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                    Pitaqora
 GENI
 della
 MATEMATICA


Il teorema più famoso della matematica classica Pitagora RBA
MARCOS JAÉN SÁNCHEZ è giornalista e divulgatore. I Geni della matematica Pubblicazione periodica settimanale Anno I - Numero 19 - Milano, 14 settembre 2017 Edita da RBA Italia Via Gustavo Fara, 35 - 20124 Milano Responsabile editoriale: Anna Franchini Responsabile marketing: Tiziana Mandameli Direttore responsabile: Stefano Mammini ©2012 Marcos Jaén Sánchez per il testo ©2016 RBA Coleccionables, S.A. © 2017 RBA Italia S.r.l. per la presente edizione Impaginazione e adattamento: Lesteia, Milano Copertina: Lorenç Marti Progetto pagine interne: Luz de la Mora Infografìca: Joan Pejoan Crediti fotografici: Album, Age Fotostock, Index, Scala Registrazione presso il Tribunale di Milano n. 286 del 24/11/2016 Iscrizione al ROC n. 16647 in data 1/03/2008 ISSN 2531-890X Distributore per l’Italia: Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) PI. Spa Sped, in abb. post. DL 353/2003 legge del 27/04/04 n. 46 art. 1 Stampato nel 2017 presso LIBERDUPLEX Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o diffusa senza il consenso dell’editore.
Sommario INTRODUZIONE 7 CAPITOL01 Realtà e mito di Pitagora 15 CAPITOLO 2 II teorema 33 CAPITOLO 3 La setta dei pitagorici 6i CAPITOLO 4 Un universo basato sul numero 77 CAPITOLO 5 L’armonia del cosmo 107 CAPITOLO 6 II fallimento dell’aritmetica universale 127 CAPITOLO 7 Pitagorici e neopitagorici 145 LETTURE CONSIGLIATE 163 INDICE 165
Introduzione Gli studi che si sono occupati di Pitagora si sono sempre dibattuti tra l’ammirazione e il sospetto. Col passare dei secoli la filosofia, la filologia classica e la storia della scienza, desiderose di mante¬ nere pura una visione dell’antica Grecia come origine del pensiero logico moderno, hanno escluso alcuni aspetti del mondo greco perché considerati superstizioni. Tuttavia, le evidenze che con¬ traddicevano questa concezione solida e lineare di una Grecia classica razionalista esistevano fin dall’Antichità, e si affacciavano timidamente nelle opere di alcuni autori. A poco a poco questa visione alternativa si è fatta strada e oggigiorno è possibile profi¬ lare un quadro molto più complesso dello spazio intellettuale abi¬ tato dagli antichi greci. D pensiero della Grecia arcaica e classica fu il risultato di un insieme di elementi che includevano il misticismo e la religione, una combinazione difficile da comprendere per la mentalità con¬ temporanea, modellata sulla base della tradizione positivista dell’Illuminismo. Pitagora di Samo è indubbiamente l’esempio più rappresentativo di questa complessità. Per molto tempo, la sua personalità è stata considerata unicamente per la sua dimensione di genio matematico. Sotto quella prospettiva, un’approssima¬ zione più dettagliata gettava il curioso in un labirinto di scomode zone d’ombra. Ora come ora, la maniera migliore di avvicinarsi al suo personaggio è quella di considerare tutti gli strati che compon- 7
gono la sua identità in maniera indissociabile: Pitagora mago e matematico, uomo dalla conoscenza razionale e irrazionale allo stesso tempo. D contributo del saggio di Samo si sviluppò nell’ambito della religione greca. La concezione più popolare di questa religione coincide con l’idea del pantheon degli dei che ha riempito di icone la narrativa occidentale. In realtà, gli dei dell’Olimpo sono solo uno strato successivo; prima di esso si trova una superficie più antica, che ha a che vedere con il mondo sotterraneo e il miste¬ rico. Fin dall’epoca arcaica, i greci erano in contatto con popoli come i traci o gli sciiti, che li influenzarono fortemente. Pitagora emerse in questo mondo ed estese la sua magnifica ombra di uomo religioso allo stesso tempo coinvolto nella riflessione scientifica nel mondo greco. L’ambivalenza di Pitagora è la prova evidente che non si può separare l’origine della filosofia (parola che si crede, erroneamente, sia stata inventata da Pitagora) dalla reli¬ gione greca. Per i greci, l’ispirazione dell’intelletto era divina. I poeti e i saggi dell’antica Grecia erano vicini agli dei così come i profeti e i sacerdoti. Pitagora fu elevato a una categoria divina e, difatti, è la prima figura di uomo-divinità conosciuta nel mondo occidentale, che riuscì a riunire attorno a sé una setta di seguaci che aderirono alla sua dottrina. Al contrario di quello che sospettano alcune voci, non c’è nes¬ sun dubbio sull’esistenza reale di Pitagora. Visse approssimativa¬ mente tra gli anni 570 e 490 a.C. ed è addirittura possibile considerare autentiche diverse date della sua biografia. Esistono prove sufficienti del suo passaggio alla sfera pubblica, verso i qua¬ rantanni, quando fuggì da Samo - un’isola del Mar Egeo molto vicina all’Asia Minore - per scappare dal tiranno Policrate. At¬ torno all’anno 530 a.C. si stabilì nella colonia greca di Crotone, in Magna Grecia, dove organizzò una setta religiosa e s’inserì in ma¬ niera attiva in politica, riuscendo a espandere la sua fratellanza e la sua influenza in tutto il sud Italia. Invece, per quanto riguarda la sua data di nascita, i suoi viaggi e la sua formazione, tutto fa parte della leggenda, una leggenda composta dagli elementi mitici carat¬ teristici del suo mondo e del suo tempo. È molto difficile ricostru¬ ire in maniera rigorosa, nel senso in cui siamo abituati oggigiorno, 8 INTRODUZIONE
il corpo delle conoscenze dell’antico pitagorismo, ma, nonostante la densità degli strati che lo caratterizzano, la fama del maestro come scienziato permane. Alcune tradizioni lo considerano il padre di diverse discipline del sapere, come la matematica, l’astro¬ nomia, la politica e la filosofia. Gli si attribuiscono così tante in¬ venzioni, in ambiti tanto differenti, in qualità di autentico scopritore della sapienza umana, che si è convertito in una specie di simbolo della scienza e del progresso. Incontriamo la sua im¬ pronta non solo nella scienza ma anche nella musica, nella reto¬ rica, nella divinazione, nella medicina e nella religione. Pitagora acquisì la sua dimensione filosofica e scientifica per mezzo di Platone e Aristotele: fu grazie a loro che cominciò a eser¬ citare un’influenza incommensurabile, che si è prolungata durante tutta la storia del pensiero. Il Pitagora filosofo-scienziato si può riassumere in due grandi idee: l’immortalità deU’anima e il con¬ cetto che l’universo si può capire attraverso il numero e la propor¬ zione. Tutti gli indizi portano ad associare Pitagora con la prima questione, di carattere più religioso, e relegano la seconda, più scientifica, a tempi posteriori, attribuendola ai pitagorici più fa¬ mosi, Filolao e Archita, anche se è possibile che il nucleo essen¬ ziale di questa idea provenisse dai primi tempi del pitagorismo e che entrambe le idee fossero state enunciate dal maestro. Per Pitagora la contemplazione, un termine originariamente mistico, era un’attività intellettuale che sfociava in una forma di pensiero astratto e puro, che oggi conosciamo come la scienza della matematica, sulla quale basava la sua dottrina teologica, etica e filosofica. Se questo miscuglio sembra strano, ha senso ri¬ cordare che la maggior parte delle attuali discipline scientifiche fu in origine strettamente vincolata a insiemi di credenze che sono state ormai relegate allo status di superstizione. Ad esempio, l’a¬ stronomia era associata aU’astrologia, la chimica all’alchimia. Agli inizi, la conoscenza matematica sembrava essere sicura, esatta e applicabile alla realtà e, inoltre, si acquisiva solo attraverso il pen¬ siero, senza bisogno dell’osservazione. Così i pitagorici credettero che la matematica fornisse un ideale dal quale la conoscenza em¬ pirica si distanziava molto. Si supponeva che il pensiero fosse superiore ai sensi, così come l’intuizione all’osservazione. INTRODUZIONE 9
Si cercavano metodi differenti per avvicinarsi all’ideale matema¬ tico, anche se le conclusioni che vennero tratte da esso causarono molti errori, sia nella metafìsica, sia nella teoria della conoscenza. Pitagora scoprì l’importanza dei numeri. A lui si attribuisce l’affermazione «tutto è numero». Le proprietà dei numeri, soprat¬ tutto nel momento in cui si combinano tra loro, meravigliarono così tanto i pitagorici che essi finirono per dedicare la maggior parte del proprio sforzo scientifico a ricercare in ogni dove analo¬ gie tra i numeri e le cose. Formule come 1 + 3 + 5+... + (2n-l) = n2, che mostra che i quadrati si possono formare come somma dei numeri dispari successivi, sembravano loro un’espressione pura del divino. Così i pitagorici si dedicarono a categorizzare i numeri, stabilendo complesse divisioni e dando loro un significato morale. Il saggio di Samo immaginava i numeri come figure, così come appaiono sulle facce dei dadi o nelle carte. Il pitagorismo si con¬ centrò sui numeri oblunghi, triangolari, piramidali e molti altri di cui parleremo nelle prossime pagine; si tratta di denominazioni in relazione con i ciottoli che usavano per disegnare queste figure. Probabilmente il maestro credeva che il mondo fosse composto di particelle equivalenti a ciò che più tardi prenderà il nome di atomo, e che i corpi fossero costituiti da questi elementi, disposti in forme armoniche. In questo modo, l’aritmetica si convertiva nella base e nel nesso tra la fisica e l’estetica. I principi numerici fornirono le fondamenta su cui Pitagora basò la sua filosofia, una filosofia completa, di ambito universale, che impiegava il concetto di armonia musicale e matematica, per far danzare tutta la realtà, inclusi gli astri, al suono di una musica matematica. Nella cosmologia del saggio di Samo (basata in parte su quella di Anassimandro di Mileto che visse un secolo prima) i corpi celesti erano distanziati da un cosiddetto fuoco centrale, in intervalli che corrispondevano a quelli di un’ottava della scala mu¬ sicale. Per questo motivo i movimenti circolari dei corpi celesti producevano una musica: l’armonia delle sfere. Questa musica an¬ dava oltre la capacità dell’udito umano ma, secondo la leggenda, Pitagora riusciva ad ascoltarla Chiari segni della relazione che il maestro stabilì tra la musica e l’aritmetica sopravvivono nei ter¬ mini matematici media armonica e progressione armonica. io INTRODUZIONE
Probabilmente, la più grande scoperta di Pitagora o dei suoi discepoli più vicini fu il celeberrimo teorema geometrico che porta il suo nome. La tradizione gliene attribuisce la paternità, anche se fu un risultato cui arrivarono molte culture in modo indipendente. Il teorema di Pitagora è il famoso enunciato dei triangoli rettangoli, che stabilisce che la somma dei quadrati dei cateti è uguale al quadrato dell’ipotenusa. Gli egizi sapevano già che un triangolo i cui lati misurano 3, 4 e 5 possiede un angolo retto, ma furono forse i greci a osservare che 32 + 42 = 52 e, ana¬ lizzando quest’idea, i primi a scoprire una prova della proposi¬ zione generale. Sfortunatamente per i pitagorici questo teorema condusse alla scoperta di un tipo di numero che mise in crisi la loro filosofia. Consideriamo un triangolo rettangolo isoscele con i cateti di va¬ lore 1. Secondo il teorema, l’ipotenusa vale >/2 , un numero che non si può rappresentare con frazioni di numeri interi. Questo si¬ gnifica che non esiste una forma aritmeticamente semplice di de¬ terminare quante volte il cateto è contenuto nell’ipotenusa. Si dice che i cateti e l’ipotenusa di un triangolo con queste caratteristiche siano incommensurabili tra loro, e che, come tali, siano incompa¬ tibili con rarmonioso universo numerico che predicava Pitagora, in cui i numeri si contenevano uno nell’altro in maniera esatta e misurabile. Questo fatto convinse i matematici greci che la geome¬ tria si dovesse dimostrare indipendentemente dall’aritmetica. La combinazione di magia e matematica che nacque con Pita¬ gora segnò la filosofia e la religione nell’antica Grecia, nel Medio¬ evo e nei tempi moderni, fino a Kant. In Sant’Agostino, Tommaso d’Aquino, Cartesio, Spinoza e Leibniz, troviamo una fusione intima tra religione e ragionamento, fra aspirazione morale e ammira¬ zione logica per l’eterno, che deriva da Pitagora e che distingue la teologia intellettualizzata d’Europa dal misticismo asiatico. Per questo motivo vale la pena tentare di descrivere il saggio di Samo sotto questa luce, al confine tra la filosofia, la scienza, la religione e la leggenda. Perché quello che durante qualche tempo fu consi¬ derato conflittuale, è oggi fonte di chiarezza e, attualmente, com¬ prendere questo personaggio in tutta la sua ambiguità è imprescindibile per interpretare in modo corretto l’istante più cri- INTRODUZIONE 11
tico della storia del pensiero: il momento della sua fondazione. La lezione non consiste solo nell’apprendere e nell’accettare l’am- bivalenza e la complessità, ma anche nello scoprire che questo atteggiamento sembra moderno ma non lo è: al contrario, è l’espe¬ rienza umana originaria. 12 INTRODUZIONE
570 a.C. Pitagora nasce nell’Isola di Samo (Ionia). Senofane di Colofone fonda in Elea (nel sud dell’Italia) una scuola filosofica. 550 a.C. Data approssimativa dell’inizio dei viaggi d’apprendistato attribuiti a Pitagora che si estendono per dieci anni. 490 a.C. Possibile morte di Pitagora nella città di Metaponto, vicino a Crotone, dove sarebbe fuggito dopo la rivolta. 470 a.C. Nasce Filolao di Crotone, che riprende e riordina le dottrine pitagoriche. Si ritiene che scrisse tre libri utilizzati più tardi da Platone. 540 a.C. Alcune tradizioni ritengono che fu in questo periodo che Pitagora fondò a Samo una piccola scuola chiamata Semicerchio, per trasmettere ciò che aveva imparato nei suoi precedenti viaggi. 535 a.C. Policrate assume il potere come tiranno di Samo. 530 a.C. Pitagora abbandona la sua isola natale per stabilirsi nella colonia greca di Crotone, nella Magna Grecia. I pitagorici estendono la loro influenza nell’Italia meridionale, formando comunità in diverse città. L’importanza di Crotone si associa al potere politico ostentato dai pitagorici. 510 a.C. Crotone perde contro Sibari, sua città rivale. Nella stessa epoca ha luogo la rivolta antipitagorica che ha come risultato la caduta della setta. 427 a.C. Ad Atene nasce Platone. 420 a.C. Non più tardi di questa data i pitagorici (forse Ippaso di Metaponto) scoprono 1’esistenza dei numeri incommensurabili. 435 a.C. Nasce Archita di Taranto, discepolo di Filolao e amico di Platone, che rifonderà il pitagorismo in un’interpretazione strettamente scientifica. 387 a.C. Platone fonda l’Accademia. La sua opera riprende e reinterpreta le teorie centrali del pitagorismo. 384 a.C. Nasce Aristotele, che esporrà e criticherà il pitagorismo nel quinto capitolo della Metafisica. 300 a.C. Nasce Euclide di Alessandria, che compilerà e sistematizzerà la geometria elementare greca in un’opera fondamentale per lo sviluppo della matematica e della scienza, gli Elementi di geometria. INTRODUZIONE 13
CAPITOLO 1 Realtà e mito di Pitagora L’interpretazione storica della figura di Pitagora è offuscata dal mito. La mancanza di informazioni precise sulla sua vita si deve probabilmente al segreto che circondava la sua setta; un vuoto che la tradizione si incaricò di riempire con l’affabulazione letteraria, costruendo così un personaggio appassionante ma indecifrabile. Nonostante ciò, possediamo alcuni dati che si possono considerare certi, e che permettono di ricreare il processo che convertì un filosofo-sacerdote proveniente da Samo nel mito stesso del saggio.
La figura di Pitagora di Samo è registrata nella memoria collettiva come quella del padre della più esatta delle scienze, la matema¬ tica, e di un’infinità di altre discipline: la musica, la medicina, l’astronomia, la geometria e perfino la filosofia, e la parola stessa che la denomina. La sua biografia però, o meglio, la moltitudine di biografie arrivateci negli anni, che confluiscono nel corpo tra¬ dizionale di conoscenze riguardanti il saggio, sono dense di ingre¬ dienti leggendari e magici. Gli elementi che compongono la leggenda di Pitagora sono quelli tipici di una certa categoria di mito, quelli del saggio di carattere divino, e la maggior parte di essi si può ritrovare nelle biografie di altri filosofi presocratici, come Parmenide di Elea (540- ca. 470 a.C.) o Empedocle di Agrigento (495- ca. 425 a.C.). Ciò nonostante, la tradizione pitagorica continuò ad aggiungere a questo sostrato altri livelli sovrapposti, convertendo così Pita¬ gora nel prototipo del saggio creatore di tutto il sapere umano. Pitagora visse approssimativamente tra gli anni 570 e 490 a.C. e la sua vita trascorse agli estremi dell’ampio raggio geo¬ grafico dell’antica Grecia: l’Isola di Samo, sulla costa dell’Asia Minore, e la città di Crotone, a sud dell’Italia. C’è da dire che queste coordinate sono le stesse che determinano le biografie di altri pensatori meglio referenziati, o addirittura ben docu¬ mentati; difatti corrispondono esattamente con la zona dove si REALTÀ E MITO DI PITAGORA 17
Mappa in cui appaiono Atene, Mileto e le principali città in relazione con la biografia di Pitagora: Samo, dove nacque; Crotone, dove sviluppò la parte più pubblica della sua vita e Metaponto, che secondo la tradizione, è il luogo dove mori. originò il pensiero greco antico, e, con esso, la filosofia. Samo era una città prossima a Mileto, l’epicentro della scuola ionica, guidata da Talete (624-ca. 546 a.C.) e Anassimandro (610-ca. 546 a.C.), mentre l’Italia meridionale è il luogo dove fiorì la scuola eleatica di Parmenide ed Empedocle. Questi quattro pensatori, ed entrambe le aree geografiche, furono capitali nello sviluppo della filosofia presocratica. ORIGINE E FORMAZIONE La tradizione vuole che il padre di Pitagora fosse un uomo ab¬ biente chiamato Mnesarco, forse un commerciante, che proveni¬ va dall’Isola di Samo, da una famiglia forse imparentata con il fondatore della colonia, il mitico Anceo. Samo era la rivale com¬ merciale di Mileto e le spedizioni dei suoi commercianti com¬ prendevano tutto il Mediterraneo, fino alla regione di Tartesso, nel sud della Spagna, zona famosa per le sue miniere. Il governa¬ tore di Samo era un tiranno, chiamato Policrate (570-ca. 522 a.C.), che dominò l’isola fra il 535 e il 515 a.C. circa. La costruzione della leggenda ha inizio nel momento stesso della nascita di Pi¬ 18 REALTÀ E MITO DI PITAGORA
tagora, quando gli viene attribuito un lignaggio divino. Così si diffuse l’idea che sua madre, Pitaida, l’avesse concepito con Apol¬ lo rendendo in tal modo Mnesarco il padre adottivo - e che la nascita di quel bimbo meraviglioso che avrebbe fatto del bene all’umanità fosse stata profetizzata dall’oracolo di Delfi. Questa leggenda pretende di spiegare anche l’origine del nome del sag¬ gio; Pitagora significherebbe annunciato da Apollo perché for¬ mato dalle parole Pythios, che è il nome del dio Apollo patrono di Delfi, e agoreuo, che significa “parlare”. Difatti, l’origine divina è uno degli elementi fondamentali dell’archetipo eroico, come succede ad esempio nei casi di Eracle e Teseo. L’infanzia del saggio sarebbe stata perciò marcata da molteplici segni miraco¬ losi di carattere mitico. La gioventù e la formazione di Pitagora sono causa di un aspro dibattito, anche tra le fonti più tradizionali. Siccome ogni eroe ha bisogno di un maestro, la biografia del saggio di Samo enumera come maestri una spettacolare lista di grandi nomi dei più diversi ambiti disciplinari, e integra l’informazione con un altro elemento comune a questo tipo di approssimazioni mistiche: i viaggi in paesi esotici, culla di ogni tipo di conoscenza. Non vi sono prove della relazione di Pitagora con i suoi presunti mento¬ ri e nemmeno di molti dei viaggi che gü si attribuiscono, ma que¬ ste informazioni ci permettono di localizzare l’origine delle idee che integreranno il futuro corpo dell’insegnamento pitagorico. Tra i suoi presunti maestri emergono i filosofi Talete di Mi- leto e Anassimandro di Mileto, così come il mistico Ferecide di Siro (see. VI a.C. ca.), al quale si attribuisce una delle prime opere di greco antico scritte in prosa. La funzione dei primi due pensatori sarebbe stata quella di introdurre il giovane Pitagora alla filosofìa ionica, mentre Ferecide gli avrebbe insegnato le nozioni dell’immortalità dell’anima e della reincarnazione. Se¬ condo la leggenda, Ferecide avrebbe realizzato gli stessi viaggi attribuiti a Pitagora che in realtà erano stati attribuiti anche alla maggior parte dei padri del pensiero greco, e la sua figura me¬ scola in egual misura la dimensione religiosa e la ricerca filoso¬ fica. Secondo numerose fonti, Pitagora si prese cura del suo maestro durante i suoi ultimi giorni di vita. In quanto a Talete di REALTÀ E MITO DI PITAGORA 19
Mileto, personaggio poliedrico considerato nell’Antichità come uno dei Sette Saggi Greci, la tradizione lo segnala come il crea¬ tore del processo che diede origine alla matematica come scien¬ za. A lui si attribuisce il calcolo dell’altezza delle piramidi a par¬ tire dalla lunghezza della loro ombra, durante un viaggio in Egitto in qualità di mercante. Racconti successivi gli attribuisco¬ no vari teoremi; di seguito enunceremo i suoi due teoremi prin¬ cipali, che portano il suo nome e che vedremo in maniera mag¬ giormente dettagliata più avanti: - Due triangoli sono simili quando hanno due lati tra loro pro¬ porzionali e l’angolo ivi compreso è congruente. - Ogni angolo inscritto in un semicerchio è un angolo retto. A questi teoremi possiamo aggiungere una serie di teoremi che si conoscevano già ma che non erano stati esplicitamente enunciati o dimostrati, in particolare: - Il diametro divide in due la superficie del cerchio. - Nei triangoli isosceli, gli angoli alla base sono congruenti. Il Pitagora intellettuale è pienamente integrato nell’ambito dei cosiddetti filosofi presocratici. Siamo soliti considerare que¬ sto periodo come il primo della filosofia greca, comprendendo in tale gruppo tutti i pensatori e le scuole filosofiche anteriori a So¬ crate. Sicché, questo termine raggruppa i pionieri del pensiero logico nella Grecia arcaica: Talete e Anassimandro ma anche Anassimene, Eraclito, Senofane, Parmenide, Zenone, Empedo¬ cle, Anassagora, Democrito..., e in questa lista di grandi nomi, il saggio di Samo e i suoi discepoli occupano un posto d’onore. La caratteristica comune dei presocratici è la loro preoccupazione per il cosmo e la realtà ultima, perciò questo capitolo della sto¬ ria del pensiero è spesso chiamato periodo cosmologico. La leggenda attribuisce inoltre a Pitagora una serie di pre¬ cettori mitici, tipici dell’archetipo dell’apprendistato eroico. Si 20 REALTÀ E MITO DI PITAGORA
ORFEO Orfeo è un personaggio semi-leggendario che la tradizione presenta come uno dei principali poeti e musicisti dell’Antichità, che inventò la cetra; si pensa inoltre che fu Orfeo a migliorare la lira, aggiungendovi due corde. Il mito assicura che Orfeo, in qualità di musicista rinomato, accompagnò Gia¬ sone e gli argonauti nel loro viaggio alla ricerca del vello d’oro e che scese negli Inferi per riscattare la morte della sua amata Euridice, riuscendo nell’impresa grazie alla sua arte musicale, anche se la riuscita finale cambia secondo il cronista che narra la leggenda. Si dice che provenisse dalla Tra¬ cia, come Bacco, ma sem¬ brerebbe più ragionevole pensare che egli venisse da Creta, giacché molte delle sue dottrine conte¬ nevano numerose idee proprie dell’Egitto, e fu tramite Creta che gli egi¬ ziani influenzarono i greci. Le versioni più antiche della leggenda non sotto¬ lineavano la sua relazione con la musica ma piutto¬ sto la sua identità di sa¬ cerdote-filosofo, un rifor¬ mista. in conformità con l’idea contemporanea che si ha di Pitagora, di cui, secondo alcuni autori, sarebbe un precorritore. L’orfismo si trova in Pitago¬ ra ma anche in Empedocle e Platone, quindi i tre pensatori sono collegati da una specie di “cinghia di trasmissione’’ della conoscenza. Orfeo nel momento della sua morte per mano delle Menadi. Ceramica greca della metà del V secolo a.C. (Antikenmuseum, Berlino). dice che Orfeo gli insegnò i misteri teologici e cosmologici e che gli dèi Dioniso o Apollo l’avessero istruito riguardo la medicina e la divinazione. È ovviamente impossibile che Pitagora abbia potuto venire in contatto con questi personaggi fittizi; diciamo REALTÀ E MITO DI PITAGORA 21
che quello che la tradizione cerca di farci capire, stabilendo que¬ sta corrispondenza di echi allegorici, è che il saggio di Samo compì i suoi primi passi mistici seguendo la dottrina religiosa conosciuta come orfismo. L’orfismo era una dottrina basata sulla mitologia. Secondo una delle diverse versioni del mito, Dioniso fu divorato dai Ti¬ tani. Il suo cuore venne risparmiato e fu regalato a Zeus da Atena. Zeus distrusse i Titani con le sue saette: dalle loro ceneri nacquero degli uomini mentre Dioniso rinacque dal suo stesso cuore, che era stato inghiottito da Zeus. Questa risurrezione è un elemento fondamentale nella dottrina orfica e nei suoi riti: da un lato creò la credenza nella reincarnazione, dall’altro l’astinenza dalla carne. Il culto di Dioniso, nella sua forma originale, era selvaggio e sfrenato ed era relazionato con l’atavico, con la pas¬ sione. Non fu questa parte del suo culto che influì sui filosofi, ma la versione spiritualizzata che le attribuiva il mitico poeta Orfeo, che aveva fissato i punti essenziali della dottrina negli inni or¬ fici, in cui sostituiva l’ubriacatura fisica con quella mentale. VIAGGI DI FORMAZIONE I viaggi di formazione in paesi lontani ed esotici sono un ele¬ mento comune nel mito del saggio - filosofo, scienziato o magi¬ strato - alla ricerca di un’educazione che comprenda ogni tipo di conoscenza. Così, Pitagora avrebbe visitato i luoghi simbolo per il saggio ionico, che hanno come elemento centrale l’orien¬ talismo. Come molti altri eroi filosofici, la tradizione vuole che Pitagora viaggiasse in Egitto, Arabia, Fenicia, Giudea, Babilonia e addirittura in India. Siccome il mito vuole che ogni paese abbia una corrispondenza con l’universo mitologico, in questi luoghi Pitagora imparò la geometria, la matematica, l’astrono¬ mia e s’impregnò del misticismo orientale. In ogni caso, sembra che la leggenda voglia stabilire un certo equilibrio tra le cono¬ scenze che derivano da prestigiose culture esterne e il capitale stesso del sapere greco. 22 REALTÀ E MITO DI PITAGORA
L’ORIGINE DELLA MATEMATICA I viaggi formativi di Pitagora ebbero come destinazione l’Egitto e la Babilo¬ nia, due delle culle della matematica, secondo gli stessi greci. Questo non ci deve sorprendere data la relazione esistente fra l’evoluzione dell’agricoltura, che raggiunse in entrambe le regioni uno sviluppo precoce importante, e il bisogno di misurare i terreni e contare le unità prodotte. Sfortunatamente, la conoscenza che abbiamo oggigiorno sulla matematica delle prime civiltà è poco precisa. Dell’Egitto abbiamo informazioni relativamente a un periodo molto ridotto. Il sistema numerico egizio era decimale ma non posizionale: ognuna delle potenze di dieci, fino a IO6 aveva un simbolo proprio: i numeri si formavano collocando in successione i simboli delle sue rispettive potenze. II calcolo delle frazioni si riduceva alle frazioni con numeratore 1. Per quanto riguarda la Mesopotamia disponiamo di dati matematici estesi nel tempo, che ci permettono di analizzare la sua evoluzione. Risalta l’alto livello delle tecniche di calcolo, nelle quali si comincia a vedere un modo di procedere genuinamen¬ te algebrico. L’aspetto più specifico però è quello del sistema numerico po¬ sizionale sessagesimale. Per formare le 60 cifre si combi¬ navano due segni cuneiformi, un chiodo verticale e un pun¬ zone. che rappresentavano le unità e i multipli di 10. Non si usava la virgola e le frazioni si calcolavano aH’interno del dominio dei numeri interi. Il problema più grande era che, nel sistema posizionale, i luo¬ ghi che non erano occupati non restavano chiaramente definiti, perché non esisteva nessun segno per lo zero. Più avanti, ai tempi dei persiani, la matematica babilonese intro- _ . Tavoletta babilonese del 2100 a.C. circa, che è in dusse un segno di omissione, relazione con il calcolo della superficie di un terreno una sorta di zero. (Museo del Louvre, Parigi). m- vi»/r tX7'' r*- \ fi i \À% m% tvw : v . Nel contesto storico del mito si possono trovare influenze delle religioni e dei saperi estranei ai greci - che arrivano dall’Indo, passando da Babilonia - che si rintracciano in numerose tradi¬ zioni del mondo greco. Non si dimentichi che in quei tempi l’Im- REALTÀ E MITO DI PITAGORA 23
pero persiano di Ciro II, detto il Grande (600-ca. 530 a.C.), si estendeva fino alla Ionia e arrivò a comprendere la stessa Samo. Vi sono inoltre molti indizi dei contatti dei saggi greci con l’India. I viaggi formativi tra egizi, fenici e caldei sono comuni a vari eroi filosofico-mistici della Magna Grecia, come Parmenide o Zenone di Elea (ca. 490-ca. 430 a.C.), che appaiono in diverse fonti che descrivono i loro viaggi in Egitto alla ricerca della saggezza divina o per imparare l’arte di creare le leggi. Numerosi autori tradizio¬ nali riferiscono che Pitagora fu iniziato alla religione egizia, all’arte dei geroglifici e all’interpretazione simbolica della conoscenza, che più tardi adotterà per i suoi insegnamenti. Dice Erodoto (484- 425 a.C.), contraddicendo i seguaci di Ferecide di Siro, che fu in Egitto che il saggio apprese la teoria della reincarnazione. In ogni caso, le fonti più antiche insistono nella relazione di Pitagora e dei suoi discepoli con il paese dei faraoni. Questo viag¬ gio potrebbe essere stato reale? Fu veramente il viaggio iniziatico di Pitagora? Ciò che possiamo affermare con sicurezza è che il paese del Nilo destava un grande interesse nella Grecia arcaica, come dimostra il secondo libro delle Storie di Erodoto, intera¬ mente dedicato all’Egitto. Fin dall’Antichità, nell’immaginario mi¬ tologico greco, la terra dei faraoni veniva considerata la fonte della conoscenza suprema. Gli antichi greci vedevano in Orfeo il primo greco, tra i molti considerati saggi, che si recò in Egitto per conoscere le leggi degli dèi e adattare al mondo ellenistico i mi¬ steri di Osiride, Dioniso nel mondo greco. Secondo alcune fonti, furono questi i misteri che Pitagora studiò durante il suo viaggio e da essi estrapolò le nozioni sull’immortalità dell’anima e sulla reincarnazione. Gli antichi greci erano convinti che queste idee provenissero dal leggendario paese del Nilo, ma si sbagliavano. PITAGORA PUBBLICO Il Pitagora storico, o perlomeno storicamente valido, acquista un poco di attendibilità appena prima del suo salto nell’arena poli¬ tica in Magna Grecia. Il suo nome comincia a brillare tra gli anni 24 REALTÀ E MITO DI PITAGORA
540 e 522 a.C. Sembra che nella sua isola natale Pitagora avesse fondato una piccola scuola, chiamata il Semicerchio, dove egli trasmetteva le conoscenze che aveva appreso durante le sue pe¬ regrinazioni. Secondo la leggenda insegnava dentro a delle ca¬ verne, un altro ingrediente caratteristico del mito. In quel periodo il governo di Samo era nelle mani del tiranno Policrate, che in quanto promotore dell’arte abbellì l’isola con notevoli opere pubbliche. Policrate però era un governante senza scrupoli, non per niente, infatti, la sua tirannia è conside¬ rata un esempio paradigmatico di questo tipo di regime politico. Il tiranno, che era solito usare la sua flotta in azioni di pirateria, approfittò che Mileto fosse stata recentemente sottomessa dalla Persia per superarla nel commercio marittimo. Per impedire una maggiore espansione dei persiani verso l’Occidente, si alleò col re dell’Egitto, ma più avanti, vedendo che la Persia attaccava il paese del Nilo e aveva ampie possibilità di conquistarlo, cambiò schieramento. Partecipò all’invasione persiana dell’Egitto con una flotta composta dai suoi nemici politici; gli equipaggi si am¬ mutinarono e ritornarono a Samo per spodestarlo. Policrate sof¬ focò la ribellione ma poco tempo dopo dovette soccombere. Pitagora era in disaccordo con il governo di Policrate: le fonti storiche coincidono nel segnalare che lasciò l’isola a qua¬ rantanni, fuggendo dal tiranno. Dopo aver abbandonato Samo, Pitagora arrivò alla città greca di Crotone, nella Magna Grecia, nell’anno 530 a.C. circa. Le città-stato greche dell’Italia meridio¬ nale erano a quei tempi ricche e fiorenti come Samo e Mileto, inoltre si trovavano lontano dalla minaccia persiana. Quando Pitagora arrivò in Magna Grecia, però, le diverse città greche d’Italia erano coinvolte in una lotta costante e accanita e Cro¬ tone era appena stata sconfìtta da Locri. Le fonti dicono che il suo arrivo fu sensazionale, al pari di quello di una divinità che viene a instaurare un nuovo culto. Fu sicuramente così: Pitagora, infatti, non tardò a rifondare la sua scuola, che finì per trasformarsi in un potente gruppo dalla grande influenza politica e sociale. L’aspetto nobile, il porta¬ mento magnifico e la loquacità incalzante e irresistibile con cui ci viene presentato nel periodo culminante della sua vita rispon¬ REALTÀ E MITO DI PITAGORA 25
dono perfettamente all’idea del mito. Le descrizioni parlano di un uomo maturo, sulla quarantina, dalla lunga barba e dallo sguardo intelligente. L’iconografia gli attribuisce anche un tur¬ bante di stile orientale, come si può vedere in molte rappresenta¬ zioni tradizionali. Non è da trascurare che i testimoni più antichi descrivono un Pitagora dall’aspetto di un santo, mentre i più re¬ centi introducono l’aspetto che gli si attribuisce attualmente, quello del filosofo, come se una lettura successiva avesse sotter¬ rato lo strato originale. Come ci si aspetta da chi viene considerato anche il fonda¬ tore dell’arte della retorica, la sua prima apparizione pubblica davanti agli abitanti di Crotone «sedusse le anime». Il filosofo Giamblico di Calcide (250-ca. 325 a.C.) affermava che nella prima e unica apparizione pubblica che, a suo parere, Pitagora fece al suo arrivo in Italia, catturò con le sue parole «più di duemila persone che rimasero così profondamente impressionate da non voler più tornare a casa». Questa scena drammatica, il discorso formidabile dell’uomo carismatico che sembra già un essere se¬ midivino, segna l’entrata di Pitagora nella vita pubblica. Il fatto permette di stabilire accertamenti storici ma, allo stesso tempo, mette in marcia il macchinario mitologico che lo trasfor¬ merà in un personaggio insondabile dal punto di vista storico. Da questo momento l’ambivalenza lo accompagnerà per tutta la vita e Pitagora vivrà tra due mondi: sarà filosofo e scienziato, saggio e indovino, legislatore e giudice. Pitagora fondò una setta religiosa e aristocratica che riuscì a ottenere un ruolo importante nella politica di Crotone e, se¬ condo alcuni testimoni, poté stabilire un certo tipo di dominio in varie città-stato greche dell’Italia meridionale. Alcuni autori as¬ sociano il potere politico conseguito dai pitagorici con l’ascesa di Crotone e lo vincolano con la vittoria di questa città sulla vi¬ cina Sibari, polis ubicata nel Golfo di Taranto. Sibari, famosa per la dedizione dei suoi abitanti (i sibariti) ai piaceri più squi¬ siti, fu distrutta dalla guerra: infatti i crotonesi deviarono il fiume Crati, che la circondava, per inondarla. Affidandoci alla tradizione, sappiamo che la vittoria di Crotone avvenne nell’età matura del maestro, all’incirca nel 510 a.C. 26 REALTÀ E MITO DI PITAGORA
TOTO IN ALIO A SINISTRA Il più famoso busto identificato come appartenente a Pitagora è una copia romana di un originale greco (Musei Capitolini, Roma). FOTO IN Al IO A DISTRA Manoscritto arabo del XIII secolo che riporta la dimostrazione euclidea del teorema di Pitagora (British Library, Londra). FOTO IN BASSO Dettaglio de La scuola di Atene di Raffaello; il saggio di Samo è il personaggio che sta scrivendo, a sinistra (Musei Vaticani, Roma). REALTÀ E MITO DI PITAGORA 27
PITAGORA RIFORMATORE RELIGIOSO Come racconta il poeta Omero, per i greci arcaici l’oltretomba era un luogo grigio, dove l’anima degli uomini veniva trascinava come un’ombra. Durante il VI secolo a.C. furono introdotte una serie di nuove dottrine spirituali, che diedero vita a una conce¬ zione più felice e luminosa dell’oltretomba per coloro che in vita si fossero sforzati di mantenere alcune norme comportamentali e pratiche rituali. La nuova concezione della vita dopo la morte proveniva dalle religioni misteriche e dal pitagorismo, risultato della sintesi delle influenze di altre culture e di elementi propri della Grecia antica. «Che cosa sono le Isole dei Beati? Il Sole e la Luna.» Massima pitagorica raccolta da Macrobio (iv sec. d.c.) nel suo Commesto al sogno di Scipione. Le fonti indicano che gli insegnamenti che il saggio di Samo trasmise in vita ai suoi seguaci furono principalmente le sue teorie riguardo all’immortalità dell’anima, all’eterno ritorno e all’interre¬ lazione di tutte le cose. La dottrina religiosa di Pitagora conte¬ neva le chiavi per la comprensione dell’universo. Il mondo però era cambiato: ora si sapeva che la Terra era sferica e non era più possibile né l’inferno sotterraneo cantato da Omero, conosciuto come Ade, né il paradiso localizzato all’estremo occidentale delle Isole dei Beati, dove secondo la tradizione venivano man¬ date le anime virtuose per il riposo eterno. Sulla Terra non c’era più spazio per l’aldilà e s’imponeva una nuova geografìa funera¬ ria: l’aldilà si localizzava nelle stelle, l’anima era considerata d’o¬ rigine celeste e sarebbe poi ritornata in cielo dopo la morte. Cominciava così la distruzione della mitologia classica, ba¬ sata su Omero ed Esiodo. Un lungo processo di erosione aveva svuotato i miti e gli dèi omerici del loro senso originale. La nuova mitologia dell’anima non poteva appoggiarsi alla tradizione ome¬ rica e servì come base per Platone. Tale fu l’influenza della ri¬ forma religiosa di Pitagora. 28 REALTÀ E MITO DI PITAGORA
FINE DELL’UOMO, INIZIO DEL MITO Le fonti documentano che verso il 510 aC. si produsse una violenta rivolta contro Pitagora e i suoi discepoli e che, paradossalmente, il conflitto con Sibari - che a suo tempo essi avevano grandemente aiutato a sconfiggere - segnò l’inizio della fine del pitagorismo. Si dice che l’influenza di Pitagora e del suo circolo, che aveva il potere di rovesciare città intere, avesse risvegliato le gelosie e l’odio dei suoi concittadini. La leggenda racconta di un certo Cilone, croto- nese molto agiato, che essendo stato rifiutato dal maestro come membro della comunità pitagorica, aizzò la popolazione contro di lui per fargli dispetto. Questa storia è solo un modo per spiegare la tensione sociale che interessò la setta alla fine della guerra con Si- bari. In ogni caso, possediamo sufficienti frammenti d’informazione per ricostruire il probabile corso degli eventi storici. Dopo la sconfitta di Sibari da parte di Crotone, si verificarono dei conflitti politici tra i vincitori per il controllo dei territori con¬ quistati. Il ruolo dei pitagorici in questi avvicendamenti, che ave¬ vano origini molto più lontane, cominciò a manifestarsi con maggior intensità. Diverse fonti segnalano che la causa scatenante dello scoppio della rivolta antipitagorica fu la lotta per la distribu¬ zione delle terre. Qualche studioso ha segnalato che è probabile che i pitagorici avessero cominciato a detenere incarichi pubblici e a prendere decisioni politiche riguardo a temi delicati, come ad esempio la divisione dei territori conquistati, anche se sicura¬ mente la situazione fu più complessa. La storia della morte di Pitagora, avvenuta durante la rivolta, è più che nota. La leggenda classica sostiene che i pitagorici si trovassero riuniti quella sera a casa di un membro della confra¬ ternita chiamato Milone, quando un gruppo di persone appiccò fuoco all’edificio. Alcuni affermano che Pitagora morì nell’incen¬ dio ma altri rendono la vicenda più colorita: riuscì a fuggire dall’incendio, ma sarebbe stato inseguito dai suoi nemici, e nel bel mezzo del cammino si sarebbe imbattuto in un campo di fave. Fu la sua nota avversione per quella pianta a decidere la sua morte, perché preferì farsi raggiungere dai suoi persecutori piuttosto che attraversare il campo. REALTÀ E MITO DI PITAGORA 29
Vari indizi documentano una risoluzione più ragionevole del conflitto civile a Crotone, e disegnano un quadro differente degli ultimi anni del saggio di Samo: è probabile che Pitagora sia fuggito nella vicina città di Metaponto, dove sarebbe morto verso l’anno 490 a.C. È risaputo che, durante gli anni in cui visse Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), gli abitanti di Metaponto erano soliti mo¬ strare la tomba di Pitagora a chi desiderasse vederla. CATALOGO DI POTERI MAGICI Pitagora si convertì in una figura mistica cui si attribuirono mi¬ racoli e poteri magici. Da quel momento, due tradizioni opposte - la mitica e la logica - si disputarono la sua memoria, rendendo ancora più complicato sviscerare la verità. La lista dei poteri magici del maestro varia nelle diverse biografie fino a comporre un groviglio di leggende di ogni tipo. Inoltrarsi in questo grovi¬ glio è un viaggio scomodo per chiunque prediliga l’immagine di Pitagora scienziato, ma i miracoli pitagorici, che compongono il nucleo più antico della sua tradizione, sono imprescindibili per delineare una visione contemporanea del personaggio. Si diceva che Pitagora potesse restare lunghi periodi senza bere e senza mangiare e che potesse essere presente in diversi luoghi allo stesso tempo, come testimoniano i racconti che affer¬ mano di averlo visto alla stessa ora in due città diverse, ognuna a un estremo dello stretto di Messina. Un’altra famosa collezione di leggende parla del suo portentoso femore d’oro, che alcuni autori mettono in relazione con il suo padre mitologico, Apollo, mentre altri legano a un’iniziazione di tipo sciamanico. La loquacità è il capitolo più miracoloso e più fecondo di Pitagora. Da un lato, era un indovino: si dice che profetizzò ter¬ remoti, avvertì dell’arrivo di un cadavere in una barca e fu ca¬ pace di predire la cattura di alcuni pescatori. La sua parola era magica e anche curativa, come affermano le leggende riguardo a uditori incantati dalla sua invincibile retorica, o riguardo alle sue guarigioni di corpi e anime attraverso la sua musica e la poesia. 30 REALTÀ E MITO DI PITAGORA
RELIGIONI MISTERICHE Le religioni misteriche si svilupparono in modo esteso nel mondo antico e furono presenti nella Grecia arcaica, a Roma e anche nel mondo ellenistico. Il loro nome le descrive facilmente: sono quelle che presentano misteri che non sono spiegati in modo pubblico, allo scopo di proteggere sacerdoti e fedeli, per favorire l’esclusività dell’esperienza religiosa, ecc. Questo tipo di culto si può classificare in due gruppi: le religioni dei misteri ma- gico-religiosi e le religioni dei mi¬ steri filosofici. Un esempio delle prime è la religione di Eieusi. Spes¬ so, queste dottrine passarono da essere praticate da un gruppo ri¬ dotto di iniziati a convertirsi nel culto ufficiale di intere città. Alcu¬ ne provenivano dall’Asia Minore ed erano derivazioni di culti di feno¬ meni naturali, mentre altre, che provenivano dal sud della Russia, avevano un carattere sciamanico. Il secondo gruppo, formato dalle religioni dei misteri filosofici, è gui¬ dato dal pitagorismo, che nella sua versione più religiosa viene chia¬ mato orfico-pitagorismo. Queste religioni si considerano a volte de¬ rivazioni delle prime, anche se al¬ cune manifestazioni sono chiara¬ mente diverse. Al contrario delle altre, erano rette da motivi specu¬ lativi, più che culturali e, anche se si sviluppavano tra gruppi di inizia¬ ti, avevano la tendenza a propa¬ garsi in altri circoli di idee simili. Rilievo votivo legato ai misteri di Eieusi nel quale appaiono Demetra, Persefone e Triptolemo; opera del IV secolo a.C. (Museo Archeologico, Atene). Le leggende più esagerate lo presentano come guaritore della peste. La sua parola aveva proprietà concilianti, che lo conver¬ tivano nel capo perfetto, capace di far prevalere la concordia, la libertà e l’eccellenza delle leggi. REALTÀ E MITO DI PITAGORA 31
SCIAMANISMO E RELIGIONE Lo sciamanismo è considerato l’an¬ tecedente di tutte le religioni orga¬ nizzate, infatti sono state ritrovate evidenze di pratiche sciamaniche anteriori al Neolitico. Molti dei suoi aspetti originali si mantennero, col passare del tempo, nella struttura di diverse religioni, in generale nelle pratiche mistiche e simboliche. Il pa¬ ganesimo greco ricevette una forte influenza sciamanica che si riflette in molti dei suoi miti e, soprattutto, nei suoi misteri. Attraverso la Gre¬ cia, raggiunse anche la religione ro¬ mana. Le credenze e le pratiche tradizionali di tipo sciamanico si preoccupavano della comunicazio¬ ne con il mondo degli spiriti e degli dèi. Lo sciamano aveva la capacità di curare, di comunicare con gli dèi e con gli spiriti e di prevedere il fu¬ turo. Infine, era il depositario della sapienza della comunità. Specchio inciso con l’immagine di Calcante, indovino greco che pronuncia le sue profezie esaminando le viscere degli animali; V see a.C. (Musei Vaticani, Roma). Secondo i racconti più fantasiosi, Pitagora era in grado di ricordare le sue vite passate e tutte le sue esperienze. Diceva di essere stato il re Mida e l’eroe mitico Euforbo, figlio di Pantoo, nell’epoca della guerra di Troia, così come qualche altro perso¬ naggio, tra cui commercianti e cortigiani. Non temeva la morte e la considerava parte della vita, come il sonno e la veglia: lui stesso aveva realizzato la discesa all’Ade, la catabasi di cui si parla in tanti miti. Nel suo viaggio agli Inferi, secondo Geronimo di Rodi, vide le anime di Omero ed Esiodo, che espiavano tutte le malignità che avevano cantato sugli dèi. 32 REALTÀ E MITO DI PITAGORA
CAPITOLO 2 Il teorema Il teorema di Pitagora è uno dei risultati matematici più presenti nella storia. Anche se venne attribuito al saggio di Samo, si conoscono alcuni suoi importanti antecedenti nelle più note civiltà orientali dell’Antichità. Non possiamo però negare ai geometri greci la propria genialità: il salto dal concreto al generale, dall’osservazione puntuale al teorema, è merito loro.
Se neU’immaginario popolare si tende a identificare automatica- mente Pitagora con la figura del matematico per antonomasia, altrettanto si può dire del teorema che porta il suo nome: è, indub¬ biamente, il risultato matematico più famoso del pianeta. Il suo enunciato esatto, però, è un po’ meno conosciuto, nonostante si studi nelle scuole di tutto il mondo, e ancora meno si conosce a che cosa serve in realtà. Alla domanda sull’entità della sua utilità si risponde facil¬ mente. Il teorema di Pitagora è la soluzione a un classico pro¬ blema di geometria dall’enorme impatto teorico. Così, più che sulle sue applicazioni pratiche, la sua importanza si fonda sul fatto che è alla base di molti teoremi matematici, di trigonometria e di geometria analitica e, ovviamente, che è vitale per l’apparizione e lo sviluppo delle radici quadrate. Come vedremo, le radici dei nu¬ meri appaiono in problemi matematici molto semplici, come ad esempio il calcolo delle diagonali dei quadrati e dei rettangoli a partire dai lati. Forse buona parte della sua influenza e dell’attenzione rice¬ vuta si deve alla sensazione di inafferrabilità che causa la sua ana¬ lisi. A differenza di altri teoremi, non esiste nessuna ragione intuitiva che spieghi le sue proprietà, che ora ripasseremo, e ca¬ pirlo è un atto di pura deduzione logica. Per questo motivo alcuni autori lo considerano il paradigma della matematica. IL TEOREMA 35
ENUNCIATO DEL TEOREMA La più grande scoperta che la tradizione attribuisce a Pitagora è la proposizione dei triangoli rettangoli, che stabilisce la relazione tra i cateti e l’ipotenusa. In un triangolo rettangolo, il quadrato dell’ipo- tenusa è uguale alla somma del quadrato della lunghezza degli altri due lati del triangolo (figura 1). L’enunciato si riassume con la for¬ mula «la somma dei quadrati dei cateti è uguale al quadrato dell’i- potenusa», la cui espressione matematica sarebbe: a2 + b2 = c2. Il teorema si può inoltre esprimere in modo più rigoroso, se¬ guendo le norme della matematica moderna. Il suo enunciato in termini geometrici specialistici è il seguente (figura 2): Dato un triangolo di vertici ABC, l’angolo C è retto (triangolo rettan¬ golo) se l’area del quadrato costruito sul lato c, opposto a C, è la somma delle aree dei quadrati costruiti sugli altri due lati a e b: à2 + b2 = c2. CATETI, IPOTENUSA E ANGOLI I cateti sono i lati dell’angolo retto di un rettangolo e l’ipotenusa è il lato opposto all’angolo retto di questo triangolo. Le parole che danno il nome a questi lati derivano dal greco. La parola “cateto’’ si origina dal termine ka- thetos, che deriva da cotos (retto o conforme) e significa "perpendicolare”. La parola “ipotenusa” proviene da upoteinousa, che significa "la linea che sottende o sostiene”. La definizione suppone che l’ipotenusa sia il diametro di una circonferenza nella quale si trova il vertice retto del triangolo rettan¬ golo, ossia, il diametro che sottende l’angolo retto. Per quanto riguarda gli angoli, probabilmente il concetto sorse dall’osservazione delle posizioni che può formare il muscolo della gamba di una persona, o quello del braccio e dell’avambraccio. 36 IL TEOREMA
Dall’equazione a2 + 62 = c2 si deducono tre corollari d’applica¬ zione pratica: a = Vc2-62, b = yjc2 -a2, c = Va2+ò2. Ai tempi di Pitagora il teo¬ rema aveva un uso pratico imme¬ diato e molto chiaro, che si ricava dalla prima e dalla più essenziale delle sue priorità: serviva per de¬ terminare le perpendicolarità. In effetti, in un triangolo rettan¬ golo «il quadrato dell’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei cateti» perché i cateti sono perpendicolari. D’altra parte, se si mette in pratica questa relazione (a2 + 62 = c2), si può dedurre che il triangolo è rettangolo. Oggigiorno, la squadra e la carta carbone che si impiegano nel disegno tecnico permettono di tracciare segmenti perpendico¬ lari e non solo, combinando gli angoli di 30°, 45°, 60° e 90°. Nel mondo reale il disegno con la squadra del falegname e del carpentiere permette di verificare direttamente la perpendicolarità, usando lo stesso strumento. Nell’antica Grecia, un architetto con la necessità di comprovare la perpendicolarità di due pareti, poteva utilizzare il teorema di Pitagora. In quell’epoca lo strumento che si utilizzava per misu¬ rare le lunghezze era una corda piena di nodi equidistanti: con questa corda l’architetto segnava 3 unità in una parete e 4 nell’al¬ tra; le pareti erano perpendicolari quando poteva contare 5 unità IL TEOREMA 37
tra gli estremi marcati (52 = 32 + 42). Così, il problema della misu¬ razione degli angoli, sempre piuttosto difficile, si riduceva op¬ portunamente alla verifica di una relazione tra lunghezze, un’operazione molto più semplice. PRECEDENTI DEL TEOREMA DI PITAGORA Gli egizi e i babilonesi sapevano già che un triangolo dai lati di lunghezza 3,4, 5, ha un angolo retto, ma sembra che furono i greci i primi a osservare che 32 + 42 = 52 e, pertanto, i primi a scoprire un’applicazione della proposizione generale. Anche le millenarie culture cinesi e indiane scoprirono questa genuina proprietà geo¬ metrica molto presto. Difatti, ritroviamo il problema della diago¬ nale del quadrato in tutte le culture, in diversi livelli di sviluppo. Sappiamo però che il problema non era conosciuto nelle grandi civiltà precolombiane e del continente africano (escludendo l’E¬ gitto). In ogni caso, si può concedere a Pitagora o a uno dei suoi discepoli più intimi il merito di aver notato la validità di questa relazione in tutti i triangoli rettangoli possibili. TERNE PITAGORICHE A BABILONIA Molto prima che Pitagora enunciasse la legge generale dei trian¬ goli rettangoli, la Babilonia dell’epoca di Hammurabi - monarca che morì intorno all’anno 1750 a.C. - era già a conoscenza di come calcolare le teme pitagoriche. Queste sono combinazioni di numeri positivi (a, 6, c) tali che a2+ b2 = c2. Alcuni esempi sono (3, 4, 5), (5, 12, 13) e (8, 15, 17). Per il teorema di Pitagora, ognuna di queste teme rappresenta un triangolo rettangolo con lati di lunghezza intera. La principale fonte d’informazione che abbiamo riguardo a Babilonia e alla Mesopotamia in generale sono le celebri tavole di argilla con scrittura cuneiforme, su cui si scriveva quando il materiale era ancora morbido e che si cuocevano poi in forno o 38 IL TEOREMA
si indurivano al sole, garantendo così un buono stato di conser¬ vazione. Di tutte queste tavolette, quelle dell’anno 2000 a.C. circa sono le più importanti per la storia della matematica. La lingua e la scrittura utilizzata nelle tavolette del periodo più antico è l’ac- cadico, che sostituì il sumero. Le parole della lingua accadica consistono in una o più sillabe e ognuna di esse è rappresentata da un gruppo di piccoli segmenti rettilinei. Per scrivere, gli acca¬ dici usavano uno stiletto di sezione triangolare che appoggia¬ vano sopra la tavoletta in posizione inclinata, producendo così dei segni a forma di cuneo, orientati in differenti direzioni: da qui deriva la denominazione di scrittura cuneiforme. Tra le 300 tavolette babilonesi di contenuto matematico su un totale di mezzo milione di quelle scoperte finora è di partico¬ lare interesse una tavoletta chiamata Plimpton 322 (la numero 322 della collezione dell’editore George Arthur Plimpton, ceduta nel 1936 alla Columbia University). Questa tavoletta appartiene al periodo antico della dinastia Hammurabi (che comprende ap¬ prossimativamente il periodo compreso tra gli anni 1800 e 1600 a.C.) e mostra una tavola con quattro colonne piene di caratteri che sembrano essere numeri scritti nel sistema di numerazione babilonese a base 60. Le sue colonne di numeri ravvicinati possono confondersi con un registro di transazioni commerciali, ma un attento studio ha rivelato qualcosa di veramente straordinario: sono una lista di terne pitagoriche a2 + b2 = c2. In questo modo, la tavoletta Plimpton dimostra che i babilonesi conoscevano la geometria elementare e i procedimenti algebrici. Come scoprirono i babilonesi le teme pitagoriche? Perché erano di loro interesse? Per comporre quella che si potrebbe considerare la prima tavola trigonometrica della storia, è proba¬ bile che conoscessero già un algoritmo di creazione di teme che rimarrà però sconosciuto per i successivi 1500 anni, fino a es¬ sere formalizzato da Euclide nei suoi Elementi. La tabella della pagina seguente mostra 15 delle 38 teme pitagoriche della tavoletta. Anche se i caratteri cuneiformi sono stati decifrati, si rende comunque necessario precisare alcune cose per capire la tabella. La IV colonna contiene l’ordine delle IL TEOREMA 39
1. II. III. IV. b d / (1) 59 00 15 1 59 2 49 1 2 00 (1) 56 56 58 14 50 06 15 56 07 3 12 1 [1 20 25] 2 57 36 (1) 55 07 41 15 33 45 116 41 1 50 49 3 1 20 00 (1) 53 10 29 32 52 16 3 31 49 5 09 01 4 3 45 00 (1) 48 54 01 40 1 05 1 37 5 1 12 (1) 47 06 41 40 5 19 8 01 6 6 00 (1) 43 11 56 28 26 40 38 11 59 01 7 45 00 (1) 41 33 59 03 45 13 19 20 49 8 16 00 (1) 38 33 36 36 9 01 [8 01] 12 49 9 10 (1) 35 10 02 28 27 24 26 40 1 22 41 2 16 01 10 1 48 00 (1) 33 45 45 1 15 11 1 00 (1) 29 21 54 02 15 27 59 48 49 12 40 00 (1) 27 00 03 45 7 12 1 [2 41] 4 49 13 4 00 (1) 25 48 51 35 06 40 29 31 53 49 14 45 00 (1) 23 13 46 40 56 53 [1 46] 15 1 30 file. Le colonne II e III danno i valori in base 60 dell’ipotenusa e del cateto di un triangolo rettangolo. Nell’ultima colonna, iden¬ tificata come l, si specificano i valori dell’altro cateto. La prima colonna racchiude una piccola meraviglia, perché dà i quadrati del quoziente di d, diviso per l. Quel risultato si potrebbe descri¬ vere come il quadrato di una funzione trigonometrica. Per fare un esempio, verificheremo la fila 1 della tavola babi¬ lonese usando i nostri numeri e la base 10. Nella colonna II appare il cateto 6=119 (che in base 60 appare come 1 59) e nella colonna 40 IL TEOREMA
Ill l’ipotenusa d =169 (che appare come 2 49). Da questi due valori risulta l’altro cateto, I = 120 (2 00). La tabella successiva, in base 10 presenta i valori convertiti e permette di comprovare la validità delle relazioni: Posizione / b d 1 120 119 169 2 3456 3367 4825 3 4800 4601 6649 4 13 500 12709 18541 5 72 65 97 6 360 319 481 7 2700 2291 3 541 8 960 799 1249 9 600 481 769 IO 6480 4961 8161 11 60 45 75 12 2400 1679 2929 13 240 161 289 14 2700 1771 3229 15 90 56 106 L’AGRIMENSURA IN EGITTO La matematica egizia era meno sviluppata di quella mesopota- mica. Le scoperte di cui siamo a conoscenza provengono da cin¬ que papiri dedicati a questioni matematiche, tra i quali i più importanti sono il papiro Rhind, scoperto nel 1858 dall’egitto¬ logo scozzese Alexander Henry Rhind (1833-1863), ora conser¬ vato al British Museum, e il papiro di Mosca, custodito nel Museo Pushkin della capitale russa. Questi due documenti risal¬ ii. TEOREMA 41
gono probabilmente al secolo XVIII a.C., anche se potrebbero essere ancora più antichi. Entrambi rivestono un’importanza enorme per gli storici della matematica, ed è molto significativo che in nessuno dei due vi siano indizi del teorema di Pitagora o delle teme pitagoriche. A ogni modo gli egizi sapevano che i triangoli di lato 3, 4, 5 (o i triangoli proporzionali) erano rettangoli e facevano un uso pratico di questo concetto quando dovevano tracciare due linee perpendicolari. Di fatto, il triangolo 3, 4, 5, si chiama triangolo egizio. Erodoto, tra i vari cronisti, attesta il suo utilizzo narrando il lavoro degli agrimensori in seguito ai movimenti del terreno pro¬ vocati dagli straripamenti del Nilo. In architettura l’uso del trian¬ golo egizio è invece ben documentato, ad esempio, nella costruzione della grande piramide di Chefren, che risale al XXVI secolo a.C. La dichiarazione esplicita della relazione pitagorica appare in Egitto in vari casi numerici concreti ma non è rimasto nessun documento che la esponga in forma generale. Ad esempio, in un documento della XII dinastia (verso l’anno 2000 a.C.) trovato a Kahun, si utilizza l’espressione che è proporzionale a quella del triangolo egizio. Anche nei pa¬ piri di Berlino si trova una serie di documenti medici, letterari e matematici del Medio Regno che contengono delle tracce del teorema pitagorico. In uno dei papiri matematici si risolve un sistema di equazioni con due incognite, in relazione al seguente problema: L’area di un quadrato di 100 cubiti quadrati è uguale alla somma di due altri quadrati più piccoli. D lato di uno di essi è Vé + Va dell’altro. Trova il valore dei lati dei loro quadrati. 42 IL TEOREMA
LA TRIANGOLAZIONE NELL’AGRIMENSURA Gli agrimensori egizi erano sacerdoti e la loro attività di calcolo del terreno aveva una connotazione quasi mistica e provocava il rispetto reverenziale dei contadini. Lo strumento con il quale eseguivano la loro "magia” non era che la trigonometria. Le prime culture che si interessarono alla geometria svilup¬ parono la trigonometria per via delle sue applicazioni in architettura e agri¬ mensura. La divisione dei terreni in triangoli (triangolazione) fu da sempre il metodo essenziale per calcolare superfici e lo sviluppo della topografia attua¬ le ha dimostrato la sua efficienza. Ogni triangolo si può sempre dividere in due triangoli rettangoli e questi permettono di determinare altezze o distan¬ ze inaccessibili, dalle misure di alcuni lati e di alcuni triangoli. Osservando attentamente tali figure e confrontandole con le definizioni di seno, coseno e tangente (vedi pag. 55), si notano proprietà molto utili. Ad esempio, ò=atanß. Ossia, se si calcola l’angolo B si ottiene il valore di a e grazie alle tavole trigo¬ nometriche si può sapere quanto vale il lato b. Questa risorsa permette di realizzare ogni tipo di misurazioni tecniche, con l’aiuto del metro e del teodo¬ lite (uno strumento di precisione che misura gli angoli nei loro rispettivi piani), che calcolano in maniera più precisa lunghezze e angoli. Incisione inglese degli inizi del XVII secolo dedicata alla misurazione della distanza di un oggetto inaccessibile mediante la triangolazione. IL TEOREMA 43
Nel linguaggio algebrico attuale, questo problema equivale a risolvere il seguente sistema: e ciò implica, così come appare nel papiro, l’esecuzione di una sostituzione e il calcolo di una radice quadrata. Questa è una so¬ luzione di tipo pitagorico ma, più che suggerire una certa cono¬ scenza del teorema di Pitagora, sembra piuttosto indicare una familiarità con metodi di soluzione di equazioni di secondo grado, risultato piuttosto considerevole per gli antichi egizi. PITAGORA IN INDIA Anche in India si svilupparono conoscenze aritmetico-geometri¬ che in relazione con il teorema di Pitagora come risultato della progettazione di templi e della costruzione di altari. Tra l’VIII e il II secolo a.C., il sapere aritmetico-geometrico si concentrò nel corpus di una dottrina conosciuta con il nome di Sulvasutra. Sulva è un termine che si riferisce alle corde utilizzate per le mi¬ surazioni e Sutra è un libro di regole e aforismi relativi a un deter¬ minato rituale o scienza, per cui il titolo significa Manuale delle regole della corda. I Sulvasutra indiani erano una sorta di manuale in cui si espo¬ nevano le norme della costruzione rituale di altari di forma e di¬ mensioni determinate, tra cui i più interessanti sono quelli di Baudhayana e Apastamba, che risalgono al V secolo a.C. In questi libri si descrive l’uso della corda non solo per misurare, ma anche per tracciare linee perpendicolari con tre corde di lunghezze co¬ stituenti teme pitagoriche (ad esempio 3, 4, 5; 5, 12, 13; 8, 15, 17; 7, 24, 25). A questo scopo si utilizzava soprattutto il triangolo di lati 15, 36, 39 (derivato dal triangolo di lati 5, 12, 13, chiamato il triangolo indiano). È difficile valutare l’originalità delle nozioni a? + y2= 100, 44 IL TEOREMA
concernenti il teorema di Pitagora in India. Da un lato quella ve¬ nerabile cultura condivise con l’Egitto la figura del tensore della corda, e dall’altro, tutte le teme che appaiono nei Sulvasutra si possono ricavare facilmente dalla regola babilonese descritta in precedenza. Questo suggerisce un passaggio della conoscenza di origine mesopotamica a quella del fiume Indo. POESIA E MATEMATICA IN CINA In Cina il teorema di Pitagora si conosce come Kon Ku e appare per la prima volta nel trattato matematico Chou Pei Suan Ching, che si potrebbe tradurre come II classico aritmetico dello gno¬ mone. Non si conosce la data esatta di quest’opera ma l’ipotesi più probabile è che sia stata scritta durante gli anni 500 e 300 a.C. e, in generale, si considera che Pitagora non la conoscesse. Il Chou Pei Suan Ching è una raccolta di conoscenze di epoche molto anteriori e fu considerevolmente ampliato nel III see. d.C. da due insigni matematici, Zhao Shuang e Liu Hui. Per fortuna è possibile distinguere i contenuti più antichi da quelli aggiunti successivamente. In quanto al teorema di Pitagora, questo trat¬ tato matematico descrive aspetti primitivi, ossia, risultati nume¬ rici concreti, oltre alle leggi generali della creazione di terne pitagoriche. Il Chou Pei Suan Ching contiene una citazione sui triangoli rettangoli in cui è di particolare interesse la descrizione di una figura chiamata il diagramma dell'ipotenusa, che non è altro che una dimostrazione visuale del teorema di Pitagora, utilizzando un triangolo di lati a = 3, ò = 4ec = 5. Questa elegante dimostrazione costruisce un quadrato di lato (a + b) che si divide in quattro trian¬ goli di base a e altezza b, e un quadrato di lato c (figura 3 della pagina successiva). È altamente possibile che tale dimostrazione sia stata aggiunta in un’epoca posteriore a Pitagora, ma anche se così fosse, vale la pena osservarla attentamente. Si consideri un triangolo rettangolo di cateti a e b e ipote¬ nusa c. Si dimostri che l’area del quadrato di lato c è uguale alla somma delle aree dei quadrati di lato a e b. Ossia, a2 + b2 = c2. Se IL TEOREMA 45
si aggiungono tre triangoli uguali all’o¬ riginale all’interno del quadrato di lato c (figura 4), si ottiene un quadrato di misura minore nel centro. Si può veri¬ ficare che il quadrato risultante ha, in effetti, un lato b-a. Pertanto, l’area di questo quadrato minore si può espri¬ mere come (b-a)2=b2-2ab+a2, visto che (ò-a)2=(a-ò)2. L’area del quadrato di lato c è la somma dell’area dei quattro quadrati d’altezza a e base b al suo interno, più l’area del quadrato minore, dimostrando così il teorema: FIG 4 c2 =4^^j+a2-2ab + b2 =a2+ò2. Il Chou Pei Suan Ching ontiene anche una splendida dimostrazione me¬ diante una semplice traslazione di pezzi (figura 5). Il secondo trattato classico cinese di contenuto matematico in cui si rela¬ zionano aspetti geometrici vincolati al teorema di Pitagora risale all’incirca all’anno 250 a.C., anche se Liu Hui lo commentò e riscrisse nell’anno 263 d.C. 46 IL TEOREMA
Si tratta del Chui Chang Suang Shu, o I nove capitoli delVarte matematica. Il nono e ultimo capitolo è integralmente dedicato ai triangoli rettangoli e presenta 24 problemi, le cui soluzioni si ba¬ sano, in modi diversi, sul teorema di Pitagora. Il più conosciuto è il problema del bambù rotto, presentato in maniera figurativa, convertendo il triangolo rettangolo in una canna di bambù spez¬ zata a una certa altezza, da calcolare: Si consideri un bambù di 10 piedi d’altezza che si è rotto in manie¬ ra tale che il suo estremo superiore si appoggia a terra a una distan¬ za di tre piedi dalla base. Calcolare a che altezza si è prodotta la rottura. Questo problema combina il teorema di Pitagora con la riso¬ luzione di equazioni quadratiche, dato che richiede la risoluzione dell’equazione x2 + 32 = (10-x)2. PITAGORA: LE DIMOSTRAZIONI TRADIZIONALI Pitagora non lasciò nessuno scritto, pertanto non esiste alcuna dimostrazione del teorema che si possa considerare propriamente sua. La soluzione si mostra in diverse fonti della tradizione greca, che gli attribuiscono le dimostrazioni esposte in seguito, fino alla sua dettagliata descrizione nel libro di geometria più importante della storia occidentale, gli Elementi del greco Euclide. In ogni caso, non si può togliere a Pitagora e ai suoi seguaci la loro parte di genialità, perché furono coloro che riuscirono a fare il grande salto dal concreto al generale, a stabilire un teorema teorico ap¬ plicabile a tutti i casi. La prima dimostrazione del teorema che la tradizione ri¬ tiene appartenga a Pitagora è una prova empirica. Si considera un triangolo rettangolo di lati a, b, c (cateti e ipotenusa), che in realtà sono lati di tre quadrati già esistenti, secondo le regole severe della geometria greca (figura 6). Con questi quadrati si costruiscono due quadrati differenti. Il primo è formato dai qua¬ li. TEOREMA 47
FIG 9 c drati dei cateti, più quattro trian¬ goli rettangoli uguali al triangolo iniziale (figura 7). Il secondo è formato dagli stessi quattro trian¬ goli e dal quadrato dell’ipotenusa (figura 8). Se da ognuno di questi quadrati togliamo i triangoli, l’area del quadrato centrale (c2) equi¬ varrà all’area dei due quadrati che compongono la figura 8 (ò2 + a2), così si dimostra l’enunciato di¬ retto del teorema di Pitagora. Opponendosi a questa dimo¬ strazione grafica, che si basa sulla teoria delle proporzioni di Pita¬ gora - una teoria imperfetta, per¬ ché applicabile solo a quantità commensurabili - qualche storico matematico ha contrapposto un’altra prova di carattere nume¬ rico. Pitagora poté dimostrare il teorema attraverso la similitudine dei triangoli - nella figura 9, ABC, ACH e CBH - con i lati omolo¬ ghi proporzionali. Consideriamo il triangolo ABC rettangolo in C; il segmento CH è l’altezza relativa all’ipotenusa, su cui determina i segmenti a' e b', proiezioni rispetti¬ vamente dei cateti aeb.l triangoli rettangoli ABC, ACH e CBH hanno le loro tre basi uguali: tutti i trian¬ goli hanno due basi in comune e gli angoli acuti sono uguali in quanto comuni e compresi tra due lati per¬ pendicolari. Pertanto, i triangoli sono simili. 48 IL TEOREMA
PROVA DELLA SIMILITUDINE DEI TRIANGOLI La similitudine dei triangoli si può provare in due modi: - Prova della similitudine tra ABC e ACH: due triangoli sono simili quando vi sono due o più angoli congruenti (come ci dimostra Euclide): b__c_ ~b'~ b b2 - b'c. - Prova della similitudine tra ABC e CBH: a' a a2 - a'c, da cui si ottiene il cosiddetto teorema del cateto. Sommando: a2 + b2 = a'c + b'c = c(a' + 6'), ma (a' + ò') = c, per cui risulta: a2 + b2 = c2. GLI ELEMENTI DI EUCLIDE Euclide visse ad Alessandria attorno all’anno 300 a.C. e fu l’au¬ tore degli Elementi di geometria (Stoicheia), un’opera fonda- mentale per lo sviluppo della matematica e della scienza. In questo testo si riassume la conoscenza geometrica dell’epoca, oltre a dimostrazioni proprie, esposte con il massimo rigore ed eleganza, deducendo con la logica tutti i teoremi a partire da definizioni, postulati e nozioni comuni. L’opera non è solo un compendio brillante, ma anche un gran lavoro di strutturazione del pensiero geometrico. Forse proprio per questo, fino a qual¬ che decade fa, questo libro continuava a essere il riferimento fondamentale per l’apprendimento della geometria. Unicamente IL TEOREMA 49
superati dalla Bibbia, gli Elementi sono l’opera che ha avuto più edizioni ed è stata più tradotta, prima e dopo la sua stampa. At¬ tualmente si contano più di mille ristampe. Gli Elementi sono divisi in tredici libri: i primi quattro si occupano della geometria piana di base: la congruenza dei trian¬ goli, l’equivalenza delle aree, la proporzione aurea, il cerchio, i poligoni regolari, alcune quadrature e, ovviamente, il teorema di Pitagora (Libro I, Proposizione 47). La proprietà pitagorica, così, si trova nel contesto geometrico delle aree delle figure. Pitagora riappare nel libro VI in relazione con le proporzioni e anche nel Libro X, in cui si trattano le radici quadrate. Nella proposizione 47 Euclide afferma che nei triangoli ret¬ tangoli il quadrato del lato opposto all’angolo retto è uguale alla somma dei quadrati dei lati che lo formano. L’espressione visuale di questa proposizione è chiamata mulino a vento (vedi figura). La dimostrazione si realizza mediante le aree. Consiste nello stabilire che i triangoli BEA e BCE sono isometrici e che il dop¬ pio delle loro aree è uguale da un lato all’area del quadrato CBFJ e dall’altro all’area del rettangolo BIHE. Allo stesso modo il qua¬ drato CKGA ha la stessa area del rettangolo AIHD. Da qui si j deduce il teorema di Pitagora, che si può enunciare in questa forma: l’area del quadrato BADE è uguale alla somma dei quadrati CBFJ e CAGK. F Il teorema dimostra anche come ottenere un quadrato dall’a¬ rea uguale alla somma dei due qua¬ drati dati, ossia, come trovare x tale che oc2=a2+b2} essendo questo un altro esempio di algebra geome¬ trica. Se la proposizione 47 rappre¬ senta il momento culminante del primo libro degli Elementi, risulta ancora più sorprendente come, di seguito, il geometra dimostri l’in¬ verso del teorema di Pitagora. È la E H D 50 IL TEOREMA
EUCLIDE DI ALESSANDRIA Euclide è considerato il padre della geometria. Anche se pro¬ babilmente nessuno dei risultati degli Elementi sia suo in modo originale, è indubbio che si deb¬ ba a lui l’organizzazione del con¬ tenuto e la sua esposizione. Del¬ la sua vita si sa poco più di quello che racconta il filosofo Proclo (V see. d.C.) nei sui com¬ menti sul Libro I degli Elementi. Proclo assicura che il geometra nacque nel 325 a.C. circa, visse e insegnò ad Alessandria e morì verso l’anno 265 a.C. Afferma inoltre, e sembra molto probabi¬ le che così fosse effettivamente a giudicare dalla natura della sua opera, che aveva potuto studia¬ re nella scuola di Platone o con qualche discepolo del maestro. Euclide, dunque, avrebbe vissuto durante il periodo ellenistico; ma la cosa più probabile è che abbia vissuto nella Grecia classica, dato che i suoi scritti si riferiscono alle conoscenze di quell’epoca. Così, Euclide strutturò le scoperte in modo diverso rispetto ai greci classici, come si può vedere paragonando i suoi libri con lavori più antichi. Lo stesso Proclo spiega che egli riunì contributi del filosofo e ma¬ tematico Eudosso (390-ca. 337 a.C.), rispetto alla teoria della proporzione, e del matematico Teetèto (417-ca. 369 a.C.) rispetto ai poliedri regolari, e che, in generale, fornì dimostrazioni inconfutabili di numerosi risultati in¬ sufficientemente documentati dai suoi predecessori. Non si dispone di ma¬ noscritti redatti da Euclide stesso, per cui i suoi testi hanno dovuto essere ricostruiti a partire da commenti e note di autori posteriori, soprattutto codici bizantini e traduzioni latine ed arabe. ^ m m m m * Euclide e la geometria rappresentati in uno dei rilievi realizzati da Andrea Pisano nel XIV secolo (Museo dell’Opera del Duomo, Firenze). proposizione 48, che di solito passa inosservata, ma che ha un grande valore logico-deduttivo, che Euclide rivendica. In questa proposizione si afferma che, se in un triangolo rettangolo il qua¬ drato di un lato è uguale alla somma dei quadrati degli altri due IL TEOREMA 51
FIG. 10 A lati, l’angolo che essi formano è retto (figura 10). La dimostrazione consiste nel tracciare un segmento CD perpendicolare ad AC e uguale a CB. Per ipotesi: BC2+AC2=AB2, ed, essendo il triangolo ADC un triangolo rettangolo: AC2 + CD2 = AD2. Siccome BC=CD, AB2=AD2 e, pertanto, AB=AD. Quindi i triangoli ADC e ABC sono congruenti, e l’angolo ACB, uguale a ACD, dev’essere retto. Euclide presenta anche un’approssimazione grafica del pro¬ blema, trasformando i quadrati costruiti sui cateti, nel rispettivo parallelogramma avente la stessa area (avendo la stessa base e la stessa altezza), per poi ricollocare questi parallelogrammi nel qua¬ drato costruito sull’ipotenusa. Questa prova geniale chiarisce la parte che occupano i quadrati costruiti sui due cateti (figura 11). Il teorema di Pitagora è uno di quelli che possiede il maggior numero di dimostrazioni differenti, con metodi diversi. Una delle spiegazioni di questo fenomeno è che durante il Medioevo si esi¬ geva la realizzazione di una nuova dimostrazione per raggiun¬ gere il grado di Magister matheseos, ossia maestro di 52 IL TEOREMA
POTO A LA IO Il papiro Oxyrhynchus 29, parte di una copia degli Elementi, datata tra i secoli ll-IV d.C. (Università di Pennsylvania, Philadelphia). POTO IN BASSO Un nuovo dettaglio de La scuola di Atene di Raffaello: la parte in cui appare Euclide (con il compasso). Il matematico si trova sullo stesso piano di Pitagora, ma dalla parte opposta dell'opera (Musei Vaticani, Roma). IL TEOREMA 53
matematica, e in un certo senso, la tradizione convertì quest’im¬ presa in un esempio dell’insegna¬ mento del sapere universale. Il genio Leonardo da Vinci (1452-1519) fu il più notevole degli Uomini Universali del Ri- nascimento italiano, perché col¬ tivò brillantemente discipline appartenenti ai più disparati campi del sapere, sia in ambito scientifico sia artistico. Lo stesso uomo che dipinse l’enigmatica de¬ licatezza della Gioconda e che in¬ ventò innumerevoli macchine sorprendenti e ingegnose, fu anche capace di sviluppare un’ec¬ cellente prova del teorema di Pita¬ gora. Leonardo si basò sul famoso “mulino”, ossia il triangolo e i quadrati costruiti sui tre lati. A essi aggiunse il triangolo ECF nella parte superiore e collocò strate¬ gicamente un’altra copia del triangolo A'C'B' nella parte infe¬ riore (figura 12). Tracciando DD' e CC, che sono perpendicolari, si osserva che DD' divide l’esagono superiore ABDEFD' simme¬ tricamente e che le due parti si possono girare e collocare co¬ prendo l’esagono ACBA'CB'. Di conseguenza, i due quadrati costruiti sui cateti devono sommare un’area uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa. IL TEOREMA DI PITAGORA OGGI Due millenni e mezzo dopo la sua scoperta, il teorema di Pita¬ gora continua a manifestarsi in diverse applicazioni matemati¬ co-scientifiche. Questo risultato matematico, forse così trasversale grazie alla sua semplicità, è essenziale per il calcolo delle lun- 54 IL TEOREMA
FIG 13 ghezze, aree e volumi di figure. In un quadrato di lato x, la diagonale vale xj2; in un rettangolo di lati x, y, la diagonale vale yjx2 + y2 ; in un parallelepipedo, ad esempio una scatola di scarpe, di spigoli x, y, z, la diagonale vale ^jx2 + y2 + z2; in un cono d’altezza he di raggio della base r, la generatrice vale yjh2 + r2... e sarebbe possibile con¬ tinuare così per molte pagine. Il teorema di Pitagora è pre¬ sente anche con l’introduzione delle coordinate cartesiane nel piano e nello spazio, per definire la distanza d (P, Q) tra i due punti P=(xì,yl) e Q = (x2,y2), così come si dimostra nella figura 13. Appli¬ cando il teorema: Y y2 - ri P *2 - *1 *1 *2 Distanza (P,Q) = yj(x2 -xx)2 + (y2 -yrf. In ogni calcolo che preveda l’utilizzo di funzioni, ossia nel calcolo funzionale, appare la relazione pitagorica, considerando le variabili y=f(x) nei riferimenti cartesiani. Il teorema si utilizza anche nella trigonometria. Alla misura degli angoli di un trian¬ golo rettangolo si associano le funzioni seno, coseno, tangente... (figura 14), essendo: a a . b . A a sen A = — cosA = - tan A = —. c c b In questo modo, in termini trigonometrici, il teorema di Pi¬ tagora si esprime come la relazione fra sen2 A + cos2A = 1. Analogamente, per questo motivo, è possibile ritrovare il teo¬ rema anche nella topografia, nella cartografia, nella navigazione IL TEOREMA 55
marittima o aerea e, ovviamente, nell’architettura, nell’ingegne¬ ria e in tutti quegli ambiti dell’attività umana che sono interessati da calcoli di misure e tecnici. Per dimostrare l’importanza capi¬ tale del teorema nella trigonometria, si consideri la seguente fi¬ gura. Oltre a contenere il cerchio e il triangolo rettangolo che ha per cateti il seno e il coseno, la figura mostra molti altri segmenti che corrispondono alla maggior parte delle funzioni trigonome¬ triche. Si può trovare la tangente, che è il quoziente del seno e del coseno; le tre funzioni reciproche: la secante, che equivale a 1 diviso per il coseno, la cosecante, che è reciproca del seno e la cotangente, reciproca della tangente. Ancora una volta, grazie all’onnipresente teorema di Pitagora, la varietà dei triangoli ret¬ tangoli che appaiono nella figura permette di ottenere in maniera immediata una lunga serie di relazioni interessanti, tra cui sei funzioni trigonometriche: tan2 0 +1 = see2 0, cot2 0 + 1 = esc2 0, (tan 0 +1)2 + (cot0 +1)2 = (sec 0 + esc 0)2. tan 0 1 56 IL TEOREMA
IL TEOREMA DI PITAGORA NEGLI ALTRI POLIGONI Non c’è dubbio che la relazione pitagorica greca sia intimamente connessa con una figura geometrica molto concreta, il triangolo rettangolo. Eppure, considerando la classica rappresentazione del mulino a vento nella quale i tre quadrati prestano i loro lati per formare i cateti e l’ipotenusa del triangolo rettangolo, alcune do¬ mande sorgono spontanee. Che cosa succederebbe se si usassero i quadrati per formare un triangolo qualsiasi? Inoltre, che cosa succederebbe se essi si costruissero su di un parallelogramma? Se si aggiungono tre segmenti al triangolo rettangolo con i suoi quadrati, si forma un esagono in cui appaiono tre nuovi trian¬ goli di area TvT2e T3 (figura 15). Che valore hanno le nuove aree? In ogni caso, sono sempre uguali e valgono esattamente quanto l’area T della figura iniziale T=T2=T.=T. La figura 16 può servire a dimostrare la deduzione T=TX girando Tv dal momento che la base IL TEOREMA 57
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e l’altezza dei due è uguale. Per gli altri triangoli il procedimento è lo stesso. Se ABC è un triangolo qualsiasi, possiamo ancora costruire i tre quadrati sui lati e chiederci che relazione esiste tra le aree di questi quadrati. Supponiamo, ad esempio, il caso di un triangolo acuto (A < 90°). La soluzione è esemplificata nella fi¬ gura 17. In essa abbiamo tracciato le tre altezze del triangolo. In seguito queste altezze sono state prolungate fino a dividere i qua¬ drati costruiti sui cateti in due rettangoli. Considerando le mi¬ sure dei suoi lati risulta che l’area del rettangolo superiore destro è c (acosB). Ciò che sorprende è che quest’area è la stessa di quella del rettangolo inferiore destro. L’area delle sezioni di sini¬ stra è ò(acosC). Inoltre appaiono i due segment b(c cos A), arrivando così al risultato: à2 = b2 + c2-2bc-cos^4, essendo questa la legge del coseno. Pertanto, se >l=90o, il cos90°=0 si ha ò2+c2=a2, la celeberrima relazione pitagorica. In questo modo la legge del coseno è un’e¬ stensione del teorema di Pitagora. Un’altra proprietà sorpren¬ dente si manifesta nei quattro quadrati che si possono costruire sui lati di un parallelogramma. Come si può apprezzare nella fi¬ gura 18 la somma delle aree dei quattro quadrati è uguale alla somma dei due quadrati che possono disegnarsi sopra le diago¬ nali. Si tratta della legge del parallelogramma. PASSATEMPI MATEMATICI Per terminare la descrizione delle manifestazioni contemporanee di uno dei più venerabili risultati matematici della storia e della scienza vale la pena considerare un paio di passatempi, che, no¬ nostante siano considerati tali, non cessano di essere utili. In primo luogo, il teorema di Pitagora permette di rispondere a una domanda che l’uomo si fece dal momento in cui scoprì la curva¬ tura della terra: fino a che distanza è possibile vedere l’orizzonte? IL TEOREMA 59
Per risolvere questo quesito bisogna unicamente conoscere l’altezza dell’osservatore sul livello del mare. Ad esempio, se l’osservatore sta osservando il paesaggio dalla cima di una montagna di 1000 metri d’altezza, è possibile applicare il teorema in questo modo: (R+hf=R2+v2. Di conseguenza: tf = (R+hf- R2 = (R2 + 2Rh + h2)-R2 = h2 + 2Rh = h(h+2R), essendo R il raggio della Terra. Siccome 2R + h è approssimativa¬ mente 2R poiché h è molto piccolo rispetto a R, risulta: FIG 20 v2~h(2R) v**y/2 Rh. E con Ä=6371 km e h= 1 km, ri¬ sulta: vsi 12,88 km. Infine, andando un poco oltre, sapendo che il teorema di Pita¬ gora è una tipica proprietà dei triangoli rettangoli piani, sorge spontaneo chiedersi: sarebbe possibile proiettarlo nello spazio tridimensionale? La risposta a questa domanda è affermativa ed è possibile farlo in diversi modi. Un metodo conosciuto e molto intuitivo è quello di considerare una scatola di spigoli a, b, c ed esprimere il valore d della dia¬ gonale della scatola attraverso il teorema pitagorico: d2 = a2 + b2 + c2 (figura 20). 60 IL TEOREMA
CAPITOLO 3 La setta dei pitagorici All’apice della colonizzazione greca Pitagora mise alla prova il suo progetto di società utopica, di base spirituale e filosofica, in Magna Grecia. Fondò una setta in cui erano ammessi uomini e donne in pari numero. La confraternita si strutturava attraverso l’accesso alla conoscenza magico-matematica. È la prima società con queste caratteristiche di cui siamo a conoscenza, una vera e propria “setta del numero”.
Il pitagorismo era una forma di vita. La comunità di seguaci del maestro Pitagora si sottometteva a una serie di regole che copri¬ vano tutti gli aspetti della quotidianità, anche quelli più pratici. L’accesso alla verità e alla salvezza dipendeva dall’adempimento rigoroso di queste norme, così come avveniva nelle dottrine delle religioni misteriche. L’etica della comunità primitiva era determinata dall’idea dell’immortalità dell’anima, che tingeva la vita pitagorica di un carattere religioso e ascetico. Per questo motivo, la maggior parte delle regole era volta a far sì che i membri della confrater¬ nita dominassero il loro carattere, s’allontanassero dalle pas¬ sioni e ignorassero le necessità del corpo, condizioni necessarie per raggiungere la conoscenza suprema. In quel contesto, la musica era considerata “medicina per l’anima” grazie al suo ef¬ fetto consolatorio, e la massima virtù era l’armonia dell’anima, uno stato di perfezione al quale era possibile elevarsi solamente con le successive reincarnazioni. A quanto pare, durante la vita del maestro, anche se il numero aveva già manifestato le sue proprietà puramente matematiche, non aveva ancora esteso la sua influenza all’etica pitagorica, né aveva ancora influito sulla sua cosmologia. Per i pitagorici la vita aveva un obiettivo mistico: il contatto col divino. Per questo motivo 1’esistenza era organizzata in LA SETTA DEI PITAGORICI 63
forma di un’ascesa a tappe. Così come nelTorfismo, che attribuiva all’uomo un’origine divina e concepiva la vita come una lotta per recuperarla, Pitagora considerava l’anima come la parte di¬ vina dell’uomo e la sua unica speranza di sopravvivenza. In ogni caso, non dobbiamo farci scrupoli nel qualificare la scuola fon¬ data dal saggio di Samo come una setta. La vita pitagorica, così come l’hanno descritta i cronisti, comprende punto dopo punto tutti gli elementi che definiscono una setta religiosa in senso puramente sociologico, senza accezioni peggiorative. Il mae¬ stro, la massima autorità spirituale, proponeva ai suoi seguaci un insieme di iniziazioni e regole obbligatorie per vivere, li sot¬ tometteva a una struttura gerarchica con ordini e categorie e offriva loro una codificazione dell’ascesa alla verità. I membri del gruppo si distinguevano per i loro vestiti, per l’alimentazione e per i rituali che svolgevano, una forma di vita alternativa alla società tradizionale. GERARCHIA PITAGORICA La gerarchia pitagorica rispondeva ai diversi gradi d’iniziazione dei membri della setta. La divisione di base consisteva in due gruppi: gli acusmatici e i matematici. I primi ascoltavano le pro¬ posizioni degli insegnamenti del maestro, ma non avevano ac¬ cesso a una spiegazione più completa del ragionamento che le giustificava. I secondi, invece, studiavano le suddette proposi¬ zioni e conoscevano i loro segreti. Questi insegnamenti enigma¬ tici si trasmettevano attraverso delle massime allegoriche chia¬ mate acusmata, che gli iniziati di livello base ripetevano come fossero orazioni. La tradizione vuole che Pitagora avesse ap¬ preso in Egitto questo metodo tipico delle sette, ma è un dato di fatto che le massime pitagoriche fossero molto simili alle sen¬ tenze dell’oracolo di Delfi. A questa divisione primaria, la più nota, si aggiungono altri stati di potere o autenticità, secondo il livello di prossimità al sapere lo¬ gico. A sua volta, il grado di potere all’intemo della setta corrispon- 64 LA SETTA DEI PITAGORICI
deva al rigore delle abitudini, di modo che una maggiore conoscenza implicava norme più severe e uno stile di vita ancora più severo. Secondo la tradizione, gli iniziati ascoltavano le spiegazioni del maestro da dietro una tenda che impediva loro di vederlo, formando un cerchio esterno. Venivano chiamati essoterici, per¬ ché si trovavano fuori dal cerchio del maestro. I nuovi membri dovevano superare varie prove d’iniziazione, che consistevano nel fare voto di silenzio e praticare una vita pura, che includeva il vegetarianismo, l’uso di vestiti bianchi e la meditazione. Mano a mano che completavano il periodo di prova, potevano oltrepas¬ sare la tenda ed entrare nel circolo interno. In questo modo pas¬ savano a chiamarsi esoterici. L’entrata nella setta era un processo molto complesso, che iniziava con esami fisici, morali e attitudinali. Alcune fonti segna¬ lano che il candidato entrava in un periodo di prova di tre anni, dopodiché cominciava il primo grado d’iniziazione: un voto di silenzio di cinque anni. Il silenzio pitagorico aveva origine anche nei rituali misterici, la cui rivelazione era proibita e castigata, ed era una pratica preliminare della segretezza assoluta che riguar¬ dava l’insegnamento della setta. Il voto di silenzio e l’autocon¬ trollo furono due discipline morali molto ammirate durante tutta l’Antichità. Nella gerarchia pitagorica sono stati identificati altri due gruppi, gli amministratori e i politici, anche se la divisione non è molto chiara. I primi gestivano l’alloggio e il patrimonio della comunità, poiché entrando nella setta i beni del nuovo membro s’incorporavano al tesoro comune. I politici, invece, s’incarica¬ vano delle relazioni del gruppo con il mondo esterno. Ma la divisione più forte e palese era quella che separava i membri della setta dalla società convenzionale. Il gruppo reagiva in modo ostile di fronte a chi abbandonava la setta o a chi desi¬ derava entrare senza meritarselo. I disertori venivano conside¬ rati morti. Potevano andarsene liberamente e si restituiva loro il doppio di ciò che avevano donato alla comunità, ma a partire da quel momento smettevano di esistere per la setta. I membri della confraternita, che avevano una grande mobi¬ lità geografica, disponevano di contatti nelle città più importanti LA SETTA DEI PITAGORICI 65
dell’Italia meridionale e della Sicilia, dove si articolò un’ampia rete di ospitalità pitagorica. I fratelli impiegavano una serie di parole d’ordine segrete per riconoscersi nei diversi punti del mondo antico, e potersi così mutare nei momenti di pericolo. La tradizione è piena di aneddoti riguardo a pitagorici in situazioni di necessità, che vengono mutati da altri compagni, riconoscen¬ dosi con ingegnosi segnali segreti. «Come i pitagorici ad Apollo, così noi sacrifichiamo, senza mangiare nulla che abbia un’anima.» Diogene Laerzio citando alcmeone nel capitolo dedicato a Pitagora, NELLA SUA OPERA Vite E DOTTRINE DEI PIÙ CELEBRI FILOSOFI. TABÙ PITAGORICI Si è spesso detto che i pitagorici fossero vegetariani ma certi autori assicurano che Pitagora evitasse solo alcune parti degli animali, come: le interiora, i testicoli e i genitali, il midollo osseo, le zampe e la testa. Su questo punto si dibatte tutt’oggi: in ogni caso, è dimostrato che i membri della setta avessero dei tabù alimentari piuttosto ferrei, per via dell’influenza della dottrina dell’immortalità dell’anima. Le restrizioni alimentari variavano a seconda della gerar¬ chia. Gli iniziati di livello inferiore potevano mangiare qualsiasi tipo di carne, con l’unica eccezione di quella di bue, che serviva per il lavoro nei campi, e di quella di montone. Il consumo del pesce era soggetto a regole molto severe. Il tabù alimentare più famoso e peculiare, in quanto probabilmente arbitrario, era il divieto di mangiare le fave. Questo divieto era giustificato da una serie di ragioni stravaganti, attribuendolo in definitiva alla ca¬ tena della reincarnazione: le fave erano stranamente relazionate con la carne umana e la loro ingestione poteva arrivare a consi¬ derarsi un atto di cannibalismo. Non meno peculiari sono le leg¬ gende che circolavano sull’alimentazione di Pitagora stesso. Si 66 LA SETTA DEI PITAGORICI
dice che per preparare la sua meditazione mangiasse alimenti che saziavano rapidamente la fame o la sete, o addirittura che smet¬ tesse di alimentarsi del tutto. La lista includeva ingredienti come semi di papavero e sesamo, fiori di narciso e foglie di malva, chic¬ chi d’orzo e ceci. Per bere, riuniva dei semi di cetriolo e uva passa sgranati, formaggio a pezzi, farina e crema di latte e li mescolava con miele selvatico. SACRIFICI E REINCARNAZIONE Il sacrificio animale era uno dei pilastri del culto e della pietà gre¬ ca verso gli dèi. Per questo motivo non deve risultare strano che la religiosità dei pitagorici si manife¬ stasse in tale forma. Ora, si direbbe che il sacrificio animale si trovi in contraddizio¬ ne con l’idea della reincarnazione. Per risolvere questo pro¬ blema, alcuni autori assicurano che i pita¬ gorici realizzassero offerte incruente, mentre altri ricorrono a complesse spiega¬ zioni che cercano di dimostrare che le ani¬ me degli uomini non potevano entrare ne¬ gli animali consacrati. In ogni caso, sembra che fossero i membri degli strati più bassi della setta coloro che s'incaricavano di sacrificare animali e compiere i rituali della religione convenzionale, che a volte sembravano contraddire gli insegnamenti del maestro. Ceramica greca datata intorno al V see. a.C. Attribuita a Epidromo, la sua decorazione è dedicata al sacrificio animale (Museo del Louvre, Parigi). LA SETTA DEI PITAGORICI 67
MASSIME PITAGORICHE Quella di Pitagora fu un’epoca di prestigio della comunicazione orale, dove la saggezza effimera si equiparava con quella reale. Forse per questo, usando le parole dello storico greco Plutarco (I-II see. d.C.), il saggio di Samo «non scrisse niente in assoluto, come Socrate». Con il passare dei secoli, però, diversi autori as¬ sicurarono che Pitagora aveva fissato le sue dottrine in alcune opere scritte. Una tradizione gli attribuisce tre libri (sull’educa¬ zione, la politica e la natura), mentre un’altra tradizione gli ri¬ volge l’accusa di averli plagiati da Orfeo. La leggenda più famosa, però, è quella che difende resi¬ stenza di un testo sacro di base del pitagorismo, che avrebbe contenuto gli insegnamenti segreti della setta, di cui si realizza¬ rono alcune copie che circolarono nel mondo greco poco dopo la sua morte. Si chiamava Discorso Sacro. Non vi sono prove affidabili della sua esistenza e la cosa più probabile è che non esistesse davvero. In ogni caso, tutte le descrizioni del discorso che Pitagora tenne al suo arrivo a Crotone riferiscono che le sue parole furono considerate divine e motivarono l’adesione incon¬ dizionata di numerose persone, che formarono una confraternita e condivisero tutti i loro beni. I VERSI D’ORO II filosofo neoplatonico Giamblico di Calcide affermò che, attraverso Filolao di Crotone, arrivarono nelle mani di Platone alcuni testi scritti dai pitagorici. Tra queste opere, spiccava il Discorso Sacro. Dal III see a.C. circolarono dei Versi d’oro, che, secondo la leggenda, provenivano dal Discorso sacro e in cui si notava l’impronta di Pitagora stesso. Era un breve compendio di 71 esametri che fu canonizzato come modello etico del comportamento per molto tempo, raggiungendo anche il Romanticismo, per mano del tedesco Goethe (1749-1832). È possibile che alcune delle idee che formano il testo provenissero dalla setta originaria di Pitagora, come avviene con tutti i testi tradizionali. 68 LA SETTA DEI PITAGORICI
FOTO A LATO I pitagorici celebrano il sorgere del sole, tela del pittore del XIX secolo F.A. Bronnikov (Galleria Tretyakov, Mosca). FOTO IN BASSO Pitagora che risale dagli Inferi, dipinto dell’artista Salvator Rosa, realizzato verso la metà del XVII secolo (Kimbell Art Museum, Fort Worth). LA SETTA DEI PITAGORICI 69
Come abbiamo visto in precedenza, l’educazione pitagorica avveniva mediante simboli di difficile interpretazione, di carat¬ tere sentenzioso e arcaico. Così come le parole degli oracoli, erano difficili da capire, ma, una volta scoperte le loro chiavi interpretative, era possibile risolvere l’enigma ed accedere a una conoscenza d’ordine superiore. Le massime che memorizzavano gli acusmatici erano lezioni orali simili ad alcuni precetti reli¬ giosi greci o alle norme delle religioni misteriche, e si classifica- vano in tre tipi: - Definizioni per mezzo di domande del tipo «che cosa cosa è»: «Che cosa è l’oracolo di Delfi? La tetraktys.» «Che cosa sono le Isole dei Beati? Il Sole e la Lima.» - Definizioni che indicavano «che cosa è meglio»: «Che cosa è la cosa più giusta? Sacrificare.» «Che è la cosa più saggia? Il numero.» «Che cosa è la cosa più bella? L’armonia.» «Che cosa è la cosa più potente? Il sapere.» «Che cosa è la cosa più eccellente? La felicità.» - Norme di comportamento che indicavano «che cosa conviene o non conviene fare»: «Non passare sopra la bilancia» (Non trasgredire l’eguaglianza e la giustizia). «Non ferire il fuoco con la spada» (Non incitare l’ira e l’indignazione dei potenti). «Aiuta a portare un peso, non imporlo» (Non far sì che qualcuno smetta di fare qualcosa). «Non mangiare il cuore» (Non tormentare l’anima con angustie e dolori). Una delle definizioni chiave come mezzo d’apprendimento attraverso domande e riposte introduceva un concetto fondamen¬ tale per il pitagorismo: la tetraktys, l’insieme dei primi quattro numeri, la cui somma dava come risultato il 10, il numero perfetto nel pitagorismo successivo. 70 LA SETTA DEI PITAGORICI
IL PITAGORISMO POLITICO Spesso nell’antica Grecia era impossibile separare il legislatore dall’uomo divino. I due casi classici sono Minosse e Licurgo, i mitici legislatori di Creta e Sparta. Minosse dettò legge a Creta dopo aver ricevuto le leggi da Zeus, mentre Licurgo fu l’eroe re¬ sponsabile delle leggi di Sparta, che apprese prima a Creta e in Egitto e che in seguito vennero approvate da Apollo nel santua¬ rio di Delfi. Anche le leggi di Solone di Atene, uno dei Sette Saggi Greci, e il primo legislatore che contribuì a svincolare la politica dalla religione, presentano ricordi di questa relazione: secondo la leggenda, infatti, l’oracolo di Delfi potrebbe aver guidato il suo cammino politico. D’altra parte, il posto occupato da Minosse nella tradizione greca ebbe il suo corrispettivo nell’antica Roma con il re Numa Pompilio, e nel mondo ebraico con Mosè. I legislatori-indovini si estesero in tutto il mondo greco, e nelle città dell’Italia meridionale si trasformarono in una tradi¬ zione culturale di pensatori come Parmenide, Zenone o lo stesso Pitagora. Il saggio di Samo fu l’esempio per eccellenza del san¬ tone con influenza politica, il legislatore d’ispirazione divina, fondatore delle regole e dei precetti universali. Difatti, la società che fondò - che ammetteva uomini e donne allo stesso livello, la proprietà era comune e lo stile di vita comunitario - si considera la prima comunità con tali caratteristiche di cui abbiamo notizia. Non è possibile sapere con certezza se i viaggi d’apprendi¬ stato di Pitagora fossero reali o fino a che punto il saggio dedicò la sua prima scuola, il Semicerchio di Samo, a mettere alla prova le sue idee. In ogni caso, la permanenza a Creta di cui ci parlano alcune sue biografie, allo scopo dell’apprendistato politico, po¬ trebbe essere stata possibile ed essere avvenuta durante il suo giro in Grecia, prima di trasferirsi a Crotone. Creta era conside¬ rata un luogo di massimo prestigio per il sommo apprendimento delle leggi, oltre a essere in Grecia la porta d’accesso delle idee provenienti dall’Egitto, costante e antichissimo esempio per la cultura greca. La colonizzazione greca favorì la concordia sociale perché permise di provare, in luoghi remoti, diverse forme di utopia poli¬ LA SETTA DEI PITAGORICI 71
tica e religiosa, soffocate dalle classi dominanti delle città. Pitagora abbandonò la sua isola natale spinto dal clima politico instaurato dal regime del tiranno Policrate, che probabilmente era contrario al suo progetto di sviluppo di un governo basato su principi spiri¬ tuali. Alcuni autori affermano che Pitagora dovette fuggire per avere manifestato nell’arena politica, su richiesta dei suoi concit¬ tadini, fatto che sembra suggerire che avesse capeggiato qualche resistenza alle ingiuste leggi del tiranno. A partire da quel momento, diverse fonti riferiscono le visite di Pitagora a oracoli di città come Deio, Delfi, Sparta e Fliunte, dove alcuni assicurano che provò a mettere in pratica la sua so¬ cietà utopica. I tentativi, nelle polis greche, furono un fallimento e così egli decise di sfidare la fortuna nelle colonie greche in Italia. Che motivi condussero Pitagora a scegliere la città di Crotone come destinazione? Innanzitutto era una città prospera e nota per essere la casa di numerosi atleti vincitori dei giochi olimpici, ma soprattutto si era convertita in un grande centro della scienza greca, principalmente di medicina. I suoi medici viaggiavano per tutto il mondo greco, e alcuni dei più famosi, come Democède di Crotone (VI see. a.C.), arrivarono a prestare i loro servigi nella corte persiana, la massima espressione della raffinatezza e del fasto per la mentalità degli antichi greci. EDUCAZIONE PITAGORICA I discorsi che il maestro tenne al suo arrivo a Crotone dovevano contenere qualche idea dell’universo sociopolitico dei pitagorici. Dice la leggenda che i personaggi più importanti della città affida¬ rono al saggio, appena arrivato, l’incarico di istruire i giovani coi suoi nuovi insegnamenti. Pitagora tenne quattro discorsi presen¬ tando il suo codice di comportamento, stabilendo le basi delle sue norme etiche e politiche, e tracciò le linee di quella che sarebbe stata la forma di vita pitagorica. I primi due discorsi riguardarono questioni politiche. Il primo si tenne nel ginnasio, di fronte ai giovani di Crotone. Egli suggerì loro di onorare gli anziani e gli dèi e di perseguire una politica 72 LA SETTA DEI PITAGORICI
LA COLONIZZAZIONE GRECA Tra rvill e il VI see. a.C. ebbe luogo la colonizzazione greca del Mediterraneo, un processo che fu allo stesso tempo parte e motore dei grandi cambiamen¬ ti che si produssero nelle città greche. La partenza di gruppi di cittadini alla volta di nuovi territori dove rifondare la loro civiltà risolveva i problemi di carestia, regolava la popolazione o semplicemente funzionava da valvola di sfogo per la conflittualità sociale e politica. Il processo di colonizzazione po¬ tenziò il commercio e rese possibile importare alimenti dalle regioni più ferti¬ li, dove si potevano ottenere in maggiori quantità e con uno sforzo minore. Per pagare l’importazione degli alimenti, le città greche si dedicarono all’industria: fabbricarono armi, tessuti o ceramica, per scambiarli con cereali, anche se svilupparono, inoltre, l’agricoltura specializzata, producendo vino e olio d’oliva, prodotti adatti alla terra greca. d’alleanze coi vicini. In seguito si rivolse al senato, presentando l’idea pitagorica dell’armonia politica e dello stato come un’ere¬ dità che si deve proteggere con rigore per opera della maggio¬ ranza, e per il bene di questa maggioranza. I due discorsi successivi si focalizzarono sull’educazione reli¬ giosa. Il discorso che diresse ai bambini fu un compendio di infor¬ mazioni riguardo ai rituali. L’ultimo discorso, invece, pronunciato di fronte alle donne della città, permette di dedurre delle informa¬ zioni molto significative sull’interesse per la donna nella setta pi¬ tagorica, che promuoveva il matrimonio all’interno della confra¬ ternita. Risulta palese che il contenuto di questi discorsi contrad¬ dicesse il presunto egualitarismo della confraternita pitagorica, perché a quanto pare Pitagora concepiva la politica come ambito maschile, e relegava le donne e i bambini alle questioni religiose. ORIENTAMENTO POLITICO Fino a oggi l’orientamento politico dei pitagorici è stato motivo di dibattito: era un gruppo democratico o aristocratico? Le fonti ci offrono opinioni contraddittorie: a volte Pitagora sembra un pala- LA SETTA DEI PITAGORICI 73
dino della libertà, altre volte invece i pitagorici appaiono come un gruppo d’élite che selezionava i suoi membri tra le migliori fami¬ glie di Crotone. Fin dall’inizio la setta fu oggetto di ogni tipo di accuse riguardo le sue aspirazioni politiche. In un discorso rivolto al senato della città, uno degli oppositori affermò che i pitagorici stavano progettando di sottomettere il popolo, che consideravano come bestiame. Lo storico Diogene Laerzio documenta, a sua volta, che i crotonesi insorsero contro i pitagorici a causa della loro tendenza alla tirannia. Bisogna considerare, però, che questa accusa era all’epoca molto abituale, e si usava spesso come scusa per fomentare una rivolta. In opposizione alle calunnie, si raccolsero anche altri tipi di informazioni. Varie fonti testimoniano che i pitagorici venivano talmente considerati un modello di virtù, che spesso era loro affi¬ dato il ruolo di arbitro e i cittadini si sottomettevano al loro giudi¬ zio senza problemi. Alcuni testi li presentano come politici e legi¬ slatori, a volte come meri consiglieri oppure a capo di alcune città italiane, sempre rifiutando, però, di ricevere un salario pubblico. Disgraziatamente, gli unici dati validi testimoniano l’attività di Pitagora e dei suoi seguaci come consulenti politici riguardo agli affari più rilevanti di alcune città. Gli indizi sono molti e contraddittori, ma in conclusione le evidenze storiche sembrano insistere sulla tendenza aristocratica ed elitarista dei pitagorici, una possibilità che non dovrebbe sor¬ prenderci in un modello di confraternita diretta da un leader in¬ contestabile. Ad esempio, sembra che i seguaci di Pitagora venis¬ sero reclutati tra le classi nobili. Erano loro a costituire il nucleo della comunità, i trecento uomini più vicini al maestro, che non solo avevano accesso diretto alle sue idee filosofiche e politiche ma erano anche in grado di metterle in pratica. Quando le società pitagoriche si estesero in altre città della zona, come Sibari, Metaponto o Taranto, seguirono lo stesso modello. Forse, da questo punto di vista, risulta più facile capire le ra¬ gioni che portarono alla sollevazione contro i pitagorici. Nell’antica Grecia l’idea della tirannia era legata al fatto che un governante prendesse il potere con la forza, più che alla sua crudeltà, anche se inesorabilmente i tiranni finivano per essere spietati. Per questo 74 LA SETTA DEI PITAGORICI
LA RETORICA POLITICA Per alcuni autori la retorica politica nacque con i quattro discorsi tenuti da Pitagora di fronte ai diversi settori della popolazione crotonese. La leggenda narra che la retorica pitagorica utilizzasse una grande varietà di toni e argo¬ mentazioni per adattarsi a ogni tipo di auditorio: l’obiettivo del discorso, in¬ fatti, era la seduzione degli animi attraverso la parola, oltre al contenuto stes¬ so del discorso. La forma di pensare contemporanea non può che rifiutare quest’idea, ma per comprendere nella sua dimensione la mentalità greca vale la pena ricordare il successo dei sofisti Gorgia e Protagora nell’Atene demo¬ cratica, dove si considerava un segno di saggezza la capacità di trovare la modalità di discorso adatta a ogni pubblico. motivo, in quanto regime di potere assoluto, la tirannide si con¬ vertì nel sistema politico cui ricorrevano le persone autoritarie. Così, si può dire che i pitagorici fossero ima società a carattere aristocratico e anti-tirannico, poiché la tirannide poteva essere spinta da una rivolta popolare di carattere reazionario. LA RIVOLTA ANTIPITAGORICA Durante lo sviluppo della scuola pitagorica e l’espansione delle sue idee, Crotone visse un’epoca di splendore politico. Difatti, il co¬ mandante delle trionfanti truppe crotonesi ai tempi di Pitagora, che si chiamava Milone, viene considerato da vari autori il proprie¬ tario della casa dove avvenne il leggendario incendio che segnò la fine della setta. Paradossalmente, l’auge della città finì con la solle¬ vazione antipitagorica. Il gruppo chiuso ed elitarista dei pitagorici estese la sua influenza politica fino a esercitare una pressione molto forte nella società della Magna Grecia. A Crotone, un gruppo popolare si riunì attorno a Cilone, un uomo abbiente dalle ten¬ denze tiranniche, e insorse contro la società dei pitagorici. Alla fine violenta della setta nella sua città d’origine, seguì la persecuzione LA SETTA DEI PITAGORICI 75
delle congregazioni pitagoriche delle altre città, tra brutali rivolte. La liquidazione immediata della classe dirigente di quelle polis diede inizio a un terribile periodo di guerra civile in tutta la regione, dove le cadute dei governi erano all’ordine del giorno. I sovversivi non agivano solo contro i pitagorici ma estesero i loro attacchi a tutte le aristocrazie governanti. Le città della Grecia mandarono infine delle ambasciate, e, finalmente, l’ordine venne ricostituito. Oltre che a causa dell’insurrezione, fu la morte di Pitagora a Metaponto, sicuramente successiva, a mettere fine all’attività pub¬ blica dei pitagorici. La setta non rinacque più, né come organizza¬ zione d’importanza politica né come forma di vita, anche se questo non significa che si estinse, ma piuttosto che non si riunì più pub¬ blicamente. Alcuni famosi sopravvissuti ritornarono alle città e in certi casi svolsero dei ruoli politici, ma sempre a titolo individuale: tra di essi, Filolao e Archita. 76 LA SETTA DEI PITAGORICI
CAPITOLO 4 Un universo basato sul numero Pitagora credeva che i numeri rappresentassero l’essenza di tutte le cose e che il mondo fosse armonia. I suoi discepoli più dotati si dedicarono a scoprire le proprietà e le relazioni numeriche e a stabilire analogie tra i numeri e le cose. Il prodotto del suo sforzo scientifico ebbe come risultato una mistica numerica che influenzò tutto il mondo antico e che pose l’ultima pietra di un lungo processo: la fondazione della matematica come scienza.
Pitagora di Samo viene considerato da ima parte della tradizione il padre della matematica, anche se voci meno affidabili lo obbli¬ gano a condividere l’onore con altre grandi figure, a volte molto vicine nel tempo e nello spazio, come Talete di Mileto, il cui valore è pari a quello di Aristotele. È certo che i primi progressi matema¬ tici rilevanti si svilupparono in Mesopotamia ed Egitto e comincia¬ rono a registrarsi verso l’anno 3000 a.C. In realtà i rudimenti di base della futura scienza sono precedenti. La matematica appare in maniera spontanea come emanazione di attività dell’essere umano, continuamente in lotta con la natura che lo circonda, pro¬ ducendo risultati analoghi in luoghi e tempi diversi, bisogno della necessità dell’uomo primitivo di sviluppare strumenti per risol¬ vere problemi pratici. Per contestualizzare adeguatamente l’ap¬ porto matematico dei pitagorici, si fa necessario un viaggio attraverso la storia di questa disciplina in tempi anteriori al pen¬ siero greco. CONTARE E ORDINARE La prima tappa del cammino verso il concetto di numero fu il ri¬ conoscimento di differenze come “molto” e “poco”, quantità “grande” e “piccola”, o la differenza intellettuale tra l’imo e il mul- UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 79
Cifre cinesi di bambù. Sistema numerico a base IO. tiplo. Il passo successivo fu l’apparizione dei sistemi binari e ter¬ nari. Alcuni popoli primitivi distinguevano precariamente tra 1, 2 e “tanti”, mentre altri conoscevano numeri più elevati con i quali arrivarono a realizzare operazioni. Più tardi, alcune culture intro¬ dussero l’uso di ima base, come ad esempio il 10, il 20 o il 5, per non dover continuare a contare imo a imo. Per la maggior parte, le prime civiltà non consideravano i nu¬ meri come concetti astratti. Li chiamavano con parole relative all’oggetto numerato e li rappresentavano con simboli semi-ma¬ gici. La distinzione tra le parole che designano i numeri e gli in¬ siemi particolari dei numeri fu un processo molto esteso. Così, certe quantità rappresentative (le cinque dita della mano, le dieci dita delle due mani) svolsero un ruolo fondamentale nella forma¬ zione delle operazioni aritmetiche e nell’elezione di ima base per il sistema numerico. Queste popolazioni conoscevano già le quat¬ tro operazioni aritmetiche elementari, che utilizzavano in modo approssimativo, usando solo numeri bassi. Avevano inoltre il con¬ cetto di frazione, in generale limitata a 1/2, 1/3 e poco più, che esprimevano con una parola. Con la massima sicurezza sviluppa¬ rono le nozioni geometriche di base: retta, cerchio, angoli... La loro conoscenza matematica arrivava fin dove lo richiede¬ vano le loro necessità pratiche: calcoli commerciali molto semplici, calcolo approssimato di aree di campi, disegni di decorazioni geo¬ metriche per ceramiche o tessuti, e, soprattutto, la misura del tempo. Nella fase finale dello sviluppo delle società più antiche si regi- Unità Decine 80 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
strarono progressi numerici che richiesero un’elevata capacità d’astrazione: la corrispondenza tra numeri astratti e la quantità di cose concrete, la costruzione aggiuntiva della successione dei numeri e l’uso del numero come base di un sistema numerico.In ogni caso, la vera e proprio spinta iniziale della matematica, e di tutte le scienze in generale, è legata indissolubilmente alla seden¬ tarizzazione e allo sviluppo delle prime città. Verso l’anno 10000 a.C. si verificò un cambio decisivo nella relazione dell’uomo con la natura e anche degli uomini tra loro. Le culture primitive ab¬ bandonarono poco a poco la loro economia basata sulla caccia e sul raccolto, e si dedicarono all’agricoltura, all’addomestica¬ mento di animali e all’allevamento del bestiame. Con la conse¬ guente divisione del lavoro, la società umana si stratificò in classi basate sulla produzione agraria; apparvero la proprietà privata e 10 stato; nuove e più complesse necessità obbligarono ad affinare 11 sapere matematico e astrologico. In numerose civiltà la matematica occupò una posizione di maggior rilievo tra le scienze che stavano muovendo i loro primi passi, anche se esistevano ancora molte culture che ignoravano completamente questo progresso. La forma concreta e il livello delle conoscenze legate aU’agricoltura che i matematici del tempo raggiunsero dipese dalla concezione del mondo che dominava ognuno dei popoli in cui si manifestò. In generale, la scienza della società agraria si mantenne al livello che era necessario, senza avventurarsi oltre e, nel caso della matematica, si ridusse a ope¬ razioni elementari con grandezze costanti. LA TERRA TRA DUE FIUMI La Mesopotamia fu la prima delle civiltà antiche che contribuì all’evoluzione della matematica, materia in cui, grazie ai sumeri, raggiunse un livello superiore a quello degli egizi. I primi testi ma¬ tematici che possediamo - iscritti su tavolette d’argilla in scrittura cuneiforme - derivano dalla civiltà sumera di Uruk. Si riscontrano contenuti matematici rilevanti anche nelle tavolette dell’antico UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 81
MESOPOTAMIA L’aggettivo “mesopotamico” si applica a tutti i popoli che occuparono la vasta regione della Mezzaluna Fertile, compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, arrivando fino alle montagne del Libano, che oggi forma parte del moderno Iraq. Difatti, il termine Mesopotamia non allude a nessuna città, paese o cultura in concreto, ma significa terra tra due fiumi. I popoli che vissero in questa regione costruirono città come Babilonia, Ur, Uruk, Lagash... Fortu¬ natamente, nonostante i frequenti cambi di governanti, lo sviluppo della matematica in Mesopotamia sperimentò una continuità di scoperte e pratiche fin dall’inizio. impero babilonese, soprattutto durante l’apogeo culturale che si produsse durante il regno del re Hammurabi, come già segnalato. Verso la metà del VI see. a.C., i persiani achemenidi, comandati da Ciro il Grande, conquistarono il potere nel Vicino Oriente; così, alcuni matematici persiani dell’epoca, come Nabu-Rimanni e Ci- dena, le cui vicende gli esperti situano tra i secoli VI e III a.C., vennero conosciuti dai greci. La Mesopotamia si trovava all’incrocio delle vie commerciali più importanti, per cui l’economia esercitò una grande influenza nello sviluppo dell’aritmetica antica. Le culture mesopotamiche uti¬ lizzarono le loro conoscenze aritmetiche e algebriche elementari applicandole alle lunghezze e ai pesi, a scambi di monete e mercan¬ zie, calcoli d’interessi, pagamento delle tasse, divisioni di campi, ecc. La maggior parte dei testi cuneiformi che trattano temi mate¬ matici, infatti, si riferisce a problemi economici. D’altro canto, anche la costruzione di canali e condotti di scolo esigeva numerosi calcoli; l’uso dei mattoni proponeva problemi numerici e geome¬ trici, e si doveva inoltre risolvere il problema dei volumi dei granai. Le caratteristiche più peculiari del sistema numerico babilo¬ nese sono il principio della notazione posizionale e la base 60. Si ritiene che la base 60 si sia sviluppata in relazione ai sistemi di mi¬ sure di peso babilonesi e che la notazione posizionale sia derivata dal sistema monetario, ma si ignora come entrambi arrivarono a 82 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
generalizzarsi. In ogni caso, l’avanzato sistema posizionale sessage¬ simale risultò molto utile e superò tutti i sistemi numerici dell’An¬ tichità. I matematici ellenistici l’avrebbero impiegato ampiamente per risolvere i loro complicati calcoli, soprattutto nell’astronomia, dove fu introdotto e imposto da Tolomeo (100-ca. 170 d.C.) diffon¬ dendolo in tutta Europa. Da questo sistema proviene la divisione dell’angolo completo in 60 gradi, del grado in 60 primi e del primo in 60 secondi. Il sistema sessagesimale, però, ha un grande incon¬ veniente: la tabella di moltiplicazione arriva solo fino a 59 per 59, pertanto il sistema numerico aveva un alto livello di praticità, ma solo nel caso di disporre di sufficienti tabelle di moltiplicazione: tabelle che in effetti sono state ritrovate. Le culture mesopotamiche raggiunsero un livello d’abilità nu¬ merica e algebrica sufficiente per risolvere equazioni complesse, ma, in generale, la loro aritmetica e algebra rimasero sempre a un livello piuttosto elementare. Nonostante lavorassero con numeri e problemi concreti, mostrarono un certo grado d’astrazione ma- 1 7 11 if 21 «r 31 w 41 51 <%? Numeri naturali espressi in scrittura cuneiforme. Il sistema 2 rr '2<17 22 <&ir 32 W? 52<$cfr utilizzato in Mesopotamia era 3W 23 «wr 33 WH *3<#m sessagesimale. 4 jp i4<rçr e rsi 44 54<$cV 5W MW 25 33w 45 »uw «u 16 «W 46<$w 7$ 17 <9 22 49 37 m 47 57-<^(9 8W 28 «f? 38 m 48<^9 5B^W 9» 29 «A! 39^ 49 10 < 20 « 30 40 iSfc 50 •<$( UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 83
LA NOTAZIONE POSIZIONALE La notazione posizionale è un metodo di scrittura numerica nel quale il valo¬ re di ogni cifra dipende dalla posizione che occupa in una sequenza di più numeri, allo scopo di diminuire la quantità dei diversi simboli necessari per la scrittura di tutte le cifre. È determinata dalla base, che è il numero di cifre necessarie per scrivere qualsiasi numero. Esiste un’infinità di sistemi di nota¬ zione posizionale, e, per le basi superiori a IO, è necessario introdurre altri simboli distinti dalle cifre 0,1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9.1 sistemi più diffusi oggigior¬ no sono quelli a base 10 (sistema decimale), adottato quasi universalmente per l’uso quotidiano, e quelli a base 2 (binario), 8 (ottale) e 16 (esadecimale), usati nell’informatica. tematica, riconoscendo che alcuni metodi erano propri di deter¬ minate classi d’equazioni. Ci chiediamo però: in Mesopotamia, conoscevano l’idea della dimostrazione matematica? Sembra che, nonostante sapessero risolvere equazioni complicate mediante procedimenti sistematici corretti, i matematici mesopotamici si limitassero a dare istruzioni sui passi da seguire, senza conside¬ rare che avrebbero potuto anche dimostrare il loro funziona¬ mento. In questo modo, nella matematica mesopotamica non è possibile trovare né il concetto della dimostrazione, né una strut¬ tura logica basata su principi che meritavano accettazione gene¬ rale, né qualche considerazione riguardo il metodo e le sue condizioni. LE PIENE DEL NILO In Mesopotamia le culture dominanti cambiarono frequentemente, lasciando ognuna la sua influenza, mentre la civiltà egizia rimase intatta per millenni. Il culmine della cultura egizia si produsse in¬ torno alla terza dinastia, verso l’anno 2500 a.C., l’era in cui i farao¬ ni ordinarono la costruzione delle grandi piramidi. Dato che il 84 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
papiro si rompe quando secca eccessivamente, ci sono arrivati pochi documenti dell’antico Egitto, escludendo le iscrizioni gero¬ glifiche su pietra. I documenti matematici più importanti che sono sopravvissuti sono due estesi papiri: il papiro di Mosca e il papiro Rhind, che abbiamo citato in precedenza. Entrambi risalgono ap¬ prossimativamente all’anno 1700 a.C., anche se contengono que¬ stioni matematiche molto anteriori. Le prime parole del papiro Rhind fanno da titolo, e testimoniano il prestigio della disciplina agli occhi del suo autore: «Calcolo esatto: l’accesso alla cono¬ scenza di tutte le cose esistenti e di tutti i segreti più oscuri e mi¬ steriosi». Questi documenti contengono problemi matematici tipici con le loro soluzioni, per cui probabilmente avevano imo scopo pedagogico. Siccome gli egizi non stabilivano nessuna se¬ parazione tra l’aritmetica e la geometria, i papiri mescolano pro¬ blemi di entrambi gli ambiti. Si è detto spesso che la geometria egizia nascesse dalla neces¬ sità, a causa delle piene del Nilo, di dover annualmente ritracciare i limiti dei terreni coltivati dagli agricoltori. È noto che in Mesopo¬ tamia si sviluppò la stessa geometria ma senza questo bisogno. È possibile, infatti, che gli egizi fossero in contatto con la civiltà babilonese, poiché a Tell-el-Amama, nella valle del Nilo, sono state ritrovate delle tavolette in scrittura cuneiforme che risal¬ gono all’anno 1500 a.C. circa. A giudicare dai problemi contenuti nei papiri, gli egizi utiliz¬ zarono la matematica nell’amministrazione dello stato e dei tem¬ pli, nel calcolo dei salari, dei volumi dei granai, delle aree dei campi, nel pagamento delle tasse secondo l’area del terreno, nella conversione tra sistemi di misure e nel calcolo del numero di mat¬ toni necessari per la costruzione di edifici e rampe. I papiri con¬ tengono inoltre problemi concernenti la quantità di grano necessario per produrre determinate quantità di birra, o la quan¬ tità di grano di ima certa qualità necessaria per ottenere lo stesso risultato piuttosto che con un altro tipo di grano. Dallo studio di questi problemi si deduce che gli egizi dispo¬ nessero di ricette per il calcolo delle aree di rettangoli, triangoli e trapezoidi. Purtroppo, nel caso dell’area di un triangolo, anche se moltiplicavano un numero per la metà dell’altro, non è possi- UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 85
TRIANGOLI Dl AHMES Osservare le illustrazioni del papiro Rhind è davvero affascinante, dato che si scoprono elementi molto familiari che eliminano all’istante i millenni di di¬ stanza tra lo scriba Ahmes e il lettore moderno. Il primo triangolo disegnato appartiene al problema 51 del papiro. In questo problema si ricerca l’area del triangolo d’altezza 10 aste e di base 4 aste. L”‘asta” misura 100 cubiti (il cubito reale egizio si divideva in 7 palmi, ossia 52,3 cm). Pertanto, le misure del trian¬ golo sarebbero 523 m d’altezza per 209,2 m di base. La soluzione di Ahmes dimostra che il triangolo è isoscele, diviso in due dall’altezza centrale, e che in seguito, partendo da esso, si può formare un rettangolo avente la stessa area. \ Il papiro di Rhind è il più antico libro di testo di matematica giunto quasi intatto ai nostri giorni. La figura mostra un dettaglio del problema 51, che prevede di trovare l’area di un triangolo. bile sapere se il metodo fosse corretto, perché non siamo sicuri che le parole utilizzate rappresentino le lunghezze della base e dell’altezza o semplicemente due lati. Gli egizi conoscevano dimostrazioni o giustificazioni dei loro procedimenti? Il papiro Rhind è scritto come se fosse un libro di esercizi per studenti dell’epoca, sicché qualche autore ritiene che, anche se Ahmes non formulò nessun tipo di principio generale, è 86 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
Foro IN ALTO A SINISTRA Frammento di tavoletta d’argilla BM 85194 in cui possiamo apprezzare l’illustrazione del calcolo dell'ampiezza della base di una tomba con pareti a forma d’anello. FOTO IN ALTO A DESTRA Rilievo del muro sud della mastaba di Ptahhotep e Akhethotep, alti funzionari egizi del XXIV see a.C. Di fronte alla figura rappresentata, sotto il tavolo, sono scritte in numeri egizi le quantità di alimenti necessari per vivere nell’aldilà. FOTO IN BASSO Dettaglio del papiro di Mosca, dove si riferisce il problema "del tronco di piramide”. UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 87
molto probabile che li conoscesse. In ogni caso, il documento re¬ gistra i problemi che gli scriba dovevano risolvere riguardo temi d’affari e amministrativi, e i loro metodi di risoluzione sono regole pratiche conosciute attraverso l’esperienza. Non sembra che gli egizi disponessero di una struttura deduttiva basata su assiomi. L’INDIA Risulta molto diffìcile tracciare un’immagine chiara dello svi¬ luppo della matematica nell’India antica. Da un lato, per molto tempo la trasmissione dei saperi matematici e scientifici avvenne in forma orale, dall’altro la storia politica dell’India di quel pe¬ riodo è piena di avvenimenti. Attorno all’anno 4000 a.C. si formò per la prima volta nel territorio indiano una società di classi, ubi¬ cata nella conca dell’Indo. Le città più importanti furono Harappa, Mohenjo Darò, Kot Diji e Lothal. Erano città-stato con un com¬ mercio e artigianato fiorente, che arrivarono a stabilire relazioni commerciali con l’Asia Centrale, la Mesopotamia o l’Arabia. Non si è ancora potuta decifrare la scrittura di quelle culture, ma i ri¬ trovamenti archeologici della zona danno informazioni sulle loro conoscenze matematiche. Gli antichi indiani utilizzavano il sistema numerico decimale. Probabilmente impiegavano degli abachi per risolvere operazioni numeriche: infatti, sono stati trovati resti di un abaco a Mohenjo Darò. Tra le figure geometriche conosciute c’erano il quadrato, il rettangolo, il triangolo, il cerchio, il cono, il cilindro e il cubo. Sappiamo, infatti, che utilizzavano dei cerchi intrecciati come or¬ namento geometrico. Le decorazioni su vasi e rilievi suggeriscono che possedevano conoscenze su proiezioni e similitudini, che po¬ tevano dividere i segmenti in due metà e in parti equidistanti, sezionare cerchi in due o quattro parti e costruire segmenti e set¬ tori circolari, cerchi concentrici e linee parallele. Non sappiamo però come calcolassero le aree e i volumi delle figure geometri¬ che elementari. La matematica era presa in grande considerazione nell’India dei tempi remoti. Il culto dei numeri e il buddismo inta- 88 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
IL SISTEMA DECIMALE Il sistema decimale posizionale e la for¬ ma della scrittura delle cifre sono, indub¬ biamente, il maggiore apporto culturale e scientifico dei matematici da parte degli indiani per lo sviluppo dell’umanità. Attualmente, si calcola seguendo il me¬ todo indiano in tutto il mondo. La nume¬ razione indiana utilizzò sempre il sistema decimale. In sanscrito c’erano parole fisse per le cifre da 1 a 9 e per le potenze di 10. Lo sviluppo di questo sistema fu possibile grazie alla combinazione di due condizioni favorevoli: l’esistenza di nove cifre nell’uso stabile di sistemi numerici e il sistema di decine tradizionale, defi¬ nito dalla costruzione sistematica della scala di potenze di 10. Per quanto riguar¬ da l’introduzione dello zero, ha un ruolo estremamente importante il fatto che gli astronomi indiani conoscessero i segni del vuoto propri del sistema sessagesi¬ male babilonese. Nel VI see. d.C, il siste¬ ma decimale era già ampiamente esteso e dal VII secolo venne usato anche lo zero, che si rappresentò inizialmente con un punto e, in seguito, con un piccolo anello. Gli indiani chiamavano lo zero sunya, ossia “vuoto”. La traduzione ara¬ ba di “vuoto” era al-sifr, da cui proviene la parola "cifra”. Così, per denominare la grafia dei numeri si fa riferimento all’ele¬ mento fondamentale, ossia, lo zero. The Arabic Ciphers. European. Gobar. Indian. 14th cent. I3th c. [Arab.). »the. 5th c. iste. 1 t 1 1 O — z l « 3 * $ r—» <r> — f * ¥ # a ¥ K K h <T 6 b s c, £ 7 7 1 7 ? 8 2 c h7) S 5 D O' ? cs c 1 Tabella che mostra lo sviluppo dei numeri arabi in Europa e nell’India in un’illustrazione realizzata dall’erudito britannico del XIX secolo Isaac Taylor. volarono rapidamente una stretta relazione. Secondo la tradizione, verso gli otto anni, Buddha avrebbe già imparato a leggere, scrivere e fare di calcolo. Più tardi, per chiedere la mano della sua sposa Yasodhara, avrebbe dovuto sottomettersi a un esame di matema¬ tica e calcolare gli atomi di un miglio; nella sua risoluzione, trovò UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 89
un metodo d’estensione nella successione dei numeri: il gigantesco numero trovato, era, secondo il nostro metodo di scrittura, 384 - 713. La trasmissione delle conoscenze matematiche in India risale ai tempi in cui apparvero i libri religiosi-filosofici, i Veda, nel II millennio a.C. A queste prime fonti appartengono anche le cosid¬ dette “regole della corda”, i Sulvasutra, datate tra l’VIII e il II see. a.C., che contenevano istruzioni di carattere geometrico per la costruzione di altari per i quali si usavano corde e canne di bambù. Questi testi mostrano solide conoscenze geometriche, dove ap¬ pare la determinazione delle aree di figure poligonali, risultati in relazione con il teorema di Pitagora, calcoli di approssimazioni per diagonali (ad esempio per V2), ecc. In quanto alla geometria spaziale, gli antichi indiani sapevano calcolare il volume approssi¬ mato della piramide e del suo tronco, così come la superfìcie del cono. Inoltre, per n utilizzavano diverse approssimazioni, tra cui 27/8 e 243/80. LA GRECIA E LA SCIENZA DELLA MATEMATICA Nelle prime civiltà che svilupparono la matematica è possibile tro¬ vare un’aritmetica di numeri interi e frazioni, inclusa la notazione posizionale, gli inizi dell’algebra e alcune formule empiriche della geometria. Non c’era però quasi alcun simbolismo e non esiste¬ vano astrazioni e formulazioni metodologiche generali o idee sulla necessità della dimostrazione per confermare un procedimento. Quei popoli mancavano, pertanto, di ogni concezione di scienza teorica e non consideravano la matematica una disciplina indipen¬ dente, degna di essere coltivata in quanto tale. Per loro, era uno strumento con delle regoli semplici, che nella vita quotidiana non aveva alcun effetto, a parte quello di risolvere situazioni concrete. Il periodo decisivo nella fondazione della matematica così come s’intende oggigiorno fu quello dell’antica Grecia. La civiltà greca risale al II millennio a.C. e si sviluppa nella Grecia moderna, nell’Italia meridionale, nel nord-Africa e nell’Asia Minore, che pro¬ babilmente fu il suo luogo d’origine. Dal primo momento, quel 90 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
popolo di grandi navigatori e appassionati avventurieri entrò in contatto commerciale e culturale con gli egizi e i babilonesi, e, anche se prese in prestito molti elementi dai suoi vicini, finì per formare la civiltà più originale e potente della sua era, e, alla lunga, la più influente nella cultura occidentale. L’antica Grecia fu prota¬ gonista di una delle epoche più brillanti della storia del sapere. I greci consideravano gli egizi, erroneamente, i fondatori della scienza, soprattutto dell’agrimensura, dell’astronomia e dell’arit¬ metica. Molti greci viaggiarono in Egitto e a Babilonia per studiare queste materie. Una tale influenza fu molto sensibile nell’impor¬ tante e ricca città commerciale di Mileto, situata in Ionia, il terri¬ torio greco che occupava le coste dell’Asia Minore. Nei porti di Mileto arrivavano le barche della Grecia europea, della Fenicia e dell’Egitto, e vari tragitti di carovane collegavano la città con Ba¬ bilonia. È qui che nacquero la filosofìa, la matematica e la maggior parte delle scienze greche. In seguito le matematiche classiche greche si svilupparono in diverse città di tutta la geografìa ellenica, dove gruppi di pensatori si riunivano attorno a un saggio. Si diffusero vari centri di studio, ognuno dei quali si basava sull’opera dei propri predecessori. È lo stesso procedimento che si segue attualmente con la scienza: quando uno scienziato di “prima linea” si stabilisce in un’univer¬ sità o in un centro di ricerca, attorno a lui solitamente si concen¬ trano altri esperti noti e giovani studenti. La scuola ionica venne fondata da Talete di Mileto e due dei suoi discepoli furono Anas¬ simandro e Anassimene. La leggenda assicura, come già detto nel primo capitolo, che Pitagora avrebbe potuto apprendere la mate¬ matica da Talete. Oltre al suo operato filosofico, a Talete vennero attribuite molte conquiste nel terreno scientifico, come la scoperta del potere d’attrazione delle caiamite o l’elettricità statica, ma sono di particolare interesse i suoi presunti apporti matematici. La leggenda racconta che, durante un viaggio commerciale in Egitto, egli calcolò l’altezza delle piramidi a partire della lun¬ ghezza della loro ombra, che paragonò con l’altezza del suo ba¬ stone. Attraverso l’uso dei triangoli simili, che sono quei triangoli di uno stesso piano che hanno tutti gli angoli uguali e i UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 91
TALETE Dl MILETO Talete di Mileto (630-ca. 545 a.C.) risulta essere il primo e il più famo¬ so dei Sette Saggi Greci, nome che la tradizione greca diede a sette personaggi dei secoli dal VII al VI a.C., per la loro saggezza pratica in diverse discipline della conoscenza. In realtà non si sa se Talete nacque a Mileto o fosse d’origine fenicia, come assicura Erodoto, ma è docu¬ mentata la sua attività come com¬ merciante e poi come legislatore, matematico e astronomo. Parte delle sue attività commerciali si svolsero in Egitto, dove sembra che apprese molte nozioni matemati¬ che. Secondo la tradizione Talete predisse l’eclisse lunare dell’8 mag¬ gio del 585 a.C, ma, considerando le conoscenze astronomiche dell’e¬ poca, sembra un risultato abba¬ stanza difficile a cui credere. Quan¬ do Aristotele gli attribuì l’ambito titolo di “padre della filosofia greca" si stava probabilmente riferendo al suo ruolo come fondatore della filosofia ionica. Di sicuro le domande che si pose Talete, ad esempio sull’essenza delle cose e sul principio dei cambiamenti, introdussero il tema principale della filosofia e segnarono l’inizio storico del¬ la sua maturità. Busto raffigurante Talete di Mileto, conservato ai Musei Capitolini di Roma. lati in proporzione, sembra che calcolasse anche la distanza di una barca dalla costa. Ma, soprattutto, gli si attribuiscono le dimostrazioni deduttive di alcuni famosi teoremi, che, secondo la tradizione, si usavano già da tempo e furono enunciati e di¬ mostrati solo allora. Si è arrivati a dire che egli enunciò e dimostrò lo stesso te¬ orema di Pitagora. In ogni caso Talete lega il suo nome a due teoremi principali: 92 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
- Primo teorema di Talete: se in un triangolo tracciamo una linea parallela a qualsiasi dei suoi lati, si ottiene un altro triangolo simile (figura 1). - Secondo teorema di Talete: essendo B un punto della cir¬ conferenza di diametro AC, diverso daAeC, il triangolo ABC è retto (figura 2). La paternità più straordinaria tra tutte quelle che sono state attribuite a Talete è l’ultima: gli si attribuisce infatti la trasforma¬ zione della matematica in una scienza astratta. A rigore, non è possibile affermare tale paternità, a partire dal fatto che la scienza, secondo la concezione più moderna, non nasce fino al XVI secolo con la Rivoluzione scientifica, ma non c’è dubbio che i tre grandi milesi, Talete, Anassimandro e Anassimene, fossero i primi pre¬ cursori nel cammino della matematica. Il silenzio delle fonti documentarie attesta la sterilità intel¬ lettuale in Ionia a partire dalla morte del filosofo Anassimene, verso l’anno 524 a.C., fino alla presa di Mileto da parte dei per¬ siani nel 494 a.C. La scuola di Mi¬ leto, però, restò in vita. Le grandi idee e le scoperte milesi esercita¬ rono un enorme influsso nei pen¬ satori posteriori, anche se essi seguivano cammini diversi. La fi¬ gura cronologicamente più vicina alla scuola di Mileto è quella di Pitagora e, di fatto, la storia della conoscenza ritiene che i pitago¬ rici raccolsero il testimone dei milesi. Come affermato in prece¬ denza, non sappiamo che cosa si possa attribuire a Pitagora o ai suoi discepoli, così che quando si parla dell’opera matematica dei "Gl A’ FlG 2 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
pitagorici, in realtà si considerano i contributi di tutto il gruppo fino all’anno 400 a.C. Nell’insieme di pitagorici, Filolao (470-ca. 385 a.C.) e Archita (435-ca 347 a.C.) sono quelli che si distin¬ guono maggiormente. IL NUMERO SACRO I concetti matematici e geometrici di tutte le civiltà pre-elleniche erano legati alla materia. Ad esempio, per gli egizi, una retta era una corda tesa o il bordo di un terreno. Il primo grande contributo greco alla matematica fu il riconoscimento cosciente che gli og¬ getti matematici, i numeri e le figure geometriche, sono astrazioni, idee prodotte dalla mente, diverse dagli oggetti fisici. In ogni caso, però, si direbbe che non sempre essi li percepirono così. Il V capitolo del Libro I della Metafisica di Aristotele è cen¬ trato in buona parte sui pitagorici e nel descrivere e analizzare la dottrina dei numeri. Difatti, il testo dello stagirita è l’esposizione sulla filosofìa pitagorica più considerata dagli esperti. Il capitolo citato contiene un’approssimazione chiara e concisa e, per questo motivo, magistrale: [I filosofi pitagorici] supposero che le cose esistenti fossero numeri, non numeri di per sé, ma che le cose fossero realmente composte da numeri, ossia, gli elementi dei numeri sono gli elementi di tutti gli esseri esistenti, e la totalità dell’universo è armonia e numero. Il loro argomento consisteva nel fatto che le proprietà numeriche fossero inerenti alla scala musicale, ai cieli e a molte altre cose. Ossia, quando i primi pitagorici dicevano che tutti gli oggetti erano composti da numeri o che essi erano l’essenza dell’uni¬ verso, lo dicevano in senso letterale. Nonostante tutte le diffe¬ renze che possiamo riscontrare, si potrebbe dire che i pitagorici concepissero i numeri come la scienza attuale concepisce gli atomi. A cosa si riferivano però esattamente quando parlavano di “numero”? I pitagorici usavano tre definizioni: il numero è una 94 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
“moltitudine limitata”, una “combinazione o accumulo di unità” e una “quantità che fluisce”. Questo “accumulo di unità” veniva rappresentato mediante sassolini con i quali disegnavano forme. Alcuni autori hanno indicato che i pitagorici del VI e V secolo non distinguevano i numeri dai punti geometrici, che consideravano sfere minuscole. In realtà la rappresentazione dei numeri attra¬ verso linee di punti, successioni di segni o pietre disposte a for¬ mare disegni regolari è un’abitudine molto anteriore e primitiva, che durerà nei millenni, dando all’aritmetica la forma geometrica con cui si conobbe ampiamente in Grecia. Non invano il nome proprio “calcolo” deriva da una parola latina che designa la pietra con cui si calcola, e anche oggi parliamo di quadrati e di cubi dei numeri, termini che derivano dalle rappresentazioni pitagoriche. Un solo punto era il principio di tutte le cose ed era privo di dimensioni, due punti formavano una retta e costituivano la dimen¬ sione 1, tre punti non allineati erano un triangolo o un’area di di¬ mensione 2 e quattro punti che non appartengono allo stesso piano formavano un tetraedro o volumi di dimensione 3 (figura 3). Questo concetto si applicava anche alla creazione di figure geometriche. C’era solo da sostituire la progressione aritmetica che descriveva le prime figure con quella geometrica, per cui la se¬ quenza punto, linea, triangolo, tetraedro si trasformava in punto, linea, quadrato, cubo (figura 4). Nella loro concezione geometrica FIG 3 FIG 4 ! • • 1 1 1 1 V UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 95
del numero, i pitagorici identificavano punti la cui combinazione costituiva unità superiori di complessità crescente: i punti forma¬ vano linee, le linee formavano piani, i piani, superfici e le superfici, corpi solidi. È però il passo successivo, il più caratteristico, au¬ dace ed estraneo alla mentalità attuale. Per i pitagorici, il cosmo e il suo divenire erano una conseguenza naturale dei numeri. Se questi erano il mezzo con cui si manifestava la realtà, conoscere le loro proprietà e relazioni equivaleva a conoscere la meccanica dell’universo, una meccanica magicamente armonica, come dimo¬ stravano le incredibili manifestazioni numeriche scoperte dalla matematica. In questo “misticismo numerico” il matematico era il teologo che doveva svelare l’ordine divino. In questo salto me¬ tafisico si manifesta la complessa combinazione tra il Pitagora re¬ ligioso, sulla linea del pensiero magico, e il Pitagora saggio, sulla linea del pensiero logico, che sfocia nel Pitagora mago dei numeri. LA DECADE PITAGORICA Lo studio pitagorico dei numeri cominciò come una ricerca spi¬ rituale, simile a quella della cabala ebraica, nella quale ogni nu¬ mero aveva un’identità simbolica che lo dotava di virtù magiche e, addirittura, di proprietà vitali. I dieci numeri pitagorici, che non includevano lo zero, erano la decade. L’1 era il generatore di tutti i numeri, e infatti, a partire da esso, si può creare qualsiasi numero (sommandolo ripetuta- mente). I pitagorici lo chiamavano la monade e lo considera¬ vano la sorgente infinita da dove nascevano tutti gli esseri. Non si trattava propriamente di un numero universale. Simbo¬ lizzava la ragione, le cose definite, stabili. Si associava logica¬ mente con il dispari e, in maniera meno comprensibile, con il lato destro. Si utilizzava anche come simbolo dell’immutabi¬ lità aritmetica: 1.1=1,T 96 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
Il 2 era la dualità, la diversità, l’indefinito. Pitagora lo chia¬ mava la diade. Simbolizzava la materia, l’imperfezione e i contra¬ sti. Da esso scaturivano il fluire perpetuo e la creazione, per cui veniva considerato il principio femminile. Matematicamente, sin¬ tetizzava il pari e la divisione. Riceveva inoltre il nome di “prima crescita” perché si formava da 1+1. Introduceva la prima dimen¬ sione, con una lunghezza ma senza larghezza e profondità, una dimensione imperfetta, perché non è possibile costruire una figura con due punti o due linee. Si associava con il lato sinistro. Il 3 era la triade e si formava attraverso l’azione della mo¬ nade sulla diade (l+2)=3. Per questo motivo si considerava sim¬ bolo di perfezione, d’armonia tra l’unità e la diversità e gli si attribuiva un carattere maschile. Era relazionato con l’idea del tempo, considerato come sintesi del principio-mezzo-fine o del passato-presente-futuro. Da questo aspetto sacro deriverebbe l’abitudine rituale di ripetere alcuni gesti o azioni fino a tre volte. Il 3 introduceva la seconda dimensione. Il 4 era una delle chiavi della natura e dell’uomo. Significava la legge universale e inesorabile, dato che (4=2+2). Era allo stesso tempo causa ed effetto dei gruppi di quattro che si pote¬ vano trovare nella natura, come gli elementi (terra, acqua, fuoco e aria), i punti cardinali e le stagioni dell’anno, ma anche la divi¬ sione delle scienze matematiche secondo i pitagorici (aritmetica, musica, geometria e astronomia), da cui derivò il quadrivium medievale. Era il quadrato del primo numero pari ed era consi¬ derato dotato di perfezione e armonia perché (2+2=2 2). Introdu¬ ceva la terza dimensione. Il 5 era l’unione della diade e della triade, del femminile e del maschile, e così, il simbolo del matrimonio (2+3=5) e del triangolo divino (32+42=52). Cinque erano anche i poliedri regolari, solidi le cui facce sono poligoni regolari identici: il tetraedro (4 triangoli), l’esaedro (6 quadrati), l’ottaedro (8 triangoli), il dodecaedro (12 pentagoni) e l’icosaedro (20 triangoli). Inoltre, era il centro arit¬ metico dei primi nove numeri della decade 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, così come la media aritmetica dei suoi equidistanti: 1 e 9, 2 e 8, 3 e 7, 4 e 6. La grande importanza di questo numero lo convertì nell’emblema pitagorico. UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 97
Ancora più sacro del 5 era il 6, simbolo della procreazione e della famiglia, dato che supponeva l’unione del principio femmi¬ nile e del principio maschile attraverso il prodotto (6=2*3). Era tinto di misticismo, perché regolava gli intervalli di tempo tra le diverse reincarnazioni. Era, inoltre, l’area del triangolo divino 3-4-5. Ma, soprattutto, costituiva il primo numero perfetto, una tipologia di numeri di cui parleremo in breve. Il 7 era la “vergine senza madre”, perché non si poteva generare a partire da nessun numero della decade e, a sua volta, non poteva generarne nessuno. Associato alla salute e alla luce, sette erano le note musicali e gli astri che davano il nome ai giorni della settimana Era un numero geometricamente singolare, perché il cerchio non poteva essere diviso in sette parti uguali per mezzo di nessuna co¬ struzione nota L’8 simboleggiava l’amicizia, la pienezza e la riflessione. Eser¬ citava la sua influenza in tutto il cosmo attraverso le otto sfere che potevano vedersi dalla Terra (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno e le stelle fisse). Si trattava del primo numero cubo (23) e la sua pienezza proveniva dall’essere la somma di due qua¬ drati uguali (8=4+4). IL PENT ALFA Il pentagramma mistico, o pentalfa, era una stella a cinque punte. I pitagorici utilizzavano questo emblema segreto per identificarsi, perché le sue nume¬ rose e affascinanti proprietà l’avevano convertito in uno dei temi geometrici più importanti della confraternita. La più curiosa di esse era il fatto che po¬ teva essere tracciato dal movimento di un punto senza passare due volte sullo stesso lato. Il pentalfa si otteneva tracciando le diagonali di un pentago¬ no regolare, o prolungando i suoi lati. 98 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
Il 9 era il simbolo dell’amore e della gestazione, sono infatti nove i mesi in cui generalmente dura la gestazione umana. Veniva messo in relazione con la giustizia perché i suoi fattori sono uguali (9=3-3). Era il quadrato del primo numero dispari (32). Infine, il 10 era il simbolo di Dio e dell’universo. Dato che i quattro primi numeri contenevano per i pitagorici il segreto della scala musicale, la sua somma (10=1+2+3+4) era considerata la perfezione, la sintesi della natura del numero nella sua interezza Il suo contenuto matematico è insondabile: contiene la stessa quantità di numeri pari e dispari ed è il primo che contiene tanto numeri primi (1, 2, 3, 5, 7) come composti (4, 6, 8, 9, 10). «Lo giuro su Colui che ha dato alla nostra anima la tetraktys, fonte e radice della natura eterna!» Giuramento pitagorico tratto dai versi d’oro. Come principio e fondamento di ogni cosa, il 10 era la mas¬ sima espressione del misticismo numerico dei pitagorici. Lo rap¬ presentavano mediante 10 punti o sassolini disposti a forma di triangolo equilatero (figura 5). Questo anagramma, rappresenta¬ zione visiva e geometrica di 10=1+2+3+4, venne chiamato “la te¬ traktys della decade”. Tetraktys significava “tetrade” o “quattritudine”, riferendosi alla sua formazione mediante il 4, e questo permetterebbe di intendere la parola come “quaterna ba¬ sica”. Aveva un significato mistico simile a quello del pentalfa e si usava per prestare il giuramento pitagorico. I NUMERI POLIGONALI La rappresentazione pitagorica dei numeri medianti punti o sas¬ solini produsse una classificazione secondo le forme poligonali derivanti dalle loro distribuzioni. In questo modo, i numeri poli¬ gonali associavano il numero con la forma geometrica di un poli¬ gono regolare, aprendo un nuovo mondo di proprietà e relazioni. UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 99
Questa classe di algebra geometrica fu la precorritrice dell’at¬ tuale algebra simbolica. Così, i numeri 1, 3, 6, 10, 15... venivano denominati triangolari perché i punti potevano distribuirsi in forma di triangolo equilatero (figura 5). Il quarto numero triangolare era il sacro 10 e anche la sua rappresentazione esprimeva la meraviglia della sua “quattritu- dine”, infatti, come si può verificare nella figura 5, ha quattro punti per lato. I pitagorici dimostrarono che le somme 1, 1+2, 1+2+3, 1+2+3+4, 1+2+3+4+5 avevano come risultato i numeri triangolari. In generale, 1 + 2 +... + n = n • (n + 1) 2 I numeri 1, 4, 9, 16, 25... ricevettero il nome di numeri qua¬ drati poiché i loro punti possono distribuirsi formando quadrati (figura 6). Si costituivano a partire dai numeri della serie dispari: 1, 4 (1+3), 9 (1+3+5), 16 (1+3+5+7), 25 (1+3+5+7+9)... I numeri composti (o non primi), che non erano quadrati perfetti, riceve¬ vano il nome di oblunghi. A continuazione si contavano i numeri pentagonali, 1, 5, 12, 22, 35..., che componevano pentagoni (figura 7). Si formavano a partire dalla serie 1, 4, 7, 10, 13... in questo modo: 1, 5 (1+4), 12 (1+4+7), 22 (1+4+7+10), 35 (1+4+7+10+13)... Il numero pentago¬ nale n è: 3 n2-n 2 ' Ovviamente, i numeri esagonali, 1, 6, 15, 28, 45... compone¬ vano esagoni (figura 8). Si formavano a partire dalla serie 1, 5, 9, 13, 17... come si mostra di seguito: 1, 6 (1+5), 15 (1+5+9), 28 (1+5+9+13), 45 (1+5+9+13+17)... E, ingenerale, 2n2-n. Partendo dalle distribuzioni geometriche dei punti, appari¬ vano evidenti certe proprietà dei numeri interi. Ad esempio, trac¬ ciando una linea retta con la forma del numero quadrato 9, come appare nella figura 9, si scopre che la somma dei due numeri trian¬ golari consecutivi è un numero quadrato. 100 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
FIG 5 • â fc â â » a * b 1 ft A A A i ^ ^ A J \ A ¥ ^ k A w A w W k A i » i < \ "+ < >—• < » < » < > > • • ä a 4 w % 9 1 k a h i • < » ~T ° 4 k 4 k \ w 1 P % P • 1 P \ P • 1 P w w f 1 4 9 16 25 FIG 7 • \ì 6/ 9 9 9 9 9 1 5 12 22 35 FIG 8 • <:> 0 # # 1 6 15 28 45 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 101
FIG 9 È possibile comprovare la veridicità di questo fatto in generale, anche se non è probabile che i pitagorici avessero potuto dimostrare tale conclu¬ sione, che si presenta di seguito in notazione mo¬ derna: n(n +1) (n + l)(n + 2) 2 + 2 = (n + l)2. fig o Per passare da un numero quadrato al se¬ guente, i pitagorici seguivano lo schema ripro¬ dotto nella figura 10. Univano i punti a destra e più in basso, con una linea spezzata in forma di angolo retto, che chiamavano gnomone, ter¬ mine che significa “squadra di carpentiere”. Lo gnomone è formato dai punti che si trovano sul bordo, che aumentano due a due in ogni passo della serie. Se a un numero quadrato qualsiasi si aggiunge il suo gnomone più l’unità, si ottiene il seguente numero quadrato di valore superiore. Così, quello che i pitagorici scoprirono fu che n2+(2n+l)=(n+l)2. Inoltre, se si parte da 1 e si aggiunge lo gnomone 3 e poi lo gnomone 5, e così via, risulta che 1+3+5+...+(2n+l)=n2. CLASSI NUMERICHE Il mondo numerico dei pitagorici era molto ricco. Pitagora e i suoi seguaci identificavano diversi tipi di numeri, che classificavano in maniera meticolosa e attribuivano loro caratteristiche morali e fisiche. Ad esempio, i numeri dispari erano maschili e i pari fem¬ minili. Alcuni numeri erano amichevoli e compatibili, altri erano malvagi e non andavano d’accordo con gli altri; potevano portare sfortuna all’umanità. Il risultato di questa classificazione era una costruzione intellettuale impenetrabile, che era possibile inten¬ dere solo dal punto di vista della mistica pitagorica Nel Libro VII 102 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
degli Elementi, Euclide cercò di raccogliere tutto questo mondo e di presentarlo con la massima chiarezza possibile. Le categorie e le definizioni che si presentano di seguito corrispondono a quelle date dal grande compilatore e geometra. La prima grande famiglia era quella dei numeri pari e dispari, la cui definizione data dai pitagorici è indiscutibile: un numero pari si può dividere in due parti uguali o disuguali (eccetto la diade che si può dividere unicamente in due parti uguali), es¬ sendo queste parti della stessa specie, pari o dispari. Un numero dispari è quello che si può unicamente dividere in parti disuguali e di specie distinte, una pari e l’altra dispari. Questi numeri si dividono a loro volta in quattro classi: - Parimente pari: la loro metà è pari. - Pari-dispari: quelli cui metà è dispari. - Parimente dispari: quelli che, divisi per un numero dispari, danno un numero pari. - Disparimente dispari: quelli che hanno solo divisori dispari. Successivamente elencava la classe dei numeri scomposti e secondari, una maniera pitagorica, per non dire astrusa, di chia¬ mare i numeri primi e i numeri composti, e di trattare, in gene¬ rale, i numeri divisori di altri o multipli di altri. Per maggiore chiarezza, di seguito si presentano i numeri moderni, dato che la definizione originale pitagorica, in termini di misurabilità, è un po’ complicata: - Il numero primo (scomposto) è quello che si può unicamente dividere per uno e per se stesso. - Il numero composto (secondario) è quello che non è primo. -1 numeri primi tra sé sono quelli che hanno l’unità come di¬ visore comune. UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 103
-1 numeri composti tra loro sono quelli che hanno qualche divisore comune maggiore deH’unità. Seguivano i numeri lineari, i piani, i solidi, i quadrati e i cubici. I lineari sono quelli che non hanno divisori; i piani sono il prodotto di due numeri che sono definiti dai suoi lati; i solidi sono il pro¬ dotto di tre numeri, identificati come i suoi lati; i quadrati sono il prodotto di un numero per se stesso; i cubici sono il prodotto di un numero per se stesso due volte. A questi si possono aggiungere gli oblunghi, che sono numeri piani che differiscono di un’unità. Furono chiamati numeri perfetti quelli uguali alla somma dei loro divisori, includendo l’I, ma non il numero stesso: ad esempio il 6 ha come divisori propri l’I, il 2 e il 3.1 greci conoscevano solo quattro numeri perfetti. I seguenti tre sono 28 (=1+2+4+7+14), 496 (=1+2+4+8+16+31+62+124+248) e 8128 (=1+2+4+8+16+32+64+12 7+254+508+1016+2032+4064). Attualmente se ne conoscono 43, tutti pari. Non si sa se ci sono numeri perfetti dispari né se la quan¬ tità di numeri perfetti è finita o infinita. Assieme ai perfetti si trovavano i numeri abbondanti e i deficienti: quelli che eccedevano alla somma dei loro divisori erano abbondanti, quelli che erano minori della suddetta somma, deficienti. Due numeri sono chiamati amichevoli quando ognuno è uguale alla somma dei divisori dell’altro. I pitagorici conoscevano esclusi¬ vamente il 220 e il 284: - 220=1+2+4+71+142 (la somma dei divisori di 284). -284=1+2+4+5+10+11+20+22+44+55+110 (la somma dei divisori di 220). Oltre alle relazioni numeriche che strutturano questa classi¬ ficazione, i pitagorici studiarono anche ogni tipo di quozienti e proporzioni che, secondo loro, contenevano la bellezza più singo¬ lare come ad esempio, la media aritmetica, la media geometrica, la media armonica... Se si considera che p e q sono numeri, la media aritmetica A è 104 UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO
P + q 2 la media geometrica G è Jpq e la media armonica H, che è il reci¬ proco della media aritmetica di ì/p e 1 /q, è 2pq (P + q)' Di seguito è possibile dimostrare che Gè la media geometrica di AeH; ossia, che la media geometrica dei due numeri è la media geometrica delle loro medie aritmetiche e armoniche. Armoniz¬ zando le tre misure, la proporzione A=G_ G~ H ricevette il nome di proporzione perfetta per la sua chiarezza e semplicità e la proporzione 2pq_ P = P + q P + q q 2 fu chiamata proporzione musicale per la bellezza matematica della sua impostazione e del suo sviluppo, un autentico piacere estetico per l’iniziato. UN UNIVERSO BASATO SUL NUMERO 105
CAPITOLO 5 L’armonia del cosmo Ricercando il fondamento matematico dell’armonia musicale, i pitagorici furono i primi che applicarono la matematica alla descrizione delle leggi naturali. Il vincolo che stabilirono tra aritmetica, geometria e musica convertì l’arte musicale in una branca della matematica. Inoltre, traslando al cosmo le relazioni numerico-musicali essi costruirono una cosmologia in cui i movimenti degli astri emettevano toni musicali in ima perfetta armonia: la “musica delle sfere”.
Le civiltà anteriori a quella greca concepivano la natura come un mondo caotico e terrificante. Gli avvenimenti naturali erano mani¬ polati dagli dei, con cui potevano comunicare solamente i sacerdoti e i maghi. Sembra che, intorno all’anno 600 a.C., cominciò a sorgere un nuovo atteggiamento intellettuale, di carattere razionale e cri¬ tico, che, non del tutto soddisfatto dalle spiegazioni mitologiche dei fenomeni naturali, formulò l’idea di una natura ordinata e ben dise¬ gnata, che la potente mente umana poteva sviscerare. Come si è visto, furono i filosofi ionici i primi a utilizzare il potere della ragione per cercare di determinare la natura della realtà, che essi considerarono una sostanza che permaneva immu¬ tabile attraverso tutti i cambiamenti apparenti. In ogni caso, in nessun momento la filosofia naturale sostituì il mito. La nuova forma di pensare si affacciò timidamente nei piccoli gruppi di in¬ tellettuali, che però non potevano ancora smettere di esprimersi secondo i miti e di seguire i rituali degli anziani, troppo insiti nella loro cultura, così come la maggior parte della popolazione, che continuava a essere profondamente religiosa e ad accettare le su¬ perstizioni. In generale, quei primi intellettuali greci non dedicarono molto tempo alla spiegazione dei motivi che li avevano portati a costruire le loro teorie, e si concentrarono nel presentarle con il massimo rigore deduttivo. Gli storici della scienza si trovano at- L‘ARMONIA DEL COSMO 109
tualmente a corto di risorse per spiegare con rigore perché i greci svilupparono uno strumento scientifico tanto potente come la ma¬ tematica. Sembra che il motivo fosse il desiderio di comprendere il mondo fisico; le loro ricerche astronomiche, ottiche e musicali suggerirono problemi che diedero maggiore impulso allo sviluppo della matematica, così da poterla applicare a queste aree. Durante un lungo periodo i limiti della matematica non furono in realtà propriamente matematici. Il primo gruppo importante che presentò una filosofia mate¬ matica della natura fu la setta dei pitagorici. Non c’è dubbio che il loro pensiero religioso fosse mistico, ma la loro filosofia naturale era chiaramente razionale. I loro membri si stupivano del fatto che fenomeni d’indole molto diversa dal punto di vista qualitativo pre¬ sentassero proprietà matematiche identiche. Pertanto, queste pro¬ prietà dovevano essere l’essenza di tali fenomeni. Siccome pensavano ai numeri sia come punti sia come particelle elemen¬ tari della materia, il numero era la materia, la forma dell’universo e la causa di ogni fenomeno. MUSICA PITAGORICA PAGINA A FIANCO Incisione su legno, appartenente alla Teoria musicale, opera del compositore e musicologo rinascimentale Franchino Gaffurio (1492). La prima vignetta mostra il personaggio biblico lubal come “padre di chi suona la cetra o il flauto" mentre le altre tre sono dedicate agli esperimenti musicali di Pitagora. La parola “musica” ha origine dal termine greco musiké, che si traduce letteralmente come “l’arte delle muse”. Nella mitologia greca le muse erano dee che ispiravano la musica, la danza, l’a¬ stronomia e la poesia. Possiamo dire che la musica è effimera ed esiste nella memoria; avviene nel tempo ed è apparentemente inafferrabile. Queste caratteristiche, tra le tante, dotano la musica di un’aura magica che ha indotto l’uomo a impiegarla nei suoi ri¬ tuali fin dall’inizio dei tempi, e l’ha convertita in un veicolo privi¬ legiato d’adorazione della divinità. La musica finì per ricoprire una posizione centrale nel cosmo di Pitagora e dei pitagorici. La leggenda racconta che un giorno, camminando per strada, il saggio di Samo ascoltò il martellare che proveniva dal laborato¬ rio di un fabbro. Si avvicinò per osservarlo e vide che il suono nasceva dalle vibrazioni create dal metallo colpito con il martello; no L'ARMONIA DEL COSMO
L'ARMONIA DEL COSMO 111
i pezzi più lunghi producevano suoni più gravi. Partendo da questa osservazione condusse esperimenti con campane e vasi d’acqua e studiò le vibrazioni della cetra, della lira e del monocordo - uno strumento di una sola corda la cui invenzione gli viene attribuita - fino a trovare una relazione generale tra la lunghezza delle vibra¬ zioni e l’altezza del suono prodotto. La cosa più probabile è che ciò non avvenne così come ci racconta la leggenda, mentre è stato più volte documentato che Pitagora era un intenditore dell’arte musicale, a cui attribuiva pro¬ prietà benefiche. Il saggio studiò le leggi dell’acustica e fu il primo a trovare una relazione tra i numeri e i suoni armonici, ossia, quelli la cui manifestazione simultanea provoca una sensazione piace¬ vole all’ascolto. Egli regalò al mondo la prima teoria matematica della musica, e, allo stesso tempo, mosse il passo decisivo per eliminare l’arbitrarietà della ricerca sulla natura e per ridurre l’ap¬ parente caos a un modello comprensibile e ordinato. La trascri¬ zione della musica in una relazione numerica fu possibile per i pitagorici quando scoprirono due fatti: - Il suono prodotto da una corda pizzicata dipende dalla lun¬ ghezza della corda. -1 suoni armonici sono prodotti da corde parimenti tese, le cui rispettive lunghezze hanno un quoziente uguale a quello dei numeri interi. I pitagorici studiarono dettagliatamente il rintocco dell’unica corda del monocordo, modificando la sua lunghezza nel modo in cui si schiacciano le corde di una chitarra moderna. Variando la lunghezza della corda, si generavano diverse note musicali. Quanto più corta la corda, più “alta” o acuta era la nota risultante. In seguito, paragonarono coppie di suoni prodotti con diverse lun¬ ghezze di corda e scoprirono una cosa sorprendente: i suoni pro¬ vocati dividendo delle corde lunghe, relazionate con numeri piccoli, a metà, nella terza parte, in due terzi della lunghezza ori¬ ginale, generavano suoni più piacevoli, ossia, più armonici all’a¬ scolto. In questo modo le lunghezze relative a ogni combinazione 112 L'ARMONIA DEL COSMO
armonica di corde pizzicate si potevano esprimere come un quo¬ ziente di numeri interi. Grazie a questa osservazione, i pitagorici riuscirono a stabilire un modello matematico di un fenomeno fi¬ sico, concentrandosi però sul lato estetico, qualcosa di simile a ciò che successe con la proporzione aurea e il concetto di bellezza nel Rinascimento. Le relazioni armoniose che trovarono i pitagorici sono le stesse che s’insegnano oggigiorno in qualsiasi scuola di musica: - L’ottava: la relazione più semplice, quella che si ottiene schiacciando una corda alla metà della sua lunghezza, ossia, pizzicando due corde parimenti tese, se la lunghezza di una di esse è uguale al doppio dell’altra. Questa relazione si esprime numericamente come 2:1. In linguaggio musicale, l’intervallo tra le due note è un’ottava; ad esempio, la di¬ stanza tra un do e il do successivo. - La quinta: è quella combinazione armonica in cui la corda si schiaccia in un punto situato a un terzo della lunghezza to¬ tale, ossia, formata da due corde le cui lunghezze stanno in relazione 3 a 2 o 3:2. In questo caso, la più corta produce una nota che è la quinta inferiore a quella data dalla prima corda, che in linguaggio musicale si chiama semplicemente una quinta (la distanza do-sol). - La quarta: combinazione in cui si schiaccia la corda a un quarto della lunghezza totale, azione che numericamente viene espressa con la relazione 4:3, mentre nell’ambito musi¬ cale corrisponde a un intervallo di quarta (la distanza do-lá). 1 I ottava quinta quarta, L’ottava, la quinta e la quarta - i tre intervalli musicali studiati dai pitagorici - rispetto alla lunghezza totale della corda. L’ARMONIA DEL COSMO 113
In questo modo emerge un modello per cui gli intervalli di suoni relazionati da frazioni espresse nella forma tt + 1 n sono armonici e piacevoli. I pitagorici elevarono questo fatto a li¬ vello di conferma ufficiale dell’esistenza di una relazione diretta tra il numero e l’armonico, il bello. Organizzarono le loro scale basandosi su semplici relazioni numeriche tra i diversi suoni. Così, la scala pitagorica si basa sui due intervalli più semplici: l’ottava, che rappresenta una relazione di frequenza tra le note pari a 2/1 e la quinta, di relazione 3/2.1 pitagorici ottennero i diffe¬ renti suoni della scala concatenando quinte, ricorrendo poi a ciò che si denomina cancellazione di ottave, ossia, dividendo o mol¬ tiplicando per 2, per situare queste note nel rango cercato. Il processo è il seguente (prendendo come punto di partenza il do, per abitudine culturale, è possibile percorrere tutta la scala cominciando da qualsiasi nota). In primo luogo, si calcola la re¬ lazione della prima quinta ascendente, per ottenere un sol. Una nuova concatenazione ci porterà a un re, per continuare con un la, un mi, e, infine, un sì. Calcolando ora una quinta discendente dal do iniziale, si ottiene il fa. In questo modo si ricavano i sette suoni della scala: fa *- do -» sol -» re -» la -» mi -» si. Continuando a concatenare quinte, è possibile raggiungere i dodici suoni della scala cromatica, chiamata anche dodecafo¬ nica, che contiene i dodici semitoni della scala temperata occi¬ dentale. Questo è il sistema d’accordatura più utilizzato nella musica occidentale, e si basa sul semitono temperato, che è uguale alla dodicesima parte dell’ottava e del quoziente nume¬ rico radice alla dodicesima di due, con un intervallo d’ampiezza 100 cents (un cent è la centesima parte di un semitono), sol\> «- re \> *- la \> *- mi \> *- si \> *- fa «- do -» sol -» re-» la -» mi si ^ fa% 114 L'ARMONIA DEL COSMO
I CENTS Nell’acustica musicale il cent è l’unità minore di lunghezza logaritmica che s’impiega per misurare con precisione assoluta gli intervalli musicali. Equivale a un centesimo di semitono. Un intervallo di 1 cent è così piccolo che sfugge alla percezione umana. Siccome, a loro volta, 12 semitoni formano un’ottava, il cent è un numero c tale che: (£.100)12 = 2 => £.1200 = 2 => c = 120^2 dove i simboli bemolle (1?) e diesis (#) marcano, rispettivamente, variazioni di un semitono inferiore o superiore. Ottenute le do¬ dici note attraverso successive concatenazioni di quinte, basterà poi situare i suoni nella stessa scala nell’intervallo di un’unica ottava attraverso il processo della cancellazione di ottave. MATEMATICA SONORA Avendo presentato i concetti preliminari necessari, è già possi¬ bile determinare l’accordatura di ogni nota attraverso concate¬ nazioni di quinte e cancellazioni d’ottave, di modo che, è bene ricordarlo, il valore delle sue frequenze relative sia sempre 1, che è il rapporto che mantiene il do con se stesso, e 2, che è la relazione che mantiene il do con il do della scala successiva. Per prima cosa si determina il sol, che sta a una quinta dal do: sol = - del do, 2 e, semplificando: sol 3 2' L’ARMONIA DEL COSMO 115
A seguire si determina il re, che si trova a una quinta dal sol. Si ottiene moltiplicando per 3/2 e cancellando un’ottava, azione che si ricava moltiplicando per 1/2 o dividendo per 2. La distanza da do a re si chiama tono. Il tono è, infatti, la distanza tipica tra due note, che nel sistema temperato equivale a un sesto d’ottava, e, logica¬ mente, corrisponde a due semitoni. Effettuando un’elementare moltiplicazione, otteniamo l’intervallo del re rispetto al do: ,31 331 9 re = sol • — • — re = — ■ — ■— re = —. 2 2 2 2 2 8 Dopodiché si determina il la, che si trova a una quinta dal re: . 3 la = re- — 2 I 9 3 la = — — 8 2 1 27 la =—. 16 Il mi si trova a una quinta dal la, ma si deve cancellare un’ottava: .,31 . 27 3 1 .81 mi = la-— — mi =— ■ — •— mi = —. 2 2 16 2 2 64 La scala si completa con il sì, a una quinta dal mi, e il fa, una quinta al di sotto del do, salendo di un’ottava (moltiplicando per 2). Così si forma ciò che è conosciuto come il circolo delle quinte, rappresentato nella figura. Do 116 L'ARMONIA DEL COSMO
Quindi, prendendo il do con valore normalizzato a 1, si stabi¬ lisce la seguente tabella: Nota Do Re Mi Fa Sol La Si Do Relazioni di frequenze 1 9/8 81/64 4/3 3/2 27/16 243/128 2 Questo processo può continuare per determinare l’accorda¬ tura dei tasti neri di un piano, o bemolli, scendendo per quinte partendo dal fa. Nota R% Mi\, So/k av Relazioni di frequenze 256/243 32/27 1024/729 128/81 16/9 Salendo di una quinta dal si, si arriva al /oft che dovrebbe essere lo stesso suono del sol \>, raggiunto dall’estremo opposto, dopo le cancellazioni d’ottava corrispondenti. Questi due suoni però, non sono esattamente uguali: la differenza tra il /oft e il sol \>, si chiama virgola pitagorica. Allo stesso modo, dopo le corri¬ spondenti cancellazioni d’ottava, i suoni estremi /a# -re \> non si trovano alla distanza di una quinta esatta, ma formano un inter¬ vallo che varia di una virgola pitagorica. Questa quinta legger¬ mente più piccola viene chiamata i quinti lupi. La struttura del circolo delle quinte comprende una conca¬ tenazione di dodici quinte, arrivando a una nota che è “quasi” la stessa di quella dell’inizio, ma a una distanza di sette ottave, così come mostra la tastiera. L’ARMONIA DEL COSMO 117
Quella distanza di sette ottave è la virgola pitagorica. Si può calcolare il suo valore, che si chiamerà CP partendo da una fre¬ quenza / paragonando la concatenazione di dodici quinte a par¬ tire da/con la concatenazione di sette ottave: La differenza è quindi qualcosa di più di un 1% di un’ottava, o, parimenti, di quasi un quarto di tono. Questa differenza si deve al fatto che il calcolo della frazione che definisce la quinta è incom¬ patibile con l’ottava, come si dimostra senza difficoltà. Si può stu¬ diare se esistono due esponenti qualsiasi, xey, che permettano di “sposare” le due frazioni: Dall’ultima espressione si deduce che sarebbe lo stesso che trovare un numero che fosse a sua volta potenza di 2 e di 3. Ciono¬ nostante, essendo sia 2 che 3 numeri primi, questo fatto contraddi¬ rebbe il teorema fondamentale deU’aritmetica, secondo cui ogni numero positivo ha un’unica rappresentazione come prodotto di numeri primi. Questo teorema, postulato da Euclide, fu dimostrato per la prima volta dal matematico Cari Friedrich Gauss (1777-1855). Con esso si dimostra che gli intervalli di quinte e ottave definiti dai pitagorici non si combineranno mai, o che, parimenti, non è possi¬ bile 1’esistenza di una scala cromatica senza virgola pitagorica. I greci chiamavano le note con le prime lettere dell’alfabeto io¬ nico, assegnando lettere diverse a uno stesso suono alterato di mezzo tono o doppiamente aumentato. Ad esempio, il fa era a I NOMI DELLE NOTE 118 L’ARMONIA DEL COSMO
LE TRE MEDIE Pitagora non solo si ancorava cieca¬ mente al misticismo dei numeri natu¬ rali, ma era anche molto influenzato dalle sue scoperte riguardo la media aritmetica, geometrica e armonica, come si può apprezzare nella figura a destra. In questo modo, 3:4 è la media aritmetica di 1 el/2: I I 2:3 1:2 3 4 2 2’ Mentre 2:3 è la media armonica di 1 e Vr. 1- 2 3 1 2 3. Pitagora dimostrò in modo sperimentale che corde di lunghezza con quo¬ ziente 1:2 e 2:3 (media armonica di 1 e Vi) e 3:4 (media aritmetica di 1 e V2), producevano combinazioni di suoni piacevoli e a partire da esse costruì la scala che abbiamo visto. Chiamò questi intervalli diapason, diapente e dia- tessaron, che oggi conosciamo come ottava, quinta e quarta. Si osserverà, però, l’assenza della media geometrica in questi calcoli: forse essa venne rifiutata perché conteneva un problema d’ordine superiore e molto grave, come vedremo più avanti. Il calcolo con la media geometrica mette in gioco numeri incommensurabili e corrisponde esattamente al fa sostenuto della scala cromatica. (alfa), il fa sostenuto era ß (beta) e il fa doppiamente sostenuto era y (gamma). Per i greci la scala si organizzava in modo discen¬ dente, al contrario di come si applica oggigiorno. Anche i romani utilizzavano le prime lettere dell’alfabeto per identificare i suoni della scala. Il filosofo romano Boezio (480- L'ARMONIA DEL COSMO 119
Rappresentazione di una mano guidoniana disegnata a partire degli insegnamenti del monaco benedettino. 525 d.C.), autore della Consolazione della filosofia, che intra¬ prese il progetto di unificare le scuole filosofiche di Platone e Aristotele, scrisse un trattato sulla teoria della musica. In questo libro, noto con il nome latino De musica, egli considerò una scala di quindici note che comprendeva due ottave, e assegnò a ognuna di loro una lettera diversa, ignorando il concetto ciclico delle ottave. Il concetto ciclico si recupererà più avanti, chiamando con la stessa lettera note uguali di ottave distinte. La cosiddetta no¬ menclatura tedesca o inglese designava le sette note dell’ottava principale con le lettere dalla A alla G, in maiuscolo; nell’ottava seguente, dalla a alla g in minuscolo, e la terza, con doppie let¬ tere minuscole (aa, bb, cc, dd, ee, ff, gg). In questo modo, sette dei dodici suoni, quelli corrispondenti ai tasti bianchi del piano, acquisirono un nome proprio. Gli altri cinque furono nominati più tardi, dopo l’apparizione del concetto di bemolle, biquadro e sostenuto. I loro nomi derivano dai sette di base. Nel XI secolo, il monaco toscano Guido d’Arezzo (995-ca. 1050 d.C.), dedicò buona parte dei suoi studi musicali a creare regole mnemotecniche per gli in¬ terpreti. La più conosciuta è pro¬ babilmente quella chiamata mano guidoniana, che ordinava le note nella loro notazione alfa¬ betica assimilandola a un per¬ corso sulla palma della mano. Guido d’Arezzo ribattezzò anche le note, assegnando a ogni suono la sillaba dei versi di un inno a San Giovanni Battista molto noto a quell’epoca «affinché questi tuoi servi possano cantare con tutta la loro voce i tuoi miracoli, perdona i peccati delle nostre labbra impure, San Giovanni», che in latino originale è: 120 L'ARMONIA DEL COSMO
Ut queant laxis Resonare ßJbris Mira gestorum Famuli tuorum Solve polluti Labii reatum Sancte Iohannes. Dopo il cambio da Ut a do, nacquero i nomi delle sette note della scala, così come appaiono nelle lingue romanze, come, ad esempio, l’italiano, il francese o lo spagnolo. LA MUSICA DELLE SFERE Nella sua ricerca deU’armonia dell’universo, la scuola pitagorica disegnò modelli astronomici, acustici e musicali e studiò musica e aritmetica allo stesso tempo. I pitagorici ridussero i movimenti dei pianeti a delle relazioni numeriche. Credevano che i corpi, al muo¬ versi nello spazio, generassero vibrazioni armoniche, la “musica delle sfere”. Probabilmente cominciarono a considerare quest’idea ascoltando il ronzio prodotto da un oggetto legato all’estremo di una corda fatta oscillare, come succedeva in alcuni riti religiosi. Inoltre, essi affermavano che un corpo che si muoveva più rapida¬ mente, doveva produrre necessariamente una nota più alta di un altro che si muoveva più lentamente. Però, secondo la loro astro¬ nomia, un pianeta si muoveva più rapidamente quanto più si tro¬ vava lontano dalla Terra. A quel punto, i suoni che dovrebbero produrre i pianeti - che l’uomo non poteva sentire senza l’aiuto degli strumenti, perché abituato a loro dalla nascita - variavano rispetto alla loro distanza dalla Terra, ed erano tutti in armonia. Pitagora e i suoi discepoli non cercavano solamente di osser¬ vare e descrivere i movimenti celesti, ma anche di trovare qualche regolarità tra loro. L’idea di un movimento circolare uniforme, apparentemente ovvia nel caso della Luna e del Sole, indicava che tutti i movimenti planetari si dovevano poter spiegare in termini L’ARMONIA DEL COSMO 121
LE SETTE ARTI LIBERALI Le civiltà greco-romane, in generale, coltivavano la conoscenza teorica come un sapere a parte rispetto alle attività manuali. Le discipline superiori si di¬ stribuivano in due grandi gruppi; il primo, chiamato trivium, (/e tre vie), era formato dalla grammatica, dalla dialettica e dalla retorica; il secondo, chia¬ mato quadrivium (/e quattro vie) comprendeva anche l’aritmetica, la geome¬ tria, l’astronomia e la musica. L’insieme di entrambe le “vie" costituiva i set¬ te cammini che portavano l’uomo all’equilibrio con l’universo armonico: erano le sette arti liberali. Le sette arti liberali secondo l’affresco di Andrea di Bonaiuto, realizzato nel 1365 per la Cappella degli Spagnoli nella basilica fiorentina di Santa Maria Novella. Ogni arte viene raffigurata da una donna e davanti a lei si trova un pensatore eminente, tra cui Pitagora, ritratto ai piedi dell’Aritmetica (in primo piano, a sinistra). di movimenti circolari uniformi. D’accordo con questa maniera di pensare, gli ultimi pitagorici arrivarono a una conclusione rivolu¬ zionaria che supponeva una vera rottura con alcune delle cre¬ denze più antiche dell’uomo: furono essi i primi a ritenere che la 122 L'ARMONIA DEL COSMO
Terra dovesse essere una sfera. Forse questa intuizione si può con¬ siderare la più brillante della co¬ smologia pitagorica, ma, come si vedrà più avanti, i pitagorici usa¬ vano dei trucchi per far corrispon¬ dere forzatamente la realtà osservabile con il loro universo numerico. Siccome consideravano il 10 l’espressione numerica della mas¬ sima perfezione, erano convinti che nel cielo ci fossero dieci corpi in movimento. In mezzo a ciò che allora veniva considerato l’uni¬ verso, il nostro Sistema Solare, esisteva un fuoco centrale attorno al quale si muovevano i corpi celesti, girando in orbite circolari perfette. La Terra era la più vicina al fuoco centrale. La Luna non girava attorno alla Terra ma descriveva il suo stesso circolo, come il Sole, che era il corpo successivo. A seguire c’erano i cinque pianeti conosciuti, e più in là le stelle, incastonate come gioielli in una volta cele¬ ste (vedi figura). Una semplice somma rivela che i cinque pianeti, oltre alla Terra, al Sole, alla Luna e alla sfera cui erano soggette le stelle, davano un totale di nove corpi mobili. Così che i pitagorici inven¬ tarono un decimo corpo che girava attorno al fuoco centrale: YAn- tichton, che letteralmente significa “Anti-Terra”. L’idea dell’Anti-Terra aveva solo un problema: nessun astro¬ nomo, nemmeno i grandi saggi della Mesopotamia, aveva mai visto nel cielo questo oggetto. Ma nemmeno questa circostanza scappò all’intelligenza dei seguaci di Pitagora. Difatti lo stesso nome con cui fu battezzato il decimo pianeta era già di per sé una giustificazione. Il decimo corpo non poteva vedersi perché si muo¬ veva esattamente alla stessa velocità della Terra ma in senso op¬ posto al fuoco centrale, e anche perché la parte abitata della Terra si trovava di spalle al fuoco centrale. L'ARMONIA DEL COSMO 123
Sfortunatamente, anche se i pitagorici disegnarono la prima teoria che mise in movimento la Terra, essi non furono capaci di concepire la rotazione della sfera, anzi, al contrario, crede¬ vano che fosse la sfera di stelle fisse quella che girava attorno al centro dell’universo. In ogni caso, il pensiero greco mise in¬ sieme la maggior parte di queste dottrine, principalmente il mo¬ vimento circolare uniforme e la distinzione tra i corpi celesti e sublunari. Alcuni esperti ritengono che dai pitagorici avrebbe potuto avere origine anche la credenza che i corpi celesti erano eterni, divini, perfetti e immutabili e che gli oggetti sublunari, come la Terra, e - secondo i greci - le comete, erano soggetti a cambi, decadenza e morte. UN MODELLO IN ETERNA CRISI I pitagorici mescolarono il pensiero rigoroso con dottrine sorpren¬ dentemente non scientifiche. La loro “fissazione” con i numeri diede come risultato una filosofia naturale che alla fine non corri¬ spondeva con la natura ed ebbe conseguenze di ogni tipo, alcune benefiche per il progresso del sapere, altre disastrose. Alla lista delle conquiste di cui abbiamo già parlato, bisogna aggiungere una questione d’insieme. L’apporto dei pitagorici su¬ però la limitazione più importante degli ionici. Entrambi affer¬ mavano che il vero senso dei dati studiati doveva essere un ordine armonioso della natura, ma gli ionici difendevano l’idea della sostanza unica come elemento essenziale dell’universo. I pitagorici sostituirono questa nozione con quella della struttura formale delle relazioni numeriche. Difatti, la scienza moderna coincide con l’enfasi messa dai pitagorici sul numero, anche se ovviamente in maniera molto più sofisticata. D’altra parte, l’aspetto fanatico del loro pensiero precluse ai pitagorici idee più adatte a spiegare i fenomeni naturali e soggiogò le leggi della natura agli ideali di bellezza, simmetria e armonia. Non c’è dubbio che la credenza inflessibile nella supre¬ mazia dei numeri frenò durante secoli il progresso che avrebbe 124 L'ARMONIA DEL COSMO
IL MONOCORDO CELESTIALE L’estrapolazione cosmologica del misticismo numerico attraverso la musica era, e continua a essere, un’idea cosi poderosa e poetica che affascinò durante secoli numerosis¬ simi pensatori e artisti. Fu uno degli aspetti della cultura classica che l’u¬ manesimo s’affannò a recuperare. Durante il Rinascimento, alcune cat¬ tedrali vennero progettate seguen¬ do proporzioni musicali 2:1, 3:2 e 4:3. Nel 1623 il filosofo ermetico Robert Fludd (1574-1637), seguace del me¬ dico e alchimista Teofrasto Paracelso (1493-1541), pubblicò l’opera Anato- miae Amphitheatrum, che conteneva un’illustrazione che sarebbe diventa¬ ta famosa, e che mostrava la mano di Dio nell’atto di accordare un mo¬ nocordo celestiale. La mano divina tende la corda in un piano su cui le orbite planetarie si sovrappongono agli intervalli della scala musicale. La celebre illustrazione del monocordo a capo inclusa nell’opera Anatomiae Amphitheatrum. presupposto la formulazione di altri tipi di modelli più adatti a descrivere la complessità del mondo. L’esempio più chiaro di questa cecità è la cosmologia greca. Già nel III see. a.C. le orbite circolari non corrispondevano con i dati osservati. Furono quindi rimpiazzate da epicicli, piccoli cir¬ coli che si muovano attorno a un’orbita circolare centrale. Con il tempo, il numero degli epicicli aumentò così tanto da sovraccari¬ care il sistema rendendolo ridicolo e, ovviamente, completamente inutile. La possibilità che i corpi celesti seguissero qualsiasi altra orbita che non fosse circolare era inaccettabile per i greci: doveva essere un circolo, la forma perfetta per eccellenza. L’ARMONIA DEL COSMO 125
Anche quando Niccolò Copernico (1473-1543), nella sua grande opera De revolutionibus orbius celestìum (Le rivoluzioni dei colepi celesti) pubblicata nell’anno della sua morte, detronizzò la Terra dalla sua posizione al centro dell’universo e la sostituì con il Sole, si mantenne fedele a quelle vecchie orbite circolari. Fu nel 1609 che Johannes Keplero (1571-1630) le rimpiazzò con ellissi. Il rivoluzionario Keplero, però, non seppe scappare interamente all’influsso poetico di un cosmo in equilibrio musicale. Anche se fu una figura chiave nella Rivoluzione scientifica, il grande astro¬ nomo e matematico tedesco era un mistico. Impiegò trent’anni della sua vita per dimostrare che il movimento dei pianeti rea¬ lizzava le leggi pitagoriche deU’armonia. Ricercando il principio fondamentale che spiegasse l’irregolarità orbitale dei pianeti, Ke¬ plero misurò, per ognuno di loro, la velocità massima al perielio (il punto più vicino al Sole) e la velocità minima all'afelio (il punto più lontano). Per il piacere dell’astronomo, i quozienti tra una ve¬ locità e l’altra si corrispondevano con intervalli armonici, per cui egli rappresentò i quozienti in forma di notazione musicale, un ossequioso omaggio alla melodia delle sfere pitagoriche. Keplero espose la sua teoria nell’opera Harmonice mundi (L'armonia del mondò), pubblicata nel 1619. Nelle sue pagine proponeva scale e accordi associati a ogni pianeta. Secondo l’autore i pianeti suo¬ nano tutti assieme in perfetta concordanza molto raramente, e una tale sinfonia potrebbe essersi verificata una sola volta nella storia, forse al momento della creazione. 126 L’ARMONIA DEL COSMO
CAPITOLO 6 Il fallimento dell’aritmetica universale Il perfetto cosmo musicale dei pitagorici, basato sul numero sacro, aveva un grave problema: affinché tutto combaciasse, il numero doveva essere necessariamente intero. Anche se le frazioni esistevano già, l’aritmetica greca le rifiutava Lo stesso teorema del maestro, però, conteneva il germe della distruzione, e svelarlo richiedeva unicamente la realizzazione di un calcolo semplice ma fatale. L’apparizione dei numeri irrazionali affondò il paradiso pitagorico dell’aritmetica universale.
Affermare che i pitagorici non avessero nessuna nozione delle fra¬ zioni è un’imprecisione. I seguaci del saggio di Samo dominavano un concetto equivalente: le relazioni tra numeri interi, che permi¬ sero loro, ad esempio, di spiegare le scoperte suH’armonia dei suoni di due corde, mettendo a confronto le loro lunghezze rela¬ tive: 2:1, 3:2, 4:3... Di fatto le frazioni erano conosciute a partire dalle scoperte dei mesopotamici, essendo utilizzate nella vita quo¬ tidiana; si impiegavano nel commercio per esprimere parti dell’u¬ nità monetaria. Detto ciò, ai tempi dei pitagorici, la matematica le considerava imperfette e inutili, una perdita di tempo. La più ferma convinzione dei seguaci di Pitagora, il pilastro del loro universo aritmetico in armonia, era che due grandezze qualsiasi erano sempre commensurabili, ossia, potevano sempre essere paragonate con due numeri interi. Il concetto di commen¬ surabilità è relazionato con ciò che oggi chiamiamo numeri ra¬ zionali. Un numero razionale è quello che comunemente si Considerando due grandezze A e B, si può stabilire con precisione quante volte sono maggiori (o minori) l’una dell’altra, ricorrendo esclusivamente a due numeri interi. Nel grafico, la linea in alto è X volte maggiore di quella in basso e quella in basso è 13/20 volte minore di quella in alto. I I I I I I I I I I I I I I r i rnnn = n *20 I I I I I I I I I I I I I I = I“I x 13 IL FALLIMENTO DELL’ARITMETICA UNIVERSALE 129
conosce come frazione: la divisione o la relazione o il quoziente tra due numeri interi (essendo il secondo diverso da zero). La commensurabilità pitagorica potrebbe definirsi come la legge per cui si può stabilire con precisione quante volte due gran¬ dezze A e B sono maggiori (o minori) l’una dell’altra. In termini matematici attuali, si direbbe che due grandezze qualsiasi A e B sono commensurabili se esiste una terza misura C e due numeri CLASSIFICAZIONE DEI NUMERI La matematica contemporanea definisce il numero come un elemento di un insieme che deve rispettare certe proprietà. Così è come sono stati definiti gli insiemi N, Z, Q, R o C, che si costruiscono in tappe successive a partire dall’in¬ sieme N di numeri naturali. C Complessi ✓ ' / S R Reali <i < Q Razionali < Z Interi < Frazionari Irrazionali v Immaginari N Naturali Primi Composti 0 Zero Interi negativi - Complessi (C): somma di un numero reale e di un numero immaginario. - Reali (R): insieme di numeri razionali e irrazionali. • Razionali (Q): i numeri che possono essere rappresentati come il quoziente di due interi (in concreto, un intero e un naturale positi¬ vo), ossia, una frazione comune m/n con numeratore m e denomi¬ natore n diverso da zero. Il termine “razionale” allude al fatto che è la parte di un tutto. •• Irrazionali: i numeri che non si possono esprimere con una frazione m/n, dove men sono interi, con n diverso da zero e dove questa frazione è irriducibile, come 3,1415... 00, 2,7182... (e), 1,6180... (<t>) o 1,4142135... C\/2, che vedremo più dettagliatamente in seguito). È irrazionale qualsiasi numero reale che non è razionale. 130 IL FALLIMENTO DELL’ARITMETICA UNIVERSALE
interi p e q tali che C sia compreso p volte in A e q volte in B. Questo mondo d’incastri perfetti, però, non poteva resistere ai colpi della realtà. Paradossalmente, un semplice calcolo con il teorema di Pitagora poteva ridurre in macerie tutta la costru¬ zione. Essendo i pitagorici dei matematici estremamente capaci, era solo una questione di tempo prima che uno di essi realizzasse il calcolo fatale. - Immaginari: numeri complessi cui parte reale è uguale a zero, ad esempio 5/ (con i = yj2-1 ). In altre parole, un numero come z=x+iy, per cui x = 0. All’interno dei numeri razionali si distinguono i numeri: - Interi (Z): insieme di numeri che include i numeri naturali diversi da zero, 1 negativi e lo zero. - Naturali (N): qualsiasi numero che si usa per contare gli elementi di un insieme; ricevono questo nome perché furono i primi a essere usati dall’uo- mo per contare. Sono 1, 2, 3, 4... - Zero: il segno numerico dal valore nullo che in notazione posizionale oc¬ cupa i luoghi dove non c’è una cifra significativa. - Interi negativi: numeri reali inferiori a zero. L’opposto di un numero nega¬ tivo è un numero positivo e viceversa. L’unico numero positivo e negativo allo stesso tempo è lo zero. - Frazionari: numeri che esprimono una quantità divisa da un’altra, ossia che rappresentano un quoziente non svolto di numeri. All’interno dei numeri naturali si distinguono: - Numeri Primi: ogni numero naturale maggiore di uno divisibile solo per se stesso e per 1. Ad esempio sono numeri primi 2, 3, 5, 7,11,13,17,19, 23... il 2 è l’unico numero primo pari. - Numeri Composti: ogni numero naturale non primo, eccetto H e lo 0, che ha uno o più divisori diversi da 1 e da se stesso. Sono chiamati anche “di¬ visibili” e sono, ad esempio, i numeri 4, 6, 8, 9,10,12,14,15,16,18... IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE 131
UN MONDO (QUASI) PERFETTO In generale si accetta come una certezza storica che la scoperta in termini scientifici dell’esistenza dei segmenti mutuamente non comparabili, ossia incommensurabili, avvenne in seno alla scuola pitagorica non più tardi dell’anno 420 a.C. Siccome i pitagorici s’e- rano dedicati a studiare le teme dei numeri interi che potevano essere lati di un triangolo rettangolo, si ritiene che essi dovettero scoprire questi nuovi quozienti nello stesso contesto, anche se al¬ cuni studi segnalano altre possibilità, come vedremo più avanti. Di solito la ricerca storica matematica concorda con la tradi¬ zione nell’attribuire la sconcertante scoperta dei numeri irrazio¬ nali a Ippaso di Metaponto. Si racconta che, come castigo per IPPASO DI METAPONTO Il matematico e filosofo Ippaso nac¬ que intorno al 500 a.C. nella città di Metaponto, nel golfo di Taranto. nell’Italia meridionale. La data della sua morte è sconosciuta, e questo potrebbe aver contribuito alla cre¬ azione di leggende al riguardo. Ol¬ tre aM’incommensurabilità, gli si at¬ tribuiscono altre due importanti scoperte: la costruzione di un dode¬ caedro come approssimazione di una sfera e la scoperta di rapporti numerici tra gli accordi musicali del¬ le melodie di base, attraverso espe¬ rimenti sul suono. Vi sono prove del fatto che realizzò studi esaustivi sull’acustica e sulla risonanza, per cui si considera un teorico della musica. La leggenda non solo assicura che provò l’esistenza dei numeri irrazionali, ma anche che ruppe la regola pitagorica del silenzio sve¬ landoli al mondo. I documenti dell’epoca danno versioni differenti della sua fine, e non è possibile considerarne nessuna come certa. 132 IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE
avere introdotto nell’universo l’e¬ lemento che negava il principio inamovibile della setta - che tutti i fenomeni dell’universo si potes¬ sero ridurre in numeri interi e nei loro quozienti -, qualche membro della confraternita lo lanciò dal parapetto di una barca. La realtà è che non sappiamo con certezza in che modo vennero scoperti i nu¬ meri irrazionali. La tradizione racconta anche che Ippaso studiava il quadrato. Nonostante fosse una figura molto semplice, i pitago¬ rici non conoscevano nessuno che fosse riuscito a calcolarne la diagonale: Ippaso vi riuscì utilizzando il teorema del maestro. Alla ricerca di una dimostrazione universale, il matematico provò a calcolare la diagonale considerando un lato di misura 1. Era una semplice operazione: si trattava di scomporre il quadrato in due triangoli e applicare il teorema di Pitagora per calcolare l’i- potenusa (vedi figura). In un triangolo rettangolo isoscele, il qua¬ drato dell’ipotenusa è il doppio del quadrato di ogni cateto. Se i cateti misurano 1, che lunghezza avrà l’ipotenusa? Il risultato di questa domanda innocente non era né un numero intero né una frazione..., non era commensurabile. Nella terminologia matema¬ tica attuale, si direbbe che un triangolo rettangolo dai cateti di va¬ lore 1 ha l’ipotenusa del valore 72 ed è irrazionale. Ai tempi di Ippaso questa scoperta significava il ribaltamento più assoluto dei principi di base del pitagorismo. Questo risultato, però, non solo dimostrò che l’ipotenusa di un triangolo isoscele non è commensurabile con i cateti, ma in¬ trodusse, inoltre, un problema centrale per la matematica greca. I pitagorici avevano stabilito un’identificazione assoluta tra il numero e la geometria, ma 1’esistenza di frazioni incommensu¬ rabili faceva saltare in aria anche tale relazione. Non per questo essi smisero di considerare ogni tipo di lunghezze e quozienti nella geometria, ma sicuramente si limitarono a considerare i quozienti numerici solo nei casi commensurabili. Per questo mo¬ tivo, con il tempo le grandezze geometriche si distanziarono Creazione grafica della dimostrazione di Ippaso di Metaponto. Il matematico della Magna Grecia calcolò la diagonale del quadrato, fino allora sconosciuta, utilizzando il teorema di Pitagora. IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE 133
dalle quantità numeriche, che cominciarono a essere studiate separatamente. L’apparizione dell’incommensurabilità convinse i matematici greci che la geometria dovesse essere stabilita indi¬ pendentemente dall’aritmetica; si rompeva così la tradizione pita¬ gorica, che non faceva distinzioni tra le due branche del sapere. Nei Dialoghi di Platone sembra in effetti dimostrato che già nella sua epoca la geometria veniva considerata in modo separato. Come mai i pitagorici tardarono così tanto ad accorgersi dell’esistenza di un punto di frattura che poteva mettere in crisi il loro sistema? Cosa si aspettavano di trovare nella diagonale del quadrato? Secondo il teorema di Pitagora, in un quadrato di lato 1, il quadrato costruito sulla diagonale dovrebbe avere l’area uguale a 2, e pertanto, la lunghezza d di quella diagonale do¬ vrebbe essere un numero che, elevato al quadrato, desse 2 (ossia, d2 = 2). A questo punto ritorna in scena la 72. La 72 era la lunghezza di un segmento che si poteva tracciare facilmente partendo da un quadrato, con l’aiuto di un righello e di un compasso. Così che, non era forse ragionevole pensare che fissando un’unità qualsiasi u (inferiore a 1), si potesse misurare allo stesso tempo il lato (1) e la diagonale(72) del quadrato? Non era forse ragionevole pensare che il lato e la diagonale del qua¬ drato dovessero essere necessariamente commensurabili? Invece, anche se questo ragionamento è molto logico, è certo che il lato e la diagonale del quadrato non sono commensurabili. Questa impostazione del problema condusse necessaria¬ mente a un fatto: moltiplicando l’unità comune u per un numero intero di volte n, si ottiene la misura del lato 1 = nu, moltiplicando per un altro numero intero di volte m, si trova la misura della dia¬ gonale 72 =mu. Di conseguenza, dividendo dovrebbe essere ^2 _ 72 _ mu _ m 1 nu n Così, la commensurabilità si ridurrebbe al fatto che 72 sia una frazione m/n di interi positivi. Più del cammino che intrapre¬ sero per arrivare a questo sorprendente risultato, è noto che i pitagorici si scontrarono con la spiacevole evidenza dell’esi- 134 IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE
stenza di numeri non esprimibili come relazione di numeri interi: questa certezza era incompatibile con la loro idea di aritmetica universale. I seguaci del maestro chiamarono quozienti com¬ mensurabili quelli che si potevano esprimere con numeri interi e ciò significava che le due quantità si potevano misurare con un’unità comune, mentre chiamarono gli altri quozienti incom¬ mensurabili. In questo modo, ciò che nella matematica contemporanea si esprime come 2 è un quoziente incommensurabile. IL PENTAGRAMMA DI IPPASO La storia di Ippaso, perfettamente strutturata, con finale dram¬ matico incluso, combina elementi che farebbero invidia a qual¬ siasi scrittore: la candida semplicità del quadrato, che portava in seno il seme della distruzione, e lo scriteriato confratello della comunità che aprì il vaso di Pandora. In realtà, non esistono prove di questi fatti e non si ha la certezza assoluta che Ippaso abbia scoperto l’incommensurabilità del quadrato. Difatti, una leggenda alternativa gli attribuisce un’altra dimostrazione dell’ir¬ razionalità. La storia lo descrive mentre mostra al pubblico la sfera composta da dodici pentagoni. Il pentagono regolare è una figura matematica di cui era relativamente semplice dimostrare l’incommensurabilità, soprattutto utilizzando l’antico metodo della discesa infinita. Questo metodo svolse un ruolo fondamen¬ tale nella matematica greca. Con esso si trovava, ad esempio, la misura maggiore comune, ossia, il massimo comune divisore di due numeri. Il metodo consiste in quanto segue: date due grandezze di¬ verse (a, 6), con a<b si sottrae la grandezza minore a quella mag¬ giore; considerando la nuova grandezza ottenuta b-a e a si sottrae IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE 135
Dimostrazione dell’esistenza di segmenti incommensurabili nel pentagramma. nuovamente la minore alla mag¬ giore e così via. Questo procedi¬ mento non si può applicare alla coppia di grandezze (a e b) se esse sono incommensurabili. Quando a e b sono numeri natu¬ rali, si può definire il massimo comune divisore d’entrambi, chiamato comunemente mcd (a, b) e il procedimento, chiamato algoritmo di Euclide, è sempre limitato e proporziona con cer¬ tezza un risultato. Se il procedi¬ mento non è limitato, non c’è un massimo comune divisore possi¬ bile eaeb non sono commensu¬ rabili. Il teorema - che non riprodurremo -, venne dimostrato da Euclide nel Libro X degli Elementi: «Quando, date due grandezze diverse, sottraendo alternativamente la grandezza minore da quella maggiore, il resto non coincide mai con la grandezza prece¬ dente, queste due grandezze devono essere incommensurabili». Come si vede nella figura, le diagonali di un pentagono regolare formano un altro pentagono regolare, e così via. Per la catena di pentagoni ottenuti in questo processo, valgono le relazioni AE=AB' e B'D=BE\ dove AD-AE=BE' e analogamente AE=ED'=EA' e BE'=B'D=BE; di conseguenza, AE-BE=BA\ e così via all’infinito. Per cui, deduciamo che: - La differenza tra le diagonali e i lati del pentagono maggiore è uguale alle diagonali del pentagono minore. - La differenza tra i lati del pentagono maggiore e le diago¬ nali del pentagono minore è uguale ai lati del pentagono minore. - La differenza tra le diagonali del pentagono minore e i suoi lati rispettivi è nuovamente uguale alle diagonali del penta¬ gono minore successivo, e così via all’infìnito. 136 IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE
Questo procedimento della discesa infinita si può continuare e, per questo motivo, non è possibile trovare una grandezza co¬ mune massima, per le diagonali e i lati del pentagono regolare: esistono segmenti mutualmente incommensurabili. Alcuni studi indicano che la dimostrazione dell’incommensu¬ rabilità del lato e della diagonale di un quadrato potrebbe appar¬ tenere a un’epoca posteriore ai pitagorici, dato che risulta più sofisticata del procedimento della discesa infinita. Il quadrato con le diagonali sarebbe servito solo successivamente come mezzo di costatazione di una situazione già osservata in altri ambiti, come il pentagramma. INCOMMENSURABILE EUCLIDE Nel Libro X degli Elementi, Euclide intraprese il compito di clas¬ sificare gli irrazionali in tipi: vi sono 115 proposizioni in questo testo, anche se le edizioni più antiche aggiungono la proposi¬ zione 116 e 117. Quest’ultima offre una dimostrazione dell’irra- zionalità a partire dalla teoria dei pari e dispari, impiegando il teorema di Pitagora, sviluppandola come si spiega tutt’oggi in molti libri di testo. Così come lo presenta Euclide, per il teorema di Pitagora in un triangolo rettangolo isoscele, il quadrato dell’ipotcnusa è il doppio del quadrato di ogni cateto. Se ogni cateto misura 1, quanto sarà l’ipotenusa? Supponiamo che la sua lunghezza è min metri: Semen hanno un fattore comune e si dividono l’uno per l’al¬ tro, m on devono essere dispari. Quindi m2 = 2n2, pertanto m2 è pari, m è pari, e quindi n è dispari. Supponiamo che m = 2p. Quindi 4p2 = 2n2; di conseguenza n2 = 2p2, e pertanto, n è pari. Di conse¬ guenza, nessuna frazione di min sarà la misura dell’ipotcnusa. Que¬ sto ragionamento dimostra che, qualsiasi sia l’unità di misura IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE 137
adottata, vi sono lunghezze che non mantengono una relazione numerica esatta con l’unità, nel senso che non vi sono due interi men tali che m volte la lunghezza in questione sia uguale a n volte l’unità. Il procedimento di Euclide si utilizza tutt’oggi per dimostrare l’irrazionalità di 72, ma gli studiosi sono arrivati a pen¬ sare che non comparisse nel testo originale e che fu aggiunto in seguito. Le edizioni moderne sono solite ometterlo, terminando il Libro X con la proposizione 115. Come abbiamo detto, l’apparizione degli irrazionali sottolineò l’indipendenza della geometria rispetto all’aritmetica. Nel Libro II dei suoi Elementi, Euclide dimostrò geometricamente molte cose che nell’attualità si dimostrerebbero con l’algebra, ad esempio (a + bf = a2 + 2ab + b2. La difficoltà degli incommensurabili l’ob¬ bligò a impiegare tale metodo, e finché non fu scoperta una teoria aritmetica adeguata per questo tipo di numeri, il metodo geome¬ trico di Euclide continuò a essere il più comodo. LA RADICE DI DUE La 72 fu il primo numero irrazionale che venne scoperto, un successo scientifico della massima importanza che segnò nel corso dei secoli la sfida matematica della costruzione dei numeri reali. Nonostante quello che sembra suggerirci la storia enigma¬ tica e trepidante di Ippaso e il crollo del cosmo pitagorico, tro¬ vare la 72 non è diffìcile: è difficile sapere come trattarla. Per trovarla basta tracciare un quadrato su un foglio, come quello che si mostra nella figura 1. Il quadrato principale deve essere diviso in quattro quadrati di lato 1 e poi occorre segnare le sue quattro diagonali. In questo modo si ottiene un quadrato interno di area 2 che occupa la metà del quadrato di lato 2. Il lato di que¬ sto quadrato interno moltiplicato per se stesso deve valere 2. Così si è già ottenuta la radice quadrata di due, o secondo la notazione moderna, 72. Dopo aver tracciato questa figura sulla carta, non è possibile osservare la tavoletta mesopotamica che si conserva nella prestigiosa Università di Yale e numerata come 138 IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE
YBC 7289, senza provare un bri¬ vido di stupore. Questo reperto è datato tra il 1800 e il 1600 a.C. e mostra il quadrato con due diago¬ nali che permette di trovare facil¬ mente la 72. Il disegno è accompagnato da una serie di nu¬ meri marcati con punzoni, nella notazione babilonese, di base 60.1 ricercatori affermano che questi dati numerici corrispondano a un’approssimazione della 72 con i suoi primi decimali: 1 + —+ -^-+^- = 1,41421296. 60 602 603 Anche nel libro indiano dei Sulvasutra, di un’epoca molto po¬ steriore (tra l’800 e il 200 a.C.), si osserva che il lato del quadrato di lato 1 e la sua diagonale non pos¬ sono essere commensurabili. Gli storici della matematica interpre¬ tano le seguenti parole contenute nel libro come un’approssimazione di -J2: «.. .si aumenta la lunghezza del lato di un terzo e questo terzo della sua quarta parte e si sottrae la trentaquattresima parte di que¬ sto quarto». L’espressione numerica di questa forma è la seguente: V2«l + I +J— 3 3-4 577 3-4-34 408 = 1,414215686. Ora, anche se queste manifestazioni possono sembrare spet¬ tacolari, i babilonesi, gli indiani e, ovviamente, gli egizi, attribui- Come si vede nella fotografia, i ricercatori hanno potuto identificare le incisioni cuneiformi che presenta la tavoletta YBC 7289, conservata presso runiverstià di Yale. IL FALLIMENTO DELL’ARITMETICA UNIVERSALE 139
vano alle frazioni un uso prettamente pratico, che non si diffuse, come s’è detto, fino allo sviluppo della matematica greca. I babi¬ lonesi non potevano sapere che le loro approssimazioni sessage¬ simali frazionarie non sarebbero mai state esatte, così come nemmeno gli egizi poterono riconoscere il carattere dei numeri irrazionali. Contro il loro volere, il merito dei pitagorici fu quello di riconoscere che le frazioni incommensurabili sono di un tipo completamente distinto da quelle commensurabili. La teoria delle proporzioni per le frazioni incommensurabili e per ogni tipo di grandezze si deve in seguito a Eudosso di Cnido (408-ca. 355 a.C.), filosofo, matematico, astronomo e medico, che fu di¬ scepolo di Platone (427-ca. 347 a.C.). I DIFETTI DELLA MATEMATICA GRECA Gli incredibili successi della civiltà greca classica sono motivo di meraviglia anche oggi. Nonostante ciò, la matematica greca non fu in grado di superare alcuni difetti importanti che obbli¬ gheranno le generazioni future a risolvere problemi d’impor¬ tanza considerevole. Alla fine, quella che era stata la loro virtù principale, l’insistenza dei greci nell’esattezza dei concetti e delle definizioni, divenne un peso enorme per lo sviluppo sereno della matematica creativa. Il difetto fondamentale della matematica greca fu, ovvia¬ mente, la sua incapacità di ammettere il concetto di numero irra¬ zionale. Questo rallentò lo sviluppo dell’aritmetica e dell’algebra, e provocò difficoltà ancora più grandi, poiché i greci ridussero la matematica alla geometria, visto che il pensiero geometrico evi¬ tava una presentazione esplicita dell’irrazionale come numero. Così fu forzata anche la distinzione tra numero e grandezza, che avrebbe mantenuto l’algebra e la geometria come discipline non relazionate a vicenda durante secoli. Inoltre, la geometria greca era piuttosto limitata. I greci consideravano validi solo quei con¬ cetti geometrici che si potevano costruire nella realtà, ossia, che potevano esistere e che potevano essere disegnati usando solo un 140 IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE
r DTO 'N -V TO A SIN S'1 HA L’aritmetica personificata in Boezio e Pitagora, incisione della Margarita philosophica, opera di Gregor Reisch (1503). ^ 0T0 'N ALTO A DESTRA Teorema di Pitagora raccolto nel Codex atlanticus di Leonardo da Vinci (Biblioteca Ambrosiana, Milano). TOTO A LATO Dettaglio del rilievo gotico della cattedrale di Chartres dedicato alle arti liberali; la figura a sinistra rappresenta Pitagora. IL FALLIMENTO DELL’ARITMETICA UNIVERSALE 141
righello o un compasso (inoltre non era ammesso l’uso del righello con qualche segno sopra di esso). Pertanto, la geometria si limi¬ tava alle figure che si potevano ottenere a partire dalla linea retta e dal cerchio. Le uniche superfìci ammesse erano quelle che si potevano realizzare facendo girare linee rette e cerchi attorno a un asse, come ad esempio il cilindro, il cono e la sfera, formati rispettivamente dalla rivoluzione di un rettangolo, di un triangolo e di un cerchio attorno a una retta; così come il prisma, che è un cilindro speciale, e la piramide, che nasce dalla scomposizione di un prisma. Le sezioni coniche vennero introdotte tagliando i coni con un piano. Tutte queste restrizioni a figure chiaramente definite, diedero luogo a una geometria semplice, ordinata, armoniosa e bella ma troppo rigida: insistendo sull’unità, la completezza e la semplicità, e nella separazione del pensiero speculativo dall’utilità, la geome¬ tria classica greca restrinse la visione dei suoi matematici, pre¬ cluse la loro mente a nuovi pensieri e metodi, e mise un limite insormontabile ai loro successi. L’incapacità di accettare gli irrazionali come numeri lasciò aperta la questione dell’assegnazione di un numero ai quozienti incommensurabili, che si potrebbero studiare con l’aritmetica. Con il numero irrazionale, anche l’algebra avrebbe potuto am¬ pliarsi: invece di ricorrere alla geometria per risolvere equazioni quadratiche o di altro tipo, che potevano avere radici irrazionali, questi problemi sarebbero potuti venire affrontati in termini nu¬ merici, e l’algebra si sarebbe sviluppata a partire della situazione in cui la lasciarono gli egizi e i babilonesi. Anche per i numeri in¬ teri e i loro quozienti i greci non avevano nessuna base logica; la sostituirono con alcune definizioni imprecise di Euclide. La neces¬ sità di un fondamento logico del sistema numerico divenne però critica quando gli alessandrini cominciarono a usare liberamente i numeri, compresi quelli irrazionali, seguendo in questo punto la tradizione empirica degli egizi e dei babilonesi. Così i greci lasciarono all’umanità due rami distinti della mar tematica, e sviluppati in modo differente: una geometria rigorosa, deduttiva e sistematica, e un’aritmetica poco formalizzata ed em¬ pirica, con un’estensione all’algebra. La mancanza di un’algebra 142 IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE
L’INFINITO GRECO Un’altra limitazione peculiare dei greci fu che essi non riuscirono mai a comprendere i concetti di infinitamente grande, infinitamente piccolo e i processi infiniti. I pitagorici associavano le cose buone e cattive, rispetti¬ vamente, con quelle limitate e illimitate. Per evitare qualsiasi dichiarazione riguardo l’infinitezza della linea retta, Euclide, nei suoi Elementi, affermava che un segmento lineare può prolungarsi «fin quanto è necessario». La relazione tra punto e retta opprimeva così tanto i greci che Aristotele in¬ sistette nella separazione dei concetti. Da un lato ammetteva che i punti stavano sulle rette ma dall’altro diceva che una retta non poteva essere formata da punti, perché il “continuo” non può essere costruito partendo dal "discreto”. deduttiva fece sì che parlare di rigore matematico significasse par¬ lare di geometria fino ai secoli XVII e XVIII, quando l’algebra e l’analisi matematica si erano ormai sviluppate. Infine, la restrizione della geometria euclidea a concetti che si potevano costruire con riga e compasso lasciò due grandi com¬ piti alla matematica. Il primo era la risoluzione di tre problemi che esercitarono un grande fascino durante i secoli e che ancora oggi richiamano l’attenzione, anche se furono definitivamente risolti nel XIX secolo: dimostrare la quadratura del cerchio, la trisezione dell’angolo e la duplicazione del cubo con la riga e il compasso. Il secondo compito consisteva nell’ampliare i criteri dell’esistenza di un concetto geometrico, perché il fatto che l’unica maniera di provare 1’esistenza di un concetto geometrico fosse la possibilità di costruirlo, era naturalmente una condizione troppo restrittiva. Inoltre, siccome alcune lunghezze non potevano essere costruite, la retta euclidea è incompleta, ossia, non contiene le lunghezze che non si possono costruire. Per diventare completa e veramente utile nello studio del mondo fisico, la matematica doveva liberarsi di questa limitazione tecnica. IL FALLIMENTO DELL'ARITMETICA UNIVERSALE 143
CAPITOLO 7 Pitagorici e neopitagorici Nelle dottrine oggi conosciute come “pitagoriche” è impossibile differenziare il nucleo di insegnamenti che si possono attribuire esclusivamente a Pitagora di Samo dalle idee che si diffusero per iscritto un secolo dopo la sua morte. La conoscenza matematica dei pitagorici riguardo all’armonia del numero è giunta fino a noi per mano di Filolao di Crotone e Archita di Taranto.
La maggior parte degli autori dell’Antichità affermò che, dopo la morte del maestro, la scuola di pensiero di Pitagora si divise in fa¬ zioni, anche se non sempre ci fu uniformità nel descrivere il numero esatto o il loro nome. La divisione più celebre stabiliva due gruppi: i pitagorici e i pitagoristi, considerando i primi come mistici e i secondi come matematici, forse un’eco della differenza tra gli acu- smatici e i matematici. Fino a oggi, però, è stato difficile recuperare prove che avalorassero o discreditassero questa divisione. In gene¬ rale si ritiene che i cosiddetti pitagorici fossero i primi sostenitori di Pitagora, e per questo motivo sono conosciuti anche come “i vecchi” o “gli antichi pitagorici”. Le due figure più di spicco di questo movimento furono Filolao di Crotone e Archita di Taranto. Uno dei pochi autori di cui la storia della scienza si avvale per ricostruire il pitagorismo primitivo è Aristotele. Lo stagirita dedica il quinto capitolo del Libro I della sua Metafisica a criticare ed esporre le dottrine dei “cosiddetti pitagorici”, per usare le sue pa¬ role. Alcuni studiosi attuali, però, ritengono che il filosofo si rife¬ risse a personaggi di epoca successiva, il cui pensiero non è iden¬ tificabile con quello di Pitagora e della prima generazione di pita¬ gorici. Altri ricercatori vanno ancora oltre, affermando che le differenze tra Pitagora e i suoi seguaci furono massime, perché il maestro si occupava esclusivamente dell’aspetto religioso, mentre i suoi discepoli s’interessarono alla ricerca matematica. In ogni PITAGORICI E NEOPITAGORICI 147
caso, è difficile stabilire una distinzione netta tra i primi pitagorici e i successivi. Inoltre, il pitagorismo non si limita alle dottrine dei pitagorici più stretti; include anche le influenze che essi hanno esercitato sugli altri, in particolare su Platone. Poiché Pitagora non scrisse alcun libro, è difficile discemere fino a che punto i testi attribuiti alla tradizione pitagorica riflettes¬ sero la visione del fondatore. Sembra che all’inizio i pitagorici si sforzassero di mantenere il segreto e la purezza dei suoi insegna- menti, ma le generazioni successive divulgarono la sua cono¬ scenza. Le testimonianze riguardo pitagorici “autentici” o “falsi” e le accuse di tradimento suggeriscono che ci sia stato un conflitto interno nel pitagorismo primitivo e nella trasmissione del suo la¬ scito dopo la dispersione della setta. Da che circoli pitagorici provenne la tradizione che avrebbe consacrato il maestro Pitagora come fondatore della matematica e della cosmologia numerica? Per quello che è possibile sapere, l’idea dell’aritmetica universale si andò consolidando e mettendo per iscritto nel pitagorismo posteriore al maestro, per lo meno di un secolo, quando l’antica scuola religiosa si mescolò con la tradizione metodologica e speculativa della filosofia ionica. A partire da Platone cominciò a imporsi una percezione del pitagorismo come scuola di matematica e astronomia. La questione del numero si raf¬ forzò con Aristotele, che dette per scontato che i “cosiddetti pitago¬ rici” credessero che i numeri fossero i principi materiali delle cose. FILOLAO DI CROTONE Filolao di Crotone (470-385 a.C.) visse un secolo dopo Pitagora e intraprese il compito di raccogliere e ordinare le dottrine pi¬ tagoriche, cominciando dalla cosmologia. Nella prima metà del V secolo a.C. definì la teoria relativa al cosmo, che verteva su di un grande fuoco centrale. Stabilì la fisica pitagorica in generale e difese l’immagine di Pitagora e della sua setta come maestri del numero, della musica e dell’armonia astronomica. L’armonia era un inizio d’equilibrio cosmico, già menzionato da qualche preso- 148 PITAGORICI E NEOPITAGORICI
IL PROBLEMA DELLE FONTI Paradossalmente, le fonti da cui deriva il sapere attuale sulla matematica greca sono meno dirette e affidabili di quelle che abbiamo sull’Egitto e sulla Mesopotamia, anche se queste ultime sono molto più antiche. Non è arriva¬ to ai giorni nostri nessuno dei manoscritti originali dei matematici greci più importanti. Una possibile ragione di questo fatto è la fragilità del materiale su cui vennero scritti anche se la causa principale è la distru¬ zione che interessò le gran¬ di biblioteche degli antichi greci. Le fonti principali del¬ le opere matematiche gre¬ che sono, in primo luogo, i codici bizantini manoscritti in greco, posteriori alle ope¬ re originali di 500 e 1500 anni e, in secondo luogo, le traduzioni in arabo e le ver¬ sioni latine di queste tradu¬ zioni. Il problema di queste opere è che non sono ripro¬ duzioni letterali ma edizioni critiche, pertanto è difficile isolare gli apporti degli edi¬ tori o essere sicuri che gli originali siano stati capiti perfettamente. Per comple¬ tare il quadro della matema¬ tica greca classica, gli stu¬ diosi possono usufruire anche di fonti non stretta- mente matematiche ma co¬ munque vicine, che si sono dimostrate di enorme valo¬ re. I filosofi greci, specialmente Platone e Aristotele, avevano molto da dire sulla matematica, e i loro scritti sono giunti fino a noi. In un modo o nell’altro disponiamo delle opere di Euclide, di Archimede e di altri matematici greci, e la ricostruzione delle loro opere è stata un compito formidabile che anco¬ ra oggi presenta lacune e questioni da dibattere. fXtbtr punito bccdoftmundo. aût piinripw babëriûfunt.Cf^o e&iw» ,E lutura autcm fcictt quotum pcelarattonc ponunrur aliq tu fcic plurima ruk conclufiorce. ^>ama eftroipuo cft fui arca crcpa i ma? vndiqts oluilibtlc. 1&obaf luppo* anniditi«« top paf ncndo tp pttnuö cft oiuifibilc m lem anniditi«« top paf rendo trpnnuficft c ton« z motuo.Sd pcrtuuifibina. etimi p:tmo:quia: ■bucaútcirra Miopia nonfuntntfitræ foce magnitudi« quicump tallo lubftannc funt. ftiltcct liicaxpic cfl Cuuifibmein loti tura erutti conftannum : Ixc qwdcm gttudincm. Supcrftofeuju c cft oc? funi, stpoia^maßiuiudû,., bccau utfìbtliofm longitixlincm a iati tu? tetti bntcotp? x rrugnitudui-'tn.f a dioim % cetpue.-qö eli onnlibUc fa Manoscritto appartenente al Trattato del cielo di Aristotele, nell’edizione latina realizzata nel 1500 in Olanda. PITAGORICI E NEOPITAGORICI 149
cratico, fatto che ci porta a domandarci se il sistema di Filolao fu una rigorosa ricostruzione dell’insegnamento di Pitagora, o una fusione con idee successive. Chi fu Filolao di Crotone? Forse un sopravvissuto al crollo della scuola in quella città, fuggito in Grecia. Platone lo presenta a Tebe in qualità di maestro, verso l’anno 399 a.C., e colloca la sua morte al ritorno a Crotone. Se le date sono corrette, fu contempo¬ raneo di Socrate e poté conoscere Platone in Italia. Quest’ultimo affermò che Filolao era stato il primo a diffondere dottrine pitago¬ riche e che egli disponeva di esemplari delle sue opere. Vari testi attribuiti a Filolao si considerano autentici, e le sue dottrine eb¬ bero un’influenza molto profonda nella sua epoca. Egli sosteneva che tutta la materia era composta da numeri di due tipi: numeri limitati e numeri illimitati. A essi si aggiungeva un terzo stato della materia, derivato dalla combinazione di questi due elementi: Yarmonia. L’anima era una combinazione armonica degli elementi del corpo. L’armonia come equilibrio del cosmo e degli esseri che lo occupano è il concetto chiave del pensiero di Filolao, così come appare in quelli che vengono considerati i suoi testi. Inoltre, è grazie a Filolao che ci è stata tramandata l’idea pitagorica che i numeri sono armonizzati in proporzioni secondo i tre intervalli di base delle scale musicali: l’ottava (2:1), la quinta (3:2) e la quarta (4:3). Platone raccolse le idee di Filolao per formulare la sua co¬ smologia. Convertì i tre principi cosmici del crotonese in quattro: il limite, l’indeterminato, il risultato della mistione (la materia del cosmo) e la sua causa (il Demiurgo). Il concetto platonico del cosmo era intriso dell’idea pitagorica dell’armonia: il cosmo era un’opera bellissima e ben rifinita, la migliore opera d’arte possi¬ bile, un ingranaggio di precisione composto da parti perfette. Alcuni frammenti rilevanti dei Dialoghi di Platone sembrano alludere al pitagorismo di Filolao, come il concetto della geome¬ tria come mezzo per intendere il cosmo. La geometria di Filolao era il fondamento della maggior parte dei saperi, lo strumento im¬ prescindibile per sistematizzare la conoscenza del numero. Il pita¬ gorismo tradizionale ha tanto di platonico e Platone tanto di pita¬ gorico, al punto che anche Aristotele si chiese chi influenzò chi. 150 PITAGORICI E NEOPITAGORICI
ARCHITA DI TARANTO Archita di Taranto (428-ca. 347 a.C.) fu discepolo di Filolao. È pas¬ sato alla storia come astronomo e matematico, ma fu soprattutto un filosofo che mise in pratica l’ideale del saggio politico. Archita for¬ mulò l’idea del buon governo pitagorico, spalleggiato dall’azione politica diretta, poiché, oltre a essere filosofo e scienziato, fu stra¬ tega di Taranto (comandante in capo militare) sette volte (dal 367 al 361 a.C.). Le fonti gli attribuiscono il merito dello splendore della città e del trionfo della democrazia in essa. L’esito politico di Taranto è un fatto storico confermato, e il suo sistema democratico basato sull’armonia sociale si convertì nel massimo esempio dell’ec¬ cellenza del governo e del buon risultato cui poteva arrivare l’appli¬ cazione del calcolo, della matematica e della geometria alla politica. Il tarantino difendeva l’applicazione del calcolo a tutte le disci¬ pline, seguendo la linea delle idee matematiche di Filolao. Secondo lui, attraverso il calcolo e la sua applicazione nello spazio, ossia la geometria, si poteva risolvere qualsiasi problema. Si riferiva alla scienza del calcolo, che studiava le proprietà dei numeri, era la base per l’analisi delle proporzioni e stabiliva una relazione tra il pen¬ siero logico, l’educazione e la giustizia. Secondo quest’idea, lo stu¬ dio delle proporzioni numeriche determinava una migliore distribu¬ zione della ricchezza e del potere nella comunità umana. La geome¬ tria era il procedimento didattico per guidare l’anima in tutti gli aspetti deliavita, attraverso le dimostrazioni del calcolo. Quest’idea della geometria come strumento dell’ordine, applicabile all’astrono¬ mia, alla musica, ai commerci o alla politica, s’inseriva in un conte¬ sto storico in cui si ricercava la concordia dopo lunghi periodi di conflitti. Archita rifondò la politica pitagorica per basarla meno sul carisma di un leader e più nell’ampliamento dell’armonia tra le classi sociali. Il pensatore fu il vincolo diretto dei pitagorici con Platone, e infatti l’amicizia tra questi due filosofi è ben documentata dalla loro corrispondenza personale. La tradizione è solita presentare Archita come l’artefice dell’ul¬ tima fioritura della scuola pitagorica, mentre gli storici attuali lo de¬ scrivono come colui che rifondò il pitagorismo, che privò del suo senso più mistico e religioso e razionalizzò per convertirlo in una PITAGORICI E NEOPITAGORICI 151
scienza di scienze, basata sulla matematica e sulla musica. Egli ot¬ tenne dei progressi notevoli nella matematica, che verranno più tardi ripresi e ammirati da Euclide, come la dimostrazione delle propor¬ zioni irrazionali e dell’irrazionalità delle radici quadrate, usando il massimo comune divisore e l’algoritmo che si conoscerà poi come quello “di Euclide”, anche se era già stato utilizzato da Archita Nell’ambito della musica, cercò di dare all’armonia una base matematica e studiò le proporzioni delle consonanze di melodie in ottava, quinta e quarta. Presentò inoltre una teoria dell’acustica e del suono, di cui individuò la causa nel movimento dei corpi nell’aria e nelle loro variazioni di velocità, secondo l’idea dell’ar¬ monia delle sfere. Come geometra, il suo apporto fu puramente matematico. Gli si attribuisce l’invenzione di una soluzione tridi¬ mensionale al problema della duplicazione del cubo, proposto in precedenza da Ippocrate di Chio (470-ca. 410 a.C.), grazie allo svi¬ luppo degli studi di geometria nello spazio tridimensionale, la ste¬ reometria. Archita fu il primo a trovare una soluzione geometrica a questo problema, uno degli enigmi irrisolvibili con la costruzione con riga e compasso, come la quadratura del cerchio o la trisezione dell’angolo. La soluzione trovata da Archita è geometricamente im¬ peccabile, anche se molto complicata, ma non era accettabile per i severi criteri greci dell’uso della riga e del compasso. Infine, si dice che Archita raccolse la tradizione del teorema di Pitagora, con l’autorizzazione del suo maestro, anche se non vi sono prove di questo fatto. Fu il neoplatonico Proclo (412-485 a.C.) che attribuì il teorema al saggio di Samo nel suo commento agli Elementi di Euclide. Forse Pitagora fu solo il padrino mitico di una scoperta che venne poi portata avanti e dimostrata da qual¬ che anonimo genio dell’età arcaica. PLATONE I filosofi situati cronologicamente tra i pitagorici e Platone studia¬ rono l’essenza della realtà ma non impiegarono la matematica in maniera diretta. Parmenide, Zenone, Empedocle, Leucippo di 152 PITAGORICI E NEOPITAGORICI
LA DUPLICAZIONE DEL CUBO La duplicazione del cubo ve¬ niva chiamata anche "il pro¬ blema di Delo". La leggenda che espone il problema illustra anche la visione che si aveva di Archita e delle sue idee matematiche come mezzo per ottenere una equilibrata convivenza politica. La storia racconta che la peste invase l’isola di Deio, luogo di nascita di Apollo, e i suoi abitanti si recarono all’oracolo di Delfi per chiedere come liberarse¬ ne. L’oracolo rispose che essi dovevano costruire un nuovo altare per Apollo con un cubo il cui volume fosse il doppio di quello già esistente. Per costruirlo gli abitanti di Deio duplicarono le dimensioni del cubo e ottennero una figu¬ ra con un volume otto volte maggiore. Quindi consulta¬ rono Platone, che disse loro che Apollo in realtà stava solo lanciando un avvertimento: che si dedicassero allo studio della geometria come soluzione a tutti i problemi, dalla politica alla medicina. Quando il problema arrivò ad Archita, egli fu capace di risolverlo grazie al suo dominio della geometria, utilizzando la cosiddetta curva di Archita. Il tarantino aveva introdotto l’idea di considerare una curva generata da un punto in movimento e una superfi¬ cie generata da una curva in movimento. Con quest’idea risolse il problema trovando due misure proporzionali tra due quantità date. Nella notazione attuale, dando, per semplificare, il valore 1 allo spigolo del cubo, essendo x e y tali che si ha la formula Ricostruzione virtuale del toro (grigio chiaro), del cono (tono intermedio) e del cilindro (grigio più scuro). 1 _ X _ y x ~ y ~ 2' quindi x2 = yl2, che è la risposta desiderata, anche se non si può costruire con la riga e il compasso. Queste misure si possono costruire geometricamente trovando l’intersezione di tre superfici: un toro, un cono e un cilindro. PITAGORICI E NEOPITAGORICI 153
Mileto (500-ca. 430 a.C.) e Democrito di Abdera (460-ca. 370 a.C.), fecero grandi affermazioni che poche volte si basavano sull’osser¬ vazione, ma in ogni caso tutti ritenevano che la natura era com¬ prensibile e che poteva decifrarsi attraverso il pensiero. Ognuno di essi rappresentò un anello della catena che condusse alla ri¬ cerca matematica della natura. L’influenza delle idee pitagoriche su Platone diede un’enorme risonanza alle teorie circa il numero e l’armonia di Filolao e alle idee sulla geometria e sulla politica di Archita Platone fu il maggior di¬ vulgatore della matematica come mezzo esclusivo di comprensione della realtà, disegnata matematicamente. Secondo Platone i sensi ci ingannano e la conoscenza fisica non è importante perché gli og¬ getti materiali sono mutevoli. Pertanto, lo studio diretto della na¬ tura e le ricerche strettamente fisiche sono inutili. Il mondo fisico è una copia imperfetta del mondo ideale ed esso perciò doveva es¬ sere l’oggetto di studio dei matematici e dei filosofi. La geometria era la radice della fisica e del movimento del cosmo verso il bene. Il suo studio era la via per avvicinarsi alla divinità. Anche l’astronomia di Platone sembra provenire dal pitagori¬ smo. Il filosofo recuperò l’antica e prestigiosa filosofia pitagorica che metteva in relazione il volo dell’anima con quello degli astri in un movimento circolare, e affermò che l’anima era immersa nel movimento circolare degli astri in un’armonia musicale. L’astronomia pitagorica del suo tempo, quella di Archita, aveva di¬ mostrato che i pianeti si muovevano con regole geometriche e, di conseguenza, i pianeti dovevano avere un’anima ed essere divini. L’influenza della matematica pitagorica si può trovare anche nel progetto educativo di Platone: la dialettica platonica è la tappa finale di una serie di discipline matematiche che cominciano con l’aritmetica e la geometria dei piani; lo studio della musica e dell’ar¬ monia musicale, così come il movimento matematico degli astri sono la prova del suo disegno divino. Nella Repubblica si insiste nella relazione tra la giustizia e la proporzione matematico-musi¬ cale. La matematica si converte in modo da determinare che l’or¬ dine naturale costituisce anche l’ordine morale, dato che la pre¬ senza del numero si trova in tutte le cose, poiché il numero è la traccia dell’origine divina del cosmo. 154 PITAGORICI E NEOPITAGORICI
PLATONE E L'ACCADEMIA Platone (427-ca. 347 a.C), nacque in seno a una famiglia nobile e durante la sua giovinezza ebbe aspirazioni politiche: presto, però, si rese conto che la politica non era un luogo per uomini con una coscienza. Viaggiò in Egitto e visitò i pitagorici dell’Italia meridionale. Non era un matematico ma un entu¬ siasta della materia, ed era convinto della sua importanza come scienza del¬ le scienze. Infatti, quasi tutte le opere matematiche importanti dell’epoca si devono a suoi amici o discepoli. Il filoso fondò ad Atene l’Accademia, una scuola d’insegnamento superiore, che consisteva in ciò che attualmente chia¬ miamo campus, un grande spazio che ospitava dei grandi edifici dove faceva lezione assieme ai suoi aiutanti. Lo studio della filosofia e della matematica fu la sua attività preferita durante il periodo classico. La cosiddetta Accade¬ mia antica venne distrutta dai romani nell’ 86 a.C, ma l’istituzione, nelle sue diverse reincarnazioni, raggiunse i 900 anni di storia, finché l’imperatore cri¬ stiano Giustiniano la chiuse, nel 529 d.C, accusandola di insegnare conoscen¬ ze pagane e perverse. Mosaico del I see. d.C., proveniente da Pompei, i cui personaggi, situati sotto a una meridiana, conversano riguardo a una sfera. La tradizione ha associato quest'opera all’Accademia ateniese di Platone (Museo Nazionale di Napoli). PITAGORICI E NEOPITAGORICI 155
Ma Platone, nei suoi sogni più arditi, andò molto oltre rispetto ai pitagorici, pretendendo non solo di decifrare la natura attraverso la matematica, ma anche di sostituire la natura con la matematica Egli riteneva che, dopo aver dato un’occhiata al mondo fisico per raccogliere qualche certezza, la ragione avrebbe potuto continuare senza altri aiuti. Da quel punto di vista la natura non esisteva, esi¬ stevano solo le scienze matematiche, e la geometria sostituiva la fisica. Platone spiegava la sua posizione portando ad esempio l’a¬ stronomia. L’ordine delle stelle in cielo e i loro movimenti erano bellissimi, ma l’astronomia doveva occuparsi delle leggi del movi¬ mento delle stelle nel cielo matematico. Platone mirava all’astrono¬ mia teorica Le figure del cielo dovevano essere esclusivamente dei diagrammi, per facilitare la ricerca di verità superiori. LA CRITICA DI ARISTOTELE A PLATONE E Al PITAGORICI Anche se inizialmente adottò le idee del maestro Platone, Aristotele aveva un’idea così diversa della realtà e della relazione tra la matematica e la natura che si potrebbe quasi dire che le loro IDEE PLATONICHE Il punto di vista di Platone riguardo alla matematica formava parte integrale della sua filosofia, che affermava l’esistenza di una realtà oggettiva, costituita da forme e idee e che, in effetti, era l’unica realtà. Le idee platoniche erano indipendenti dagli esseri umani, immutabili, eterne e atemporali. Esse arriva¬ vano per reminiscenza, come un ricordo latente, infatti, anche se erano pre¬ senti nell’anima, dovevano essere stimolate per farle risalire in superficie. Era¬ no la bontà, la verità, la giustizia, la bellezza... Le idee matematiche erano comprese in queste idee ma occupavano una posizione inferiore, perché pre- suppponevano uno stato intermedio tra il mondo sensibile e le idee superiori. In questa filosofia, le scienze matematiche svolgevano un doppio ruolo: da un lato formavano parte della realtà e dall’altro aiutavano a ordinare la mente per raggiungere le idee eterne. 156 PITAGORICI E NEOPITAGORICI
opinioni fossero opposte. Nella sua opera II pensiero matematico dall'antichità ai giorni nostri - Storia del pensiero matematico, il prestigioso storico e divulgatore della matematica Morris Kline rappresenta Aristotele come un fisico, al contrario di Platone. Aristotele credeva nelle cose materiali, in qualità di sostanze prime e origine della realtà. Per lui, il mondo era materia e forma. La materia era indeterminata e si convertiva in qualcosa quando si organizzava in una forma concreta Così, i fatti interessanti della realtà, che dovevano essere motivo di studio scientifico, erano la forma e il cambio della materia: la scienza doveva studiare il mondo fisico. Ovviamente, Aristotele non poteva fare altro che criticare il mondo di Platone e la sua riduzione delle scienze alla matematica, cosa che fece nella sua opera capitale, la Metafisica. La celeberrima Metafisica di Aristotele è un compendio di quattordici libri, che sono stati tradizionalmente pubblicati come un trattato unitario, ma sono in realtà degli scritti indipendenti raggruppati in un secondo momento. Il suo obiettivo non era la lettura sistematica, ma essere d’appoggio all’insegnamento, di modo che ogni libro era una serie di lezioni riguardo a un tema concreto. «I cosiddetti pitagorici, che furono i primi a coltivare le scienze matematiche, non solo le fecero avanzare, ma, nutrendosi di esse, credettero che i loro principi fossero i principi di tutti gli enti.» Aristotele, Metafisica, Libro I. Il Libro I era l’introduzione al corso: qui Aristotele spiegava che cos’è la saggezza e come si acquisisce. I capitoli 1 e 2 tratta¬ vano le cause e i principi primi. A partire dal terzo capitolo, lo stagirita esponeva le dottrine dei filosofi precedenti e le criticava in quanto insufficienti, presentando allo stesso tempo la sua teo¬ ria. La critica ai pitagorici si trova nel capitolo 5, dove si stabilisce un parallelismo tra il pensiero pitagorico e la filosofia eleatica. Fu Aristotele che presentò quella che venne chiamata lista pitagorica dei contrari, dieci coppie di opposti che rappresen- PITAGORICI E NEOPITAGORICI 157
tavano gli elementi dell’universo. Così come viene detto dallo stagirita, i pitagorici impiegavano questi opposti per segnalare tutti i fenomeni che avevano origine dall’interazione di due forze cosmiche o da principi antagonisti. Sembra che anch’essi (i cosiddetti pitagorici), considerino che il Numero sia principio, non solo come materia degli esseri, ma anche come passione e abitudine, che gli elementi del numero sono il Pari e il Dispari, essendo uno di questi finito e l’altro infinito e che l’Uno provenga da questi due elementi (poiché dicono che sia pari e di¬ spari). Dicono inoltre, che il numero proviene dall’Uno e che il cielo intero è numero. Altri di loro, però, dicono che vi sono dieci principi, che enumerano in parallelo: Finito e Infinito, Dispari e Pari, Uno e Pluralità, Destro e Sinistro, Maschile e Femminile, Quie¬ to e In movimento, Retto e Curvo, Luce e Oscurità, Buono e Catti¬ vo, Quadrato e Oblungo. Che posto occupava la matematica nell’universo aristotelico che s’era mostrato così critico con i pitagorici attraverso Platone? La matematica aiutava la fisica a descrivere proprietà come la forma e la quantità e forniva spiegazioni di fatti osservati in feno¬ meni materiali, ma era un’astrazione del mondo reale. Gli oggetti matematici esistevano nella mente umana e non avevano una re¬ altà indipendente. Anche se le scienze matematiche potevano for¬ nire molte definizioni, non permettevano di dimostrare le diffe¬ renze qualitative. I diversi colori, ad esempio, non potevano ri¬ dursi a differenze geometriche. Aristotele distingueva formal¬ mente tra matematica e fisica, e metteva una al servizio dell’altra. L’EREDITÀ PITAGORICA n pitagorismo fu rinnovato a partire dal I see. a.C. ed esercitò una notevole influenza durante i tre secoli successivi, in una forma tardiva che si conosce come “neopitagorismo”. I neopitagorici re¬ cuperarono la figura di Pitagora, considerandolo il fondatore della 158 PITAGORICI E NEOPITAGORICI
ARISTOTELE E LE SCIENZE MATEMATICHE Aristotele (384-322 a.C.) nacque a Stagira, nella Macedonia greca. Per circa vent’anni fu discepolo di Platone e durante tre anni, dal 343 al 340 a.C., fu tutore di Alessandro Magno. Nell’anno 335 a.C. fondò la sua scuola, il Liceo, che era formata da un giardino, da un’aula e da un altare dedicato alle Muse. Lo stagirita scrisse riguardo a moltissimi temi, tanto nell’ambito scientifico come in quello lettera¬ rio, e anche se non dedicò nessun libro specifico alla matematica, la materia appariva costantemente nei suoi testi, perché la usava per presentare degli esempi. In tal modo si occupò dei principi di base, distinguendo tra gli assiomi o le nozioni comuni, che sono ve¬ rità comuni e condivise da tutte le scienze, e i postulati, che sono principi primi accettabili da una scienza concreta. Una delle sue conquiste più importanti, però, fu la fondazione della scienza della logica. I greci avevano messo le fondamenta della disciplina pro¬ ducendo ragionamenti matema¬ tici corretti, ma Aristotele siste- matizzò in una materia indipendente le leggi che seguo¬ no questi ragionamenti. loro forma di pensiero, e proclamarono spesso la propria autenti¬ cità, assicurando che il loro obiettivo era la rinascita delle dottrine pitagoriche. Nonostante quest’ambizione di purezza, oltre alle dot¬ trine esclusivamente pitagoriche, nel neopitagorismo si riuni¬ scono elementi platonici, aristotelici, stoici e orientali. Le idee neopitagoriche si trovano sparse in fonti così diverse che è difficile ricondurle a un sistema unico. Le principali tesi co¬ muni a tutti i pensatori neopitagorici sono le seguenti: PITAGORICI E NEOPITAGORICI 159
- La realtà suprema è un’unità, di cui l’unità numerica è una manifestazione. - Quest’unità genera le realtà restanti per mezzo del movi¬ mento, che più tardi verrà descritto come emanazione. - L’unità è assolutamente pura e trascendente. Il neopitagorismo fu solo un timido rifluire, senza partico¬ lare importanza, dell’eredità pitagorica nella storia della scienza e del pensiero. Gli effetti di quelle antiche dottrine, però, furono molti e duraturi. Dai tempi dei pitagorici, i più importanti filosofi e scienziati che modellarono il mondo intellettuale greco, soprat¬ tutto durante il periodo ellenistico, meditarono sul disegno ma¬ tematico della natura. La teoria rimase ben stabilita durante il periodo classico e la ricerca delle leggi matematiche restò istitu¬ zionalizzata. La maggior parte dei grandi matematici accettò quelle idee e le seguì coscienziosamente. Questa dottrina regnò fino alla fine del XIX secolo, e durante tutto il lungo periodo la ricerca del disegno matematico si identificò con la ricerca della verità. Alcuni greci, come Tolomeo, sostenevano che le teorie matematiche erano solo dei tentativi dell’uomo di fornire una descrizione coerente del mondo, ma la convinzione che la mate¬ matica contenesse la verità naturale attrasse verso la matema¬ tica gli scienziati e i pensatori più importanti della storia. Secondo la tradizione furono i pitagorici i primi a chiamare kosmos l’universo, e a vederlo come un ordine retto dalle leggi matematiche. Se così fosse, questo risultato basterebbe già per situarli in un luogo di favore nell’Olimpo del sapere umano. Considerando l’originalità e la forza del loro pensiero, non è strano che questi sorprendenti personaggi - politici, matematici, fisici, filosofi, ma anche maghi e asceti - influissero nell’opera di Platone e Aristotele, e attraverso questi ultimi, nelle opere di tutti i grandi pensatori, filosofi e scienziati dell’umanità. Le dot¬ trine della scienza dei pitagorici lasciarono un’impronta così profonda nella storia della cultura occidentale che Pitagora può essere considerato come uno degli uomini più influenti nel 160 PITAGORICI E NEOPITAGORICI
campo del sapere, circostanza che gli permette di conseguire il suo obiettivo più agognato: il raggiungimento dell’immortalità. Questa vittoria, anche se simbolica, dimostra l’enorme forza della sua mente, perché Pitagora, come disse Bertrand Russell, fu così saggio che ebbe ragione anche quando aveva torto. PITAGORICI E NEOPITAGORICI 161
Letture consigliate Abbagnano, N., Dizionario di filosofia, Torino, Edizioni UTET, 2006. Alsina, C., La setta dei numeri: il teorema di Pitagora, Collana Mondo Matematico, Milano, RBA Italia, 2011. Bell, E. T., Storia della matematica, Milano, Mondadori, 1991. Boyer, C. B., I Grandi matematici, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2010. Eliade, M., Storia delie credenze e delle idee religiose (vol. II), Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2006. Ferguson, K., La musica di Pitagora. La nascita del pensiero scientifico, Milano, Longanesi, 2009. Gargano, A., Introduzione alia filosofia greca. Da Taiete a Par¬ menide, Napoli, La Città del Sole, 1995. Kline, M., Storia del pensiero matematico (vol. I), Torino, Einaudi, 1999. Riedweg, C., Pitagora vita dottrina e influenza, Milano, Vita e Pensiero Editore, 2007. Rostagni, A., Il verbo di Pitagora, Forlì, Victrix Edizioni, 2005. Russell, B., Storia delia filosofia occidentale (vol. I), Milano, Casa editrice TEA, 2007. Stewart, I., Domare Vinfinito. Storia della matematica dagli inizi alla teoria del caos, Torino, Bollati Boringhieri Editore, 2011. 163
Indice Accademia 13, 51, 155 acusmatici 64, 70, 147 agrimensura 41, 43, 91 Ahmes, papiro di si veda Rhind, papiro di alegebra geometrica 51, 99 alimentazione 64, 66, 67 Anassimandro di Mileto 10, 18-20, 91,93 angolo 11, 20, 36-38, 43, 49, 52, 55,80, 83, 91,93, 102,143, 152 Anti-Terra 123 Apollo 18-20,30, 66, 71, 153 Archita di Taranto 9, 13, 76, 93,145, 147, 151-154 curva di 153 Arezzo, Guido d’ 120 Aristotele 9,13, 79, 92, 94, 120, 143, 147-149, 150, 157-159, 160 aritmetica 10,11,44, 45, 80, 82, 83,85, 90,91,94-97,104, 105, 107, 118, 119, 121,122,127,134, 135, 138, 140, 141-143,148, 154 armonia delle sfere si veda musica delle sfere Asia Minore 8,17,31, 90, 91 astronomia 9,17,22,83, 91,92,97, 110,121,122,148, 151,154, 156 Babilonia 22, 23, 38, 82, 91, 139 Berlino, papiri di 42 Boezio 120, 141 Buddha 88 calcolo delle aree 85 funzionale 55 cateto 11, 36, 37, 40, 41, 45, 47^9, 52, 54, 56, 57, 59, 133, 137 cent 114,115 Chou Pei Suan Ching 45, 46 Chui Chang Suang Shu 47 Cilone 29, 75 circolo delle quinte 116, 117 Ciro n il Grande 22, 82 colonizzazione greca 61, 71, 73 contrari pitagorici 158 coseno 43, 55, 56 legge del 59 cosmo 20,95,98, 107, 110, 126, 127, 138, 148, 150,154, 156 cosmologia 10, 20, 21, 63, 107, 123, 125, 148, 150 Creta 21, 71 Crotone 8, 13, 17, 18, 25, 26, 29, 30, 68, 71-75, 145, 147, 148,150 165
cuneiforme, scrittura 23,38,39,81-83, 85, 139 decade pitagorica 96-99 Delfi, oracolo di 19, 64, 70-72,153 Democrito di Abdera 20,154 diade 96,97, 103 discesa infinita 135, 137 Diogene Laerzio 66, 74 Dioniso 20-22, 24 Discorso sacro 68 duplicazione del cubo 143, 152, 153 Egitto 20-25, 38, 41, 42, 45, 64, 71, 79, 85, 91, 92, 149, 155 Elea 13, 17, 23 Elementi di geometria 13, 39, 47, 49-53, 102, 136-138, 143, 152 Empedocle di Agrigento 17, 18, 20, 21, 154 Eraclito di Efeso 20 Erodoto 24, 42, 92 esoterici 65 essoterici 65 etica pitagorica 9, 63, 72 Euclide 13,39, 47, 49, 50-53, 102, 118, 136-138, 142, 143, 149, 152 Eudosso 51, 140 Ferecide di Siro 19, 24 Filolao di Crotone 9, 13, 68, 76, 93, 145, 147, 148-151, 154 fisica 10, 148, 154, 156,158 frazione 11, 23, 80, 90, 114, 118, 127, 129, 130, 131,133, 134, 138, 140 fuoco centrale 10, 123, 124,148 geometria 11, 13, 17, 22, 35, 39, 43, 47, 49, 50, 51, 85, 90, 96, 107, 122, 133, 134, 138, 140-143, 150-154,156 Giamblico di Calcide 26, 68 gnomone 45, 102 Hammurabi 38, 39, 82 immortalità dell’anima 9,19,24, 28, 63, 66, 161 Impero persiano 22,82 incommensurabili, numeri 11, 13,119, 127, 132, 133, 134-140, 142 India 22,44, 45, 88,89 Ionia 13, 22, 91, 93 ipotenusa 11, 36,37, 39, 40, 45, 47,48, 52, 54, 57, 133,137,138 diagramma dell’ 45 Ippaso di Metaponto 13, 132,133,138 pentagramma di 135-137 Keplero, Johannes 126 Kon Ku 45 Leonardo da Vinci 54, 141 Liu Hui 45, 46 Magna Grecia 8, 13, 23-25, 61, 75,133 matematici 7, 8, 11, 23, 33, 35, 42,45, 59, 64, 79, 81-85, 88, 89, 92, 94, 110, 130, 131, 134, 142, 147, 149, 154, 158, 160 media aritmetica 97, 104, 119 armonica 11, 104, 119 geometrica 104, 105, 119 Mesopotamia 23, 38, 79, 81-85, 88, 123, 129, 139,149 Metafisica 13, 94, 147, 157, 158 Metaponto 13, 18, 30, 74, 76, 132, 133 Mileto 18, 25, 91, 92, 93 Milone 29, 75 miracoli di Pitagora 30 misteri 8, 20, 24, 28,31,32, 63, 65, 70, 85 misticismo 7,11, 22, 96, 97, 99, 119, 125 mito 15,17, 21-26, 28, 29, 32,109 mitologia 21, 22, 24, 26, 28, 30, 109, 110 Mnesarco 18 monocordo 112, 125 166 INDICE
Mosca, papiro di 41, 85, 87 mulino a vento 50, 54, 57 musica delle sfere 10, 107,121-124, 126, 152 neopitagorismo 145, 159, 160 numeri classificazione dei 99,102,104, 130, 131 interi 23, 90,100, 112, 127, 129-135,142 irrazionali 130-133,137,138,140,142 poligonali 99-102 razionali 129-131 Omero 28, 32 Orfeo 20-22, 24, 68 ottava musicale 10, 113-120,150,152 Parmenide di Elea 17, 18, 20, 23, 71, 154 pentalfa 98, 99 Platone 9,13, 21, 28, 51, 68,120, 134, 140, 148-151, 153, 154-160 Plimpton, tavoletta 39 Policrate 8, 13, 18, 24, 25, 72 poliedri regolari 51, 97 poligoni 50, 57, 90, 97, 99 politica pitagorica 8, 9, 24-26, 29, 68, 71-76, 151 posizionale, sistema numerico 23, 82-84, 89, 90, 131 presocratici, filosofi 17, 20,149 Proclo 51,152 progressione armonica 11 proporzione aurea 50, 113 musicale 105,125 perfetta 105 quadri vi um 97, 122 radice quadrata 35,44,50,138-140,152 regole di vita pitagorica 63, 64, 71, 73, 132 reincarnazione, teoria della 19, 22,63, 66, 67, 97, 155 Repubblica 156 Rhind, papiro di 41-44,85, 86 rivolta antipitagorica 13, 29, 75-76 Samo 7,8, 10,11,13, 15, 17-22, 24, 25, 27, 28, 30, 33, 64, 68, 71, 79,110, 129, 145, 152 sciamanismo 30-32 Semicerchio 13, 25, 71 seno 43, 55, 56 Senofane di Colofone 13, 20 setta 8,13,15, 20, 26, 29, 61, 64-68, 73-76, 110, 133, 148 Sibari 13, 26, 29, 74 Sìdvasutra 44, 45, 89 sumeri 39, 81 tabù pitagorici 66-67 Talete di Mileto 18-20, 79,91-93 teorema di 92, 93 tavoletta d’aigilla 23,38,39,82,85,87,139 teorema di Pitagora 11, 27,33,35, 37, 38, 42,4448, 50-52, 54-60, 90, 91, 127,131,133,134, 137, 141, 152 dimostrazioni del 45-54 inverso 51 teme pitagoriche 3842,44, 45 Terra 28, 59, 60,98, 121, 123,124, 126 tetraktys 70,99 topografia 43, 56 triade 96,97 triangolazione 43 triangolo egizio 42 trigonometria 35,39,40,43, 55, 56 trivi um 122 versi d’oro 68, 99 voto di silenzio 65,132 Zenone di Elea 20, 23, 71,154 zero 23, 89,96,130,131 Zhao Shuang 45 INDICE 167