare del suo orologio come una novità, il che farebbe credere che in qualche altra città d’Italia ve ne fosse stato uno ancora più vetusto. Chiusa questa lunga parentesi, la testimonianza di Masini, tuttavia, dimostra che in Bologna le campane suonavano all’italiana, di sei in sei, ma non che vi fosse l’uso del quadrante a sei ore. 23 L. A . Muratori, Dissertazioni sopra le antichità italiane, Milano 1751, Tomo I, pag. 365. 185
Qualche riferimento letterario dell'uso delle ore Italiche. CANIO. Un grande spettacolo a ventitré ore prepara il vostr'umile e buon servitore. Ruggiero Leoncavallo, I Pagliacci Dramma in due atti. (1857-1919) • Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, XVI secolo. Edizione Grandi tascabili Newton, I Mammut. Vita di Michelangelo Buonarroti, pag. 1255: "a di' di febraio, l'anno 1563 a ore 23 a uso fiorentino, che al romano sarebbe 1564, spiro' per irsene a miglior vita". • Niccolo' Machiavelli, La Mandragola : Atto Secondo, scena sesta: CALLIMACO Dirovelo: io vi daro' la pozione questa sera dopo cena; voi gliene darete bere e, súbito, la metterete nel letto, che fieno circa a quattro ore di notte; (...) LIGURIO Ed io so che la madre e' della opinione nostra. Orsú! avanziam tempo, ché si fa sera. Vatti, Callimaco, a spasso, e fa’ che alle ventitré ore noi ti ritroviamo in casa con la pozione ad ordine. Atto Secondo, scena prima: CALLIMACO Io vorrei pure intendere quello che costoro hanno fatto. Puo' egli essere che io non rivegga Ligurio? E, nonché le ventitré, le sono le ventiquattro ore! Atto Quinto, scena seconda: NICIA Della sciocchezza di Lucrezia, e quanto egli era meglio che sanza tanti andirivieni, ella avessi ceduto al primo. Dipoi ragionamo del bambino, che me lo pare tuttavia avere in braccio, el naccherino! Tanto che io sentii sonare le tredici ore; e, dubitando che il dí non sopragiugnessi, me n’andai in camera. Che direte voi, che io non potevo fare levare quel rubaldone? Scena Quarta: CALLIMACO Come io ti ho detto, Ligurio mio, io stetti di mala voglia infino alle nove ore; • Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, Cap. XVII: c'e' un'allusione al sistema Italiano. Renzo fuggito da Milano dopo aver trascorso una notte insonne in un capanno nei pressi di Trezzo, in attesa di passare l'Adda, si alzo' mezzo intirizzito "quando finalmente quel partello ebbe battuto undici tocchi, ch'era l'ora designata....per levarsi". Erano quindi circa le cinque del mattino, secondo il computo attuale (da Federico Arborio Mella, vedi Bibliografia). • Vincenzo Giustiniani, Diario di Viaggio (Sec. XVII). Nel 1606 Vincenzo intraprese un viaggio a cavallo attraverso il Nord Europa. Il resoconto di questa avventura e' stato redatto da Bernardo Bizoni (“Relazione in forma di Diaro del Viaggio che corse per diverse provincie di Europa il Sig. Vincenzo Giustiniano marchese di Bassano l’anno 1606, per lo spazio di cinque mesi, la quale fu giornalmente scritta dal Sig. 186
Bernardo Bizoni Romano il quale fece compagnia al marchese in quel viaggio come camerata ed amico e confidente”). suo accompagnatore, originale attualmente conservato in Vaticano. “.. .Verso Orte dove, con aver fatto passaggio per Vignanello e Bassanello, arrivammo alle ventitre ore”. • Benvenuto Cellini, La Vita, Libro 1, Cap. 92... Alle ventitré ore poi io portai su l'anello: e perché e' non mi era tenuto porta, alzato cosí discretamente la portiera, viddi il Papa insieme col marchese ... • Carlo Goldoni. Nel dramma in tre atti per musica, Il Talismano, del 1798, Goldoni accenna alla disputa sulla scelta del sistema Italiano od Oltramontano, facendo rilevare ai suoi attori i vantaggi di quest’ultimo sul primo. Nell’atto secondo, scena quinta, “Strada con bottega di caffè”, si legge: Pol. Sonato è il mezzodì? Car. Io crederei di si. Tri. Passato è di mezz’ora. Cot. No, non è ver, non è suonato ancora. Tri. Cospetto! Al mio orologio Non si da una mentita. Ecco mirate. Diciannove passate (mostra l’orologio). Cot. Eh l’orologio. Non va bene montano all’italiana. Più sicura è la mostra oltramontana. Car. E’ vero alla francese. Segnando il mezzo dì, la mezza notte, La regola è costante e sempre vera. Ma i protagonisti vogliono difendere ciascuno il proprio sistema, e così facendo si arriva alle spade. 187
ROMA, PALAZZO RONDININI, CORTILE 188
CONCLUSIONI Dalla metà del XVI secolo l’ora Italiana influenzò lentamente le abitudini del popolo di questa nazione, accompagnando, nella buona e nella cattiva sorte, ciascuno dei singoli individui nelle loro attività religiose, commerciali e ricreative. Fece da sfondo alle vicende storiche di un popolo attraversando la sua evoluzione umana, sociale, scientifica, trasformandosi ed integrandosi negli sviluppi tecnologici delle macchine e dei quadranti orologici. Prima il semplice quadrante da I a XXIIII ore, poi con doppio quadrante da I a XII, poi ridotto da I a XII, quindi da I a VI. Ha accompagnato le preghiere degli italiani all’imbrunire per almeno due secoli, abituandoli ad attendere quella mezz’ora dopo il tramonto del sole affinché tutti i lavoratori avessero il tempo di prepararsi per la liturgia serale. Gli scienziati studiarono le possibili soluzioni meccaniche dei ruotismi dei congegni orologici; gli gnomonisti esposero i metodi geometrici e numerici per la costruzione prima delle meridiane ad ore italiche normali, poi, uniformandosi al cambiamento, per quelle ad ore Italiche “ad usum campanae”. I contadini leggevano indistintamente e con gran piacere sia la meridiana che il quadrante a sei ore di cui potevano sentire il suono delle campane a grande distanza, nei campi dove lavoravano dalla mattina alla sera, senza preoccuparsi gran che del mezzogiorno, se non per zittire il proprio stomaco all’ora della fame. In una tale assuefazione e fusione di usanze, tradizioni, usi, abitudini e costumi, verso la fine del XVIII secolo arrivò il grande “usurpatore”, l’orario alla francese, prepotentemente istituito dalle truppe napoleoniche dietro le loro conquiste e altrettanto prepotentemente rigettato, non appena possibile, da quanti amavano le proprie radici storiche. Ma pian piano il sistema “Oltramontano”, usato già da quasi tutti i popoli dell’Europa, eccetto che in Italia, cominciò a mostrare i segni di un miglioramento concettuale e pratico che la vita quotidiana, a forza o a ragione, dovette evidenziare nello svolgimento delle 189
proprie attività. Così gli scienziati italiani cominciarono a dividersi, chi per amor di tradizione, chi per presa ragione, sulla scelta di adottare l’uno o l’altro sistema. L’evidenza, alla fine, ebbe ragione perché quando non vi fu più la prepotenza straniera a comandare che fosse il sistema delle ore astronomiche a prevalere su quelle Italiane, il popolo capì da sé che era giunto il momento di effettuare l’importante cambiamento. Gli stranieri avallarono ed auspicarono che ciò avvenisse fin da subito e chi con poetico savoir faire, chi con astio e pregiudizio, fecero sentire la loro autorevole voce d’oltralpe: così l’astronomo francese J. De Lalande, il viaggiatore C. Marie de La Condamine (il maggiore dei detrattori del sistema Italiano), il poeta Goethe che dopo aver amato ed elogiato tanto l’Italia non potè permettersi di essere drastico come La Condamine. Sotto questa costante e continua pressione, di fronte alla ragionevole evidenza dei vantaggi dell’orario Europeo, soprattutto in considerazione di una evoluzione sociale e tecnologica continua delle nazioni europee, l’adozione dell’ora astronomica era solo questione di tempo. Una volta accettata, dopo l’istituzione dei fusi orari, siamo arrivati all’ora dei nostri giorni. Curiosamente, qualcuno sente ancora molto forte quell’antica tradizione, tanto da aver ripristinato il meccanismo dell’orologio della torre civica con un congegno digitale che fa suonare le campane come i vecchi tempi: “all’italiana”. Ciò è avvenuto nel comune di Martinengo, in provincia di Bergamo, il 25 ottobre del 2003. Molti non lo sanno, ma in qualche luogo forse l’antico orologio a sei ore ancora fa suonare le campane all’italiana, ma chi le ascolta non può capire il significato di un suono ormai dimenticato. E per dirla come Giulio Cordara nel 1783: “Dopo quanto detto sin qui, usi pure ognuno quell’Orologio che più gli piace, ch’io non gliel contrasto...”, e poiché l’orologio francese, ricordando la Rivoluzione, dice “Liberté, Egalité, Fraternité”, usi ognuno quel che gli pare, secondo la propria libertà. 190
APPENDICE CENNI SULLA TEORIA DELLE MACCHINE OROLOGICHE a cura di Marisa Addomine e Daniele Pons Sin dagli inizi dell'orologeria meccanica sono esistiti orologi molto complessi, progettati per indicare le più svariate grandezze astronomiche, ma la maggior parte degli orologi pubblici aveva due sole funzioni: indicare lo scorrere del tempo su un quadrante ed attivare periodicamente una suoneria che indicasse le ore o frazioni di esse a chi non era a portata ottica. Per ottenere questi scopi, gli orologi pubblici sono stati sempre divisi in due o più sezioni, ben distinte tra loro, dotate ognuna di un motore e di un regolatore proprio: il treno del tempo ed il treno della suoneria. La struttura fisica degli orologi più antichi era in ferro battuto, a forma di gabbia: inizialmente, cioè dalle origini al XVII secolo, i due tamburi di carica erano posti uno di seguito all'altro. In Inghilterra, verso il 1670, si studiò una configurazione con i due tamburi affiancati, cosa che permetteva di ottenere meccanismi più compatti. In Italia, comunque, la struttura a treni allineati perdurò, soprattutto nelle produzioni provinciali, sino alla fine del XIX secolo. A partire dal XVIII secolo si fece strada in Francia una struttura detta a telaio orizzontale: essa permetteva di poter accedere per la manutenzione alle singole componenti senza dover smontare l'intero orologio, come si rendeva necessario con la struttura a gabbia. Da questa struttura orizzontale a telaio in ferro derivarono gli orologi del XX secolo, a forma di trapezio, con struttura in ghisa. Treno del Tempo Il treno del tempo ha il compito di muovere la lancetta lungo il quadrante, ad una velocità tale da segnare correttamente l'ora del giorno. La forza motrice viene fornita dal peso Wt che, attraverso la fune, tende a far ruotare il tamburo Tt. Questo è collegato a due ruote: la Ruota Magistra Rm e la piccola ruota R2 che, a sua volta, ingrana la Ruota Oraria Ro, che è direttamente collegata alla lancetta. In questo modo, la rotazione del tamburo provoca il movimento 191
della lancetta, che indica le ore sul quadrante. Negli orologi antichi il quadrante riportava 24 ore, anziché dodici come avviene oggi, quindi la lancetta doveva percorrere un giro al giorno. Il tamburo, per essere efficace, deve compiere un numero di giri maggiore: questo spiega la coppia di ruote dentate R2 ed Ro, che funge da demoltiplica fra il tamburo e la lancetta. In questo esempio, tratto da un orologio esistente e molto antico, R2 ha 15 denti ed Ro ne ha 120: ciò significa che, per effettuare un giro della lancetta, il tamburo deve compierne 120/15 = 8 giri, ossia un giro ogni 3 ore. Da ciò si deduce che, per far durare 24 ore la carica dell'orologio, la fune del peso deve essere avvolta almeno 8 volte. Se il tamburo fosse libero di ruotare sotto il traino del peso, la fune si svolgerebbe in pochi secondi: è, quindi, necessario regolare in qualche modo la rotazione del tamburo stesso, imprimendogli una velocità costante, tale da fargli compiere un giro esattamente nel tempo voluto. Ad effettuare tale regolazione provvede lo scappamento Rs, collegato al pendolo M. Il pendolo oscilla con una frequenza che dipende dalla sua lunghezza e che può essere regolata con grande precisione. La Ruota Magistra Rm è solidale al tamburo Tt e quindi, affinché l'orologio segni correttamente l'ora, deve effettuare un giro ogni 3 ore, ed ha 150 denti, che ingranano il pignone P1, che ne ha 12 ed effettua, quindi 150/12 = 12,5 giri per ogni giro della Ruota Magistra. Il pignone P1, a sua volta, trascina la ruota R1, che ha 60 denti ed ingrana il pignone P2, che ne ha 6 e, quindi, effettua 60/6 giri per ogni giro della ruota R1: ciò significa che il pignone P2 effettua 12,5 x 10 = 125 giri per ogni giro della Ruota Magistra Rm. Poiché questa effettua 1 giro ogni 3 ore, ossia 8 giri nelle 24 ore, il pignone P2 ne effettua 125 x 8 = 1.000 giri al giorno. Il pignone P2 è solidale con la ruota dello scappamento Rs che, quindi, deve compiere anch'essa 1.000 giri al giorno. Poiché la ruota Rs ha 32 perni che ingranano sull'ancora oscillante As, ogni giorno l'ancora viene a contatto con i perni 1.000 x 32 = 32.000 volte. Poiché, come spiegato parlando del treno della suoneria, l'ancora permette lo spostamento di un dente ad ogni semiperiodo del pendolo, il pendolo deve effettuare 16.000 oscillazioni al giorno, ossia un'oscillazione ogni 5,4 secondi. L'azionamento del treno della suoneria avviene tramite il meccanismo di sgancio B1: la Ruota Magistra Rm è dotata di 3 coppie di perni che, impegnando periodicamente l'indice del meccanismo di sgancio, lo fanno ruotare quanto basta a liberare il treno della suoneria. Poiché la Ruota Magistra compie 1 giro ogni tre ore, le coppie di perni provocano lo sgancio del treno della suoneria ogni ora. 192
Nell'esempio, i perni sono a coppie per consentire di battere le ore 2 volte consecutive a qualche minuto di distanza: questa suoneria si chiama "con ribotta" o "alla lombarda". Se esistesse un solo perno, anziché una coppia, l'orologio batterebbe le ore una sola volta. 193
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Treno della Suoneria Il treno della suoneria ha due compiti: battere le ore con rintocchi correttamente cadenzati e batterne un numero corrispondente all'ora segnata dalla lancetta sul quadrante dell'orologio. Anche in questo caso la forza motrice viene fornita dal peso Ws che, attraverso la fune, tende a far ruotare il tamburo Ts. Questo è collegato a due ruote: la Ruota della Suoneria Rs e la piccola ruota R3 che, a sua volta, ingrana la dentatura interna della Ruota Partitora Rp. La Ruota della Suoneria Rs ha 15 pioli che, ruotando, muovono l'asta imperniata M che, tirando una fune, batte il martello della campana. Come per il treno del tempo, se il tamburo fosse libero di ruotare sotto il traino del peso, la fune si svolgerebbe in pochi secondi. Il treno della suoneria, però, non ha funzionamento continuo: il tamburo gira solo quando vengono battute le ore e, per muovere il martello che batte la campana, deve sviluppare una forza maggiore e, dunque, girare più velocemente. Inoltre, pur richiedendo una certa costanza nella velocità, non necessita della precisione del treno del tempo. La regolazione della velocità avviene, perciò, con un meccanismo indipendente dal pendolo: la Ruota della Suoneria Rs ha 75 denti ed ingrana il pignone P3, che ne ha 10 e, quindi, effettua 75/10 = 7,5 giri per ogni giro della ruota Rs. Il pignone P3 è solidale con la ruota R4, che ha 80 denti, che a sua volta ingrana il pignone P4, che ha 8 denti e, quindi, effettua 80/8 = 10 giri per ogni giro della ruota R4. Il pignone P4 è solidale con la ventola V che, quindi, effettua 10 x 7,5 = 75 giri ad ogni giro della Ruota della Suoneria Rs e, quindi, del tamburo Ts. La ventola è formata da un asse cui sono fissate due pale perpendicolari alla direzione della rotazione: queste, ruotando, producono attrito con l'aria e, quindi, fungono da freno aerodinamico, sviluppando una forza contraria alla rotazione stessa. Il rapporto tra la forza sviluppata dal peso che trascina il tamburo e la forza contraria sviluppata dalla ventola determina la velocità alla quale ruota l'intero sistema. La regolazione avviene aumentando o diminuendo la superficie delle pale della ventola. In questo modo è soddisfatta la prima condizione, ossia il corretto cadenzamento dei rintocchi. Il numero dei rintocchi battuti consecutivamente è determinato dalla Ruota Partitora Rp. Questa ha una struttura particolare: un lato della corona circolare è dentato, l'altro ha un certo numero di tacche, 196
dislocate secondo una precisa sequenza. Il lato dentato può essere sia interno che esterno: nel caso di questo orologio i denti sono disposti internamente. Lo sgancio della suoneria B1 possiede due denti D1 e D2: in condizioni di riposo il dente D2 è incastrato in una delle tacche della Partitora e D1 è incastrato in una delle due tacche del cardioide Cs, che è solidale al pignone P3 a sua volta, come già detto, ingranato alla Ruota della Suoneria Rs. Il dente impedisce al cardioide di ruotare, e quindi anche la Ruota della Suoneria viene tenuta ferma. Quando, una volta ogni ora, uno dei perni della Ruota Oraria Ro solleva lo sgancio della suoneria, il dente D1 si disimpegna dalla tacca del cardioide e, quindi, il treno della suoneria inizia a ruotare. Il tamburo, oltre alla Ruota della Suoneria Rs, mette in rotazione anche la Partitora Rp, tramite la piccola ruota R3: ruotando, la Partitora sposta la tacca rispetto al dente D2, che viene mantenuto sollevato dalla circonferenza esterna della Partitora stessa. Quando, durante la rotazione della Partitora, il dente D2 incontra un'altra tacca, lo sgancio della suoneria si riporta in posizione di riposo, ed il dente D1 impegna di nuovo una tacca del cardioide Cs, che viene nuovamente bloccato e, quindi, ferma l'intero treno della suoneria. Poiché la Partitora gira insieme alla Ruota Oraria, è chiaro che il numero di rintocchi che questa batte è proporzionale alla distanza tra le tacche sulla sua circonferenza: dato che la suoneria ha, come detto prima, la ribotta, la Partitora deve essere strutturata per suonare due volte tutte le ore e, quindi, presentare teoricamente 24 tacche. Il meccanismo di sincronizzazione avviene nel seguente modo. La Ruota della Suoneria Rs ha, in questo orologio, 15 perni che muovono il martello, ed altrettanti denti ha la ruota R3 che muove la Partitora Rp: questa, quindi, ruota di un dente ad ogni rintocco, mantenendo lo spostamento delle tacche sulla circonferenza esterna sincronizzato con la sequenza dei rintocchi. Il cardioide Cs, a sua volta, essendo solidale al pignone P3, compie 7.5 giri ad ogni giro della Ruota della Suoneria: poiché ha due tacche opposte, presenta una tacca in corrispondenza del dente D1 per 15 volte ad ogni giro della Ruota della Suoneria, restando anch'esso sincronizzato con la sequenza dei rintocchi. La Partitora deve effettuare un giro completo nelle 12 ore, per consentire al treno della suoneria di battere tutte le ore. Essendo questa una suoneria con ribotta, i rintocchi totali sono 1 + 1 + 2 + 2 +...........+ 11 + 11 + 12 + 12. Facendo la somma, si ottengono 156 rintocchi. Poiché, come abbiamo visto, ad ogni rintocco corrisponde l'avanzamento di un dente, la Partitora deve avere 156 denti. 197
La posizione delle tacche sulla circonferenza della Partitora corrisponde alla sequenza dei rintocchi e, quindi, ad uno dei denti della corona interna: per fare un esempio, la tacca delle 10 si trova 10 denti dopo la tacca delle 9, sempre ricordando che le ore sono ripetute a breve distanza, quindi esistono sempre coppie di tacche alla stessa distanza una dall'altra. Le due tacche che battono l'una sono, quindi, affiancate e formano, insieme alla seconda tacca delle 12, un'unica tacca larga apparentemente come tre tacche normali. Nel caso della suoneria in 6, il ciclo viene completato 4 volte nell'arco della giornata, e le tacche non saranno 11 bensì 5 (sempre pari al numero di colpi massimi meno 1). 198
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Ruota Partitora Tipi Fondamentali di Scappamento Lo scappamento è la parte del meccanismo che media tra la forza traente fornita dal motore ed il freno al movimento provocato dal regolatore, ossia quella che deve far sì che la velocità del treno del tempo sia costante e definita: in breve, deve garantire la regolarità di funzionamento dell'orologio. Sin dall'inizio dell'orologeria meccanica, sono stati realizzati molti tipi di scappamento, alcuni geniali ed altri inutilmente complicati, ma tutti volti a garantire da una parte la precisione, e dall'altra l'isolamento meccanico tra il motore ed il regolatore. L'avvento del pendolo, con le sue oscillazioni ridotte e la grande precisione di oscillazione, poi, ha prodotto la nascita di nuove famiglie di scappamenti, pensati principalmente per la pendoleria e 202
gli orologi da tasca, ma che hanno trovato applicazione anche nelle grandi macchine da torre. Benché anche in queste siano stati realizzati scappamenti di ogni tipo, a volte assolutamente originali, la massima parte degli orologi da torre è dotata di quattro tipi di scappamento: verga, ancora a rinculo, ancora di Graham, chevilles. Lo scappamento a verga è il più antico, e la sua struttura è funzionale alle oscillazioni molto ampie compiute dai regolatori utilizzati sino all'avvento del pendolo, sia che si trattasse di foliot che di bilanceri a corona. Il meccanismo è composto dalla ruota Caterina R e dalla verga a palette V. La ruota Caterina ha forma di corona, con denti di sega appuntiti in numero dispari, ed è collegata alla ruota magistra; la verga è un asse, normale alla ruota R, che porta ad un'estremità il regolatore e sul fianco due palette divaricate P1 e P2. Nella figura si vede il dente d che spinge la paletta P1 che, di conseguenza, ruota la verga; ad un punto della rotazione, il dente scappa dalla paletta, ma la paletta P2 incontra il dente e, al lato opposto della ruota R. La paletta P2, spinta dall'inerzia del regolatore, causa inizialmente un rinculo della ruota R, spingendo contro il dente e. A questo punto, il regolatore è giunto al termine dell'oscillazione e si dispone a muoversi in senso inverso: il dente e preme sulla paletta P2 ed imprime alla verga V una rotazione inversa, dando l'impulso necessario a far invertire l'oscillazione del regolatore. Con l'avvento del pendolo, lo scappamento a verga è stato adattato ai ridotti angoli ed ai più brevi periodi di oscillazione del regolatore; tuttavia, il forte rinculo causato dalle palette è risultato fortemente perturbante nei confronti del pendolo, per cui il sistema è stato quasi totalmente abbandonato a favore degli scappamenti ad ancora. Il primo scappamento ad ancora che si è diffuso sugli orologi da torre è detto ancora a rinculo. L'ancora S, che oscilla sull'asse V collegato al pendolo, riceve un impulso, fornito dal dente a della ruota R, che spinge contro il piano inclinato A; quando il dente ha percorso tutto il piano inclinato, scappa ed il dente b cade in arresto contro il piano inclinato B. A questo punto, a causa del pendolo che termina il periodo di oscillazione, la ruota riceve un rinculo tramite l'accoppiamento b-B, dopo di che il dente b fornisce all'ancora un impulso in senso contrario, l'ancora ruota in senso opposto, invertendo l'oscillazione del pendolo, ed il dente c si arresta contro il piano A, ricevendo un rinculo e ricominciando l'oscillazione inversa. Il rinculo, tuttavia, è deleterio per la regolarità di funzionamento del pendolo che, in teoria, dovrebbe oscillare liberamente e non avere 203
alcuna connessione con gli altri meccanismi. Per eliminare il rinculo, è necessario far sì che, nell'arco supplementare compiuto del regolatore dopo l'arresto del dente, lo scorrimento relativo del dente stesso e del piano inclinato dell'ancora avvengano senza movimento retrogrado della ruota, ossia mantenendo la ruota a riposo. L'ancora di Graham possiede questa caratteristica. Le superfici di riposo s ed e, contro cui si arrestano i denti della ruota R, sono tracciate lungo una circonferenza che ha il centro sul perno di rotazione V dell'ancora S, e che passa per il centro della ruota R e per la punta del primo dente a sopra quello posto a 90 gradi rispetto alla congiungente i due centri. Nella figura, il dente a è a riposo contro la leva d'ingresso e ed il dente c è appena scappato dalla leva di uscita s: i denti della ruota, appoggiati ad una o all'altra leva, restano immobili durante l'arco supplementare del pendolo, eliminando quindi il rinculo. All'oscillazione inversa, il dente a spinge l'ancora, che oscillando scappa ed il dente b cade sulla leva di uscita s, dando poi un impulso in senso contrario. Lo scappamento a chevilles è ancora più semplice e meno critico dell'ancora di Graham, non richiedendo altrettanta precisione nella generazione delle superfici di riposo. Nella figura, la caviglia c appoggia sulla superficie di riposo s, mentre l'ancora oscilla verso sinistra, permettendo alla caviglia di scappare ed alla ruota R di ruotare, sino a che la caviglia successiva b incontra la superficie di riposo e. Giunto al termine dell'arco supplementare, il pendolo si dispone ad invertire l'oscillazione e la caviglia b fornisce una spinta alla superficie e, spingendo l'ancora in senso opposto e, quindi, il pendolo nella nuova direzione. A questo punto, il dente b scappa dalla superficie e, e la caviglia a cade sulla superficie s, ricominciando il ciclo. Si vede come l'arco di rotazione della ruota R è diverso tra la caduta della caviglia su e la caduta su s: per questa marcata asimmetria di rotazione, lo scappamento a chevilles è adatto solo a grandi orologi. 204
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Tipi Fondamentali di Suoneria Come per i regolatori, anche le suonerie sono state, nella storia dell'orologeria, campo di invenzioni e sperimentazioni di ogni genere e foggia, sia per quanto riguarda gli orologi da torre, che per le pendole e gli orologi da tasca. Tuttavia, benché anche in questa raccolta si trovino esempi di suonerie particolari, la massima parte degli orologiai da torre sono rimasti fedeli a due tipologie fondamentali: quella a Ruota Partitora e quella a Chiocciola e Rastrello. Del funzionamento della suoneria a Partitora si è già parlato nel capitolo precedente, portando il caso pratico di un orologio esistente. In generale, benché possano essere cambiate le modalità di sgancio della suoneria da parte del treno del tempo e la cinematica dei leveraggi di sblocco, questo sistema è sopravvissuto inalterato dai primi orologi da torre sino all'inizio del XX secolo, soprattutto in area inglese e germanica. Dal punto di vista meccanico, la Ruota Partitora non deve subire sforzi, ma essere solo l'organo di comando della ripetizione dei 207
tocchi: ciò in quanto non è possibile fissarla troppo rigidamente al proprio asse, dato che deve poter essere smontata per rimetterla a tempo in caso di arresto dell'orologio. Esistono due configurazioni fondamentali di Partitora: quella a tacche esterne e quella a tacche interne. Nel primo caso, lo sgancio ed il relativo moto alternato avvengono tramite una leva imperniata lateralmente e, spesso, solidale al dente di arresto della suoneria. Nel secondo caso, lo sgancio avviene mediante un chiavistello che si alza e si abbassa internamente alla Partitora, comandato da un eccentrico collegato all'asse della Ruota della Suoneria. Il rapporto di trasmissione tra l'asse e l'eccentrico è tale da far compiere un movimento alternativo completo al chiavistello per ogni avanzamento di un dente della Partitora. La Ruota Partitora ha il grande vantaggio di poter comandare suonerie molto complesse senza aumentare la complicazione del meccanismo, consentendo anche di suonare due campane senza la necessità di un secondo treno della suoneria. L'unico limite è il diametro richiesto per poter sistemare lungo la circonferenza tutti i settori e le tacche necessari. Per realizzare una Partitora che suoni le ore in dodici ed i quarti, senza ripetizione delle ore, sono necessari (1 + 2 + 3) x 12 = 72 settoriperiquarti,più1+2+3+......+11+12=78settoriperle ore, per un totale di 150 settori pari a 2,4 gradi di circonferenza: un valore ancora accettabile. Non sarebbe possibile realizzare una singola Partitora che suoni i quarti con la ripetizione delle ore, in quanto servirebbero 78 x 4 + 72 = 384 settori, pari a meno di 1 grado di circonferenza. Per fare un esempio pratico di Partitora complessa, vediamo una suoneria in dodici con ribotta in sei e mezze con doppio rintocco e ripetizione delle ore in sei, su due campane. Questa definizione indica che l'orologio, che ha il quadrante in 12, suonaleoreda1a12,malaribottavienesuonatain6+6ele mezze ore vengono suonate prima battendo le ore in 6 + 6, seguite da un doppio colpo della seconda campana per indicare la mezz'ora. Il cambio di campana viene attuato mediante perni posti sulla corona della Partitora, in corrispondenza delle tacche corrispondenti al doppio tocco delle mezze, che azionano un leveraggio che, a sua volta, trasla i martelli delle due campane, disimpegnando dalla Ruota della Suoneria quello delle ore ed impegnando quello delle mezze. Un ulteriore meccanismo ad eccentrico provvede, prima dello scoccare dell'ora successiva, a riportare i martelli nella posizione iniziale. A fronte di una rimarchevole semplicità di progetto e realizzazione, la Ruota Partitora presenta due importanti difetti: l'impossibilità di 208
ripetere le ore senza moltiplicare i settori totali per il numero delle ripetizioni e la necessità di disimpegnarla dal treno della suoneria e ruotarla manualmente per rimettere la suoneria in fase con il quadrante dopo un fermo dell'orologio. Questi difetti sono stati completamente superati dalla suoneria a Chiocciola e Rastrello, che ha la caratteristica di suonare sempre le ore indicate dalla lancetta sul quadrante, in qualunque momento durante lo scorrere dell'ora e di seguire automaticamente l'eventuale aggiustaggio della lancetta. Per contro, non è possibile realizzare suonerie complesse come quella descritta prima, se non moltiplicando il numero di Chiocciole e Rastrelli, e conseguentemente di treni della suoneria. Negli orologi piani prodotti dall'ultimo quarto del XIX secolo, le mezze ore sono ottenute, molto spesso, ponendo dei perni direttamente sulla Ruota Magistra, in numero pari al doppio delle ore in cui la ruota compie una rivoluzione. Ovviamente, poiché la sequenza dei martelli delle campane è completamente separata dalla sequenza del Rastrello, risulta molto più semplice applicare agli orologi suonerie complesse, sino a giungere a grandi carillon a più motivi, senza aumentare significativamente la complicazione meccanica. Per contro, la suoneria a Chiocciola e Rastrello è più complessa della suoneria a Ruota Partitora, e richiede una fase di preparazione, precedente all'attivazione della sequenza vera e propria. Il rastrello R è costituito da un settore di corona circolare, che può ruotare intorno al proprio centro Ro, solidale con un prolungamento del raggio, terminante in una caviglia Rc. Sul rastrello sono incisi almeno 13 denti di sega uguali tra loro. La caviglia è tenuta premuta, per gravità o tramite una molla, contro la chiocciola C, imperniata su un asse che compie una rotazione ogni 12 ore. La chiocciola ha la forma di una spirale a 12 gradini, che si allontanano dal centro di una distanza fissa, ognuno occupante lo stesso angolo di 30 gradi. La distanza tra un gradino e l'altro è tale che, cambiando il gradino di appoggio, la caviglia Rc fa ruotare il rastrello esattamente di un dente. La posizione della chiocciola C è tale che, in corrispondenza di ogni cambio d'ora, la caviglia scende di un gradino, sino a giungere al più interno allo scoccare delle 12. Il rastrello R è trattenuto da un arpione Ar, che si diparte dalla leva La, che a sua volta riposa, all'estremo opposto rispetto alla propria cerniera, sull'estremità superiore della leva angolare Ls. La stessa estremità porta un dente di arresto posteriore che, quando la leva Ls è a riposo, impedisce la rotazione della ruota Rs, facente parte del treno della suoneria, bloccandone il piolo P1: tale piolo aziona, quando la ruota è libera, la leva collegata al martello della suoneria. 209
La ruota Rt, collegata al treno del tempo, ha un piolo P2 che, poco prima dell'attivazione della suoneria, solleva la leva Ls che, a sua volta, libera l'arpione Ar che lascia cadere il rastrello sino a che la caviglia Rc si appoggia alla chiocciola C, causandone una rotazione pari a tanti denti quante sono le ore da suonare. La ruota Rp, sincrona alla ruota Rt, porta coassialmente un rocchetto ad un dente P, detto pescatore, che ingrana nei denti del rastrello: ad ogni giro della ruota, il pescatore solleva il rastrello di un dente, mentre l'arpione Ar provvede, incastrandosi nel dente, ad impedire la ricaduta del rastrello. Poiché ad ogni giro del pescatore P corrisponde un giro della ruota Rt, quindi un colpo di martello, ne consegue che ad ogni dente del rastrello corrisponde un tocco di campana: dato che il rastrello è caduto di tanti denti quante sono le ore, si ottiene che la suoneria batta sempre tanti colpi quante sono le ore indicate sul quadrante. Quando il rastrello è completamente risalito, una caviglia posta alla sua estremità blocca il pescatore P, che a sua volta ferma la ruota Rp, la ruota Rt e, in conclusione, il treno della suoneria, riportando il sistema alla posizione iniziale. La rotazione della chiocciola può avvenire sia per calettamento diretto sull'asse delle ore, sia in modo disaccoppiato, tramite la stella A, coassiale e direttamente accoppiata alla chiocciola. La stella viene spinta da un piolo P3 calettato sulla ruota Rs che, essendo collegata con rapporto 1:1 alla ruota Rt, compie un giro ogni ora. Il piolo, tuttavia, non riesce a far compiere alla stella tutta la necessaria rotazione di 30 gradi ma, una volta che l'altra punta della stella ha superato l'angolo del salterello F, questo, che è premuto verso l'alto da una molla, provvede a far completare la rotazione alla stella. Quello descritto è il funzionamento del tipo più semplice di suoneria a Chiocciola e Rastrello. Nel tempo, sono state realizzate molte variazioni sul tema, anche con soluzioni ingegnose e complesse, ma il principio di funzionamento non si discosta da quello originale. 210
Rastrello 211
Rastrello Articolo estratto dal Catalogo del Museo Arte Tempo di Clusone, ed. Skira, per cortese concessione degli autori. 212
ELENCO DEGLI OROLOGI A SEI ORE (in ordine alfabetico per comuni) Sono elencati solo gli orologi che mostrano un quadrante a sei ore che sia ancora visibile e riconoscibile. Si è fatta unica eccezione per l’orologio del Collegio Romano il quale, sebbene non mostri alcun segno, è stato tra i più importanti orologi a sei ore di Roma. 1. Acerenza (PZ) 2. Acquafondata (FR) 3. Allumiere (RM) 4. Amelia (Terni) 5. Ancona 6. Ancora, Abbazia di Chiaravalle 7. Arpino (FR) 8. Arrone (TR) 9. Avella (AV) fraz. Purgatorio 10. Borgo Velino (Rieti) 11. Brisighella (RA) 12. Calcara (BO) 13. Calcata (VT), Torre 14. Campagnano (Roma) 15. Cancellara (Potenza) 16. Capena (RM) 17. Caprarola (VT) 18. Casperia (RI) 19. Castel Gandolfo (RM), Palazzo Pontificio 20. Castel San Niccolò (AR) 21. Castro dei Volsci (FR) 22. Certeveteri (RM) Torre civica 23. Certeveteri (RM) Torre civica 24. Cesa (CE) 25. Città Ducale (Rieti) Fraz. S. Rufina, chiesa 26. Collalto Sabino (RI) 27. Collepardo (FR), Certosa di Trisulti 28. Collepardo (FR), Chiesa di S. Salvatore 29. Collescipoli (Terni) 30. Falconara Marittima (AN) Fortezza Rocca Priora 31. Fano (PS) 213
32. Firenze, chiostro nei perssi del Campanile di Giotto 33. Fontecchio (AQ) 34. Forli del Sannio (IS), 35. Frascati (RM) Cattedrale S. Pietro 36. Frascati (RM) Cattedrale S. Pietro (secondo quadrante) 37. Fumone (FR) 38. Loreto (AN) 39. Mercato S. Severino (SA) 40. Monte San Martino (MC) 41. Montecatini alto (PT) 42. Monte Porzio Catone (Roma) 43. Monte Porzio Catone (Villa Lucidi) 44. Montevettolini (PT) 45. Napoli, Basilica S. Maria della Sanità 46. Napoli, Certosa di San Martino 47. Napoli, Chiesa dei Gerolamini 48. Napoli, Chiesa di S. Maria del Soccorso all’Arenella 49. Napoli, Chiesa Santa Maria di Montesanto 50. Napoli, Complesso Spirito Santo, 51. Napoli, Università Federico II, cortile 52. Napoli, Capri, Anacapri, Chiesa di Santa Sofia 53. Napoli, Sant’Agata dei Due Golfi (NA). 54. Orciano di Pesaro 55. Perugia 56. Prossedi (LT) 57. Rignano sull’Arno (FI) 58. Roma, Basilica di San Pietro (interno) 59. Roma, Chiesa di S. Maria dell’Orto in Trastevere 60. Roma, Collegio Romano 61. Roma, Conv. Minimi S. Francesco di Paola 62. Roma, Ospedale di S. Spirito, Palazzo del Commendatore 63. Roma, Palazzo Rondinini al Corso 64. Roma, Quirinale 65. Roma, S. Maria di Galeria, borgo. Casale Celsano (1°) 66. Roma, S. Maria di Galeria, borgo. Casale Celsano (2°) 67. Roma, Università cattolica del Sacro Cuore, chiesa 68. San Felice Circeo (LT) 214
69. San Gemini (TR) 70. San Severino Marche (MC) 71. Sarno (SA), Santuario S. Francesco 72. Segni (RM) 73. Subiaco (RM) Torre Abbaziale (primo quadrante) 74. Subiaco (RM) Torre Abbaziale (secondo quadrante) 75. Subiaco (RM), Cattedrale 76. Sutri (VT) 77. Tolentino (MC) 78. Torre Orsina (TR) 79. Urbino, Calduca di Urbino 80. Veroli (FR), Chiesa S. Andrea (orologio interno) 81. Vico nel Lazio (FR) 82. Villa Santo Stefano (FR) 83. Vilminore (BG), Fraz. Pianezza Nella figura si vede una straordinaria rappresentazione dell’orologio a sei ore, artisticamente eseguito con i resti di ossa umane, nella Cripta dei Cappuccini, Chiesa dell’Immacolata in Via V. Veneto, 27, presso i Frati Cappuccini in Roma. Fino al 1870 in questa cripta vi furono sepolti i frati Cappuccini. Dalla metà del 1700 l’ossario venne trasformato in un’opera d’arte come si vede 215
adesso. Il quadrante a VI ore, con la singola sfera centrale, non funzionante, è da intendere, ovviamente, come in una rappresenta- zione filosofica del tempo, insieme ad altri disegni simili di strumenti per la misura del tempo, come la clessidra. Ma esso testimonia anche l’uso comune dell’orologio meccanico ad ore Italiane nel periodo in cui l’ossario fu trasformato. Un orologio a sei ore in una località toscana non identificata L’OROLOGIO A SEI ORE DI VEROLI A Veroli, in provincia di Frosinone, esiste un esemplare di orologio a sei ore forse unico in Italia, almeno nella sua tipologia stilistica barocca. Si tratta di un orologio per interno, di quelli utilizzati dai canonici per il richiamo dei propri uffici religiosi. Di questa tipologia ne esiste forse un altro di grande importanza per la sua collocazione, ed è quello che si trova dentro la basilica di San Pietro a Roma, sebbene lo stile sia diverso. Questo di Veroli è un esemplare concepito in pieno stile barocco. Il quadrante è semplice, con i numeri romani da I a VI, i gigli per i quarti e i punti per le suddivisioni interne. La lancia è davvero singolare in quanto è stata forgiata a forma di pesce squamato, con tanto di testa, pinne e coda! Il quadrante è sorretto da due angioletti o amorini in una pregevole e graziosa cornice di stucco in gran stile barocco. Si trova nell’angolo alto della navata centrale dietro al palco che 216
ospita il grande organo a canne, in un angolo piuttosto buio della chiesa. Forse un tempo era illuminato, in quanto la luce del sole che penetra dal grande rosone non può arrivare ad illuminare il quadrante in modo diretto il quale resta piuttosto in ombra e la lettura non è certamente agevolata e facile. Tutte le foto sono di Nicola Severino. In alto, in semi buio, si scorge il quadrante sorretto dagli amorini. 217
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Dettaglio del quadrante e la lancia a forma di pesce 219
TIPOLOGIE DELLA SFERA NEGLI OROLOGI A SEI ORE iporto qui di seguito una carrellata di piccole immagini che i d una lavorazione artistica rilevante, iù R rendolo l’idea delle forme che ha assunto nel tempo la sfera indicante le ore negli orologi ad ora italica con numerazione romana da I a VI. Si può vedere che esistettero alcune tipologie che probabilmente furono in voga durante il periodo in cui questo tipo di orologio si sviluppò: la più semplice, per esempio la freccia stilizzata, o una semplice lancetta senza decorazioni, forse può essere il modello primitivo, come testimoniato anche dall’orologio di S. Maria dell’Orto in Trastevere, sebbene il modello decorativo proposto da Borromini fosse molto più complesso, essendo costituito da un cuore, una freccia che lo attraversa e da un sole raggiante. Un altro modello che ebbe successo, ritrovandosi in divers esemplari, è quello della sfera centrale costituita da un sole raggiante e da una freccia di ferro battuto ed artisticamente lavorata. Di epoca più tarda forse sono le sfere costituite da una freccia composta da una mezzaluna nella parte posteriore, da una sfera centrale e dalla freccia. Tra i modelli più utilizzati però vi è il sole raggiante centrale da cui parte una freccia che indica l’ora. In diversi casi si assiste a sia nell’arte del ferro battuto ad intrecci di tipo arabo- bizantino, sia nella stilizzazione zoomorfa, come il corpo del serpente che avvolgendosi attorno al centro dell’orologio forma il cerchio centrale in cui è imperniata la sfera stessa. La sfera dell’orologio di Veroli è sicuramente tra le p curiose ed insolite (si veda l’immagine in dettaglio a pag. 222). 220
Le immagini delle d ni storiche di Borromini SFERE SEMPLICI COSTITUITE DA UNA FRECCIA ecorazio SFERE CON SOLE RAGGIANTE CENTRALE E FRECCIA Immagine storica SFERE CON CORPO CENTRALE SF RICO E FRECCIA E 221
Immagine storica SFERE CON MEZZALUNA POSTERIORE SFERE LAVORATE A FORMA DI SERPENTE E ZOOMORFE Immagine storica Qui affianco, una sfera dorata lavorata artisticamente in modo diverso. L’INSOLITA SFERA DELL’OROLOGIO A SEI ORE DI VEROLI 222
Bibliografia Arnaldi Mario, Le Ore Italiane. Origine e declino di uno dei più importanti sistemi orari del passato (in due parti), in Gnomonica Italiana, n. 11, luglio 2006 e n. 12, maggio 2007 Brusa Giuseppe, Origine e sviluppi del computo delle ore all'italiana, La voce di Hora, n. 1, Dicembre 1995 Cagnoli A. De’ due Orologi Italiano e francese, Venezia, 1787; Cancellieri F. Le due nuove campane del Campidoglio, Roma, 1806 Caravelli Vito, Trattato d’astronomia, Napoli, 1782 Catamo Mario, Proietti Fiorella, L’evoluzione della misura oraria del tempo e le Meridiane di Civita Castellana, Civita Castellana, 2008 Cintio Alberto, Le meridiane delle Marche, Andrea Livi Editore, Fermo, 1999 Colomboni A. Prattica Gnomonica, Bologna, 1669 Coppola Antonio, Orologi solari e meridiane a Napoli, Arte Tipografica Editrice, Napoli, 2002 Cordara Giulio, De' vantaggi dell'orologio Italiano sopra l'oltramontano, Alessandria, 1783 Figatelli G.M., Retta Linea Gnomonica, Modena, 1675 Gilii F.L . Memoria sul regolamento dell’orologio Italiano colla Meridiana, Roma, 1805 Martinelli Domenico, Horologi elementari, Pisis, 1669 Mella F.A ., La misura del tempo nel tempo, Hoepli, 1990 pag. 69. Romano P., Orologi di Roma, Anonima Romana Stampa, 1944 Piazzi G., Sull’orologio Italiano ed europeo, riflessioni, Palermo, 1798 Quadri L. Tavole per regolare di giorno in giorno gli Orologi a ruote, Bologna 1736 Riccioli G.B. Almagestum Novum, Bologna, 1651 Righi Renzo, Il Sole e il tempo una storia sospesa nel cielo, Calendario anno 2002, Centroffset, 2002 Severino Nicola, Le ore italiche...perdute, Orione, 1990 Severino Nicola, Italico o Francese?, in Pegaso, rivista dell’Associazione Astronomica Umbra, agosto 1992 Simoni A. Orologi Italiani dal Cinquecento all'Ottocento, 1965 Vito Ranieri, Orologi Solari della Provincia di Latina, ed. CD-R 2003 Anonimo, Confronto dell’ore all’uso comune d’Europa con l’ore all’uso d’Italia esposto in dodici tavole, Firenze, 1750 Effemeridi Letterarie di Roma, Roma 1790 223
Subiaco. Torre Abbaziale. Foto di Valeria Procaccianti 224
La meridiana di Fiuggi, realizzata dopo l’abbandono dell’antico sistema Italiano, riporta, come molte altre, la dicitura “ORARIO EUROPEO”. Foto di N. Severino del 1989, prima del recente restauro. 225