Текст
                    MARXIANA 2
CRITICA DELLA POLITICA
E DELL’ECONOMIA POLITICA
PARLAMENTARI
KARL MARX - INEDITO
SULLE MACCHINE (I)
DAL MANOSCRITT01861-63
MATTICK - CONSIGLI E PARTITO
ALFRED SOHN-RETHEL:
CRITICA DELLA SCIENZA
E DELLA FILOSOFIA
KORSCH - A BRECHT E A PARTOS
RIVISTE TEDESCHE


MARXIANA 2 ottobre 1976 bimestrale
Prima edizione: ottobre 1976 Seconda edizione: aprile 1977 MARXIANA Bimestrale Anno I, n. 2, ottobre 1976. Un numero lire 1.500. Abbonamento a sei numeri lire 8.000, sostenitore lire 20.000, estero lire 12.000. Indicare da quale numero si vuole che inizi. L’importo può essere versato sul conto corrente postale n. 13/9748 intestato a marxiana, casella postale n. 5, Bari-Palombaio 70036, oppure inviato in francobolli o con assegno bancario. L’abbonamento non disdetto dopo sei nu¬ meri si intende rinnovato per altri sei. Chi procura cinque nuovi abbonati ha diritto a un sesto abbonamento gratuito, Abbonarsi è l’unico modo per tenere basso il prezzo di copertina. Registrazione del Tribunale di Bari, n. 491 del 14-10-75, responsabile Enzo Modugno. Redazione e amministrazione: marxiana, casella postale n. 5, Bari-Palombaio 70036. Spe¬ dizione in abbonamento postale, gruppo IV, 7096. Hanno collaborato Franco Lattanzi, Eugenio Lo Sardo, Al¬ berto Petrucciani, Biancamaria Spezzano.
MARXIANA Critica della politica e dell ^conomia politica
a cura di Enzo Modugno
Premessa J.-P. Sartre (Contro le elezioni, sul primo nume¬ ro di « Marxiana » uscito i primi di maggio) aveva avvertito i « piccoli Machiavelli » che il machiavelli¬ smo si sarebbe ritorto contro di loro: che strana idea, prima considerare la classe come corpo eletto¬ rale, cioè come individui separati, astrattamente ugua¬ li, serializzati, incapaci di unificazione diretta, meri possessori della merce forza-lavoro, e poi pretendere che gli uomini così ridotti si esprimano come sog¬ getti rivoluzionari, come uomini concreti in lotta con¬ tro l’alienazione economica e politica che li trasforma in cose. I « rivoluzionari » dunque sono « annegati nelle urne ». Eppure la storia della società borghese stava a dimostrare che le urne son fatte per questo; ma non se ne è tenuto conto, né prima né dopo le ele¬ zioni. Né può trattarsi di « insufficienza teorica » perché, per esempio, Rossana Rossanda sapeva be¬ nissimo che «la scheda, socialista non è mai» (”il manifesto ”, n. 49, 1972); e si sbaglia chi sostiene che « dimenticarsi di quanto detto in precedenza è una costante del gruppo del ” manifesto ” »: una così drammatica dimenticanza non può essere un fatto di poca memoria e mette conto di vedere le cose più da vicino. D’altra parte non si può liquidare la questione — che è ricorrente nella storia del movi¬
6 PREMESSA mento operaio — con l’accusa di opportunismo. Si tratta invece di un processo che va analizzato, che si può mostrare teoricamente in modo assai chiaro e che ha radici profonde. Se si escludono alcune ragioni minori — riprodurre il Cile di Allende, met¬ tere le mani sulle sovvenzioni statali ai partiti, inse¬ rirsi nello spostamento a sinistra dell’elettorato, ece. — il processo centrale che ha portato la nuova si¬ nistra alle elezioni si svolge secondo le leggi fonda- mentali delle società produttrici di merci. Il capitale riduce di continuo gli uomini a merce forza-lavoro, che si compra al mercato come qualsiasi altra merce. E’ questo modo di essere della classe che il PCI difende e rappresenta. Quando il capitale ha trasformato gli uomini in merci, si leva « il partito della merce organizzata » (Nicola Badaloni su ’’Ri¬ nascita ”, con grande esattezza). E’ una simbiosi, il capitale li riduce in cose e il PCI li rappresenta. Il riformismo infatti non dipende dalla buona o cattiva volontà degli uomini; esso è ” necessario ” nel modo di produzione capitalistico perché corrispon¬ de agli interessi degli operai ridotti a riproduttori di capitale, spogliati dei mezzi per affermare la loro autonomia, privati dei collegamenti, serializzati, iso¬ lati. Finché i beni prodotti prenderanno forma di merce, gli operai stessi saranno ridotti a quella mer¬ ce particolare che è la forza-lavoro. E’ questa la base del PCI, come già delle social- democrazie: ma è una base solida solo in apparenza, e Democrazia Proletaria fa male a contendergliela. La merce infatti è un’astrazione. Ridurre gli uo¬ mini a valori di scambio, impedire che si affermino come soggetti reali, è sempre stata un’impresa dif¬ ficile. Il capitale li riduce continuamente in merci, ma non vi riesce mai completamente, e nei momenti alti delle lotte non vi riesce affatto. Prima di im¬ boccare la stretta via che porta al mercato del lavoro, gli uomini vi si oppongono con ogni mezzo — chi
PREMESSA 7 non ha proprietà, dice Marx nei Grundrisse, è più portato a diventare ladro che operaio — e una volta in fabbrica col rifiuto permanente dei rapporti di produzione. Con la conseguenza che gli operai sono nello stesso tempo possessori della merce forza- lavoro e soggetti rivoluzionari. Cioè per un verso hanno interesse a che si difenda la loro esistenza di possessori di merce, che si difenda — economica¬ mente e politicamente, cioè col sindacato, il partito politico, le riforme, ecc. — il valore della forza-lavoro sul mercato; ma per un altro verso hanno interesse a distruggere la loro esistenza di possessori di merce, ad affermare la loro autonomia, ad abolire il mer¬ cato del lavoro, le classi, ecc. (A questi due aspetti della classe operaia cor¬ rispondono due modi di essere del capitale; nell’ine¬ dito che qui si pubblica Marx, a proposito dell’in¬ troduzione delle macchine, p. 41, fa notare: 1- « la macchina interviene direttamente come strumen¬ to di riduzione del tempo di lavoro necessario » per controbilanciare l’azione degli operai che difendono il valore della forza-lavoro; ma, 2- interviene an¬ che « come potere del capitale sul lavoro, per repri¬ mere ogni rivendicazione di autonomia da parte del lavoro ». E nel corrispondente passo del Capitale, Libro I, p. 480: 1- « la macchina non agisce sol¬ tanto come concorrente strapotente, sempre pronto a rendere ” superfluo ” l’operaio salariato »; ma, 2? « il capitale la proclama apertamente e consapevol¬ mente potenza ostile all’operaio e come tale la ma¬ neggia. Essa diventa Yarma più potente per reprimere le insurrezioni periodiche degli operai, gli scioperi, ecc. contro la autocrazia del capitale »). E il PCI, come già le socialdemocrazie, finirà col perdere non perché, considerando il primo aspetto, considera la classe una merce, ma perché spaccia la riduzione a merce come l’essenza della classe. Ora una parte della nuova sinistra è sulla stessa
8 PREMESSA strada: quando di fronte ad un movimento in diffi¬ coltà queste organizzazioni, anziché farsene carico, se ne distaccano e si pongono come unificazione esterna, cervello separato, come partiti che si muovono nelle istituzioni e che devono accettarne le regole, non riescono più a cogliere, P« autonomia del lavoro » (nel senso che ha oggi), i movimenti interni della classe, e finiscono con l’essere nient’altro che la forma alienata della conoscenza e dei collegamenti reali che solo i soggetti reali di un movimento potrebbero porre in essere. E’ questo modo sepa¬ rato di collegare e di conoscere che va criticato al¬ la radice. Non si tratta più di uomini concreti che rifiutano di essere merce, di soggetti reali che cono¬ scono attraverso le lotte in maniera sensibile, come una generazione'di militanti ha sperimentato, ma di organizzazioni che conoscono per astrazioni ripetendo la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellet¬ tuale che è, in fin dei conti, il modo di conoscere della classe dominante. Il saggio di Alfred Sohn-Rethel * che qui si pub¬ blica, tratta appunto di questa separazione. La co¬ noscenza, dice Sohn-Rethel, è legata al lavoro ma¬ nuale. Così la classe che non lavora sarebbe tagliata fuori dalla conoscenza se la necessità di dominare il * Alfred Sohn-Rethel è un marxista tedesco della gene¬ razione di Adorno, Bloch, Benjamin, emigrato, per sfuggire ai nazisti, in Inghilterra, dove vive tuttora, finora inedito in Italia; la sua opera maggiore, Lavoro intellettuale e lavoro manuale, pubblicata nel 1970 a Francoforte, già largamente nota in Germania dove ha avuto una profonda influenza segnando una svolta nello sviluppo dell’analisi marxista che ha allarmato i comunisti « ortodossi », uscirà l’anno venturo presso Feltrinelli, a cura di Francesco Coppellotti. Il saggio che qui si pubblica, del 1965 ma ampliato nel 1971, ne costituisce la prima, densissima formulazione. Nei prossimi numeri di questa rivista appariranno altri suo saggi e inter¬ venti. (Si veda la Notizia a pag. 138).
PREMESSA 9 processo produttivo non la costringesse a conoscerlo: filosofia e scienza — cioè lavoro intellettuale sepa¬ rato dal lavoro manuale — sono nate ed esistono appunto per questo, per conoscere senza lavorare. Il loro procedere per astrazioni poggia sull’astrazione reale del loro oggetto, la merce, e scomparirà con essa. E’ un tipo di ’ conoscenza ’ che si caratterizza per il distacco dal lavorò manuale, una conoscenza cioè ohe è essenzialmente espressione e strumento del dominio di classe esercitato dalla parte che non lavora su quella che lavora. Così quando anche nel movimento operaio una classe ohe non lavora riesce a parlare a nome di un’ altra che lavora, userà quegli stessi strumenti che consentono di conoscere senza lavorare. Lo stesso marxismo, quando viene ridotto a scienza e filosofia, serve proprio a questo. Ha voglia Karl Korsch a ripetere, in polemica col marxismo sovietico, che la teoria di Marx non costituisce né una filosofia po¬ sitiva né una scienza positiva, ma è dall’inizio alla fine una critica teorica non meno che pratica della società esistente: i partiti comunisti non possono af¬ ferrarne il senso. La veduta, si sa, non può essere concreta se l’oggetto di essa è astratto, ed essi pog¬ giano interamente sulle astrazioni operate dal mer¬ cato, compreso quello ” socialista ”, e quindi sul¬ l'uso della filosofia e della scienza che sole consen¬ tono loro di maneggiare quelle astrazioni che domi¬ nano gli uomini e di esistere cóme dirigenti. Dunque come potrebbero considerare 1’« autonomia del lavo¬ ro » qualcosa di diverso da una provocazione? E a partire da ciò poi, tutta una serie di lotte, a comin¬ ciare da quella contro la scuola — luogo che do¬ vrebbe consentire la formazione e la trasmissione di questo tipo di conoscenza — appare al PCI una provocazione. Dire a costoro che la scuola deve es¬ sere distrutta, significa dire loro che deve essere di¬ strutta ogni forma di conoscenza separata dal lavoro
10 PREMESSA manuale, e dunque difendendo la scuola e i suoi contenuti — con accuse di « irrazionalismo », « cri¬ tica romantica della scienza », « lupi mannari »: so¬ no stati chiamati così i militanti del ’68, ed in ef¬ fetti così dovevano apparire coloro che attaccando quelle istituzioni attaccavano il fondamento stesso di ogni classe dominante — essi difendono in primo luogo la loro possibilità di esistere come dirigenti. Altro che critica romantica. Si trattava di una critica pratica contro la separazione tra lavoro manuale e intellettuale e contro coloro che ne traggono van¬ taggio. Nel saggio di Sohn-Rethel si può cogliere in tutto il suo significato la portata di questa separazione e il senso del suo superamento. Non si tratta, morali¬ sticamente, di superare un’ ” ingiustizia ” — e a si¬ nistra per lo più ci si è fermati a questo; ora qualche studente caritatevole usa le 150 ore per portare fi¬ losofia e scienza agli operai che giustamente le rifiu¬ tano — non si tratta di fare la somma di questo lavoro manuale e di questo lavoro intellettuale, co¬ me pretende il PCI: che assurdità, prima il sistema di fabbrica sottrae al « lavoro manuale » le « poten¬ ze intellettuali » che si accrescono da una parte — il capitale — « perché scampaiono da molte parti » (Marx); e poi una ” scuola democratica ” dovrebbe restituirgliele. E’ questa una delle più insulse pre¬ tese riformistiche che poggia sulla totale incompren¬ sione del sistema di fabbrica e del corrispondente sviluppo della scienza, dello strettissimo legame tra fabbrica e scuola, due momenti essenziali dello stesso sistema di spogliazione e di accumulazione capitali¬ stica, non a caso attaccati contemporaneamente dalle lotte più avanzate di questi anni. Si tratta dunque di superare il modo di lavorare e di conoscere che corrisponde alla produzione capitalistica di merci. Questo va detto a chi difende la scienza. « La cono¬ scenza della natura da fonti diverse dal lavoro ma¬
PREMESSA 11 nuale, e precisamente da parte di un lavoro intellet¬ tuale irrimediabilmente separato dal lavoro manuale, è in realtà un’indispensabile necessità per la produ¬ zione capitalistica di merci » (Sohn-Rethel). E’ la scienza stessa, il suo procedere per astrazioni legato all’astrazione reale dello scambio di merci, le sue istituzioni, cioè l’attuale formazione, trasmissione e utilizzazione delle conoscenze, la « contrapposizione delle potenze intellettuali del processo materiale di produzione agli operai, come proprietà non loro e come potere che li domina » (Marx): è tutto ciò che viene superato col superamento della forma di merce, quando lavoro intellettuale e manuale si ri¬ compongono e la verità ridiventa sensibile. Ma tut¬ to questo è già oggi presente nelle lotte, è un pro¬ cesso che affiora con 1’« autonomia del lavoro » e che nei momenti alti riesce a trovare, sia pure incom¬ pletamente, luoghi e modi di realizzazione. Che questa « autonomia » si celi alla veduta dei custodi del ” lavoro intellettuale ” e di chi li usa, va da sé. Ma se a non vederla è una parte della nuova sinistra, e se questa non solo non pratica più, ma neanche più considera la lotta contro la divisione del lavoro, rinuncia alla lotta contro la scuola, partecipa alla elezioni, si appoggia al sindacato, aspira a porsi come forma pietrificata dei collegamenti e delle co¬ noscenze, ecc., ecc., è segno che ha abbandonato i contenuti fondamentali delle lotte di questi anni per una linea politica mossa dalla stessa logica che muove le merci e che è quella stessa che muove il PCI da molto tempo. La verità che è emersa nel dibattito post-elettorale è che per prendere voti bi¬ sogna somigliare al PCI: il problema nasce dal fatto che somigliando al PCI si perdon voti (problema che Bologna ha già risolto per conto suo). Allora Luciana Castellina rievoca lo « smarrito patrimonio ideale del 1968 e la sua carica di contestazione glo¬ bale al sistema ». Intende utilizzarlo per prendere
12 PREMESSA più voti la prossima volta, ma dimentica che la « contestazione globale » non può consistere in una critica contro gli altri rappresentanti, bensì in una critica pratica contro tutti coloro che rendono rap¬ presentabile la classe, contro coloro che chiedendo una delega — aveva detto Sartre — di fatto invitano le masse ad andarsi a coricare. L’inedito di Marx sulle macchine che qui si pub¬ blica, coincide con un rinnovato interesse per Pan- zieri e i ” Quaderni Rossi Non a caso in questa fase. I ” QR ” infatti, riprendendo una lunga tradi¬ zione di sinistra del movimento operaio, si erano pro¬ vati a considerare la classe come soggetto reale, nella sua autonomia, non come valore di scambio ed og¬ getto di rappresentazione politica. In particolare Pan- zieri, nel saggio Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo (”QR” n. 1), nell’intento di ana¬ lizzare le forme concrete dell’estrazione di plusvalore e le corrispondenti lotte operaie all’inizio degli anni ’60, aveva ripercorso il capitolo sulle macchine del libro I del Capitale. Questo manoscritto inedito ne costituisce la pri¬ ma, più vasta ed articolata stesura. Il capitolo del Libro I infatti, fu ricavato da questi materiali. Ora l’importanza di questi inediti, più che filologica — si tratta di una versione da ” Voprosy istorii estest- voznanija i techniki ”, curata dagli accademici A.A. Kusin e S.M. Grigor’jan (apparsa ora, ma in forma ri¬ dotta, nel volume 47 dell’edizione russa delle Opere di Marx ed Engels) — è politica. Ha osservato Sweezy (« Monthly Review », giu¬ gno ’76) che il PCI somiglia alla socialdemocrazia tedesca dopo la prima guerra mondiale: continua « a professare il marxismo, ma è un marxismo totalmen¬ te snaturato e svuotato della sua sostanza rivoluzio¬ naria. Nella sua forma snaturata non può spaventare
PREMESSA 13 nessuno e può invece attrarre qualcuno ». Sono in moki ormai a portare avanti quest’opera, divenuta nel frattempo così urgente che per far presto si in¬ gaggia chiunque, fino all’ultimo borsista. E non solo per ciò che riguarda la teoria dello Stato (si veda su ciò il saggio chiarificatore di Toni Negri, ” Aut Aut ” n. 152-153), ma per tutti gli altri aspetti della teoria marxiana. Non si tratta dunque di difendere l’orto¬ dossia, ma di chiarire il significato politico di questa operazione. Recentemente Massimo Cacciari, che secondo For¬ tini è tra coloro che hanno « invitato Marx a levarsi dai piedi », ha effettivamente messo in dubbio l’ana¬ lisi marxiana del Sistema di fabbrica, che sarebbe « inficiata da evidenti tratti di ” macchinismo ” », le¬ gata all’« universo ottocentesco della precisione », « vi¬ sione ” ingenua ” del sistema di macchine », che Marx avrebbe elaborato « molto prima del corpo teo¬ rico-critico del Capitale », nella Miseria della filoso¬ fia, derivandola « dal libro di lire » e « dalla ” fi¬ ducia ” positivista nel progresso tecnologico» (”Aut Aut ” n. 149-150). L’ortodossia non ci riguarda, ma pure va detto che questi giudizi di Cacciari — che per introdurre in fabbrica « il ruolo del movimento operaio » (Cac¬ ciari è un parlamentare PCI) ha bisogno di rivedere non solo Panzieri, ma lo stesso Marx su cui Pan- zieri si basa — se prima si potevano considerare sbri¬ gativi, ora, alla luce di questi inediti, cadono del tutto: questi dimostrano non soltanto quanta parte occupi nella riflessione di Marx questo argomento, ben lungi dal non appartenere al corpo teorico-critico del Capitale, ma soprattutto riconfermano quanto Marx non solo non abbia nessuna ” fiducia ” positi¬ vista nel progresso tecnologico e nella scienza, ma, al contrario, ne fondi materialisticamente la critica. Quanto poi alla questione se le macchine dequa¬ lifichino (Marx-Panzieri, criticati da Cacciari) o no
14 PREMESSA il lavoro, giudichi il lettore. Qui va solo detto che la revisione di Cacciali può servire da coper¬ tura teorica alla politica del PCI sulla riqualifica¬ zione e sui tecnici, che è uno. dei momenti più sconcertanti dell’ ” apertura ai ceti intermedi ”, un vero e proprio bluff che, se ha contribuito al recente successo elettorale, potrebbe avere in futuro conse¬ guenze drammatiche. Ha osservato André Gorz che quando dei partiti politici che si dicono di sinistra — in presenza di uno Stato capitalista ovviamente incapace di farsi carico di quegli strati di tecnici che gli si rivolgono con mentalità di assistiti e di clienti — cercano di trarre vantaggio da questa situazione promettendo che lo Stato, quando essi lo dirigeranno (questo è il « leninismo » che manca a Panzieri, dice Cacciari), saprà impiegare tutti gli psicologi, sociolo¬ gi, linguisti, storici, matematici, aiuti contabili, datti¬ lografi, elettricisti, ecc., nella loro specialità e nello statuto privilegiato al quale essi aspirano, questa pro¬ messa demagogica (su cui poggia ora il sindacato degli studenti proposto dal PCI. Ma ci sono anche le dichiarazioni del preside di Lettere dell’Università di Roma, il comunista Salinari, che appena eletto — da 180 persone in una Facoltà che ne conta 15.000 — si rifà ad un discorso di Berlinguer e chiede esami severi, meritocrazia, numero chiuso « per di¬ minuire l’esercito dei disoccupati intellettuali ») sof¬ foca la coscienza critica e la politicizzazione nascente di questi strati e, incoraggiandoli a rimettersi alla tutela di uno Stato forte, fa regredire all’infinito l’orizzonte delle trasformazioni rivoluzionarie. Questa promessa non può essere mantenuta se si conserva l’attuale divisione del lavoro, la separazione tra lavoro intellettuale e manuale, l’attuale forma¬ zione, trasmissione e utilizzazione delle conoscenze, la scienza cioè, della quale Sohn-Rethel mostra così bene gli inscindibili legami con la merce. E il PCI, « partito della merce », non potrà mantenerla.
PREMESSA 15 Questo inedito di Marx dunque tocca fondamen¬ tali questioni sulle quali sarà necessario tornare nei prossimi numeri che conterranno altre parti di que¬ sto manoscritto. Questa prima parte comprende le pagine 190-219, contenute nel quaderno V, del manoscritto intitolato Per la critica dell’economia politica, che consta di 1.472 pagine ripartite in 23 quaderni, scritto dal- Pagosto 1861 al giugno 1863. Questo manoscritto è dunque successivo al manoscritto dei Grundrisse (1857-58) e al volume dallo stesso titolo Per la cri¬ tica dell’economia politica, pubblicato a Berlino nel 1859, del quale costituisce la continuazione; e pre¬ cede il manoscritto del Libro III del Capitale (1864- 65) e la stesura definitiva della prima edizione del Libro I del Capitale, pubblicato nel 1867. Il manoscritto 1861-63 può essere suddiviso in quattro parti: Pagine 1-219 (Quaderni I-V): Trattano i temi esa¬ minati nel Libro I del Capitale e sono, per tali argomenti, la prima redazione esistente. Pagine 220-972 (Quaderni VI-XV): solo queste fu¬ rono pubblicate, ad opera di Kautsky, nel 1905- 10, ma da lui risistemate e col titolo di Storia delle teorie economiche (trad, italiana Einaudi, in 3 vo¬ lumi, 1956-58). Sono state poi ripubblicate nella loro originaria stesura col titolo di Teorie sul plusvalore (trad, italiana Editori Riuniti, ma fino¬ ra sono apparsi solo due volumi, 1971-73). Pagine 973-1158 (Quaderni XVI-XVIII): « trattano di capitale e profitto, saggio del profitto, capitale commerciale e capitale monetario, dunque di temi che più tardi saranno sviluppati nel manoscritto per il Libro III del Capitale » scrive Engels nella Prefazione al Libro II.
16 PREMESSA Pagine 1159-1472 (Quaderni XIX-XXIII): trattano ancora temi de] Libro I. Le pagine qui pubblicate dunque (190-219), pre¬ cedono immediatamente le Teorie sul plusvalore. Nei prossimi numeri verranno pubblicate le pagine con¬ tenute nel quaderno XIX e in parte del XX, a partire cioè dalla pagina 1159: esse formano, insieme a quelle che appaiono qui, la sottosezione « gamma » intitolata Macchini. Impiego delle forze naturali e della scienza. E.M.
Karl Marx Macchine. Impiego delle forze naturali e della scienza Parte prima. Pagine 190-219, Quaderno V, del Mano¬ scritto 1861-63 Per la critica dell’economia politica. [Macchine e lavoro] [V-190]. John Stuart Mill fa notare: « E’ dubbio se tutte le invenzioni meccaniche fat¬ te finora abbiano alleviato la fatica quotidiana d’un qualsiasi essere umano » (J. St. Mill. Principles of political economy, London, 1848). Egli avrebbe dovuto dire: d’un qualsiasi essere umano, che non sia nutrito dal lavoro altrui. Fatto sta che l’introduzione delle macchine nel quadro della produzione capitalistica non ha affatto lo scopo di alleviare o ridurre la fatica quotidiana dell’operaio. « Gli oggetti costano poco, ma sono fabbricati con la carne umana » (J.B. Byles. Sophisms of free- trade and popular political economy. Seventh edition. London, 1850, p. 202). In genere, lo scopo della produzione con l’im¬ piego di macchine è quello di ridurre il costo della merce e quindi il suo prezzo, di rendere più a buon mercato il prodotto, ossia di accorciare il tempo necessario alla sua produzione; non è mai quello di ridurre il tempo di lavoro durante il quale l’operaio è occupato nella produzione di questo prodotto, i cui costi sono tuttavia ribassati. In effetti, l’obiettivo non è quello di ridurre la giornata lavorativa, bensì (come per qualsiasi sviluppo della forza produttiva
18 KARL MARX su basi capitalistiche) quello di ridurre la porzione di tempo lavorativo necessario all’operaio per ripro¬ durre la sua forca lavoro, per riprodurre, in altri termini, il suo salario. L’obiettivo, quindi, è quello di ridurre la parte della giornata di lavoro durante la quale l’operaio lavora per se stesso, la parte retri¬ buita di tale giornata, e, mediante la riduzione di questa, allungare l’altra parte della giornata, durante la quale l’operaio lavora gratuitamente per il capitale, la parte non retribuita, quella che produce il plus¬ valore. Perché dappertutto con l’introduzione delle mac¬ chine cresce il desiderio di accaparrarsi il tempo di lavoro altrui, mentre la giornata lavorativa — finché non è stata costretta ad intromettersi la legge — invece di ridursi si allunga oltre il limite dei suoi confini naturali, e si allunga non solo la porzione di essa che produce il plusvalore, ma anche il tempo di lavoro complessivo? Esamineremo nel terzo ca¬ pitolo questo fenomeno. Soltanto in casi singolari il capitalista cerca, me¬ diante l’introduzione delle macchine, di ridurre di¬ rettamente il salario, anche se ciò avviene ogniqual¬ volta egli ricorre al lavoro semplice invece che al lavoro qualificato e sostituisce il lavoro di uomini adulti con il lavoro delle donne e dei bambini. Il valore della merce è determinato dal tempo di lavoro necessario in esso contenuto. Con l’intro¬ duzione delle nuove macchine — mentre la produ¬ zione continua a basarsi fondamentalmente sui vec¬ chi mezzi di produzione — il capitalista può vendere il prodotto ad un prezzo più basso del suo valore sociale, anche se lo vende ad un prezzo più alto del suo valore individuale, cioè del tempo di lavoro a lui necessario a fabbricarlo con il nuovo processo pro¬ duttivo. Qui, pertanto, sembra che il plusvalore pro¬ venga dalla vendita, dall’inganno degli altri proprie¬ tari della merce, dall’aumento del prezzo del pro-
MACCHINE 19 dotto oltre il suo valore, e non invece dalla diminu¬ zione del tempo di lavoro necessario e dal prolun¬ gamento di quella parte della giornata lavorativa, dalla quale il capitalista trae il plusvalore. Ma questa è solo un’apparenza. In seguito alla straordinaria forza produttiva acqui¬ sita rispetto al lavoro medio nella stessa branca di produzione, 11 lavoro con le nuove macchine diventa di qualità superiore e quindi, ad esempio, un’ora di questo lavoro elevato al grado di lavoro semplice equivale a 48 minuti (4/5 di ora) di lavoro medio. Il capitalista, però, lo paga come lavoro medio. Un minor numero di ore di lavoro sono in tal modo equiparate ad un numero maggiore di ore di lavoro medio. Il capitalista paga questo lavoro come lavoro medio e lo vende per quello che in realtà è, un la¬ voro di qualità superiore, una data quantità del quale corrisponde ad una quantità maggiore di la¬ voro medio. Per produrre uno stesso valore l’operaio dovrebbe lavorare in tal caso, a parità di ogni altra condizione, meno dell’operaio medio. [V-191]. Egli, in effetti, per produrre l’equiva¬ lente del proprio salario oppure dei mezzi di sosten¬ tamento necessari a riprodurre la sua forza lavoro, lavora un lasso di tempo più breve in confronto del¬ l’operaio medio. Così fornisce al capitalista un mag¬ gior numero di ore di lavoro come fonte di plus¬ valore. Il capitalista realizza questo pluslavoro, o — è la stessa cosa — plusvalore, solo all’atto della ven¬ dita; tale plusvalore, cioè, non trae origine dalla vendita, ma si forma in seguito alla riduzione del lavoro necessario e quindi al relativo aumento del lavoro in quanto fonte di plusvalore. Persino quando il capitalista, introdotta una nuova macchina, paga un salario più elevato di quello medio, il plusvalore realizzato al di sopra di quello ottenuto dagli altri capitalisti nello stesso settore si forma solo perché
20 KARL MARX il salario non aumenta nella stessa misura in cui il lavoro con la nuova macchina supera quello medio e quindi perché vi è sempre un aumento relativo del pluslavoro. Così anche questo caso rientra nella legge generale, secondo la quale il plusvalore è uguale al pluslavoro. La macchina, se impiegata in modo capitalistico, supera la fase iniziale, in cui rappresenta soltanto un più potente strumento dell’artigiano, e presuppone la cooperazione semplice, la quale, come vedremo in seguito, costituisce per essa un fatto più importante che non nella manifattura basata sulla divisione del lavoro. In quest’ultima la cooperazione semplice si manifesta solo in relazione al principio della propor¬ zionalità, ossia non soltanto nel fatto che diverse operazioni sono ripartite tra diversi operai, ma anche nel fatto che qui sussistono proporzioni come quelle numeriche, nelle quali determinati gruppi di operai sono assegnati a singole operazioni e ad esse sotto¬ posti. Nell 'officina meccanica, la forma più sviluppata di impiego capitalistico delle macchine, è caratteri¬ stico che molti facciano sempre la stessa cosa. E’ questo il principio fondamentale del suo funziona¬ mento. L’uso delle macchine presuppone, inoltre, dap¬ prima come condizione di esistenza, la manifattura, fondata sulla divisione del lavoro. Inoltre, la pro¬ duzione della macchina stessa — e quindi l’esistenza della macchina — si effettua in quella officina, dove si applica pienamente il principio della divisione del lavoro. Solo in una successiva fase di sviluppo la produzione delle macchine si svolgerà sulla base del¬ l’impiego delle macchine stesse nelle officine mec¬ caniche... La divisione del lavoro sviluppatasi nella mani¬ fattura si ripeterà, per un verso, anche se in misura notevolmente minore, nell’officina meccanica; per un altro verso, come vedremo dopo, l’officina meccanica
MACCHINE 21 accantona i principi più essenziali della manifattura, basata sulla divisione del lavoro. Infine l’impiego delle macchine accresce la divisione del lavoro nella società, moltiplica il numero delle branche a sé stanti della produzione e delle sfere produttive autonome. Il principio fondamentale che presiede all’impie¬ go delle macchine consiste nella sostituzione del la¬ voro di abilità con quello semplice; e quindi anche nell’abbassamento su vasta scala del salario fino al livello del salario medio o nella riduzione del lavoro necessario degli operai fino al minimo medio e delle spese di produzione della forza lavoro fino al livello delle spese di produzione della forza lavoro semplice. [V-192]. L’accrescimento della forza produttiva attraverso la cooperazione semplice e la divisione del lavoro non costano niente al capitalista. Queste due cose infatti rappresentano altrettante forze naturali gratuite del lavoro sociale nelle forme che questo assume quando predomina il capitale. L’impiego del¬ le macchine non mette in opera solo le forze produt¬ tive del lavoro sociale — diversamente che per il lavoro dell’individuo singolo. Ciò avviene indipen¬ dentemente dalla utilizzazione delle leggi della mec¬ canica, che operano nella parte propriamente funzio¬ nante della macchina (ossìa nella parte della mac¬ china, che elabora, meccanicamente o chimicamente, la materia prima). Tuttavia, questa forma di accre¬ scimento delle forze produttive e, quindi, di ridu¬ zione del lavoro necessario, ha una sua caratteristica peculiare; una parte della forza naturale semplice impiegata costituisce, nella sua forma idonea all’im¬ piego, un prodotto del lavoro, come, ad esempio, la trasformazione dell’acqua in vapore. Lì dove la forza motrice, ad esempio l’acqua, s’incontra in natura come cascata e così via (è estre¬ mamente significativo, tra l’altro, che i francesi nel XVIII secolo costringessero l’acqua ad agire orizzon¬ talmente e i tedeschi orientassero sempre artificial-
22 KARL MARX mente la corrente) essa costituisce il tramite, mediante il quale il suo movimento si trasferisce alla macchina stessa, per esempio alla ruota ad acqua, che costi¬ tuisce un prodotto del lavoro. Ciò può essere rife¬ rito, sotto ogni aspetto, anche alla macchina, la quale trasforma direttamente la materia prima. Così, la macchina, a differen2a della cooperazione semplice e della divisione del lavoro nella manifat¬ tura, rappresenta una forza produttiva creata. Essa ha un valore; si presenta come merce (direttamente — come macchina, oppure indirettamente come mer¬ ce che deve essere impiegata per dare alla forza mo¬ trice la forma necessaria) nella sfera produttiva, in cui agisce come macchina, come parte del capitale fisso. Come qualsiasi parte del capitale fisso la mac¬ china aggiunge al prodotto il valore in essa conte¬ nuto, lo fa rincarare del tempo di lavoro occorso alla sua produzione. Perciò, sebbene in questo capitolo noi esaminia¬ mo soltanto il rapporto del capitale variabile con la grandezza del valore nel quale esso si riproduce, in altri termini, il rapporto del lavoro necessario speso in una data sfera di produzione con il pluslavoro e quindi intenzionalmente tralasciamo l’analisi della re¬ lazione intercorrente tra il plusvalore, il capitale fisso e l’ammontare complessivo del capitale investito, non¬ dimeno l’impiego delle macchine richiede perentoria¬ mente, oltre all’analisi della parte del capitale inve¬ stita nel salario, anche l’analisi delle altre sue parti. Il fatto è che il principio in base al quale l’im¬ piego dei mezzi capaci di aumentare la forza pro¬ duttiva fa aumentare il plusvalore relativo e perciò anche il plusvalore relativo si fonda sulla riduzione di costo della merce e sulla riduzione del tempo di lavoro necessario alla riproduzione della forza lavoro grazie ai meccanismi che fanno aumentare la forza produttiva, permettendo ad uno stesso operaio di produrre in un dato lasso di tempo una maggiore
MACCHINE 23 quantità di valori d’uso. Tuttavia, nel caso del ri¬ corso alle macchine questo risultato lo si ottiene solo attraverso investimenti più massicci, attraverso l’im¬ piego di valori già disponibili, attraverso l’introdu¬ zione di un determinato elemento, che, in tal modo, accresce il valore del prodotto e della merce dell’am- mpntare del suo proprio valore. Per quanto concerne, innanzi tutto, la materia prima, Ü suo valore, naturalmente, resta sempre lo stesso, qualunque sia il metodo della sua lavorazione; il suo valore rimane quello col quale è stato inserito nel processo produttivo. [ V-193 ]. Inoltre, l’impiego delle macchine riduce la quantità di lavoro assorbita da una data quantità di materia prima, oppure — è lo stesso — fa aumen¬ tare la quantità di materia prima che si trasforma in prodotto in un dato tempo di lavoro. Da questi due fatti si deduce che la merce pro¬ dotta con l’ausilio delle macchine contiene meno tem¬ po di lavoro della merce prodotta senza di esse; essa ha un valore minore, è diventata meno cara. Questo risultato però viene conseguito solo attraverso l’uti¬ lizzazione industriale della merce — della merce che esiste nella macchina, della merce il cui valore si trasferisce nel prodotto. Di conseguenza, poiché il valore della materia prima rimane sempre lo stesso indipendentemente dal fatto se sia o no impiegata la macchina, e poiché la quantità di tempo lavorativo durante il quale una certa porzione di materia prima si trasforma in pro¬ dotto e poi in merce diminuisce in seguito all’im¬ piego della macchina, la riduzione del costo delle merci prodotte mediante macchine dipende soltanto da una circostanza: dal fatto che il tempo di lavoro contenuto nella macchina è minore di quello conte¬ nuto nella forza-lavoro che essa ha sostituito, dal fatto che Ü valore della macchina, destinato a trasfe¬ rirsi nella merce, è inferiore al valore del lavoro da
24 KARL MARX essa sostituito, corrisponde a un minor tempo di la¬ voro. Ma il valore del lavoro sostituito dalla mac¬ china è uguale al valore della forza-lavoro, la cui consistenza numerica diminuisce con l’impiego delle macchine. Via via che escono dalla loro infanzia e si distacca¬ no, per dimensioni e carattere, dagli strumenti artigia¬ nali, ai quali sono inizialmente subentrate, le macchine diventano più potenti e costose, richiedono maggior tempo per la loro produzione ed accrescono il loro valore assoluto, benché si riduca il loro valore rela¬ tivo. Questo significa che una macchina di elevata potenza costa meno di un’altra di potenza inferiore, vale a dire che la quantità di tempo lavorativo ne¬ cessario alla sua produzione aumenta meno della quan¬ tità di tempo lavorativo da essa sostituito. In ogni caso il suo costo, in assoluto, aumenta progressiva¬ mente e perciò essa aggiunge alla merce prodotta un valore assoluto maggiore, specie rispetto agli arnesi artigiani o agli strumenti semplici e fondati sulla di¬ visione del lavoro, di cui ha preso il posto nel pro¬ cesso di produzione. Il fatto che la merce prodotta con un mezzo di produzione più caro sia meno costosa della merce prodotta senza di esso, il fatto che il tempo lavora¬ tivo contenuto nella macchina sia minore di quello da essa sostituito, dipende da due circostante: 1) Quanto più la macchina è efficiente, tanto più accresce la forza produttiva del lavoro, oppure, la massa dei valori d’uso e quindi delle merci prodotte con l’ausilio della macchina aumenta nella stessa mi¬ sura in cui questa rende l’operaio capace di eseguire il lavoro di più operai. In tal modo aumenta la quan¬ tità delle merci, nelle quali si trasferisce il valore della macchina. Il valore complessivo delle macchine ricompare nella massa globale delle merci, alla cui produzione esse hanno partecipato come strumenti di lavoro.
MACCHINE 25 Quel valore complessivo si ripartisce nelle singole merci, che formano la massa della merce prodotta. Quanto maggiore è questa massa, tanto minore è la porzione del valore della macchina che si ripresenta in ogni singola merce. Nonostante la differenza tra il valore della macchina e quello di un arnese artigiano o di uno strumento di lavoro semplice, la porzione del valore della macchina contenuta nella merce è minore della porzione del valore dello strumento e della forza-lavoro che essa sostituisce; è minore nella misura in cui il valore della macchina si distribuisce su una maggiore quantità complessiva di prodotti e quindi di merci. Un filatoio che impiega lo stesso tempo lavora¬ tivo per filare 1.000 libbre di cotone ricompare co¬ me parte del valore (1/1.000 in questo caso) in ogni libbra di filato; ma se essa nello stesso lasso di tempo filasse solo 100 libbre di cotone, allora in ogni libbra di filato ricomparirebbe soltanto 1/100 del suo valore. Pertanto, in questo secondo caso, una libbra di filato verrebbe a contenere un tempo lavo¬ rativo, e un valore, dieci volte maggiore ed a costare dieci volte di più. [V-194]. Ne deriva (nel capitalismo) che la mac¬ china può essere impiegata solo quando, in generale, è possibile la produzione di massa, la produzione su vasta scala. [Le macchine nel processo lavorativo e nel processo di accrescimento del valore] 2) Già nella manifattura, fondata sulla divisione del lavoro, come anche nella piccola produzione ar¬ tigianale e così via, si verifica che gli strumenti di lavoro (e Paltro aspetto delle condizioni di lavoro, ad esempio l’edificio) entrano nel processo lavorativo in tutta la loro dimensione, o direttamente, come gli
26 KARL MARX strumenti di lavoro, o indirettamente, come le con¬ dizioni di lavoro (l’edificio, ad esempio) necessarie per lo svolgimento del processo lavorativo. Nel processo di accrescimento del valore, però, essi entrano solo per parti, o porzioni, ossia in quella misura in cui sono impiegati nel processo lavorativo; nel processo lavorativo, insieme al loro valore d’uso, viene utiliz¬ zato anche il loro valore di scambio. Il loro valore d’uso entra completamente, come strumento, nel pro¬ cesso lavorativo, però si conserva per un periodo che abbraccia una somma di processi lavorativi, nei quali essi servono ripetutamente per la produzione di uno stesso tipo di merce, cioè fungono in permanenza da mezzi di lavorazione di sempre nuovo materiale. Il loro valore d’uso come strumento di lavoro si esau¬ risce solo alla fine di questo periodo più o meno lungo, nel corso del quale il medesimo processo la¬ vorativo si rinnova continuamente. Il loro valore di scambio si riproduce in tutta la sua dimensione sol¬ tanto nel complesso delle merci, che essi hanno con¬ tribuito a produrre durante l’intero periodo, dal mo¬ mento in cui entrano nel processo lavorativo fino a quando ne escono. Perciò ogni singola merce contiene solo una determinata frazione del loro valore. Se lo strumento è servito per 90 giorni, nelle merci pror dotte in ciascuno di questi giorni si riproduce 1/90 del loro valore. Qui, per ovvia necessità, abbiamo fatto un calcolo medio approssimativo, poiché il va¬ lore dello strumento ricompare totalmente solo alla fine del processo lavorativo, nel corso del quale esso si è consumato fino in fondo, e quindi nel complesso delle merci che ha contribuito a produrre in quel periodo. Per tale ragione abbiamo fatto il nostro calcolo, partendo dal presupposto che ogni giorno si consumi, in media, una certa frazione del valore d’uso dello strumento (è un’ipotesi), ciò significa che nella merce prodotta in un giorno ritroviamo una frazione di quel valore.
MACCHINE 27 Con l’introduzione delle macchine, grazie alla qua¬ le i mezzi di lavoro acquistano un valore di grosse dimensioni e si esprimono in una enorme quantità di valori d’uso, la differenza tra processo lavorativo e processo di accrescimento del valore aumenta e diventa un momento importante nello sviluppo del¬ la forza produttiva e del carattere della produzione. In uno stabilimento dotato di telai meccanici che funzionano per 12 anni, il logorio delle macchine ecc. nel processo lavorativo di un giorno è insigni¬ ficante, e perciò anche la frazione di valore della macchina che si riproduce nella singola merce, o ad¬ dirittura nel prodotto di un anno intero, è relativa¬ mente insignificante. Il lavoro passato materializzato entra qui nel processo lavorativo in grande quantità, mentre solo una frazione relativamente insignificante di questo capitale si esaurisce in quel processo, par¬ tecipa cioè al processo di accrescimento del valore e quindi ricompare nel prodotto còme parte del valore. Perciò, per quanto grande possa essere il valore rap¬ presentato dalla macchina che entra nel processo la¬ vorativo e dai fabbricati e altre cose impiegati insie¬ me ad essa, nel processo giornaliero di valorizzazione [V-195] e quindi anche nel valore della merce ne entra soltanto una parte relativamente insignificante in con¬ fronto alla massa globale del valore; essa rende re¬ lativamente più cara la merce, in misura tuttavia esigua e molto meno di quanto l’avrebbe fatta rin¬ carare il lavoro manuale sostituito dalla macchina. Cosi, per quanto grande possa sembrare la parte di capitale contenuta nella macchina, rispetto a quella parte compresa nel lavoro vivo e per la quale la mac¬ china funge da mezzo di produzione, tale proporzio¬ ne si rivelerà comunque assai insignificante, se si confronterà la frazione di valore destinato a ripro¬ dursi nella singola merce con il lavoro vivo assorbito da questa stessa merce. Le parti di valore — della macchina e del lavoro — aggiunte al singolo pro-
28 KARL MARX dotto risultano esigue, se paragonate al valore della materia prima. Il lavoro sociale su scala di massa acquista forza solo con l’introduzione delle macchine; i prodotti che rappresentano una grossa quantità di lavoro passato, ossia una grande massa di valore, entrano per intero nel processo lavorativo, esattamente come i mezzi di produzione, mentre una parte relativamente piccola del loro valore entra nel nuovo processo di valoriz¬ zazione, che si compie nel corso di ogni singolo pro¬ cesso lavorativo. Il capitale che in tal forma entra in ogni singolo processo lavorativo è grande, ma per quanto riguarda il suo valore d’uso che s’impiega, si utilizza, durante questo processo lavorativo ed il cui valore dev’essere rimborsato, va detto che esso è relativamente piccolo. La macchina agisce piena¬ mente come un mezzo di lavoro, essa aggiunge al prodotto valore, ma solo in quella misura in cui essa lo perde nel processo lavorativo; questa sua diminu¬ zione di valore è determinata dal grado di logora¬ mento del suo valore d’uso durante il processo la¬ vorativo. Le condizioni elencate ai punti 1) e 2), dalle quali dipende il fatto che una merce prodotta con uno strumento più caro sia meno costosa di un’altra pro¬ dotta con uno strumento meno caro; oppure che il valore contenuto nella macchina stessa sia inferiore al valore della forza-lavoro da essa sostituita, si ri¬ ducono a questo: la prima condizione è la produ¬ zione di massa; essa dipende dalla quantità di merci che un operaio può produrre nello stesso tempo la¬ vorativo; questa quantità è maggiore di quella che l’operaio produrrebbe senza le macchine. In altri ter¬ mini, la produzione di massa dipende dal grado in cui il lavoro viene sostituito dalla macchina, quindi la massa di forza-lavoro, calcolata in rapporto alla massa di prodotto, si riduce al massimo; la massima quantità possibile di forza-lavoro viene sostituita
MACCHINE 29 dalla macchina, e la parte di capitale investita nel lavoro risulta relativamente piccola rispetto a quella investita nella macchina. In secondo luogo, però, per quanto possa essere grande la parte di capitale compresa nella macchina, la porzione del suo valore che ricompare nella sin¬ gola merce, ossia la porzione di valore che la mac¬ china aggiunge alla singola merce è insignificante ri¬ spetto alle porzioni di valore del lavoro e della ma¬ teria prima contenute nella stessa merce. Questo si spiega col fatto che in un dato tempo di lavoro la macchina entra per intero nel processo lavorativo, mentre nel processo di valorizzazione entra soltanto una esigua parte di essa. Nel processo lavorativo s’in¬ serisce tutta la macchina, mentre nel processo di va¬ lorizzazione entra solo una frazione del valore di quella macchina... [Macchine e plusvalore] [ V-197]. Una delle prime conseguenze dell’intro¬ duzione delle nuove macchine, prima che esse diven¬ tino dominanti nella loro branca produttiva, è il pro¬ lungamento del tempo di lavoro di quegli operai che continuano a lavorare coi vecchi e imperfetti mezzi di produzione. La merce prodotta con le mac¬ chine, anche se venduta ad un prezzo superiore al suo valore individuale, cioè alla quantità di tempo di lavoro in essa contenuto, è pur sempre venduta ad un prezzo più basso del precedente valore sociale, generale del prodotto dello stesso genere. Pertanto, è diminuito il tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione di quel determinato prodotto, ma non il tempo di lavoro degli operai che impiegano ancora i vecchi strumenti di produzione. Se, in tal modo, per la riproduzione della propria forza-lavoro sono necessarie 10 ore di lavoro, allora il prodotto
30 KARL MARX di dieci ore di lavoro non contiene più 10 ore di lavoro necessario, ossia di lavoro necessario per la fabbricazione del prodotto nelle nuove condizioni so¬ ciali di produzione, ma forse solo 6 ore. Quindi, se Poperaio lavora 14 ore, queste 14 ore del suo lavoro rappresentano solo 10 ore di lavoro necessario e in esse si realizzano solo 10 ore di lavoro necessario. Perciò anche il prodotto di questo lavoro ha il valore del prodotto di 10 ore di lavoro socialmente neces¬ sario. L’operaio, se avesse lavorato autonomamente, avrebbe dovuto prolungare il suo tempo lavorativo. Se invece lavora in qualità di salariato, e quindi di¬ venta obbligatorio anche il pluslavoro, allora per ogni prolungamento del tempo di lavoro assoluto il capi¬ talista riuscirà ad ottenere il pluslavoro medio solo nel caso in cui il salario dell’operaio si abbassa fino al precedente livello medio. Questo significa che il salariato si appropria di una porzione minore delle ore supplementari in cui lui lavora, ma non perché il suo lavoro è diventato più produttivo, ma perché è diventato meno produttivo, non perché egli in un minor tempo di lavoro fabbrica la stessa quantità di prodotto, ma perché diminuisce la quantità di pro¬ dotto a lui spettante. Il plusvalore, ossia il pluslavoro, assoluto e re¬ lativo, prodotto dal capitale grazie all’impiego delle macchine, viene creato non dalla forza-lavoro rim¬ piazzata dalla macchina, bensì dalla forza-lavoro im¬ piegata dalla macchina. « Secondo Baynes, un cotonificio di prim’ordine, pieno di macchine e munito di installazioni a vapore e impianto a gas, non può essere costruito con meno di 100.000 sterline. Una macchina a vapore della potenza di 100 HP fa girare 50.000 fusi, che produ¬ cono 62.500 miglia di sottile filato di cotone. In una fabbrica come questa 1.000 persone sono in gra¬ do di produrre tanto filato quanto ne produrrebbero 250.000 senza l’uso delle macchine » (S. Laing, Na-
MACCHINE 31 tional distress; its causes and remedies. London„ 1844, p. 75). In questo caso il plusvalore del capitale non è dovuto al lavoro risparmiato di 250 persone, ma al lavoro di colui che le sostituisce, non deriva dal la¬ voro dei 250.000 operai rimpiazzati, bensì dal lavoro dei 1.000 occupati. Il pluslavoro di questi 1.000 ope¬ rai si traduce in plusvalore. Il valore d’uso della mac¬ china, che corrisponde alla quantità di lavoro umano da essa sostituito, non determina il suo valore (de¬ terminato dal lavoro necessario alla sua produzione). Il valore che la macchina possiede ancora prima del suo impiego, prima della sua partecipazione al pro¬ cesso produttivo, è l’unico valore che essa, in quanto macchina, aggiunge al prodotto. Questo valore è stato pagato dal capitalista al 'momento del suo acquisto. Supponendo che le merci si vendano al loro va¬ lore, il plusvalore relativo che il capitale crea tramite le macchine e l’uso di tutti i congegni moderni, che accrescono la forza produttiva del lavoro e per questa via riducono i prezzi del singolo prodotto, consiste nel fatto che diventano meno costose le merci ne¬ cessarie alla riproduzione della forza-lavoro. Perciò il tempo di lavoro necessario per la riproduzione della forza-lavoro, equivalente solo al tempo di lavoro con¬ tenuto nel salario, si restringe. Così [V-198] pur ri¬ manendo inalterata la durata della giornata lavorativa completa, aumenta il pluslavoro. (Esistono qui alcune condizioni che modificano la situazione e di cui parle¬ remo più avanti). Questa riduzione del tempo di lavoro necessario è il risultato che favorisce tutta la produ¬ zione capitalistica e, in generale, fa diminuire le spese di produzione della forza-lavoro, poiché, conforme¬ mente alla premessa, la merce prodotta con le mac¬ chine, in generale, entra nel processo di produzione della forza-lavoro. Questo non funge, tuttavia, da sti¬ molo all’introduzione delle macchine da parte del sin¬ golo capitalista, essendo il risultato complessivo di
32 KARL MARX tale operazione non molto propizio al capitalista me¬ desimo. In primo luogo. L’introduzione delle macchine — sia che si soppianti la produzione artigianale (come, ad esempio, nella filatura) e, quindi, si sottometta al sistema capitalistico di produzione un’intera bran¬ ca produttiva; sia che si rivoluzioni la manifattura, basata sulla divisione semplice del lavoro (come nel¬ lo stabilimento manifatturiero), o si verifichi l’espul¬ sione delle vecchie macchine da parte di quelle per¬ fezionate, o si allarghi la cerchia delle operazioni par¬ ziali prima non contemplate dall’officina — prolun¬ ga, com’è stato già osservato, il tempo di lavoro ne¬ cessario degli operai ancora sottoposti al vecchio si¬ stema di produzione, nonché la loro giornata lavo¬ rativa completa. Tuttavia, d’altro canto, l’introduzione della mac¬ china riduce relativamente il tempo di lavoro neces¬ sario nelle officine dove essa ha cominciato a fun¬ zionare la prima volta. Mentre due ore di lavoro di un addetto al telaio a mano equivalgono ad un’ora sola di lavoro socialmente necessario dopo l’introdu¬ zione del telaio meccanico, un’ora di lavoro al telaio meccanico equivarrà a più di un’ora di lavoro neces¬ sario finché questa macchina non sia impiegata in tutto Ü settore. Il suo prodotto ha un valore supe¬ riore a quello del prodotto di un’ora di lavoro. E’ come se il lavoro semplice venisse elevato di rango o in questo stesso lavoro si concretizzasse un lavoro tessile di qualità più elevata. Tutto ciò si riferisce alla misura nella quale il capitalista, servendosi del telaio meccanico, vende il prodotto di un’ora di la¬ voro ad un prezzo inferiore a quello cui vendeva prima il prodotto di un’ora di lavoro, inferiore cioè al precedente valore socialmente necessario, ma su¬ periore al suo valore individuale, cioè al valore del tempo di lavoro che egli deve impiegare per la fab¬ bricazione del prodotto mediante il telaio meccanico.
MACCHINE 33 Di conseguenza, l’operaio deve lavorare meno ore per la riproduzione della sua forza-lavoro; il suo tempo di lavoro necessario si è ridotto nella misura in cui il suo lavoro è diventato, in una stessa branca produttiva, di qualità più elevata. Pertanto, se la normale giornata resta inalterata, vale a dire della medesima durata, aumenta il pluslavoro, essendo di¬ minuito il tempo di lavoro necessario. Questo feno¬ meno avrebbe luogo anche nel caso di un aumento del salario, tenendo ferma l’ipotesi che nelle nuove condizioni l’operaio deve spendere una parte della giornata non così grande come prima, per risarcire il suo salario e riprodurre la sua forza-lavoro. Questa riduzione del tempo di lavoro necessario, ovviamente, è temporanea e viene eliminata appena la* generale introduzione delle macchine nel determinato settore riporta di nuovo il valore della merce al livello del tempo di lavoro in essa contenuto. Nello stesso tempo il capitalista si preoccupa che l’introduzione di sempre nuovi piccoli miglioramen¬ ti non provochi un aumento del tempo di lavoro da lui speso al di sopra del livello del tempo di lavoro necessario dappertutto nella medesima branca produt¬ tiva. Ciò vale dovunque, indipendentemente dalla branca di produzione nella quale la macchina è uti¬ lizzata e dal fatto che le merci da essa prodotte fac¬ ciano parte o no della gamma dei beni di consumo dell’operaio. In secondo luogo. L’esperianza generale ci dice che, appena la macchina comincia ad essere usata secondo i canoni capitalistici — cioè appena esce dalla sua adolescenza nella quale all’inizio si trova in parecchie branche, in quanto forma più produt¬ tiva dello stesso vecchio strumento artigiano, ancora impiegata con il precedente sistema di produzione [V-199] dagli operai autonomi e dalle loro fami¬ glie, — appena la macchina, come forma di capi¬ tale, diventa indipendente dall’operaio, il tempo di la-
34 KARL MARX toro assoluto, ossia la giornata lavorativa completa, non si accorcia, ma al contrario si allunga. L’analisi di questa tesi si trova al capitolo III. Qui, tuttavia, è bene trattare i punti fondamentali. A tale scopo è indispensabile distinguere due momenti. Primo. Le nuove condizioni nelle quali si viene a trovare l’ope¬ raio e che danno al capitalista la possibilità di pro¬ lungare forzatamente il tempo di lavoro. Secondo. I motivi che spingono il capitalista a compiere que¬ sta operazione. Per quanto riguarda il primo momento, occorre considerare innanzi tutto la rinnovata forma di la¬ voro, la sua apparente leggerezza, il trasferimento alla macchina di tutti gli sforzi muscolari, e anche del¬ l’abilità. Il prolungamento del tempo di lavoro non viene spinto, per ovvie ragioni, fino all’impossibilità fisica. Per quanto riguarda il secondo momento, va ri¬ cordato che viene eliminata la resistenza dell’operaio, il quale, dopo la perdita della perizia di cui s’avva¬ leva nella manifattura, non può più ribellarsi. Al contrario il capitale ottiene la possibilità di sostituire gli operai provetti con operai meno abili e quindi più soggetti al suo controllo. Inoltre, la nuova cate¬ goria di operai, che ora appare come elemento de¬ terminante, muta il carattere di tutta l’officina e per sua natura si rassegna più facilmente al dispotismo del capitale. Questo elemento è rappresentato pro¬ prio dal lavoro femminile e minorile. Se d’un tratto la tradizionale giornata lavorativa viene forzatamente prolungata, poi occorre una generazione (com’è av¬ venuto in Inghilterra) perché gli operai siano in grado di riportarla ai limiti normali. Pertanto, il pro¬ lungamento della giornata lavorativa al di là dei suoi limiti naturali, il lavoro notturno, sono il frutto del sistema di fabbrica. La brama insaziabile di lavoro altrui (pluslavoro) non è una caratteristica specifica del proprietario del¬
MACCHINE 35 le macchine, bensì la forza motrice di tutta la pro¬ duzione capitalistica. Poiché il proprietario della fab¬ brica si trova nelle migliori condizioni per seguire questa forza motrice, è naturale che egli dia sfogo alle sue passioni. Qui occorre però aggiungere qualcosa sulle particolari circostanze che danno a queste passio¬ ni un’intensità insolita in caso di impiego delle mac¬ chine. Va rilevato anche quanto segue: la forza mo¬ trice, quando è spesa dall’uomo (e anche dall’anima¬ le), [V-200] può agire fisicamente solo per un deter¬ minato periodo del giorno. Una macchina a vapore, ecc., non ha bisogno di riposo. Essa può funzionare per un periodo indeterminato. La macchina, ecc., viene impiegata in un periodo di tempo più lungo, nel corso del quale lo stesso processo lavorativo si ripete; per produrre nuove partite di merce. Questo periodo è determinato, me¬ diamente, partendo dal presupposto che il valore com¬ plessivo della macchina deve trasferirsi nel valore del prodotto. In seguito al prolungamento del tempo di lavoro oltre i limiti della normale giornata lavorativa, si ac¬ corcia il periodo durante il quale il capitale investito nella macchina è sostituito dal prodotto globale. Sup¬ poniamo che tale periodo sia pari a 10 anni con una giornata lavorativa di 12 ore. Se si lavora 15 ore al giorno invece che 12, se cioè si prolunga di un quarto la giornata lavorativa, si ha in una settimana un au¬ mento di una giornata e mezza oppure 18 ore. Poi¬ ché, secondo la supposizione iniziale, una settimana di lavoro piena è di 72 ore, anche nell’arco dei sei giorni si ha un aumento di un quarto. In dieci anni in tal modo si risparmierebbe un quarto di questo periodo, ossia 2 anni e mezzo. Così il capitale investi¬ to nelle macchine verrebbe ammortizzato in 7 anni e mezzo. Se in questo periodo la macchina si fosse effet¬ tivamente logorata, allora si sarebbe solo accelerato
36 KARL MARX il processo di riproduzione; in caso contrario, cioè se la macchina fosse ancora in grado di funzionare, aumenta il rapporto del capitale variabile con quello costante, poiché quest’ultimo continua a partecipare al processo lavorativo, senza entrare nel processo di valorizzazione. A causa di ciò aumenta, se non pro¬ prio il plusvalore (che è già cresciuto in seguito al prolungamento del tempo di lavoro), il rapporto di questo con la somma complessiva del capitale inve¬ stito e quindi il profitto. A quanto detto occorre ag¬ giungere che dopo l’introduzione di una nuova mac¬ china cominciano innovazioni dietro innovazioni. Per¬ tanto, in permanenza, una gran parte delle vecchie macchine o in qualche misura si deprezza o diventa del tutto inservibile prima che termini il suo ciclo oppure prima che il suo valore si trasferisca nel va¬ lore delle merci. Quanto più si riduce il periodo di riproduzione della macchina, tanto minore è il ri¬ schio di cui sopra e tanto maggiore la possibilità del capitalista (dopo che il valore della macchina è tor¬ nato a lui in un periodo più breve) d’introdurre una nuova macchina perfezionata e vendere a buon mer¬ cato la vecchia, la quale può ancora essere impiegata con utilità da un altro capitalista, poiché entra nella sua produzione come espressione di una quantità più piccola di valore. (Di questo si parla più dettaglia¬ tamente nell’analisi del capitale costante, dove deb¬ bono essere pure riportati gli esempi da Babbage)l. Quanto s’è detto sopra non si riferisce solo alla macchina, ma a tutto il capitale costante, che implica e determina l’uso delle macchine. Inoltre il capitalista ha interesse non solo di ri¬ prendersi al più presto la massa di valore investita nel capitale costante, prevenirne il deprezzamento 11 Ci si riferisce al libro: Ch. Babbage, On the economy of machinery and manufactures, London 1832.
MACCHINE 37 e disporne di nuovo liberamente, ma anche, e soprat¬ tutto, di utilizzare con profitto questo capitale. La grande massa di questo capitale ha assunto una forma tale, da esistere senza profitto, sia come valore di scambio che come valore d’uso, fino al mo¬ mento in cui viene messo in contatto con il lavoro vivo, diventando capitale costante. Poiché la parte di capitale investita nel salario è diminuita parecchio ri¬ spetto all’intero capitale e specialmente rispetto al ca¬ pitale costante, e poiché la quantità del plusvalore non dipende solo dal suo saggio, ma anche dal numero de¬ gli operai contemporaneamente occupati, mentre il profitto dipende dal rapporto di tale plusvalore con tutto il capitale, si verifica una riduzione del saggio di profitto. Lo strumento più semplice per impedire questa riduzione è, naturalmente, il prolungamento, per quanto è possibile, del plusvalore assoluto attra¬ verso il prolungamento della giornata lavorativa e, quindi, la trasformazione del capitale costante in stru¬ mento di appropriazione della maggiore quantità pos¬ sibile di lavoro non retribuito. Se la fabbrica rimane inoperosa, il fabbricante ritiene che l’operaio lo derubi, poiché nel capitale costante il suo capitale ha assunto una forma tale, da aspirare direttamente al lavoro al¬ trui. Tutto ciò è stato detto assai ingenuamente dal si¬ gnor Senior, il quale già nel 1837 espresse il parere che [V-201] con il progressivo sviluppo della produzione meccanica la giornata lavorativa e, quindi, il tempo assoluto di lavoro avrebbero dovuto aumentare co¬ stantemente. Citando il rispettabile Eschwege come un’autorità, Senior afferma: « La differenza tra un’ora di lavoro in qualunque cotonificio e un’ora di lavoro in altre attività sorge per due ragioni: 1) prevalenza del capitale costante su quello circolante, cosa che rende desiderabile il prolungamento del tempo di lavoro » (W.N. Senior. Letters on the Factory Act, as it affects the cotton manifacture. London, 1837, p. 11).
38 KARL MARX Via via che aumenta il capitale costante rispetto a quello circolante, « i motivi che, determinano il prolungamento del tempo di lavoro diventano sempre più consistenti, poiché questo è l’unico mezzo che consente ad una grande massa di capitale costante di diventare red¬ ditizia ». « Quando un agricoltore lascia la sua vanga, mi ha detto mister Eschwege, egli rende inutile per un certo tempo un capitale di 18 pennies. Quando uno di noi lascia una fabbrica, rende invece inutile un capitale costato 100.000 sterline » (Op. cit., pp. 11-14). « Rende inutile »! La produzione meccanica — con gli ingenti capitali che vi sono stati investiti — è stata avviata proprio perché questi capitali spre¬ mano lavoro. Per la verità essi compiono un grosso crimine contro gli operai, ma Senior scrive invece che « l’operaio compie di fatto un grosso crimine contro un capitale di 100.000 sterline, quando ab¬ bandona la fabbrica! (Per questo all’inizio si è pra¬ ticato il lavoro notturno e in seguito le nostre fab¬ briche hanno lavorato normalmente 80 ore alla set¬ timana) » (Op. cit., p. 14). « Una macchina a vapore o qualsiasi altra mac¬ china che funzioni solo alcune ore o alcuni giorni alla settimana equivale ad una perdita di capacità pro¬ duttiva. Se funziona tutto il giorno, la macchina produce di più, e ancora di più se funziona giorno e notte » (J.G. Courcelle-Seneuil. Traité théorique et pratique des entreprises industrielles, commerciales et agricoles ou Manuel des affaires. 2-eme édition. Pa¬ ris, 1857, p. 48). Le prime macchine per la produzione del tulle erano molto care e all’inizio costavano dalle 1.000 alle 1.200 sterline. I proprietari di queste macchine ammettevano di produrre di più, ma, poiché il tempo di lavoro degli operai era stato limitato ad 8 ore, essi non erano in grado di competere per quanto ri¬
MACCHINE 39 guardava i prezzi con il vecchio sistema di produ¬ zione. Questo elemento negativo veniva spiegato con il fatto che inizialmente l’impianto delle macchine costava ingenti somme. Presto, però, i fabbricanti si sono accorti che con un identico stanziamento ini¬ ziale di capitale ed un lieve aumento del capitale cir¬ colante si sarebbe potuto costringere le macchine a funzionare 14 ore (vedi Ch. Babbage. Traité sur l’éco- nomie des machines et des manufactures. Paris, 1833, p. 279). In terzo luogo. Poiché con l’impiego delle mac¬ chine diminuisce il tempo di lavoro durante il quale si può produrre una stessa quantità di merce, le mac¬ chine riducono il valore di tale merce e rendono il lavoro più produttivo, producendo in uno stesso las¬ so di tempo una maggiore quantità di prodotto. Per¬ tanto la macchina influisce solo sulla forza produttiva del lavoro normale. Però, a una certa quantità di tempo di lavoro corrisponde la stessa quantità di valore di prima. Perciò, appena la concorrenza ab¬ bassa il prezzo della merce prodotta con le macchine fino al suo valore, l’uso della macchina può accre¬ scere il plusvalore, il profitto [V-202] del capitalista solo in quanto il ribasso della merce fa diminuire il valore del salario o il valore della forza lavoro o il tempo necessario alla sua riproduzione. Nel contempo qui occorre rilevare anche la cir¬ costanza, grazie alla quale, anche senza un prolun¬ gamento della giornata di lavoro, l’impiego delle mac¬ chine fa aumentare il tempo di lavoro assoluto e quindi pure il plusvalore assoluto. Questo si ottiene attraverso la cosiddetta condensazione del tempo di lavoro, un fenomeno grazie al quale ogni frazione di tempo viene riempita di lavoro più che in passato e cresce l’intensificazione del lavoro. In seguito al¬ l’impiego delle macchine cresce, in ogni determinato periodo di tempo, non solo la produttività (quindi la qualità), ma anche la quantità del lavoro. Gli in¬
40 KARL MARX tervalli di tempo, per così dire, si restringono per la compressione del lavoro. In seguito a ciò un’ora di lavoro equivale, forse, alla quantità di lavoro di 6/4 di ora di lavoro medio, durante il quale non s’im¬ piegano le macchine o se ne impiegano di meno per¬ fezionate. Lì dove sono state introdotte le macchine, il per¬ fezionamento delle stesse, che riduce il numero degli operai rispetto alla massa delle merci prodotte ed alla massa delle macchine impiegate, s’accompagna, grazie a quest’ultima, ad un aumento del lavoro del singolo operaio, che sostituisce due o tre suoi compagni. La macchina, quindi, dà ad un solo operaio la possibi¬ lità di fare ciò che prima facevano in due o tre, costringendolo ad aumentare Ü proprio lavoro ed a riempire con maggiore intensità ogni frazione di tem¬ po lavorativo. Per questo la forza di lavoro si logora più rapidamente nel corso della medesima ora la¬ vorativa... In quarto luogo. Sostituzione della cooperazione semplice con la macchina. La macchina, così come ha eliminato o rivoluzio¬ nato la cooperazione sviluppatasi prima della divi¬ sione del lavoro, in parecchi casi ha eliminato o ri¬ voluzionato anche la cooperazione semplice. Se, per esempio, operazioni come la falciatura, la semina e così via richiedono il lavoro simultaneo di tante brac¬ cia, queste ultime vengono sostituite dalla macchina falciatrice o seminatrice. La stessa cosa capita nella spremitura dell’usa, qunado la pressa sostituisce i piedi dell’operaio. Ancora la stessa cosa si verifica quando la macchina a vapore viene impiegata per sollevare i materiali da costruzione in cima al fab¬ bricato e, in generale, in alto, dove essi [V-206] deb¬ bono essere utilizzati... In quinto luogo. Invenzione e impiego delle mac¬ chine per contrastare gli scioperi, ecc., e le rivendi¬ cazioni di aumento del salario.
MACCHINE 41 Gli scioperi avvengono nella maggior parte dei casi o per impedire la riduzione del salario, o per costringere il capitalista ad aumentarlo, o per fissare i limiti della giornata lavorativa normale. L’obiettivo è sempre (nella maggior parte dei casi) quello di li¬ mitare la massa assoluta o relativa di pluslavoro op¬ pure quello di trasferire all’operaio una parte di que¬ sto pluslavoro. Per controbilanciare l’azione degli ope¬ rai il capitalista introduce le macchine. In tal caso la macchina interviene direttamente come strumento di riduzione del tempo di lavoro necessario. Essa interviene anche, come forma del capitale, come strumento del capitale, come potere del capi¬ tale sul lavoro — per reprimere ogni rivendicazione di autonomia da parte del lavoro. Qui, la macchina, anche intenzionalmente, si pre¬ senta come forma di capitale ostile al lavoro. I self acting nella filatura, le macchine per la pettinatura della lana, i cosiddetti « condenser » al posto del- l’addoppiatoio a mano (sempre nella filatura della lana), ecc. sono tutte macchine inventate per repri¬ mere gli scioperi. L’effetto dell’impiego di queste nuove macchine è quello di rendere del tutto superfluo il precedente tipo di lavoro (quello del filatore nel caso dei self acting) oppure di ridurre il numero degli operai ri¬ chiesti, e semplificare il nuovo lavoro rispetto al pre¬ cedente (il lavoro dei pettinatori, ad esempio, è stato semplificato dalla introduzione della macchina petti- natrice). [V-208]. In sesto luogo. Aspirazione degli ope¬ rai ad appropriarsi parzialmente dei frutti della pro¬ duttività del loro lavoro, accresciuto attraverso le macchine... In settimo luogo. Maggiore continuità del lavoro. Utilizzazione degli scarti, ecc. Nello stadio conclusivo è possibile produrre di più, se con Vausilio delle mac¬ chine si fornisce più materia prima.
42 KARL MARX La continuità del lavoro cresce con l’impiego delle macchine e in generale del capitale costante... La macchina inventata nel 1793 da Eli Whitney (del Connecticut) per separare il cotone dai semi, fornendo la fibra ai filatori, faceva la stessa cosa del filatoio, che nell’industria tessile forniva il filato ai tessitori. Il proprietario delle piantagioni aveva ab¬ bastanza negri per seminare una grande quantità di cotone, non abbastanza però per separare la fibra dai semi. Questo fatto riduceva sensibilmente la quan¬ tità di materia prima prodotta ed elevava il costo, per esempio, di una libbra di cotone... [Espulsione degli operai da parte delle macchine] [V-211]. ...La macchina sostituisce un certo nu¬ mero di operai o realmente, prendendo il loro posto (ciò avviene ogni volta che si tratta di operazioni non nuove, precedentemente compiute senza macchi¬ na); o ipoteticamente, se dovesse essere necessario sostituire un determinato numero di operai. Se noi, ad esempio, parliamo dei milioni di operai (Hodgs- kin)2 che oggi fabbricano i prodotti dell’industria tessile, il discorso verte sul numero di operai che occorrerebbe per sostituire le macchine. Altra cosa è dire che tot tessitori finiscono sul lastrico in se¬ guito all’introduzione del telaio meccanico. In questo caso il discorso verte su quegli operai che la mac¬ china ha sostituito. C’è una bella differenza. Una volta introdotta e divenuta la base di una qualche branca produttiva (non incontrando più la concor¬ renza della manifattura), la macchina espelle operai nella misura in cui viene perfezionata. Ma la pro¬ duzione si allarga sulla base di un certo perfeziona¬ 2 Hodgskin, Thomas (1787-1869), v. Popular politicai economy, London 1837; Labour defended against the claims of capital..., London 1825.
MACCHINE 43 mento delle macchine ancora prima di raggiungere un più elevato grado di perfezione. Se, per esempio, col telaio a mano lavoravano 10 persone, mentre con quello meccanico ne lavorano 20, e se un telaio mec¬ canico rimpiazza 10 telai a mano, i 20 operai al telaio meccanico producono tanto quanto producevano pri¬ ma 200 persone. Essi però non hanno espulso o so¬ stituito 200 persone. Il primo telaio meccanico ne ha espulse 9. Agli altri 19 telai meccanici sono ad¬ detti 19 operai. Pertanto non si può affermare che la forza produttiva ha rimpiazzato 190 persone, per¬ ché senza i telai meccanici ne sarebbero occorse 200. La forza produttiva s’è soltanto decuplicata. Se fosse stata inventata una nuova macchina, con la quale 10 persone avessero potuto produrre tanto quanto 20 con le precedenti, allora 200 persone sarebbero state sostituite da 100 operai, oppure 100 persone sareb¬ bero finite sul lastrico. Se il numero di questi telai meccanici salisse a 20, gli addetti diventerebbero 20, mentre cui precedenti sarebbero occorse 400 persone. Coi telai iniziali (a mano) ne sarebbero occorse 4.000. Però non si sarebbe verificata la sostituzione di 4.000 persone, che non esistevano. Il primo telaio mecca¬ nico ha rimpiazzato 10 telai a mano, mentre il se¬ condo, a sua volta, ha sostituito solo due telai mec¬ canici obsoleti. Pertanto la forza produttiva è cre¬ sciuta nella proporzione di 20 a 1. La forza produt¬ tiva è aumentata di venti volte. Se un simile svilup¬ po si fosse verificato in tutte le branche, l’operaio avrebbe avuto bisogno di un tempo venti volte in¬ feriore per riprodurre i propri mezzi di sostenta¬ mento. Perciò, se all’inizio all’operaio appartenevano 11 ore, adesso gli appartengono 11/20 di ora, e tutto il resto della sua giornata lavorativa, 11 ore e 9/20, appartiene al capitalista. Uno sviluppo di questo ge¬ nere si compirebbe, tuttavia, non uniformemente e non dappertutto. Si deve aggiungere che la massa del pluslavoro
44 KARL MARX non è determinata da quegli operai che sono sosti¬ tuiti dalla macchina, ma da quelli che essa impiega. Cherbuliez3 si dimentica proprio di questo elemento. La produttività della macchina (ed il suo basso prezzo) non è determinata dalla massa di operai che essa sostituisce, ma dalla massa di operai che essa aiuta nel lavoro. Eppure queste due espressioni [V-212] sono in un certo senso identiche. (Poiché il lavoro della macchina riduce il tempo di lavoro necessario alla produzione di ogni singola merce, cioè aumenta la massa di merci prodotte nello stesso tempo di lavoro, possono verificarsi due casi. Primo caso. La merce fa parte della gamma dei beni consumati dagli operai. Allora, astraendo da quanto detto sopra, aumenta la massa di lavoro che può essere indirizzata alla produzione di merci non appartenenti alla gamma dei beni consumati dagli operai, nella qual cosa, di conseguenza, può trovare una sua espressione anche il pluslavoro. Si allarga la base sulla quale possono poggiare e la classe supe¬ riore, numericamente cresciuta, e contemporaneamen¬ te anche il consumo della stessa. Tuttavia, si allarga pure la base sulla quale può poggiare una classe ope¬ raia più numerosa, ovvero la massa di materiale vivo sui cui sforzi fa leva la classe superiore. Secondo caso. La merce non fa parte della gam¬ ma dei beni consumati dagli operai. Allora, o diven¬ tano meno costosi i beni voluttuari o si libera forza- lavoro che può essere applicata ad una nuova sfera). Ripartizione del valore deìle macchine, dei fab¬ bricati, ecc. tra la massa delle merci prodotte. Il capitale costante, dal momento che il suo va¬ lore relativo (proporzionale a tutto il capitale) entra nel saggio di profitto come fattore determinante non deve essere preso affatto in considerazione nell’ana¬ 3 Cherbuliez, Antoine-Elisée (1797-1869), v. Ricbesse ou pauvreté, Paris 1841.
MACCHINE 45 lisi del plusvalore in quanto tale. Perciò l’abbiamo esaminato come una quantità indifferente C sia nella sezione sul plusvalore assoluto che in quella della cooperazione, della divisione del lavoro e così via. Nondimeno, nell’analisi della produzione meccanica noi dobbiamo inevitabilmente occuparci, in modo spe¬ cifico, del capitale costante. E in questo non si deve vedere una incoerenza. A tal fine si deve prestare attenzione a due casi: 1. Il plusvalore relativo può essere creato solo in quanto le merci appartenenti alla gamma dei beni consumati dagli operai (mezzi di sussistenza) diven¬ tano meno costose e quindi il loro valore, cioè la quantità di tempo di lavoro richiesta per la loro produzione, diminuisce. Ma il tempo di lavoro contenuto nella merce si compone di due parti: a) del tempo di lavoro passato, che è contenuto nei mezzi di lavoro impiegati per produrre la merce e nelle materie prime, se ce ne sono state; b) del lavoro vivo aggiunto a queste ultime o, per dirla in breve, del lavoro che si applica alla ma¬ teria prima per il tramite delle macchine. Tutti i metodi di riduzione del tempo di lavoro necessario per la produzione della merce e, quindi, di diminuzione del valore di questa, non riguardano il valore ohe entra nella produzione della materia prima. (In caso estremo si risparmia sulla materia prima nella produzione su più vasta scala). Pertanto, questa parte di lavoro passato che entra nel valore della merce qui non viene presa affatto in conside¬ razione. Tutti i metodi cui ci riferiamo hanno la caratteristica generale di ridurre in misura più o meno grande il lavoro vivo, che influisce sul lavoro passato... [V-213]. Adesso resta da esaminare ancora quel¬ la parte del lavoro passato che si trova nei mezzi e nelle condizioni di lavoro (come, ad esempio, gli
46 KARL MARX edifici, ecc.). Questa parte del lavoro passato resta immutata nella cooperazione semplice e nella divi¬ sione del lavoro. I mezzi e le condizioni di lavoro, al contrario, diminuiscono di costo in seguito alla loro concentrazione ed alla globalità dell’uso. Con l’impiego delle macchine, tuttavia, le cose cambiano. Qui abbiamo un elemento specifico. La riduzione del lavoro vivo si fonda qui su una rivoluzione in seno a questa parte del capitale costante: per dirla in ter¬ mini più grossolani, al posto dello strumento di pro¬ duzione semplice ed a buon mercato ne succede un altro complesso, in grande quantità e costoso. Per questo, se dopo l’introduzione delle macchine la merce rincarasse nella stessa misura (o anche di più), in cui, nell’altro caso, diminuisse di prezzo in seguito all’accelerazione della sua azione ed alla ri¬ duzione del lavoro vivo in essa investito, il suo va¬ lore non si abbasserebbe. Una parte integrante del valore della merce si abbasserebbe a causa dell’eleva-. mento dell’altra. Nella quantità complessiva del tem¬ po di lavoro necessario per la produzione della merce non avverrebbe nessun cambiamento, ragion per cui non vi sarebbe neppure produzione di plusvalore. Per¬ tanto, poiché questo metodo di creazione di plus¬ valore relativo si basa su un rivoluzionamento in seno ad una determinata parte del capitale costante e per questo si distingue dagli altri metodi, occorre qui esaminare tale problema in maniera particolar¬ mente dettagliata. Se analizzato in generale, esso vie¬ ne risolto in modo tale, che la massa globale [V-214] delle merci prodotte con le macchine è così grande da attribuire ad ogni porzione di merce una parte integrante del valore (la parte consistente nel valore del logorio) delle macchine, dei fabbricati e dei mez¬ zi tecnici necessari al funzionamento delle macchine più piccola di quella che si avrebbe, se la stessa merce fosse prodotta con il vecchio sistema e con l’ausilio dei vecchi strumenti artigiani. L’esistenza
MACCHINE 47 di queste due condizioni, però, dipenderà, a sua volta, dalle seguenti circostanze: a) dalla massa delle merci che ogni singolo ope¬ raio può produrre tramite le macchine in un dato tempo di lavoro, per esempio in una giornata lavo¬ rativa; ß) dalla massa degli operai — se è osservata la condizione sopra indicata — il cui lavoro aiuta contemporaneamente l’azione delle macchine e fa di¬ minuire relativamente la parte del valore di tutte le macchine che tocca a ciascuno degli operai singolar¬ mente preso; y) dallo scarto tra il periodo in cui la macchina partecipa al processo lavorativo ed il periodo in cui essa partecipa al processo di valorizzazione. Se, ad esempio, la macchina funziona per 15 armi, in cia¬ scuno di questi anni essa entra per intero nel processo lavorativo, mentre entra solo per un quindicesimo nel processo di valorizzazione. Perciò il prodotto globale annuo in forma di merce non contiene in nessun caso più di 1/15 del valore della macchina. 2. Occorre fare una netta distinzione tra il pro¬ blema della misura in cui il capitale costante influi¬ sce sul saggio di profitto (questo conduce all’analisi del problema del rapporto del plusvalore con il va¬ lore del capitale anticipato, senza considerare affatto le funzioni delle sue varie parti) e il problema della misura in cui una certa forma del capitale costante (macchine, ecc.) fa diminuire il prezzo di ciascuna merce oppure il tempo di lavoro (passato e presente) contenuto in essa. Naturalmente, per il loro contenuto ambedue i problemi si riducono ad una identica cosa. Qui, però, uno stesso fenomeno viene esaminato da due punti di vista del tutto diversi. Nel primo problema noi analizziamo come diminuisce il costo della merce (e insieme, poiché questa entra nel novero dei beni consumati dall’operaio, come diminuisce il costo della
48 KARL MARX forza-lavoro), ossia come diminuisce la quantità com¬ plessiva di lavoro, passato e vivo, necessaria alla sua produzione. Nel secondo problema esaminiamo come una variazione nelle interrelazioni tra massa e valore delle parti integranti del capitale incide sul rapporto del plusvalore con Finterò capitale anticipato (ossia sul saggio di profitto). L’analisi del secondo proble¬ ma presuppone la presenza del plusvalore, presup¬ pone cioè l’esistenza di tutta la produzione capitali¬ stica (ed anche del processo di circolazione). L’analisi del primo problema non presuppone niente tranne la legge generale sul valore della merce' e delle leggi che ne derivano sul valore della forza-lavoro e sul rapporto del plusvalore con quest’ultima. 3. La confusione di questi due problemi: dimi¬ nuzione del tempo di lavoro necessario per la pro¬ duzione di una singola merce (o di una massa di merci) e la correlazione, da un lato, tra plusvalore e lavoro necessario e, dall’altro, tra il valore e la massa delle diverse parti integranti del capitale, è fonte di grossi errori. Occupiamoci inizialmente dell’errore più grave. Se si è compresa la sostanza della produzione capita¬ listica, non sembrerà per niente una contraddizione il fatto che il tempo di lavoro necessario per la fab¬ bricazione di una qualche merce diminuisce, mentre, al contrario, il tempo totale che l’operaio deve spen¬ dere per la produzione di queste merci a minor costo aumenta. E invece ciò costituisce effettivamente un’incom- prensibile contraddizione per gli economisti, i quali ritengono che la macchina viene inventata ed impie¬ gata non per ridurre il tempo di lavoro necessario all’operaio per produrre una certa merce, ma per accorciare il tempo di lavoro che l’operaio deve in¬ teramente cedere come equivalente del suo salario. Si crea inoltre una grande confusione quando, da un lato, si spiega il profitto con il fatto che la
MACCHINE 49 macchina riduce il tempo di lavoro dell’operaio e, dall’altro, si dimostra (Senior ed altri) che l’impiego delle macchine porta necessariamente ad un prolun¬ gamento di questo tempo di lavoro. In secondo luogo. Per quanto riguarda il lavoro dell’operaio, si deve osservare che quello retribuito si riduce, mentre aumenta quello non retribuito. Que¬ sto deriva [V-215] dal fatto che la massa di tempo di lavoro contenuta nella merce e la proporzione in cui questo tempo di lavoro si ripartisce tra il capi¬ talista e l’operaio sono due cose completamente di¬ verse. Se il capitalista vende una qualche merce ad un prezzo più basso, non è detto affatto che egli ri¬ cavi dalla stessa un minor profitto, cioè realizzi in essa meno plusvalore. Più spesso le cose stanno esat¬ tamente al contrario. A ciò si deve aggiungere che non bisogna considerare prodotto del capitale la sin¬ gola merce, bensì la quantità complessiva delle merci prodotte in un determinato periodo. Prolungamento del tempo di lavoro assoluto nel sistema di fabbrica (factory-system). Un’organizzazione del lavoro sviluppata, corrispon¬ dente alla produzione meccanica su base capitalistica, è quella del sistema di fabbrica o factory-system, che predomina persino nella grande agricoltura moderna con le dovute correzioni richieste dalle peculiarità di questa sfera della produzione. La tesi fondamentale è che il plusvalore ottenuto dal capitalista non ha origine nel lavoro sostituito dalla macchina, ma nel lavoro che viene impiegato sulla base della produzione meccanica. La dimensione del plusvalore è determinata da due cose: in primo luogo, dal saggio di sfruttamento di ciascun operaio o dalla massa di pluslavoro per ogni giornata lavorativa di un singolo operaio; in secondo luogo, dal numero degli operai contempora¬ neamente impiegati, sfruttati da un certo capitale. L’introduzione delle macchine riduce l’incidenza
50 KARL MARX del secondo fattore, mentre rafforza quella del primo. Essa accresce il plusvalore di ogni singolo operaio, ma fa diminuire il numero degli operai contempora¬ neamente sfruttati da un dato capitale. Pertanto lo stesso metodo che tende ad accrescere il saggio di plusvalore tende anche nella direzione opposta del¬ l’indebolimento dell’altro fattore di espansione della massa del plusvalore. Se venti persone lavorano 12 ore al giorno, due delle quali costituiscono il plus¬ valore, la massa di plusvalore è uguale a 40 ore di lavoro (2x20), cioè a tre giornate lavorative di 12 ore ciascuna più 4 ore. Se 10 persone lavorano 12 ore al giorno, 4 delle quali di pluslavoro, la massa del plusvalore è ancora di 40 ore, come nel primo caso. Sei persone, ciascuna delle quali faccia 6 ore di pluslavoro, producono invece solo 36 ore di plus¬ valore. Se una stessa quota di capitale mettesse in opera nel primo caso venti persone e nel secondo sei, la massa di plusvalore subirebbe una riduzione, no¬ nostante l’aumento del suo saggio. Questa tendenza antagonistica dello sfruttamento basato sull’impiego delle macchine spinge all’aumento del tempo di lavoro assoluto. Se ad esempio, nel secondo caso gli operai invece di 12 ore ne lavoras¬ sero 14, otto delle quali di pluslavoro, il plusvalore ammonterebbe in tutto a 48 ore (6x8). Questa ragione che induce al prolungamento as¬ soluto del tempo di lavoro, all’aumento del plusla¬ voro assoluto e della durata della giornata lavorativa, non viene affatto riconosciuta dai capitalisti e dai loro esegeti. Il fenomeno di cui trattiamo si manifesta appena la produzione meccanica s’è sufficientemente diffusa sotto la spinta della concorrenza e sviluppata tanto da far abbassare il valore sociale, il valore di mercato delle merci prodotto con l’ausilio delle macchine, fino al loro valore individuale, impedendo in tal modo al capitalista di mettersi in tasca questa differenza.
MACCHINE 51 Sta in questo il motivo del prolungamento asso¬ luto del tempo di lavoro, motivo che non dipende affatto dalla realizzazione di quella parte del capitale costante composta dalle macchine e dai fabbricati e che, essendo più tangibile, penetra immediatamente nella coscienza dei capitalisti e dei loro esegeti. Il motivo indicato è assai semplice ed è general¬ mente valido per ogni pluslavoro, ma acquista un particolare significato nei casi in cui il valore e la massa del capitale investito nei mezzi di lavoro rag¬ giungono proporzioni enormi. Innanzi tutto non vi è alcuna necessità di spese supplementari per macchine ed edifici, se il lavoro dura 24 ore invece di 12; per altro, se contempora¬ neamente si deve assorbire molto più lavoro, deb¬ bono essere aumentate le spese per i fabbricati e le macchine [V-216] e in una certa misura per le mac¬ chine che producono forza motrice. Attraverso que¬ sta via si ottiene anche una diminuzione di costo della merce. E’ indifferente che il valore delle mac¬ chine si distribuisca nello spazio, su una maggiore quantità di lavoro, secondo il numero degli operai che lavorano uno accanto all’altro, aiutati contempo¬ raneamente da quelle macchine, o si distribuisca in¬ vece nel tempo, come quando lo stesso numero di operai è aiutato nel lavoro dalle medesime macchine non 12 ma 24 ore. Il tempo assoluto di riproduzione degli edifici resta più o meno lo stesso, entrino essi nel processo lavorativo come condizioni produttive 12 oppure 24 ore. Il tempo assoluto di riproduzione della macchina in sé non si riduce nella stessa misura in cui si pro¬ lunga Ü suo servizio attivo. Tuttavia il tempo di ri- produzione del suo valore, al contrario, si riduce proporzionalmente alla durata del suo servizio... Sostituzione degli strumenti di lavoro e delle mac¬ chine.
52 KARL MARX Qui va fatto notare che la macchina non sosti¬ tuisce solo il lavoro vivo, ma anche lo stesso operaio ed il suo strumento artigiano. Quest’ultima sostitu¬ zione, naturalmente, può essere quanto mai insigni¬ ficante, come quando, ad esempio, le macchine da cucire rimpiazzano il lavoro di cucitura. Nella mag¬ gior parte dei casi non si tratta neppure di una so¬ stituzione, poiché lo strumento di lavoro ricompare nella macchina, anche se il numero di tali strumenti cresce a. dismisura ed essi dal punto di vista mecca¬ nico mutano più o meno il loro aspetto. Concentrazione degli operai nel sistema di fab¬ brica. Ci occuperemo in seguito delle peculiarità della cooperazione sorta nel sistema di fabbrica, fondata sulla divisione del lavoro a differenza sia della coo¬ perazione semplice che della manifattura. Qui però occorre rilevare innanzi tutto che la produzione meccanica sviluppata — cioè il sistema di produzione basato sull’impiego delle macchine — presuppone la concentrazione degli operai in un po¬ sto, cioè la loro concentrazione spaziale sotto la di¬ rezione del capitale. Questa concentrazione costitui¬ sce una condizione della produzione meccanica. La macchina che produce forza motrice — così come il meccanismo di trasmissione, che distribuisce e trasmette tale forza — diminuisce relativamente di costo e diminuisce tanto più quanto maggiore è il sistema di macchine in seno al quale essa viene utilizzata. I costi diminuiscono, relativamente, anche per i fabbricati, il riscaldamento, la sorveglianza, ec¬ cetera, cioè, in breve, per tutte le condizioni di la¬ voro oggettive e necessarie, di cui usufruisce nell'in¬ sieme la massa degli operai. Al sistema di macchine che funzionano contemporaneamente deve corrispon¬ dere un esercito di operai impiegati contemporanea¬ mente, in parte per attuare una divisione del lavoro propria del sistema delle macchine, in parte per rea¬
MACCHINE 53 lizzare il suo sistema specifico di cooperazione sem¬ plice, lo sfruttamento contemporaneo di parecchi ope¬ rai che debbono compiere le stesse operazioni. Per¬ ciò, sebbene il numero degli operai messi in azione da un dato capitale ed il numero degli operai richiesti per la produzione di una certa massa di merci dimi¬ nuiscano, il numero degli operai impiegati contem¬ poraneamente dai singoli capitalisti, o che lavorano su loro ordine, aumenta. Aumenta cioè la concentra¬ zione degli operai che lavorano insieme sotto il pro¬ filo spaziale e temporale. Poiché in un simile sistema il capitale operante nella sfera produttiva assume la forma di una im¬ ponente massa di ricchezza sociale, pur appartenendo in realtà al singolo capitalista, ed a questa massa di ricchezza sociale non corrisponde nessuna possibile capacità di lavoro e produttività di un singolo indi¬ viduo, anche il sistema degli operai che lavorano con¬ giuntamente assume la forma dei grandi raggruppa¬ menti sociali. [V-217]. Intensificazione del lavoro Se indichiamo il capitale variabile con la lettera V, il capitale costante con la C ed il pluslavoro con¬ tenuto nel prodotto con la X, il valore delle merci prodotto da un determinato capitale, supposto che tutto il capitale costante entri nel processo di valo¬ rizzazione e considerando solo il plusvalore assoluto, è dato da: C + V + X. I metodi che accrescono il plusvalore relativo non cambiano affatto questa formula. Essi non ele¬ vano il valore del prodotto globale. Il capitale co¬ stante può aumentare, perché aumenta la massa e quindi anche il valore della materia prima. La stessa cosa può accadere perché aumenta il valore delle macchine. Tuttavia il valore di C resta immutabile. Esso si ripresenta nel prodotto. Allo stesso modo non cambia neppure X. Il capitale variabile (V) si trasforma nel processo lavorativo in V + X, dove
54 KARL MARX V è il tempo di lavoro necessario e X quello ecce¬ dente. In sostanza, V + X rappresenta Pintera gior¬ nata lavorativa. Essa non viene alterata dai metodi con cui si crea il plusvalore relativo. In altri termini, per quanto si accresca con questi metodi la massa dei prodotti fabbricati in una giornata lavorativa, il valore di tali prodotti non aumenta, anche se in se¬ guito alla riduzione di costo della produzione e quin¬ di anche dei mezzi necessari alla riproduzione della forza lavoro cambia la ripartizione del tempo di la¬ voro in retribuito e non retribuito. (Il valore del prodotto globale, di una giornata lavorativa ad esem¬ pio, può aumentare; diciamo che si può produrre più filato di cotone, ecc.; in breve, questo si verifica perché nello stesso tempo si adopera più capitale costante). Vi è però un 'eccezione. Una eccezione che si svi¬ luppa proprio in rapporto al lavoro delle macchine. Alludiamo qui alla condensazione del lavoro o, se il fenomeno deriva da uno sviluppo della forza produt¬ tiva sociale del lavoro, alla sua intensità, allorquando i periodi di tempo lavorativo vengono riempiti con ritmo talmente eccezionale, e ciò diventa talmente una peculiarità del lavoro in particolari sfere pro¬ duttive, che un’ora di lavoro più intensivo è uguale ad un’ora di lavoro più estensivo + X. Ad un certo grado di sviluppo della produzione si deve perdere in intensità di lavoro quello che si guadagna grazie all’estensione. E viceversa. Ma in questi casi la so¬ stituzione della quantità con il livello non può essere oggetto di ragionamenti speculativi. Se si ha un fatto, si ha anche il semplice metodo sperimentale della sua verifica; per esempio, adesso l’operaio spende regolarmente durante la settimana la stessa quantità di lavoro per 10 o 10,5 ore e non sarebbe fisicamente in condizione di fare altrettanto per 12 ore. Qui emerge la necessità di ridurre la giornata lavorativa normale o completa in seguito alla mag-
MACCHINE 55 giore condensazione del lavoro, che comporta un maggior consumo di energia intellettuale, una mag¬ giore tensione nervosa e insieme una maggiore ten¬ sione fisica. Con la crescita dei due momenti, cioè della velocità e del volume (o massa) delle macchine cui sono addetti gli operai, si giunge necessariamente ad un punto critico, dopo il quale l’intensità e l’esten- sività del lavoro non possono aumentare contempora¬ neamente; esse si escludono a vicenda inevitabilmen¬ te. In questo caso il pluslavoro non solo può rima¬ nere lo stesso, ma anche aumentare, nonostante la riduzione del tempo di lavoro assoluto. Ciò avviene per due ragioni: da un lato, perché cresce la produttività del lavoro, e cioè per la legge generale che definisce il plusvalore relativo; dall’al¬ tro, perché un’ora di lavoro più intenso, non viene mai presa in considerazione, in quanto tale, e di con¬ seguenza il suo prodotto è pari, ad esempio, al valore di un’ora e mezza di lavoro estensivo nel precedente sistema di produzione. Un’ora di lavoro più intenso — in tal caso per la normale e generale legge di una specifica sfera produttiva e non per qualcosa di in¬ dividuale o casuale — non viene mai considerata per ciò che essa realmente rappresenta, non viene vista cioè come una maggiore massa di lavoro o come tempo di lavoro più compatto, diverso da quello più diluito. Finché l’intensità cresce contemporaneamen¬ te al tempo di lavoro assoluto, l’operaio non lavora solo di più, ma lavora di più due volte, eppure un’ora di lavoro più intenso non viene considerata come tale. Comincia ad esserlo dal momento in cui l’intensità in aumento diventa una barriera reale, tan¬ gibile e precisa contro il prolungamento del tempo di lavoro medesimo. Si spiega così il motivo, per cui con l’entrata in vigore della legge sulla giornata lavorativa di dieci ore è aumentata non solo la produttività di quei settori dell’industria inglese, dove è stata applicata
56 KARL MARX la legge, ma anche la massa del loro valore, mentre il salario ha registrato una flessione, piuttosto che [V-218] un aumento. Naturalmente occorre sempre ricordarsi che, quan¬ do ci troviamo di fronte ad un fenomeno economico, non dobbiamo applicare in modo semplice e imme¬ diato le leggi economiche generali. Ad esempio, nel fatto citato più sopra è indispensabile considerare una molteplicità di circostanze, che hanno una vaga relazione con l’oggetto del nostro studio e la cui spie¬ gazione sarebbe persino impossibile senza indagini preliminari relative a connessioni più concrete di quelle di cui qui ci occupiamo. Si pensi, per esem¬ pio, all’aumento della domanda verificatosi di pari passo con l’allargamento del mercato mondiale, dal tempo delle scoperte delle miniere d’oro in California ed Australia con la serie di circostanze che esse de¬ terminarono. Ricordiamo l’influenza esercitata dai bassi prezzi e dall’importazione in massa della ma¬ teria prima (il cotone) e così via su singoli comparti dell’industria tessile, proprio nel periodo in cui ebbe luogo il fenomeno citato. Infine, la misura del valore, ad esempio del co¬ tone, è determinata non dall’ora di lavoro inglese, ma dal tempo di lavoro necessario, in media, sul mercato mondiale. Tuttavia, indipendentemente da tutto ciò, i resoconti aziendali inglesi ribadiscono una¬ nimemente due fatti: 1) dopo l’entrata in vigore della legge sulla giornata lavorativa di dieci ore (in seguito portata a IOV2) si apportarono alle mac¬ chine una quantità di miglioramento minuti e par¬ ziali assai maggiore che in ogni altro periodo pre¬ cedente, pur mantenendole immutabili come non mai; 2) la rapidità di funzionamento e la quantità di mac¬ chine affidate a ciascun operaio provocarono un sen¬ sibilissimo aumento dell’intensità del lavoro fisico e intellettuale. Andando avanti, questi resoconti non lasciano dub¬
MACCHINE 51 bi di sorta circa altri due fatti: 1) senza la legge sul¬ la giornata lavorativa di 10 ore, senza la limitazione della giornata lavorativa assoluta, non sarebbe avve¬ nuto questo grosso sconvolgimento nella produzione industriale, sconvolgimento conquistato tramite la fis¬ sazione per legge di un limite estremo di sfrutta¬ mento dell’operaio; 2) senza l’alto grado di svilup¬ po tecnologico già raggiunto e senza il conseguimen¬ to dell’attuale grado di sviluppo dei mezzi ausiliari di cui dispone la produzione capitalistica, questo espe¬ rimento sarebbe stato impossibile, ossia non sarebbe stato coronato tanto presto da un così brillante suc¬ cesso. Se tutte le branche dell’industria fossero state sottoposte ad una tale limitazione, e con lo stesso successo, avessero cioè raggiunto un livello altret¬ tanto alto di intensità del lavoro, allora questa in¬ tensità sarebbe stata ritenuta una regola generale o non si sarebbe manifestata invece come una peculia¬ rità di una certa branca del lavoro. Se così fosse stato, si sarebbe solo fissato una nuova giornata lavorativa normale media. Tutta la giornata lavorativa sarebbe stata ridotta, e così anche il tempo di lavoro neces¬ sario e il pluslavoro dell’intera giornata lavorativa (media) nelle diverse branche della produzione. (La giornata lavorativa inglese, della durata di IOV2 ore, non solo è più produttiva, ma contiene anche, pro¬ babilmente, la stessa quantità di lavoro compresa in 24 ore lavorative effettuate nelle fabbriche tessili di Mosca). Il sistema di produzione capitalistico, in gene¬ rale, rende più denso il tempo di lavoro, aumenta la quantità di lavoro spesa in un determinato interval¬ lo di tempo, cioè la massa di lavoro che viene effet¬ tivamente spesa nel corso di un’ora o di 12 ore. Di fatto ciò equivale ad un aumento della continuità del lavoro del singolo operaio (proprio dell’operaio singolo, astraendo dalla continuità del processo pro-
58 KARL MARX duttivo, ossia dal suo svolgimento costante durante tutti i periodi di tempo). Questo già di per sé porta alla formale sottomissione del lavoro al capitale, pro¬ prio come la frusta nelle condizioni del sistema pro¬ duttivo fondato sulla schiavità. L’intensità viene ac¬ cresciuta ancora di più tramite la cooperazione, spe¬ cie col metodo della divisione del lavoro, e soprat¬ tutto tramite le macchine, quando l’azione continua di ogni singolo operaio è legata e subordinata all’at¬ tività di un intero complesso, nel quale la persona a se stante è soltanto un anello. Questa intensità aumenta con particolare impeto nella officina mecca¬ nizzata, contraddistinta da una regolarità cadenzata e dalla instancabilità della forza morta della natura, del meccanismo di ferro. Un certo livello medio di intensità del lavoro, cioè della massa di lavoro ef¬ fettivamente spesa in un dato lasso di tempo, e un livello della stessa relativamente più elevato che nel¬ la produzione non capitalistica o solo formalmente capitalistica (anche se l’intensità è per forza di cose diversa nelle diverse branche produttive) costituisco¬ no qui, di regola, un presupposto generale. Si sup¬ pone che ci si riferisca a tutti gli operai, quando si parla del tempo come misura del loro lavoro e anche quando si parla del tempo di lavoro necessario per la produzione di una certa merce. Qui non si tratta di questo. Ugualmente qui non si parla di una maggiore (o diversa) produttività di uno stesso lavoro nel medesimo tempo, a seconda del grado di capacità, ecc. raggiunto grazie alla divisione del lavoro ed alla maestria. Non si pone neppure il problema del con¬ tributo della macchina all’elevamento della produt¬ tività del lavoro. I due ultimi aspetti si collegano alla più elevata forza produttiva del lavoro, mentre in sostanza la massa effettiva di lavoro rimane im¬ mutata, e (nella produzione meccanica), forse, in una certa misura potrebbe anche diminuire.
MACCHINE 59 [V-219]. Qui si parla di aumento della tensione del lavoro, che accompagna lo sviluppo della forza produttiva; così che in uno stesso arco di tempo non solo si produce di più, ma si spende anche più la¬ voro, si spende più forza lavoro, proprio oltre la me¬ dia che è possibile eseguire regolarmente, da un gior¬ no all’altro, solo attraverso la limitazione della du¬ rata della giornata lavorativa. In questo caso si crea non solo plusvalore relativo, ma anche plusvalore assoluto, fino a quando il dato grado di intensità del lavoro non diventa generale. Quest’ultimo caso, tut¬ tavia, presupporrebbe anche la riduzione generale del¬ l’orario di lavoro. Del resto, sia la durata che l’intensità del lavoro hanno dei limiti. Questi limiti si manifestano nel fatto che ad un certo livello l’intensità può essere elevata solo se diminuisce la durata del lavoro. Per¬ tanto, se, ad esempio, dieci ore sono la normale giornata lavorativa media, con un corrispondente gra¬ di di intensità del lavoro o di densità del tempo di lgvoro, cioè della massa di lavoro spesa in ciascun intervallo di tempo, tutte le invenzioni che su questa base, rendono il lavoro più produttivo, non accre¬ scendone la tensione, fanno aumentare solo il plus¬ valore relativo. Se con questo sviluppo delle forze produttive fosse connesso un nuovo aumento della densità del tempo di lavoro, sì da far crescere la massa di lavoro spesa in uno stesso intervallo di tem¬ po, e non solo la sua produttività, si arriverebbe presto ad una situazione in cui dovrebbe essere di nuovo ridotta la giornata lavorativa. Solo la spietata avidità senza scrupoli del capi¬ tale che oltrepassa brutalmente i limiti naturali del tèmpo di lavoro (e inoltre, per una serie di circo¬ stanze, lo stesso lavoro diventa più intenso e teso via via che si sviluppano le forze produttive), solo questa avidità costringe la società medesima, fondata sulla produzione capitalistica, a fissare rigidi limiti
60 KARL MARX alla durata della giornata lavorativa normale (del re¬ sto la principale ragione che obbliga a tale passo sta, naturalmente, nella lotta della stessa classe operaia). Si giunge ad una situazione come questa, solo quan¬ do la produzione capitalistica esce dalla fase di non sviluppo ed arretratezza e si costruisce una sua pro¬ pria base materiale. Alla limitazione forzata del tem¬ po di lavoro il capitale risponde con un aumento ulteriore della densità del lavoro, che, a sua volta, comporterà ad un dato momento una nuova ridu¬ zione del tempo di lavoro assoluto. Solo ad un più elevato grado di sviluppo della produzione si mani¬ festa questa tendenza e sostituire il prolungamento della giornata lavorativa con l’elevazione del grado d’intensità del lavoro. E ciò ha rappresentato una certa condizione del progresso sociale. Traduzione di Stefano Trocini da « Voprosy istorii estest- voznanija i techniki », n. 25, Mosca 1968.
Paul Mattick Consigli e partito I. Organizzazione e spontaneità Poiché è un prodotto della società borghese, il movimento socialista è legato alle vicissitudini dello sviluppo capitalistico. Le sue caratteristiche varieran¬ no secondo le mutevoli fortune del sistema capitali¬ stico. In tempi e luoghi non adatti alla formazione di una coscienza di classe rivoluzionaria, non si sviluppa, o scompare. In condizioni di prosperità capitalistica tende a trasformarsi da rivoluzionario in riformistico. In tempi di crisi sociale può capitargli di esser to¬ talmente soppresso dalle classi dominanti. Poiché al socialismo non si può arrivare senza un movimento socialista, è il destino di quest’ultimo che decide se il socialismo diverrà mai una realtà. Tutte le organizzazioni dei lavoratori sono parte della struttura sociale generale, e tranne che in un senso puramente ideologico, non possono essere coe¬ rentemente anticapitalistiche. Per acquistare peso so¬ ciale entro il sistema capitalistico, devono esser op- portuniste, vale a dire avvantaggiarsi, dei processi sociali dati, al fine di servire i propri — limitati — scopi. Opportunismo e realismo appaiono esser la stessa cosa. L’opportunismo non può esser sconfitto da un’ideologia che si opponga radicalmente alla to¬ talità dei rapporti sociali esistenti. Raccogliere len¬
62 PAUL MATTICK tamente le forze rivoluzionarie in organizzazioni po¬ tenti pronte ad agire al momento favorevole, non sembra cosa possibile. Soltanto organizzazioni che non turbano i fondamenti dati della struttura sociale pos¬ sono riuscire ad acquistare una certa importanza. Se partono con un’ideologia rivoluzionaria, la loro cre¬ scita implica l’emergere di una discrepanza tra la loro ideologia e le loro funzioni. Contrarie allo status quo, ma al tempo stesso operanti al suo interno, queste organizzazioni alla fine soccombono alle forze del ca¬ pitalismo proprio in virtù dei loro successi organiz¬ zativi. Alla svolta del secolo le organizzazioni operaie tradizionali — partiti socialisti e sindacati — non erano più movimenti rivoluzionari. Al loro interno solo una piccola ala sinistra continuava ad interes¬ sarsi alle questioni della strategia rivoluzionaria, e quindi ai problemi dell’organizzazione e della spon¬ taneità. Questo comportava il problema della coscien¬ za rivoluzionaria e del rapporto tra minoranza rivolu¬ zionaria e massa del proletariato capitalisticamente in¬ dottrinato. Era considerato improbabile che qualcosa di più di una minoranza accettasse, mantenesse e appli¬ casse una coscienza rivoluzionaria. La massa dei la¬ voratori avrebbe agito in modo rivoluzionario soltan¬ to sotto l’impulso delle circostanze. Questo problema acquistò una speciale impor¬ tanza a causa della scissione intervenuta nel Partito socialdemocratico russo e del cristallizzarsi del con¬ cetto leniniano della necessità di un’avanguardia ri¬ voluzionaria costituita da rivoluzionari di professio¬ ne Avendo ben presente il fattore della spontanei¬ tà, Lenin sottolineò la specifica esigenza di una lea¬ dership e di un’attività organizzata e controllata dal 11 Vedi Che fare? (1902) e Un passo avanti e due indietra (1904).
CONSIGLI E PARTITO 63 centro. Più i movimenti spontanei erano vigorosi e diffusi, più diventava necessario controllarli e diri¬ gerli attraverso un partito rivoluzionario perfetta¬ mente disciplinato. I lavoratori andavano, per dir così, protetti contro se stessi, giacché la loro man¬ canza di comprensione teorica poteva facilmente con¬ durre a dissipare la forza generatasi spontaneamente e alla sconfitta della loro causa. La più coerente opposizione di sinistra a questo particolare punto di vista fu quella espressa da Rosa Luxemburg2. Sia Lenin che la Luxemburg vedevano la necessità di combattere l’evoluzionismo riformi¬ stico e opportunistico delle organizzazioni operaie co¬ stituite, ed entrambi esigevano il ritorno ad una linea politica rivoluzionaria. Ma mentre Lenin perseguiva quest’obiettivo attraverso la creazione di un nuovo tipo di partito, Rosa Luxemburg preferiva puntare sulla crescita dell’autodeterminazione operaia, sia in senso generale sia entro le organizzazioni socialiste, mediante l’eliminazione dei controlli burocratici e la attivizzazione della base. Auspicava movimenti spon¬ tanei che contenessero l’influenza delle organizzazioni, le quali aspiravano a concentrare il potere nelle pro¬ prie mani. Secondo la sua concezione, i socialisti do¬ vevano semplicemente contribuire a liberare le forze creative presenti nelle azioni di massa, ed integrare i propri sforzi con l’autonoma lotta di classe prole¬ taria. Il suo approccio postulava l’esistenza, in un capitalismo sviluppato, di una classe operaia intelli¬ gente, capace di scoprire da sé i modi e i mezzi per combattere per i propri interessi, e, infine, per il socialismo. La questione dell’organizzazione e della sponta- 2 Vedi Problemi di organizzazione della socialdemocrazia russa (1904).
64 PAUL MATTICK neità fu vista anche in altro modo. Georges Sorel3 e i sindacalisti erano persuasi non solo che il proleta¬ riato potesse emanciparsi facendo a meno della guida dell’intellighenzia, ma che dovesse liberarsi degli ele¬ menti borghesi che di solito controllavano le orga¬ nizzazioni politiche. Il sindacalismo rifiutò il parla¬ mentarismo a favore dell’attività sindacale rivoluzio¬ naria. Nella concezione di Sorel, un governo di so¬ cialisti non avrebbe minimamente modificato la po¬ sizione sociale degli operai. Se volevano essere liberi, dovevano essere gli stessi operai a far ricorso ad azioni e ad armi esclusivamente operaie. Il capitali¬ smo — pensava Sorel — aveva già organizzato l’in¬ tero proletariato nelle industrie. Tutto quel che re¬ stava da fare era sopprimere lo Stato e la proprietà. E per realizzare questo obiettivo il proletariato ave¬ va bisogno non tanto della cosiddetta comprensione scientifica delle tendenze necessarie della società, quanto di una sorta di convinzione intuitiva che ri¬ voluzione e socialismo erano lo sbocco inevitabile del suo continuo lottare. Lo sciopero era visto come l’apprendistato rivo¬ luzionario degli operai. Il crescere del numero, del¬ l’ampiezza e della durata degli sciopftt tendeva ad un possibile Sciopero Generale, vale a dire all’incom¬ bente rivoluzione sociale. Ciascun singolo sciopero era una copia in miniatura dello sciopero generale, e una preparazione della sollevazione finale. La cre¬ scente volontà rivoluzionaria andava misurata non sui successi dei partiti politici, ma sulla frequenza degli scioperi e sull’energia in questi dispiegata. La rivo¬ luzione si sarebbe svolta di azione in azione, in un continuo fondersi — entro la lotta proletaria per l’emancipazione — di aspetti spontanei e di aspetti organizzativi. Il sindacalismo, e con esso le sue filiazioni inter¬ 3 Vedi Consideraizoni sulla violenza (1906).
CONSIGLI E PARTITO 65 nazionali come i Guild Socialists in Inghilterra e gli Industrial Workers of the World negli Stati Uniti, fu in parte una reazione alla burocratizzazione cre¬ scente del movimento socialista e alla sua politica di collaborazione di classe. E poiché l’ideologia dei par¬ titi socialisti dominanti era il marxismo, l’opposizione a queste organizzazioni e alla loro politica si espresse anche come opposizione alla teoria marxiana nelle sue interpretazioni riformiste e revisioniste. I sin¬ dacati vennero anch’essi attaccati per la loro strut¬ tura centralistica, e per l’importanza che attribuivano agli specifici interessi sindacali a scapito dei bisogni della classe proletaria. Ma tutte le organizzazioni — non importa se rivoluzionarie o riformiste, se cen¬ tralizzate o federaliste — tendevano a vedere nella propria crescita regolare e nelle propri attività quo¬ tidiane il fattore principale del mutamento sociale. Quanto alla socialdemocrazia, essa pensava che la società socialista sarebbe venuta come risultato fi¬ nale del crescere dei suoi iscritti e del suo elettorato, dell’ampliarsi del suo apparato di partito e della sua presenza nelle istituzioni politiche esistenti. Gli Industrial Workers of the World, d’altra parte, ve¬ devano lo svilupparsi della propria organizzazione nel- l’Unico Grande Sindacato come « la formazione della struttura della nuova società entro il guscio della vecchia »4. Ma nella prima rivoluzione del Novecento fu la massa dei lavoratori non organizzati che determinò la natura del processo rivoluzionario. Essa realizzò nei consigli operai, sorti spontaneamente, una sua propria, nuova forma organizzativa. Il sistema con¬ siliare5, nato durante la rivoluzione russa del 1905, 4 Preambolo degli Industrial Workers of the World. 5 Per una storia particolareggiata dei soviet russi vedi Oskar Anweiler, Die Rätebewegung in Russland 1905-1921, Leiden 1958 [trad. it. Storia dei soviet 1905-1921, Roma- Bari 1972].
66 PAUL MATTICK scomparve con la disfatta della rivoluzione, ma solo per tornare sulla scena, con maggior forza, nel feb¬ braio 1917. Questi consigli ispirarono la formazione di analoghe organizzazioni spontanee nella rivoluzio¬ ne tedesca del 19186, e, in una misura alquanto minore, nel corso delle agitazioni sociali verificatesi in Inghilterra, Francia, Italia e Ungheria. Con il si¬ stema consiliare nasceva una forma organizzativa ca¬ pace di dirigere e coordinare — per scopi limitati o per obiettivi rivoluzionari — le autonome attività di masse molto vaste, in piena indipendenza, in oppo¬ sizione, o in collaborazione con le organizzazioni ope¬ raie esistenti. Cosa più importante di tutte, l’emer¬ gere del sistema consiliare provò che i movimenti spontanei non si risolvevano necessariamente in in¬ formi tentativi di massa, ma potevano produrre strut¬ ture organizzative non meramente temporanee. IL II 1905 Sebbene prima della rivoluzione russa del 1905 ci fossero state sporadiche organizzazioni sorte sul luogo di lavoro, il loro pieno significato fu ricono¬ sciuto soltanto nel corso della vicenda rivoluzionaria. I consigli — o soviet — sorsero da una serie di scioperi, e dal bisogno, da questi emerso, di comitati di azione e di rappresentanza per trattare con le a- ziende interessate e con le autorità statali. Gli scio¬ peri, risultato di condizioni di vita della popolazione lavoratrice sempre più intollerabili, furono spontanei nel senso che non furono indetti da organizzazioni politiche o sindacali, ma furono lanciati da operai non organizzati, i quali per agire non avevano altra 6 Per il ruolo dei consigli operai nella rivoluzione te¬ desca vedi Peter von Oertzen, Betriebsräte in der Novem¬ berrevolution, Düsseldorf 1963.
CONSIGLI E PARTITO 67 scelta che utilizzare come trampolino e centro dei loro sforzi organizzativi il loro luogo di lavoro. Nel¬ la Russia del tempo le organizzazioni politiche non esercitavano ancora alcuna reale influenza sulla mas¬ sa degli operai, e i sindacati non esistevano che in forma embrionale. Va però aggiunto che lo sviluppo e delle organizzazioni socialiste e dei sindacati rice¬ vette un grande impulso proprio dagli scioperi spon¬ tanei e dalle successive agitazioni. Nel 1905 c’erano nella Russia zarista circa tre milioni di operai industriali. Oltre due milioni par¬ teciparono nel corso dell’anno ad un’ondata di scio¬ peri che, intervenendo in una situazione di crisi so¬ ciale generale, ulteriormente aggravata dalla sconfitta della Russia nella guerra contro il Giappone, assun¬ sero ben presto un carattere politico. Benché coin¬ volgesse strati non proletari della popolazione, e an¬ che segmenti delle masse rurali, dell’esercito e della marina, la rivoluzione trovò il suo punto di forza decisivo negli operai in sciopero delle grandi città, e specialmente di Pietroburgo e Mosca. Essenzialmente la rivoluzione del 1905, natural¬ mente, fu una rivoluzione borghese, appoggiata dalla borghesia liberale per spezzare l’assolutismo zarista e aprire alla Russia, mediante la convocazione di un'Assemblea costituente, la via verso le condizioni già in atto nei paesi capitalistici più avanzati. Nella misura in cui pensavano in termini politici, gli ope¬ rai in sciopero condividevano largamente il program¬ ma della borghesia liberale. E lo stesso vale per tutti i partiti socialisti esistenti, i quali accettavano la ne¬ cessità di una rivoluzione borghese come pre-condi- zione della formazione di un forte movimento ope¬ raio e di una futura rivoluzione proletaria, possibile soltanto in più avanzate condizioni economiche e so¬ ciali. I soviet erano visti come strumenti temporanei in una lotta che mirava da un lato a soddisfare spe¬
68 PAUL MATTICK cifiche rivendicazioni operaie, e dall’altro ad instau¬ rare una società democratico-borghese. Di tutti i soviet nati in Russia nel corso degli eventi rivoluzionari, il Soviet di Pietroburgo, durato dall’ottobre al dicembre 1905, fu forse il più rap¬ presentativo. Esso trovò il suo primo storico in Lev Trockij, che era stato uno dei suoi dirigenti. Trockij vide nei soviet « la risposta ad una esigenza ogget¬ tiva... per una organizzazione che fosse autorevole senza avere una tradizione, che abbracciasse imme¬ diatamente le grandi masse disperse senza subire gli intoppi dell’organizzazione... che fosse capace di pren¬ dere l’iniziativa, che controllasse automaticamente se stessa e, soprattutto, che potesse sorgere dal nulla in non più di ventiquattro ore »7. I soviet attirarono la parte più matura — e quin¬ di, in linea generale, politicamente più avvertita — della popolazione lavoratrice, e trovarono appoggio nelle organizzazioni socialiste e nei nascenti sinda¬ cati. I soviet cittadini comprendevano i delegati del¬ le varie fabbriche, costituendo cosi una sorta di « par¬ lamento operaio », e avevano un comitato esecutivo. I delegati potevano esser revocati in qualsiasi mo¬ mento. Rispetto alle organizzazioni socialiste, i soviet erano neutrali: esse erano autorizzate ad inviare le loro delegazioni, che potevano esprimere la loro opi¬ nione, ma non avevano diritto di voto. La differen¬ za tra queste organizzazioni tradizionali e i soviet fu riassunta da Trockij nell’osservazione che i partiti « erano organizzazioni nel proletariato... Il soviet di¬ venne invece subito un’organizzazione del proleta¬ riato »8. 7 Russland, in der Revolution, Dresden 1909, p. 82. [Ab¬ biamo utilizzato, qui e in seguito L. Trockij, 1905, a cura di V. Zilli, Firenze 1971 (le righe qui citate sono a p. 110). Come è noto, in 1905 Trockij rifuse, aggiungendovi altri scritti, il libro del 1909. N.d.T.]. 8 Ivi, p. 228 [trad, cit., p. 248].
CONSIGLI E PARTITO 69 La rivoluzione russa del 1905 rinvigorì le oppo¬ sizioni di sinistra nei partiti socialisti dell’Occidente, ma più per la spontaneità dei suoi scioperi di massa che per la forma organizzata assunta da queste azio¬ ni9. Non mancò però qualche eccezione. Anton Pan- nekoek, ad esempio, si disse convinto che con gli scioperi di massa e i soviet « le masse passive diven¬ tano attive, e la classe operaia diviene un organismo indipendente che tealizza la propria unificazione. Nel suo momento conclusivo, questo processo rivoluzio¬ nario dà luogo ad un’entità altamente organizzata e fornita di coscienza di classe, pronta ad assumere il controllo della società e a trasferire nelle proprie mani la direzione del processo produttivo » 10 11. Ciononostante, l’atteggiamento positivo verso la esperienza russa non arriva ancora a trasformarsi nel rifiuto dei metodi parlamentari dei partiti riformisti della Seconda Internazionale. Per Lenin, i soviet del 1905 « sono gli organi della lotta di massa immediata. Sono sorti come or¬ gani della lotta mediante lo sciopero. La necessità li ha spinti a diventare molto rapidamente organi della lotta rivoluzionaria generale contro il governo... Non una qualche teoria, non gli appelli di qualcuno, non una tattica inventata da qualcuno, non la dottrina di un partito, ma la forza delle cose ha condotto questi organi apartitici di massa alla convinzione della ne¬ cessità dell’insurrezione ed ha fatto di essi gli organi dell’insurrezione »11. 9 Vedi ad esempio R. Luxemburg, Massenstreik, Partei und Gewerkschaften, Hamburg 1906. 10 Massenaktion und Revolution, in « Die Neue Zeit », XXX, Bd. 2, pp. 545, 550. 11 Die Auflösung der Duma und die Aufgaben des Pro¬ letariats (1906), in Ausgewählte Werke, Bd. III, 1932, p. 371 [trad. it. Lo scioglimento della Duma e i compiti del proletariato, in V.I. Lenin, Opere complete, 45 voli., Roma 1955-1970, voi. XI (giugno 1906-gennaio 1907), p. 112].
70 PAUL MATTICK Se da un lato vedeva nei soviet « gli embrioni del governo provvisorio », che « si sarebbero inevi¬ tabilmente impadroniti del potere se l’insurrezione fosse stata vittoriosa », ed affermava la necessità di « spostare il centro di gravità appunto sullo studio di questi organi embrionali del nuovo potere che la storia ci ha dato, sullo studio delle condizioni che possono garantire il loro lavoro e il loro sucesso » u, dall’altro Lenin continuava ad insistere sulla indivisa leadership rivoluzionaria del Partito socialdemocrati¬ co. Per lui « Il soviet dei deputati operai non è (...) un organo di autogoverno proletario; in generale non è un organo di autogoverno, ma un’organizzazione di lotta per il raggiungimento di determinati fini »13. Se « il POSDR non si è mai rifiutato di utilizzare (...) determinate organizzazioni apartitiche, come i soviet dei deputati operai », lo ha fatto « per raffor¬ zare l’influenza della socialdemocrazia sulla classe ope¬ raia e intensificare il movimento operaio socialde¬ mocratico »14. III. Il 1917 Lenin concepiva la rivoluzione russa come un processo che conduceva senza soluzioni di continuità dalla rivoluzione borghese alla rivoluzione socialista. Egli temeva che la borghesia propriamente detta avrebbe preferito un compromesso con lo zarismo n Ivi, p. 375 [trad, cit., p. 115]. 13 Sozialismus und Anarchismus (1905), ivi, p. 335 [trad, it. Socialismo e anarchia, in Lenin, Opere complete cit., voi. X (novembre 1905-giugno 1906), p. 62]. 14 Aus den Resolutionsentwurfen für den 5. Parteitag der SD APR, ivi, p. 477 [trad. it. Progetti di risoluzione per il quinto congresso del POSDR, in Lenin, Opere complete cit., voi. XII (gennaio - giugno 1907), p. 129].
CONSIGLI E PARTITO 71 piuttosto che rischiare una rivoluzione compiutamen¬ te democratica. Spettava dunque agli operai e ai con¬ tadini poveri assumere la guida della rivoluzione in¬ combente. Era un punto di vista condiviso da altri osservatori della scena russa, come Trockij e Rosa Luxemburg. Nel contesto della prima guerra mon¬ diale, Lenin guardò alla rivoluzione russa da un’an¬ golazione internazionale, contemplando la possibilità di una sua estensione ad occidente, la quale avrebbe potuto a sua volta fornire la possibilità di distrug¬ gere il dominio borghese in Russia proprio sul na¬ scere. Ma, quale che ne fosse lo sbocco, il Partito bolscevico doveva tentare di dominare il corso della rivoluzione per spingerlo il più in avanti possibile in direzione del socialismo, o quanto meno verso la realizzazione di una trasformazione radicale in senso democratico-borghese della società zarista. Dopo il 1906 l’iniziativa socialista era passata di nuovo nelle mani dei partiti politici e dei sindacati, che andavano sviluppandosi. Queste organizzazioni avevano guardato ai soviet come a meri surrogati di più efficaci organismi operai a carattere perma¬ nente. Accettando la rivoluzione democratico-borghe¬ se come la tappa successiva nello sviluppo russo, i socialisti riformisti pensavano che, in condizioni che consentissero l’esistenza legale e la crescita delle or¬ ganizzazioni operaie tradizionali, non ci sarebbe più stato bisogno dei soviet. Il caso dei bolschevichi era diverso: data la loro disponibilità a prendere il po¬ tere entro la cornice di una rivoluzione borghese, per essi l’esperienza dei soviet restava un problema. Considerandosi l’avanguardia del proletariato, e con¬ siderando quest’ultimo l’avanguardia di una « rivo¬ luzione popolare », i bolscevichi riconoscevano che la conquista del potere avrebbe richiesto non soltanto il partito rivoluzionario, ma anche organizzazioni di massa sul tipo appunto dei soviet. Ma fu solo nel 1917 che il concetto della dittatura del proletariato
72 PAUL MATTICK attraverso i soviet divenne, per un certo tempo, la linea ufficiale del Partito bolscevico. Anche la rivoluzione di febbraio fu il risultato di movimenti spontanei di protesta contro le condi¬ zioni sempre più intollerabili del tempo di guerra. Scioperi e dimostrazioni crebbero d’intensità sino a sboccare in un’insurrezione generale, ^che trovò l’ap¬ poggio di alcune unità militari e condusse al crollo dello zarismo. Dietro la rivoluzione stavano vasti strati borghesi, e da questo settore nacque il primo Governo provvisorio. Benché non avessero avuto par¬ te nell’avviare il processo rivoluzionario, partiti so¬ cialisti e sindacati giocarono stavolta un ruolo mag¬ giore che nel 1905. Come già allora, anche nel 1917 i soviet da principio non mirarono a sostituire il Governo provvisorio. Ma, a mano a mano che la vicenda rivoluzionaria si svolgeva, l’ambito delle loro responsabilità si allargò; in pratica, il potere venne a trovarsi diviso tra i soviet e il governo. L’ulteriore radicalizzazione del movimento, dovuta all’aggravarsi della situazione e al carattere oscillante della politica dei partiti socialisti e borghesi, diede ben presto ai bolscevichi la maggioranza nei soviet più importanti, e condusse alla fine al colpo di Stato dell’ottobre, che chiuse la fase democratico-borghese della rivo¬ luzione. Poiché i soldati passavano alla rivoluzione, i pri¬ mi soviet si trovarono composti da consigli dei sol¬ dati e degli operai, in cui i primi erano la grande maggioranza. Per fare un esempio, nella seconda metà del marzo 1917 il Soviet di Pietrogrado aveva 3.000 delegati, di cui 2.000 soldati. Nel 1917 l’in¬ fluenza dell’intellighenzia rivoluzionaria fu molto mag¬ giore rispetto al 1905, come può vedersi dal fatto che sui 42 membri del Comitato esecutivo del Soviet di Pietrogrado soltanto 7 erano operai di fabbrica. Politicamente, menscevichi e socialisti-rivoluzionari furono dapprima predominanti. Nel Soviet di Pietro-
CONSIGLI E PARTITO 73 grado la frazione bolscevica contava 40 delegati su tremila. Ma nel settembre 1917 i bolscevici avevano già conquistato la maggioranza. La forma crescente dei bolscevici nel corso della vicenda rivoluzionaria fu dovuta al loro incondizio¬ nato adattarsi agli obiettivi reali delle masse in ri¬ volta. A parte rivendicazioni immediate relative ai bisogni più drammaticamente urgenti, queste doman¬ davano la fine della guerra e l’espropriazione e di¬ stribuzione dei latifondi. La rivoluzione russa fu al contempo borghese, proletaria e contadina; ma fu il suo aspetto contadino ad assicurarne il successo. Sui 174 milioni della popolazione totale, soltanto 24 vi¬ vevano nelle città, e le sterminate masse contadine furono spinte dalle loro terribili condizioni di vita ad allearsi con il proletariato industriale. La borghe¬ sia, pronta ad attuare una serie di riforme agricole, non era però disposta ad accettare l’espropriazione senza compenso dei grandi proprietari fondiari, per¬ ché ne sarebbe uscito violato quel principio della pro¬ prietà privata su cui poggiava il suo stesso dominio. E neppure era disposta a chiedere comunque la pace, poiché continuava a sperare in una vittoria alleata e in una partecipazione alla divisione del bottino di guerra. I bolscevichi erano invece per la fine imme¬ diata della guerra e per la distribuzione della terra ai contadini. E poiché i soldati erano in maggioranza di origini contadine, i consigli dei soldati non meno dei consigli degli operai trasferirono la loro adesione dai partiti borghesi e socialriformisti ai bolscevichi. Gli interessi contadini erano stati rappresentati prevalentemente dal Partito socialista rivoluzionario, organizzatosi nel 1905 a partire da un certo numero di gruppi populisti. Le teorie populiste15 agitarono 15 Tra i fondatori del movimento populista furono Her¬ zen e CemySevskij. Bakunin, Lavrov e Tkaéév influenzarono
74 PAUL MATTICK la Russia dal 1860 circa alla fine del secolo. Esse poggiavano sull’idea che la Russia potesse eludere lo sviluppo del capitalismo attraverso una rivoluzione sociale basata sulla comunità di villaggio tradizionale (il mir). Il programma agrario socialista-rivoluziona¬ rio chiedeva la nazionalizzazione di tutta la terra e la sua distribuzione su base egualitaria sotto il con¬ trollo di comuni di villaggio democraticamente elette. Ciò doveva realizzarsi entro la cornice di una repub¬ blica democratica basata sul suffragio universale e su una struttura federativa. Come negli altri partiti so¬ cialisti, anche tra i socialisti-rivoluzionari si forma¬ rono una destra e una sinistra, e durante la prima guerra mondiale il partito si scisse in un’ala di so¬ stenitori della presunta guerra difensiva e un’ala di oppositori intransigenti. Da un punto di vista marxiano il programma dei socialisti-rivoluzionari era uotpistico. Il marxismo fa¬ vorisce la produzione su larga scala, che presuppone la liquidazione dell’azienda individuale contadina. Poi¬ ché contempla il socialismo come successore del ca¬ pitalismo, e poiché anzi nella sua concezione è lo stesso capitalismo a sbarazzarsi della piccola agricol¬ tura contadina, il marxismo si attendeva che la que¬ stione contadina sarebbe stata in gran parte risolta all’interno della fase capitalistica, e non avrebbe quin¬ di più posto grossi problemi alla fase socialista. La precoce opposizione di Lenin al populismo e ai suoi eredi socialisti-rivoluzionari poggiava sulla convinzio¬ ne che una distribuzione egualitaria della terra ai con¬ tadini fosse irrealistica, e non avrebbe condotto ad alcuna specifica forma russa di socialismo. Egli fa¬ voriva certo la liquidazione dei latifondi feudali ba¬ sati sulla servitù, ma al fine di affrettare lo sviluppo il movimento, ch’era organizzato in società segrete, come « Terra e libertà », il Circolo Cenysevskij e « La Volontà del popolo ».
CONSIGLI E PARTITO 75 dell’agricoltura capitalistica, la quale avrebbe con¬ dotto ad una nuova concentrazione — ma più « pro¬ gressiva » — della proprietà fondiaria. « Dal giogo del capitale i piccoli contadini possono liberarsi — scrisse — solo schierandosi al fianco del movimento operaio, appoggiandolo nella sua lotta per un ordi¬ namento socialista, per trasformare la terra, come an¬ che gli altri mezzi di produzione (fabbriche, officine, macchine, ecc.), in proprietà sociale. Cercare di sal¬ vare i contadini difendendo la piccola azienda e la piccola proprietà dall’assalto del capitalismo vorrebbe dire frenare inutilmente lo sviluppo sociale » 16. Ma i contadini erano attirati dal programma dei socialisti-rivoluzionari, e non da quello marxista. Pro¬ grammi a parte, c’è poi il fatto che subito dopo la rivoluzione di febbraio i contadini cominciarono ad espropriare e dividere la terra per conto loro. Fino a quel momento il Governo provvisorio aveva pre¬ stato scarsa attenzione alla questione contadina; solo ora, sotto la pressione delle sollevazioni nelle cam¬ pagne, cominciò a considerarla seriamente. Ma tutto quel che tirò fuori furono indicazioni assai vaghe cir¬ ca l’espropriazione e la distribuzione della terra, la cui attuazione era per di più rinviata alla futura As¬ semblea costituente. Poiché menscevichi e socialisti- rivoluzionari erano ora rappresentati in seno al Go¬ verno provvisorio, l’atteggiamento ambiguo e l’iner¬ zia di questo in campo agrario costò a tali partiti l’appoggio dei contadini. « Abbiamo vinto in Russia — avrebbe detto Lenin più tardi — e abbiamo vinto con tanta facilità perché avevamo preparato la nostra rivoluzione du¬ rante la guerra imperialistica... Vi erano in Russia 16 The Workers Party and the Peasantry (1901), in Col¬ lected Works, Moscow, voi. IV, 1960, p. 422 [trad. it. Il partito operaio e i contadini, in Lenin, Opere complete cit, voi. IV (febbraio 1898 - febbraio 1901), pp. 459-60].
76 PAUL MATTICK dieci milioni di operai e contadini armati la nostra parola d’ordine era: pace immediata, ad ogni costo. Abbiamo vinto perché masse grandissime di conta¬ dini erano animate da spirito rivoluzionario contro i grandi proprietari fondiari. I socialisti-rivoluzionari... propugnavamo i mezzi rivoluzionari, ma... non ave¬ vano coraggio a sufficienza per agire in modo rivo¬ luzionario... Abbiamo vinto in Russia, non soltanto perché avevamo con noi la maggioranza incontesta¬ bile della classe operaia... ma anche perché la metà dell’esercito, subito dopo la presa del potere, fu con noi, e i nove decimi dei contadini, nello spàzio di alcune settimane, passarono dalla nostra parte; ab¬ biamo vinto perché non abbiamo preso il nostro pro¬ gramma agrario, ma quello dei socialisti-rivoluzionari e lo abbiamo attuato praticamente » 17. Già al suo arrivo in Russia, nell’aprile 1917, Le¬ nin chiarì che per lui l’esistenza dei soviet rendeva superata l’aspirazione ad un regime democratico-bor¬ ghese. A questo si doveva sostituire una repubblica di consigli degli operai e dei contadini. Ma, dete¬ nendo tuttora menscevichi e socialisti-rivoluzionari, impegnati sull’obiettivo dell’Assemblea costituente, la maggioranza in seno ai soviet, tutto quel che per il momento i bolsceviohi potevano fare era criticare il Governo provvisorio e adoperarsi per modificare (o attendere comunque che si modificasse) la composi¬ zione dei soviet. Nella misura in cui questi conti¬ nuavano a collaborare con il governo, Lenin vedeva in tale politica una volontaria rinuncia al potere sta¬ tale a favore della borghesia; e ad una siffatta auto¬ 17 Discorso in difesa della tattica dell’Internazionale Co¬ munista al Terzo Congresso dell’IC (luglio 1921), in Against Dogmatism and Sectarianism in Working-class Movement, Mo¬ scow 1965, pp. 179-81 [trad. it. Discorso in difesa della tattica dell’Internazionale Comunista, in Lenin, Opere com¬ plete cit., voi. XXXII (dicembre 1920-agosto 1921), p. 449].
CONSIGLI E PARTITO 77 liquidazione si oppone con lo slogan « Tutto il po¬ tere ai soviet ». Non certi peraltro della piega che gli eventi avrebbero assunto all’interno dei soviet, i bolscevichi si riservarono il diritto di partecipare al futuro regime parlamentare, come mostrano la tem¬ poranea freddezza manifestata verso il potere consi¬ liare e i preparativi fatti in vista dell’Assemblea co¬ stituente. Gli eventi favorirono i bolscevichi. Al primo Con¬ gresso panrusso dei soviet (giugno 1917), i bolsce¬ vichi controllavano il 13 per cento dei 790 delegati; al secondo (ottobre 1917, e 675 delegati) controlla¬ vano il 51 per cento dell’assemblea. E già nel set¬ tembre avevano la maggioranza nei Soveit di Pietro- grado e di Mosca. Va notato che Lenin avrebbe co¬ munque sostenuto la presa del potere anche se la situazione fosse stata diversa: « I bolscevichi — scrisse — sarebbero degli ingenui se attendessero di avere ’formalmente’ la maggioranza: nessuna rivo¬ luzione aspetta questo » 18. Malgrado l’opposizione presente all’interno stesso del partito, Lenin chiedeva un’insurrezione armata prima che venisse convocato il secondo Congresso panrusso dei soviet. L’insurre¬ zione doveva sloggiare il Governo provvisorio e con¬ segnare tutto il potere, per il tramite dei soviet ad egemonia bolscevica, nelle mani del Partito bolscevico. A questo fine il Soviet di Pietrogrado organizzò un Comitato militare rivoluzionario sotto la direzione di Trockij, ohe passò all’azione il 25 ottobre. Nel giro di poche ore dal colpo di Stato, Lenin poteva dichia¬ rare l’avvenuta vittoria della rivoluzione operaia e contadina, e più tardi nello stesso giorno ottenne l’approvazione del Congresso panrusso dei soviet, fa¬ 18 Lettera al Comitato centrale e ai comitati di Pietro¬ grado e di Mosca del POSDR (settembre 1917), in Ausge¬ wählte Werk cit., Bd. VI, p. 216, trad. it. I bolscevichi devono prendere il potere, in Lenin, Opere complete cit., voi. XXVI (settembre 1917 - febbraio 1918), p. 11].
78 PAUL MATTICK cilitata dal fatto che socialisti-rivoluzionari di destra e menscevichi avevano abbandonato l’assemblea per protestare contro il colpo di Stato. L’indomani il primo governo degli operai e dei contadini era for¬ mato. Quando insisteva per la preparazione del colpo di Stato, Lenin aveva in mente non l’assunzione del potere statale da parte dei soviet, ma la gestione di¬ retta del potere da parte dei bolscevichi. Con una maggioranza nei soviet di deputati bolscevichi o filo- bolscevichi, egli dava per scontato che il governo for¬ mato dai soviet sarebbe stato un governo bolscevico. E naturalmente così fu, anche se del nuovo governo fecero parte alcuni socialisti e socialisti-rivoluzionari di sinistra. Ma perché il controllo bolscevico del go¬ verno potesse continuare, operai e contadini dovevano continuare ad eleggere ai loro soviet deputati bolsce¬ vichi. E di ciò non v’era alcuna garanzia. Mensce¬ vichi e socialisti-rivoluzionari, una volta in maggio¬ ranza, s’erano ritrovati minoranza; e la stessa cosa poteva avvenire ai bolscevichi. Mantenere indefinita¬ mente il potere significava assicurare al Partito bol¬ scevico il monopolio del governo. Ma, se da un lato assimilava il potere sovietico al potere del Partito bolscevico, dall’altro Lenin non scorgeva nel monopolio governativo di questo altro che la realizzazione del dominio dei soviet. Dopo tutto, la scelta era soltanto tra il capitalismo democratico e un governo degli operai e dei contadini capace di impedire il ritorno del dominio borghese. Era quindi necessario far sì che i soviet non potessero favorire il ritorno alle istituzioni politiche borghesi e ad una economia di mercato capitalistica. Lasciati a se stessi, i soviet erano capacissimi di abdicare alle loro posizio¬ ni di potere perché allettati dalle promesse della bor¬ ghesia liberale e dei suoi alleati socialriformisti. Per¬ ché il carattere « socialista » della rivoluzione fosse as¬ sicurato, occorreva dunque che i soviet rimanessero
CONSIGLI E PARTITO 79 soviet bolscevichi, anche se ciò avesse richiesto la soppressione, dentro e fuori il sistema sovietico, di tutte le forze antibolsceviche. In breve tempo, il regime sovietico divenne pertanto la dittatura del Partito bolscevico, e solo per mascherare questa realtà i soviet, svirilizzati, furono mantenuti formalmente in vita. Dapprincipio i bolscevichi si mossero peraltro con una certa cautela, sottolineando. la natura democra¬ tica del loro nuovo regime e la loro disponibilità ad accettare le decisioni delle masse popolari anche quan¬ do non li trovavano d’accordo. Non sconfessarono immediatamente le elezioni per l’Assemblea costitu¬ ente, che diedero una larga maggioranza ai socialisti- rivoluzionari, e misero in minoranza i bolschevichi. Ma, nonostante il successo elettorale, i socialisti-ri¬ voluzionari non erano un partito unito. L’ala sinistra era più vicina ai bolscevichi che all’ala destra del suo stesso partito. Mentre si svolgevano le elezioni per l’Assemblea costituente, era in sessione un Congres¬ so panrusso dei deputati contadini. Qui si verificò una scissione all’interno del Partito socialista-rivolu¬ zionario, la cui ala sinistra formò una coalizione con i bolscevichi. I risultati elettorali avevano chiarito che l’Assemblea costituente avrebbe distrutto il do¬ minio politico dei bolscevichi, e con esso le conquiste della rivoluzione. Pertanto i bolscevichi, con il con¬ senso dei socialisti-rivoluzionari di sinistra e di una parte della sinistra socialista, semplicemente sciolsero l’Assemblea. I bolscevichi avevano vinto con lo slogan « Tutto il potere ai soviet »; ma il governo bolscevico ne ri¬ dusse il contenuto al « controllo operaio ». Dai lavo¬ ratori non ci si attendeva che amministrassero le im¬ prese industriali (tuttora nelle mani dei capitalisti), ma semplicemente che vi sovrintendessero. Il primo decreto sul controllo operaio stabiliva eh’esso si esten¬ deva « alla produzione, conservazione e compraven¬
80 PAUL MATTICK dita di materie prime e prodotti finiti, nonché al fi¬ nanziamento delle imprese. I lavoratori esercitano questo controllo mediante le loro organizzazioni elet¬ tive, come i comitati di fabbrica e di reparto, i rap¬ presentanti eletti nei soviet, ecc. Anche gli impiegati degli uffici e il personale tecnico debbono esser rap¬ presentati in questi comitati... Gli organi del con¬ trollo operaio hanno il diritto di dirigere la produ¬ zione. I segreti commerciali sono aboliti. I proprie¬ tari debbono mostrare agli organi del controllo ope¬ raio tutti i libri e i documenti relativi all’anno in corso e all’anno precedente » ,9. Ma produzione capitalistica e controllo operaio sono incompatibili; e questa soluzione improvvisata, con cui i bolscevichi speravano di conservare la col¬ laborazione degli organizzatori capitalisti del processo produttivo, e soddisfare tuttavia al tempo stesso l’ar¬ dente desiderio degli operai di prender possesso del¬ l’industria come i contadini avevano fatto per la terra, non poteva durare a lungo. « Noi non decre¬ tammo immediatamente, d’un colpo, il socialismo nel¬ l’intero campo industriale — spiegò Lenin qualche mese dopo il decreto sul controllo operaio — perché il socialismo può prender forma e infine costituirsi soltanto quando la classe operaia ha imparato a ge¬ stire l’economia... Questa è la ragione che ci ha in¬ dotto ad introdurre il controllo operaio, ben sapendo che si trattava di una misura contraddittoria e par¬ ziale. Ma consideriamo sommamente importante e prezioso il fatto che i lavoratori hanno preso diretta- mente di petto il problema, e che dal controllo ope¬ raio, che nelle industrie principali doveva fatalmente rivelarsi caotico, dilettantistico e parziale, siamo pas- 1919 J. Bunyan e H.H. Fischer, The Bolshevik Revolu¬ tion, 1917-1918, Stanford 1934.
CONSIGLI E PARTITO 81 sati all’amministrazione operaia dell’attività produt¬ tiva su tutto il territorio nazionale » 20. Ma il mutamento dal « controllo » all’« ammini¬ strazione » finì con il comportare l’abolizione di en¬ trambi. Certo, come l’opera di esautoramento dei soviet prese un certo tempo, perché richiese la for¬ mazione e il consolidamento dell’apparato statale bol¬ scevico, così l’influenza diretta degli operai nelle fab¬ briche e nelle officine fu eliminata solo gradualmente, attraverso metodi quali il trasferimento dei diritti di controllo dai soviet ai sindacati, e la successiva tra¬ sformazione di questi in organismi statali incaricati non più di esercitare il controllo operaio, ma piut¬ tosto di controllare gli operai. Il collasso economico, la guerra civile, l’opposi¬ zione contadina, le agitazioni nell’industria e il par¬ ziale ritorno a relazioni di mercato condussero il go¬ verno ad una varietà di politiche, dalla « militariz¬ zazione del lavoro » alla sua subordinazione a rinate libere imprese. L’obiettivo era di assicurare ad ogni costo l’esistenza del regime bolscevico. Nella conce¬ zione di Lenin, era essenziale tenersi stretti al potere a prezzo di qualsiasi compromesso o violazione dei principi, finché una rivoluzione in Occidente non venisse ad aggiungersi a quella russa, consentendo il costituirsi di una collaborazione intemazionale en¬ tro il cui quadro l’obiettiva impreparazione della Rus¬ sia ai fini del socialismo avrebbe contato meno. Il persistente isolamento della rivoluzione russa cancel¬ lò questa prospettiva. Rimanere al potere nella situa¬ zione effettivamente determinatasi significava accet¬ tare il « molo storico » della borghesia, ma con isti¬ tuzioni sociali e un’ideologia differenti. Contro al go¬ verno dittatoriale stavano non soltanto i suoi nemici — capitalisti e oppositori politici — ma anche gli 20 Questions of the Socialist Organization of the Eco¬ nomy, Moscow, p. 173.
82 PAUL MATTICK operai. L’esigenza prioritaria era l’incremento della produzione; e poiché le mere esortazioni non pote¬ vano bastare ad indurre gli operai a sfruttarsi da sé più che nel passato, lo Stato bolscevico assunse, al fine di ricostruire l’economia e accumulare i capitali necessari, le funzioni di nuova classe dominante. Naturalmente, tenersi stretti al potere era ormai indispensabile ai bolscevichi anche solo per salvare la pelle. Ma, a parte questo, Lenin era persuaso che l’accumulazione avrebbe avuto, se condotta sotto gli auspici dello Stato, un carattere più « progressivo », e che quindi questa via era preferibile al lasciare lo sviluppo nelle mani di una borghesia liberale. Era anche convinto che il suo partito fosse all’altezza del compito. La Russia, aveva detto una volta, « era abi¬ tuata ad esser governata da 150.000 proprietari ter¬ rieri. Perché 240.000 bolscevichi non potrebbero as¬ sumersi il compito di governarla? »21. E in effetti 10 fecero, costruendo uno Stato gerarchico ed auto¬ ritario ed estendendone la giurisdizione alla sfera eco¬ nomica; e ciò malgrado insistendo tutto il tempo che il controllo economico dello Stato significava con¬ trollo economico del proletariato. Il che non impedì a Lenin di dichiarare che « qualsiasi grande industria meccanica — cioè appunto la fonte materiale, pro¬ duttiva e il fondamento del socialismo — esige una assoluta e rigorosissima unità di volontà, che diriga 11 lavoro comune di centinaia, migliaia e decine di migliaia di uomini... Ma come può essere assicurata la più rigorosa unità di volontà? Con la sottomissio¬ ne della volontà di migliaia di persone alla volontà di uno solo. Se i partecipanti al lavoro comune dan¬ no prova di una coscienza e di uno spirito di disci¬ plina ideali, questa sottomissione può ricordare più che altro la direzione delicata di un direttore d’or¬ chestra. Se non c’è questa disciplina e questa coscien- Sämtliche Werke, XXI, p. 336.
CONSIGLI E PARTITO 83 za ideale, può assumere le dure forme della ditta¬ tura. Ma, in un modo o nell’altro, la sottomissione senza riserve ad un’unica volontà è assolutamente ne¬ cessaria per il successo dei processi di lavoro orga¬ nizzati sul modello della grande industria mecca¬ nica »22. Se prendiamo sul serio questa affermazione, dob¬ biamo concludere che coscienza e spirito di disciplina mancarono totalmente in Russia, giacché il controllo della produzione, e della vita sociale in generale, vi assunse forme dittatoriali che vanno oltre tutto ciò che è stato sperimentato nei paesi capitalistici, e che hanno escluso, e ancor oggi escludono, la benché minima autodeterminazione operaia. IV. La Comune di Parigi Che il processo rivoluzionario russo sia sboccato in un capitalismo di Stato autoritario, non modifica il fatto ch’erano stati i soviet a rovesciare e lo zarismo e la borghesia. Se non riuscirono a mantenere il con¬ trollo del proprio destino, ciò fu dovuto principal¬ mente all’oggettiva generale impreparazione della Rus¬ sia ai fini di uno sviluppo socialista. Ma giovò anche il fatto che né i soviet né i partiti socialisti sapevano come muoversi per organizzare una società socialista. Non c’era alcun precedente storico, e la teoria mar¬ xiana non s’era occupata sul serio né della presa del potere né delle forme organizzative del susseguente processo di socializzazione. E’ però vero che, in un senso molto generale, si era postulato che lo Stato socialista sarebbe divenuto il guardiano delle risorse 22 Questions of the Socialist Organization of the Eco¬ nomy dt., p. 127 [trad, it., I compiti immediati del potere sovietico, in Lenin, Opere complete dt., voi. XXVII (feb¬ braio-luglio 1918), p. 240].
84 PAUL MATTICK produttive della società, e il regolatore della sua vita economica riguardo sia alla produzione che alla di¬ stribuzione. Solo in una fase di sviluppo ulteriore questo assetto avrebbe ceduto il passo ad una libera associazione dei produttori socializzati e all’estinzione dello Stato. I sindacalisti la pensavano naturalmente in modo diverso, poiché temevano che lo Stato, con i suoi controlli centralizzati, avrebbe finito semplicemente col perpetuare se stesso, impedendo l’autodetermina¬ zione della popolazione lavoratrice. Avevano in men¬ te — benché, anch’essi, in modo assai vago — una società in cui ciascuna industria sarebbe stata diretta dai suoi operai. Tutti i diversi sindacati industriali si sarebbero volontariamente uniti per costituire fe¬ derazioni nazionali, le quali non avrebbero avuto il carattere di un governo, ma avrebbero semplicemente assolto le funzioni statistiche e amministrative ne¬ cessarie alla realizzazione di un sistema produttivo c distributivo collettivistico. Se è vero che mancavano i precedenti in materia di esperimenti socialisti, le rivoluzioni passate con¬ servavano però una certa importanza per la Russia, che non aveva ancora completato la sua rivoluzione borghese. Dopo il 1905 apparve chiaro che una ri¬ voluzione democratica poteva riuscire soltanto come rivoluzione operaia, anche se il proletariato indu¬ striale restava una piccola minoranza rispetto alla po¬ polazione totale. Sulla traccia di Marx ed Engels, i marxisti russi si rifecero in genere alla Comune di Parigi come ad un esempio di rivoluzione della classe operaia effettuata in condizioni analogamente sfavo¬ revoli. Trockij, tra gli altri, scrisse che « non è esclu¬ so che in un paese arretrato, con uno sviluppo capi¬ talistico meno avanzato, il proletariato arrivi alla su¬ premazia politica prima che in uno Stato capitalistico altamente sviluppato. Avvenne così che nel 1871, nella Parigi borghese, il proletariato assunse consa¬
CONSIGLI E PARTITO 85 pevolmente nelle sue mani il governo dei pubblici affari. E’ vero che il regno del proletariato durò soltanto due mesi; ma è notevole che in Inghilterra o negli Stati Uniti, entrambi paesi di gran lunga più avanzati, Ü proletariato non sia mai stato al potere neppure per un giorno » a. Anche Lenin trovò nella Comune parigina un ar¬ gomento a favore del suo atteggiamento circa la que¬ stione della rivoluzione russa e della dittatura sovie¬ tica. Rifacendosi a Marx, scrisse che la Comune pa¬ rigina aveva mostrato — e qui stava la sua grande lezione — che il proletariato non può limitarsi ad impossessarsi dello Stato borghese, ma deve distrug¬ gerlo e sostituirlo con un nuovo Stato proletario, o semi-Stato, il quale comincia ad estinguersi nel mo¬ mento stesso in cui al dominio di una minoranza (proprio della società borghese) succede il dominio della maggioranza. « Una volta abbattuti i capitalisti — leggiamo in Stato e rivoluzione — spezzata con la mano di ferro degli operai armati la resistenza di questi sfruttatori, demolita la macchina burocratica dello Stato attuale, avremo davanti a noi un mec¬ canismo mirabilmente attrezzato dal punto di vista tecnico, sbarazzato dal ’ parassita ’, e che i lavoratori uniti possono essi stessi benissimo far funzionare as¬ sumendo tecnici, sorveglianti, contabili e pagando il lavoro di tutti costoro, come quello di tutti i fun¬ zionari ’ dello Stato ’ in generale, con un salario da operaio. E’ questo il compito concreto, pratico, im¬ mediatamente realizzabile nei confronti di tutti i trust e che libererà dallo sfruttamento i lavoratori, tenen¬ do conto delPesperienza praticamente iniziata (soprat¬ tutto nel campo dell’organizzazione dello Stato) dalla Comune »M. 23 2423 Our Revolution, New York 1918, p. 85. 24 State and Revolution, New York 1932, p. 44 [trad, it. Stato e rivoluzione, in Lenin, Opere complete cit., voi. XXV (giugno - settembre 1917), p. 402].
86 PAUL MATTICK Ma l’esperienza pratica della Comune in quanto Stato proletario fu modesta; e in effetti non si trattò tanto, come afferma Trockij, di un’esperienza avvia¬ ta « consapevolmente », quanto di un processo emer¬ so spontaneamente dalle particolari condizioni della guerra franco-prussiana e dell’assedio di Parigi. Quali che fossero le specifiche circostanze, è peraltro un fatto che la popolazione di Parigi era percorsa da umori di ribellione, e avversava il neocostituito go¬ verno borghese, non meno reazionario del defunto regime bonapartista. Data appunto la situazione ri¬ voluzionaria esistente a Parigi, il governo borghese fissò la sua sede a Versailles, preparandosi alla ricon¬ quista della capitale. Le elezioni municipali parigine del 26 marzo 1871 diedero all’opposizione di sinistra una maggioranza di quattro a uno, e condussero alla proclamazione della Comune. La dichiarazione di sco¬ pi di questa comprendeva: « il riconoscimento e con¬ solidamento della Repubblica... L’assoluta autonomia della Comune estesa a tutte le località della Francia... I diritti specifici della Comune sono: il controllo del bilancio comunale, entrate e uscite; la fissazione e la ripartizione dell’imposta; la direzione dei servizi locali; l’organizzazione della magistratura, della po¬ lizia e dell’istruzione... L’assoluta garanzia della li¬ bertà individuale, della libertà di coscienza, della liber¬ tà di lavoro ». La dichiarazione continuava afferman¬ do il proposito della Comune parigina di intraprende¬ re « le riforme economiche e amministrative richie¬ ste dalla sua popolazione », e l’esigenza di « univer¬ salizzare il potere e la proprietà conformemente alle necessità del momento, al desiderio degli interessati e alle regole fornite dall’asperienza ». E concludva: « La Rivoluzione comunale, avviata dall’iniziativa del popolo il 18 marzo, inaugura una nuova era di po¬ litica sperimentale, positiva, scientifica. E’ la fine del vecchio mondo governativo e clericale, del milita¬ rismo, dei monopoli, dei privilegi cui il proletariato
CONSIGLI E PARTITO 87 deve la sua servitù e la Nazione le sue sventure e i suoi disastri »25. Da un lato la forza delle circostanze, e dall’altro la diversità delle opinioni che si agitavano in seno alla Comune impedirono un programma di socializ¬ zazione coerente, di vasta portata. Vanno tuttavia registrati i decreti che abolivano l’esercito a favore della Guardia nazionale, la limitazione degli stipendi governativi al livello dei salari operai, l’espropria¬ zione dei beni ecclesiastici, l’eliminazione delle multe imposte agli operai dai loro datori di lavoro, l’abo¬ lizione del lavoro notturno nei forni, la nazionaliz¬ zazione delle officine abbandonate dai loro proprie¬ tari borghesi, e così via. Ma queste misure non ave¬ vano ancora di mira una trasformazione sociale ra¬ dicale. Inoltre, nel Consiglio esecutivo della Comune gli operai erano tuttora una minoranza. Su 90 mem¬ bri, soltanto 21 appartenevano alle classi lavoratrici; il resto era formato da elementi piccolo-borghesi, tra cui piccoli commercianti, impiegati, giornalisti, scrit¬ tori, pittori ed intellettuali. Solo pochi tra i membri in vista della Comune aderivano alla Prima Interna¬ zionale. La maggioranza era costituita da proudho- niani, blanquisti e giacobini, interessati principalmen¬ te alle libertà politiche e al mantenimento della pic¬ cola proprietà in una società decentralizzata. La va¬ rietà degli interessi operanti al suo interno lasciava così la Comune aperta a differenti interpretazioni. Marx vide la Comune come « essenzialmente un governo della classe operaia », come « la forma po¬ litica finalmente scoperta nella quale si poteva com¬ piere l’emancipazione del lavoro ». Egli argomenta che « il dominio politico dei produttori non può coesistere con la perpetuazione del loro asservimento sociale. La Comune doveva dunque servire come leva 25 Cit. da A. Horne, The Fall of Paris, New York 1965, pp. 331-2.
88 PAUL MATTICK per distruggere le basi economiche su cui riposa resi¬ stenza delle classi, e quindi il dominio di classe »26. In questo passo, un peso speciale ha l’avverbio « es¬ senzialmente ». Tutte le manchevolezze della Comu¬ ne, soprattutto alla luce delle posizioni centralistiche di Marx, non potevano cancellare il fatto eh’essa era fondamentalmente un potere antiborghese, nel cui quadro i lavoratori esercitarono concrete attività di governo e dimostrarono la loro capacità a dominare la società. Questo aspetto capitale dell’esperienza co- munarda ebbe nella valutazione di Marx un peso maggiore di tutti gli altri aspetti contrastanti con la sua personale concezione del socialismo. La Comune non si dovette all’iniziativa dell’In- ternazionale, e non ebbe affatto un carattere socialista nel senso marxiano. Il fatto che ciononostante Marx identificasse se stesso e l’Internazionale con la Co¬ mune fu visto dai suoi avversari politici come un op¬ portunistico tentativo di annettere al marxismo la gloria dei comunardi. Secondo Bakunin, « l’impres¬ sione' suscitata dalla Comune fu così potente che per¬ sino i marxisti, le cui idee furono sconfessate dalla sollevazione, si videro costretti a levarsi il cappello dinanzi ad essa. Non solo, ma contro ogni logica, e contro le loro effettive convinzioni, adottarono co¬ me proprio il programma della Comune. Fu una ma- scheratura comica, ma inevitabile: la passione susci¬ tata dalla rivoluzione in tutto il mondo era tale che, se si fossero comportati altrimenti, avrebbero perso tutti i loro seguaci » 27. Il fenomeno stesso delle passioni risvegliate dal¬ la Comune sia tra gli operai che nella borghesia indica 26 Der Bürgerkrieg in Frankreiàb, in K. Marx, F. Engels, Werke, 44 voll., Berlin 1964-1968, voi. XVII, p. 342 [trad, it. La guerra civile in Francia, Roma 1970, p. 67]. 27 Cit. da F. Brupbacker, Marx und Bakunin, Zürich, pp. 114-5.
CONSIGLI E PARTITO 89 che le divisioni di classe prevalgono nettamente sulle differenziazioni ideologiche, o magari anche mate¬ riali, presenti all’interno di ciascuna classe. Quel che contò non fu lo specifico programma adottato dalla Comune — se fosse di orientamento centralistico o federalistico, se implicasse realmente, o solo poten¬ zialmente, l’espropriazione della borghesia — ma il semplice fatto che una parte della classe operaia s’era momentaneamente liberata del dominio borghe¬ se, s’era armata, e s’era impadronita della macchina statale. Nella risposta brutale che la borghesia diede a questo primo, ancor piuttosto debole tentativo di autodeterminazione degli operai parigini, tutti i la¬ voratori forniti di una coscienza di classe riconobbero la ferocia e l’irreconciliabilità del nemico borghese, non solo a Parigi, ma in tutto il mondo. Con l’istinto oltre che con la coscienza, essi si schierarono al fian¬ co degli operai francesi; e nulla contarono tutte le questioni teoriche e pratiche che altrimenti divide¬ vano il movimento operaio. Non c’era bisogno di mettere in dubbio i motivi di Marx nello sposare la causa della Comune, tanto più che, secondo le sue parole, « la classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte... Sa che per realizzare la sua propria emancipazione... dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di pro¬ cessi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare degli ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società, di cui è gravida la vecchia e cadente società bor¬ ghese » a. Resta naturalmente vero che le idee rivoluzio¬ narie della Comune non erano le idee di Marx. Ma la lotta della Comune interessava da vicino il prole¬ tariato internazionale. La distruzione dello Stato bor¬ ghese e la conquista del potere politico avevano senso 28 Der Bürgerkrieg cit., p. 343 [trad, cit., p. 68].
90 PAUL MATTICK soltanto se utilizzate per liquidare anche la relazione capitale-lavoro. Non si. può avere uno Stato operaio in una società capitalistica. Marx sembrava convin¬ to che, se la Comune fosse sopravvissuta, le sue stes¬ se necessità l’avrebbero costretta a liberarsi delle sue deficienze. « La molteplicità di interpretazioni che sono date della Comune — scrisse — e la molte¬ plicità degli interessi che hanno trovato in essa la loro espressione, mostrano che essa fu una forma politica eminentemente capace di espansione, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state es¬ senzialmente repressive »29. La caduta della Comune impedì ulteriori speculazioni circa la sua capacità e- spansiva, e la direzione in cui questa si sarebbe svi¬ luppata. Dal canto suo, Marx non vedeva alcuna ne¬ cessità di accentuare le divergenze del suo pensiero dall’esperienza comunarda, e si preoccupò piuttosto di sottolinearne quegli aspetti che sarebbero potuti riuscire utili alle lotte future del proletariato. A questo fine, Marx eluse puramente e sempli¬ cemente il problema del federalismo e del centrali¬ smo, ch’era tra quelli che dividevano i marxisti dai proudhoniani, le cui idee dominarono la Comune. Egli descrisse la Comune e la sua autonomia come strumenti per spezzare lo Stato borghese e realizzare l’autogoverno dei produttori. « La Comune di Parigi — scrisse — doveva naturalmente servire di mo¬ dello a tutti i grandi centri industriali della Francia. Una volta stabilito a Parigi e nei centri secondari il regime comunale, il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il posto anche nelle province all’autogoverno dei produttori. In uno schizzo som¬ mario di organizzazione nazionale che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare, è detto chiaramente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più piccolo villaggio, e che nei distretti rurali l’eser¬ 29 Ivi, p. 342 [trad, cit., p. 67].
CONSIGLI E PARTITO 91 cito permanente doveva essere sostituito da una mi¬ lizia nazionale, con un periodo di servizio estrema- mente corto. Le comuni rurali di ogni distretto avreb¬ bero dovuto amministrare i loro affari mediante una assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e que¬ ste assemblee distrettuali avrebbero dovuto a loro volta mandare dei rappresentanti alla delegazione na¬ zionale a Parigi, ogni delegato essendo revocabile in qualsiasi momento e legato dal mandato imperativo dei suoi elettori. Le poche ma importanti funzioni che sarebbero ancora rimaste per un governo centrale, non sarebbero state soppresse, come venne afférmato in mala fede, ma adempiute da funzionari comunali, e quindi strettamente responsabili. L’unità della na¬ zione non doveva essere spezzata, ma anzi organiz¬ zata dalla costituzione comunale, e doveva diventare una realtà attraverso la distruzione di quel potere di Stato che pretendeva essere Pincarnazione di questa unità indipendente e persino superiore alla nazione stessa, mentre non ne era che un’escrescenza paras- sitaria »30. Limitandosi a constatare la contemplata federa¬ zione nazionale di comuni autonome, Marx dà l’im¬ pressione di condividere completamente e il progetto e la convinzione della sua concreta fattibilità; in una parola, dà l’impressione di accettare il federalismo proudhoniano. E’ invece ovvio che l’intera opera di Marx parla contro questa conclusione: mai egli riuscì a concepire il ritorno di forme politiche già soppian¬ tate da forme più avanzate. Gli parve così necessario dichiarare: « E’ destino comune di tutte le creazioni storiche completamente nuove di esser prese a torto come la riproduzione di vecchie e anche di defunte forme di vita sociale, con le quali possono avere una certa rassomiglianza. Così questa nuova Comune, che spezza il moderno potere dello Stato, venne presa a 30 Ivi, p. 340 [trad, cit., pp. 64-5j.
92 PAUL MATTICK torto per una riproduzione dei comuni medioevali, che prima precedettero e poi diventarono il fonda¬ mento di quello stesso potere di Stato. La Costitu¬ zione della Comune è stata presa a torto per un tentativo di spezzare in una federazione di piccoli Stati, come era stata sognata da Montesquieu e dai girondini, quella unità delle grandi nazioni, che se originariamente è stata realizzata con la forza, è ora diventata un potente fattore della produzione sociale. L’antagonismo tra la Comune e il potere dello Stato è stato preso a torto per una forma esagerata della vecchia lotta contro l’eccesso di centralizzazione »31. Dunque, a giudizio di Marx il carattere federale della costituzione della Comune non era in contrasto con un’organizzazione centralizzata della società; sem¬ plicemente il centralismo vi veniva realizzato in modi differenti da quelli propri dello Stato capitalistico, in modi che assicuravano l’autogoverno dei produt¬ tori. In breve, come più tardi avrebbe insistito Lenin, Marx considerò « la possibilità di un centralismo vo¬ lontario, di un’unione volontaria delle comuni in nazione, di una volontaria fusione delle comuni pro¬ letarie nell’opera di distruzione del dominio borghese e della macchina statale borghese »32. Ma la verità sembra essere che, su questo punto, Marx non si preoccupò gran che di arrivare ad una formulazione precisa delle sue idee. Scritto in gran fretta e con propositi commemorativi della Comune sconfitta, il suo Indirizzo sulla guerra civile in Fran¬ cia non ebbe realmente di mira un esame ed una soluzione organici dei problemi posti dalla rivoluzio¬ ne proletaria e dalla formazione della società socia¬ lista. Questo è tanto più vero in quanto Marx non credette, né prima né durante né dopo la Comune, alla possibilità del suo successo, il che rendeva di 31 Ivi, p. 341 [trad, cit., p. 65]. 32 State and Revolution cit., p. 46 [trad, cit., p. 405].
CONSIGLI E PARTITO 93 per sé estremamente difficile dare un qualche conte¬ nuto reale ai problemi posti nell’Indirizzo. Dieci anni dopo la Comune, egli la descrive come la « ri¬ bellione di una sola città in condizioni specialissime, con una popolazione che non era — né poteva es¬ sere — socialista. Con un tantino di buon senso in più, sarebbe forse stato possibile raggiungere un com¬ promesso con Versailles favorevole ai comunardi. Ma non si poteva fare nulla di più »33. Benché senza speranza, la lotta conteneva una le¬ zione, nel senso che additava la necessità di una dit¬ tatura proletaria per spezzare il potere dello Stato borghese. Ma ciò non fa della Comune, come pretese Lenin, un modello per la costruzione di uno Stato comunista. E in ogni caso non uno Stato, ma una società comunista il proletariato deve costruire. Il suo obiettivo reale non è questo o quello Stato — federalistico o centralisti«), democratico o dittatoria¬ le — ma l’abolizione dello Stato e una società senza classi. Traduzione di Giovanni Ferrara 33 Marx an Ferdinand Domela Nieuwenhuis, 22 febbraio 1881, in K. Marx, F. Engels, Werke cit., voi. XXXV, p. 160.
Alfred Sohn-Rethel Elementi di una teoria storico-materialistica della conoscenza Premessa Il testo che segue è essenzialmente la versione tedesca di un articolo comparso sulla rivista del par¬ tito comunista inglese ” Marxism Today ” nell’aprile 1965. Dico ” essenzialmente ”, in quanto ho amplia¬ to qua e là la traduzione perché potesse servire me¬ glio come materiale di discussione sulla problematica della forma di valore, sollevata dai miei lavori su lavoro intellettuale e lavoro manuale. Poiché un tale scopo era assolutamente estraneo al saggio inglese, si sono resi necessari ampliamenti della materia e una più dettagliata argomentazione, in particolare nell’ul¬ tima parte, dove la forma di valore ha rilevanza più centrale. L’ultimo paragrafo, « Conclusioni », è stato completamente riscritto. Anche nella forma attuale, comunque, non avrebbe incontrato opposizioni da parte della redazione della rivista del partito. Sarà utile premettere alcune osservazioni teoriche per una migliore comprensione del saggio attuale e dei suoi scopi. In primo luogo riguardo al titolo. L’ho conservato nella sua forma originaria, sebbene oggi non utilizzerei più questa espressione. L’espressione « teoria storico-materialistica della conoscenza », pre¬ sa in senso stretto è una contradictio in subiecto. Il concetto di « conoscenza », assunto nel significato
96 ALFRED SOHN-RETHEL con cui esso sta alla base di tutta la filosofia teore¬ tica e della teoria della conoscenza dai suoi inizi con Pitagora, Eraclito e Parmenide fino a Wittgenstein e Bertrand Russell, ecc., è un concetto feticistico che stabilisce una figura ideale di ” conoscenza in gene¬ rale ” priva di ogni connessione storica ed economica. Il fatto che Marx abbia escluso dal suo pensiero la teoria della conoscenza intesa in questo senso, è ben fondato nei fatti, e non è per nulla motivato dalla sua dipendenza da Hegel, come spesso si sostiene. Ma, a considerarlo dal punto di vista storico, questo con¬ cetto feticistico mostra di avere alla sua base, in realtà, un tipo di ’ conoscenza ’ che si caratterizza per il distacco dal lavoro manuale, una conoscenza, cioè, che è essenzialmente espressione e strumento del do¬ minio di classe esercitato dalla parte che non lavora su quella che lavora, di questa o quella formazione sociale. Solo questo tipo di conoscenza intellettuale autonomizzata ha fornito il fondamento alla filosofia teoretica, e il pensiero speculativo dei « primi filoso¬ fi » ne fu la prima manifestazione. L’attività di pen¬ siero legata al lavoro manuale, ossia l’apporto del¬ l’intelletto dei produttori nel loro lavoro, non ha mai dato avvio alla ’ filosofia ’ sistematica e specu¬ lativa. Solo la divisione tra mente e mano ha pro¬ dotto la scissione dell’essere umano, mediante la qua¬ le l’uomo prese le distanze dalla natura come « uo¬ mo », per il fatto di essere dotato di autocoscienza filosofica. E’ per ultimo al marxista che compete di presen¬ tarsi come spregiatore della filosofia, giacché egli è l’unico che comprenda quali siano i suoi fondamenti. Ma il concetto feticistico e atemporale di una cono¬ scenza per sé, corrente nella teoria della conoscenza dominante, è per lui inaccettabile, poiché un simile concetto di conoscenza già a priori è appropriato solo a canoni idealistici di pensiero. Per un pensiero ma¬ terialistico conseguente è importante che la proble-
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 97 matica della conoscenza sia inserita nel quadro dei riferimenti spazio-temporali della storia. La cosa è possibile se, anziché di « conoscenza », si parla piut¬ tosto di lavoro intellettuale e della sua separazione dal lavoro manuale o, eventualmente, della sua unità con esso. A questo punto i problemi della conoscen¬ za cessano di costituire l’oggetto di una disciplina metafisica specifica, appunto la « teoria della cono¬ scenza », e diventano parte integrante della compren¬ sione storico-materialistica dell’epoca, determinata e nella sua totalità, per la quale quei problemi ven¬ gono posti. La dissoluzione critica della teoria della cono¬ scenza nel materialismo storico, però, non significa in alcun modo l’estinguersi dei problemi della cono¬ scenza. Ma al contrario, in tanto parliamo di disso¬ luzione « critica », in quanto i problemi che sul piano feticistico ricevono semplicemente delle solu¬ zioni apparenti o vengono del tutto rifiutati, nel materialismo storico devono essere portati ad una soluzione reale. D’altronde, con l’assorbimento della teoria della conoscenza la comprensione materialisti¬ ca della storia si arricchisce dal punto di vista meto¬ dologico; e precisamente se ne avvantaggia la com¬ prensione dei seguenti tre punti: lo sviluppo delle forze produttive, naturalmente, la formazione delle ideologie che crescono sulla struttura e la spiegazio¬ ne genetico-formale dei modi di pensiero socialmente necessari. Qui, in questi ultimi, le questioni della »teoria della conoscenza si presentano di nuovo, ma trasformate ora in questioni significative a livello di prassi, importanti per l’avvenire e suscettibili di ri¬ sposte significative a livello politico. L’espressione qui usata « spiegazione genetico-for¬ male », ha bisogno di essere brevemente precisata, da¬ to che io me ne servo come di un possibile sinonimo di « dialettica ». La separazione antitetica fra trattazio¬ ne genetica del contenuto e concezione atemporale
98 ALFRED SOHN-RETHEL della forma è una caratteristica del modo borghese di considerare la storia, empiristico quando tratta del contenuto, idealistico quando tratta della forma. La forma viene identificata con lo spirito, più risoluta- mente che mai nella filosofia classica tedesca; il campo delle forme costituisce l’immanenza spirituale. In tal modo la forma appare come il campo spiritua- le-interno, e l’insieme dei fenomeni come il mondo esterno spazio-temporale. Tra i due non c’è nulla in comune, e pertanto non c’è genesi spazio-temporale delle forme. Questo limite domina l’intera area delle scienze storiche borghesi; e oggi in maniera più rigida che mai. La grandezza della filosofia classica tedesca consiste in effetti nell’aver gettato le basi per la li¬ quidazione critica dell’antitesi. Già in Kant la sin¬ tesi trascendentale è una funzione del tempo, e in Hegel il mondo della verità e dei valori e quello de¬ gli eventi spazio-temporale vanno infine a confluire in unità nella storia. Questo, almeno secondo la lo¬ gica, che in Hegel è diventata logica della verità temporalmente condizionata, e cioè dialettica. Il ter¬ mine « dialettica » ha per noi rilevanza in forza di tutto ciò che Marx ci ha messo dentro. Ma circa il valore esatto da dare al termine c’è oggi tanta poca chiarezza e tanta disparità di opinioni da rendere con¬ sigliabile l’uso di un termine alternativo, capace di condurre fuori della discussione terminologica e ad una intesa sui contenuti effettivi. Per questo non intendo in alcun modo irrigidirmi io stesso dogma¬ ticamente sull’affermazione secondo cui spiegazione genetico-formale e spiegazione dialettica sarebbero esattamente la stessa cosa: non vorrei accendere sul¬ l’argomento una nuova discussione terminologica. Sarà sufficiente sottolineare che non potrà mai avanzare pretesa al carattere dialettico un modo di pensiero in cui non venga dato il giusto rilievo alla storicità della forma o in cui essa vada smarrita del tutto, come accade in buona misura presso gli strutturalisti
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 99 francesi. La differenza essenziale che distingue quel¬ lo marxiano da tutti gli altri modi di pensiero, sta nel fatto che il primo concepisce la forma come parte inseparabile del mondo spazio-temporale, nel quale essa stessa si modifica e si evolve, ed inoltre che un simile enunciato non è solo una proclamazione di buone intenzioni, ma trova verifica effettiva nell’ope¬ ra di Marx. Non c’è contesto particolare in cui il postulato della spiegazione genetico-formale rivesta maggiore importanza metodologica che quello della genesi sto¬ rica dei modi di pensiero, specialmente di quelli del- l’intelletto astratto, cui è connessa la separazione tra mente e mano. A questo punto l’indagine storico¬ materialistica si trova ad affrontare direttamente il terreno d’origine dell’idealismo della teoria della co¬ noscenza. Al centro della nostra ricerca c’è dunque il problema se una forma astratta di conoscenza, come la logica o la matematica, esiga un’interpreta¬ zione atemporale e nessun’altra, o se invece sia ad essa applicabile una spiegazione genetica; la nostra ricerca è pertanto impegnata nell’analisi della forma in una misura sconosciuta agli scritti marxisti. Una cosa però dovrebbe essere chiara: se ci occupiamo tanto della forma non è perché nutriamo una qual¬ che predilezione per il formalismo, ma perché la na¬ tura stessa dell’oggetto della ricerca lo richiede. Quel¬ lo che ci interessa è di recuperare nei problemi di forma presentatisi nella storia il loro vero significato pratico^politico, anziché lasciarli alla formalizzazione ed estraniazione che hanno ricevuto nell’idealismo e nel positivismo. L’attenzione agli aspetti formali dell’economia e delle categorie economiche è già in Marx stesso il tratto che caratterizza il suo modo di pensare in con¬ fronto a quello borghese. Quanto ciò sia istruttivo, risulta chiaro dal notevole testo in cui, trattando dell’analisi della merce, Marx critica sotto questo
100 ALFRED SOHN-RETHEL punto di vista gli economisti borghesi. Sarà utile riportare ancora una volta questo passo anche per la comprensione del mio orientamento: « Uno dei difetti principali deireconomia politica classica è che non le è mai riuscito di scoprire, partendo dall’analisi della merce, e più specificatamente del va¬ lore della merce, quella forma del valore che ne fa, ap¬ punto, un valore di scambio. Proprio nei suoi migliori rappresentanti, quali A. Smith e il Ricardo, essa tratta la forma di valore come qualcosa di assolutamente in¬ differente o d’esterno alla natura della merce stessa. La ragione non sta soltanto nel fatto che l’analisi della gran¬ dezza di valore assorbe completamente la loro attenzione; è più profonda. La forma di valore del prodotto di la¬ voro è la forma più astratta, ma anche la più generale del modo borghese di produzione, ed essa perciò viene caratterizzata come forma particolare di produzione so¬ ciale, e così viene insieme caratterizzata storicamente. Quindi ritenendola erroneamente l’eterna forma naturale della produzione sociale, si trascura necessariamente an¬ che ciò che è l’elemento specifico della forma di valore, quindi della forma di merce e, negli ulteriori sviluppi, della forma di denaro, della forma di capitale, ecc. » (Il Capitale, Roma 1974, voi. I, p. 112, n. 32). E’ chiaro che qui la storicità delle epoche e dei modi di produzione viene agganciata alle loro carat¬ teristiche formali, e quindi proprio agli elementi che nel pensiero borghese vengono trasposti dalla sfera storica a quella atemporale. Sicché anche in Marx la concezione ^genetica, storica, della forma, quindi l’at¬ tenzione genetico-formale, è manifestamente una ca¬ ratteristica portante del suo metodo dialettico. L’uso volutamente parco del vocabolo « dialettica » e la sua sostituzione,. nel mio lavoro, con una nuova espres¬ sione, non indicano in alcun modo un allontanamento dalla dialettica. Sottolineano soltanto il carattere auto¬ nomo della mia ricerca, che vuole essere giudicata per i suoi propri meriti e non intende farsi forte del¬
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 101 l’autorità del nome di Marx e della terminologia marxiana. Essa tende altresì a sollecitare anche nel lettore l’apporto della sua autonoma attività di pen¬ siero. In fondo è compito di tutti noi ritrovare il marxismo su nuove basi a proposito dei temi relativi alla logica del pensare e del conoscere. La discus¬ sione sulla problematica della forma di valore, cui si propone di essere utile il testo che segue, vuol essere un passo in questa direzione. A. S.-R.
102 ALFRED SOHN-RETHEL « Non è la coscienza degli uo¬ mini che determina il loro es¬ sere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza »l. Seguendo queste formulazioni marxiane, possiamo distinguere, dal punto di vista dell’analisi formale della « coscienza », tre epoche principali dell’« essere sociale » a cui appartengono specifiche forme di co¬ scienza: 1. Società tribale naturale (comuniSmo primitivo) - Linguaggio. 2. Prima società di classe (età del bronzo) - Nu¬ mero e scrittura. 3. Società produttrice di merci (antica e moder¬ na) - Pensiero concettuale. Il saggio che segue si occupa dei fondamenti ori¬ ginari del pensiero concettuale, quindi solo del terzo stadio; ma, per inquadrare il nostro problema nella sua prospettiva storica, è necessario toccare, almeno di sfuggita, gli stadi precedenti. 1. Il linguaggio e le prime forme della coscienza umana « Il linguaggio è antico quanto la coscienza, il lin¬ guaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche 1 Introduzione alla critica deireconomia politica (1839), in K. Marx, Ver la critica dell'economia politica, Roma 1969, p. 5.
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 103 per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso, e il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini... La coscienza è dunque fin dall’inizio un pro¬ dotto sociale e tale resta fin tanto che in genere esistono uomini »2. Questa caratteristica intuizione marxiana è stata confermata in seguito da Pavlov, nelle sue ricerche sui riflessi condizionati. In queste ricerche l’essenza del linguaggio e della parola è spiegata conformemen¬ te alla natura del « sistema secondario di segnalazio¬ ne », che include astrazione e pensiero. Basandosi su questi risultati, George Thomson ha poi tentato di ri¬ costruire storicamente l’origine della coscienza umana. In pieno accordo con Engels3, questo studioso marxista ha dimostrato che la coscienza si è svilup¬ pata come un prodotto del « lavoro collettivo, il quale implica strumenti e discorso articolato » (Thomson, op. cit., p. 26). « Le tre caratteristiche che abbiamo segnalato, strumenti, discorso articolato, cooperazio¬ ne, sono quindi elementi di un unico processo: il lavoro produttivo. Tale processo è peculiarmente umano e l’unità che lo organizza è la società » (ivi, p. 27). Tratti distintivi della coscienza in questa prima epoca sono: a) che essa è interamente di natura pratica; è un sapere di come fare le cose, non di come spie¬ garle (un giudizio secondo il metro della « scienza » può essere applicabile solo ad una coscienza che, con¬ siderata secondo il nostro punto di vista, si occupa di spiegare); b) che il singolo non ha alcuna coscienza di se 2 L’ideologia tedesca, Roma 1958, p. 7. 3 Si veda « Il ruolo del lavoro nel processo di umaniz¬ zazione della scimmia», in Dialettica della natura.
104 ALFRED SOHN-RETHEL stesso al di fuori del suo gruppo sociale e non si contrappone alla natura come individuo; al contrario, la sua concezione dell’ordine naturale porta i tratti del suo ordine sociale; c) che « fin tanto che il lavoro rimase un fatto collettivo questa attività era di necessità incompren- sibile ai suoi singoli partecipanti »; per questi esso non può essere distinto dalla magia; « possiamo dire che la magia ha avuto origine nel processo del la¬ voro, rappresentandone l’aspetto soggettivo » (ivi, p. 41). 2. Scrittura e numero Dal punto di vista economico la proprietà comune del comuniSmo primitivo era basata su un livello di produzione che garantiva ancora a malapena la mera sussistenza. La produttività si elevò stabilmente al di sopra di questo livello solo al principio del Neolitico, rendendo cosi possibili lo sfruttamento e la società di classe. La crescente divisione del lavoro con conse¬ guente differenziazione fra lavoratori, gli inizi della metallurgia (rame e bronzo), infine la bonifica e l’irrigazione delle valli alluvionali dei grandi fiumi orientali del Nilo allo Huang-Ho, posero con uno sviluppo graduale le fondamenta economiche per le grandi civiltà dell’età del bronzo. Possiamo limitarci come modello all’antico Egitto. Il plusprodotto ampiamente accresciuto delle co¬ munità di villaggio, che producono ancorà colletti¬ vamente, viene appropriato — raccolto, immagazzi¬ nato, venduto — da una classe superiore di funzio¬ nari, sacerdoti e generali al servizio dell’onnicompren¬ siva teocrazia del faraone. Il plusprodotto, in mezzi di sussistenza, accumulato, viene sistematicamente utilizzato come capitale in forma naturale. Serve al mantenimento di una massa variamente occupata di
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 105 produttori secondari, arruolati nell’esercito e schiavi catturati in guerra, lavoratori impiegati nelle costru¬ zioni (templi, piramidi, canali di irrigazione e così via), artigiani (armi, navi, ecc., e produzione di lusso altamente sviluppata per la classe superiore), lavora¬ tori dei trasporti, marinai, minatori, ecc.; e serviva pure per pagare i materiali ' importati da altre zone nell’attività statale di commercio estero. Solo questo traffico con l’esterno ha la forma dello scambio di merci, e quindi dell’appropriazione reciproca dei pro¬ dotti del lavoro altrui, mentre la base economica interna di tutto l’insieme poggia sull’appropriazione diretta e unilaterale del plusprodotto ed ha quindi, come dice Marx, la forma di un « rapporto diretto di signoria e servitù »4. Grandi conquiste intellettuali furono realizzate in questi rapporti di produzione, e siamo dell’avviso che esse si fondarono sulle forme prodotte dalla pras¬ si del rapporto di appropriazione diretta e unilaterale tra classe superiore e classe inferiore. Questa appro¬ priazione come istituzione regolare rese necessari l’uso di numeri sistematici e l’elaborazione di elementari metodi di calcolo, e per di più in forma scritta onde assicurare controlli documentari di questi affari e del loro dare e avere. Vennero usate unità di misura di ogni genere, calendari comuni, calcolo e determina¬ zione della capacità dei magazzini usati per i diffe¬ renti prodotti. Tutto ciò presupponeva la scrittura. Qui venne sviluppata col ricorso a dei simboli, a 4 « Per i popoli i primitivi rapporti di produzione col¬ lettivi si sono trasformati in rapporti tributari, senza però implicare alcun cambiamento più radicale » (George Thom¬ son, I primi filosofi, Firenze 1973, p. 182). A parte l’esposizione di George Thomson si veda per la società dell’età del bronzo Gordon Childe, e specialmente il suo breve e brillante saggio The social implications of the three ages in archeological classification, in « Modern Quar¬ terly », voi. 1, 2 (marzo 1946).
106 ALFRED SOHN-RETHEL segni che stavano ad indicare i prodotti, i produttori e la loro attività di produzione, non però dalla parte dei produttori, bensì dalla parte dei loro sfruttatori. Queste conquiste intellettuali non trovarono quindi il loro punto di partenza nel rapporto tra uomo e natura, ma nel rapporto degli uomini tra loro, e tra loro non come individui naturali, ma come classi sociali ben determinate e distinte; sono questi rap¬ porti di classe storicamente determinati che devono essere quindi considerati come « il fondamento dal punto di vista genetico e formale, ossia, possiamo dire, il fondamento genetico-formale di quelle attività dell'intelletto. Ed è anche evidente come un tale fondamento segni conseguentemente la separazione delle attività intellettuali dal lavoro manuale, dal la¬ voro e dall’esistenza dei produttori sfruttati. Una buona illustrazione di tutto ciò è fornita dal- l’origine della geometria presso gli Egiziani, che Ero¬ doto riconduce, come è noto, alla necessità di rimi¬ surare i campi dopo gli straripamenti del Nilo. A prima vista ciò costituiva un servizio reso ai conta¬ dini, teso a facilitare la coltivazione dei campi nel¬ l’anno nuovo; e questa sembra essere stata l’opinione anche della maggior parte degli storiografi dell’anti¬ chità greca e romana. Ma, come accade non di rado agli storici, essi hanno seguito la loro fonte, Erodoto, soltanto in maniera superficiale, tenendosi alle loro idee preconcette. Erodoto stesso è di gran lunga più preciso. Egli informa che queste misurazioni dei cam¬ pi avevano luogo al fine di imporre i tributi che do¬ vevano essere pagati per ogni campo nel nuovo anno. Il misuratore dei campi non appariva quindi ai con¬ tadini come uno di loro, ma nella veste gallonata di funzionario del faraone, e solo in tale qualità egli portava con se i suoi geometri. Questi geometri ve¬ nivano chiamati con un nome che Erodoto traduce in greco harpedonaptin, letteralmente ’ annoda-corde ’, come specialisti o piuttosto virtuosi di un’arte di cui
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 107 si servono ancora oggi i giardinieri per delimitare le aiuole. Una simile attività non è certo così altamente intellettuale come ancora i nostri storici amano dire dei sapienti Egiziani, ma spiega, molto meglio di qualsiasi studio degli antichi papiri, come gli Egi¬ ziani possano essere pervenuti alla loro conoscenza sorprendentemente precisa, tra l’altro, delle gran¬ dezze. In generale, le attività intellettuali degli Egi¬ ziani non hanno ancora la qualità teoretica della scienza: quelli che le esercitavano erano sacerdoti, non ancora filosofi. D’altra parte, nella civiltà dell’età del bronzo, le classi dominanti non avevano ancora perso il controllo sul processo sociale, e può darsi ci sia, tra questi due fatti, un’interna connessione. Solo presso i Greci, agli inizi della produzione di merci, troviamo i primi filosofi. 3. Pensiero concettuale Il pensiero filosofico sorge nell’antica Grecia ini¬ zialmente con i primi filosofi ionici della natura, an¬ cora semi-mitologizzanti, e poi, intorno al 500 a.C. con i primi pensatori rigorosamente concettuali, Pi¬ tagora, Eraclito, Parmenide. Il sorgere del ragiona¬ mento filosofico, astratto e concettuale, può essere considerato un attributo della civiltà, intesa nel sen¬ so di Engels. « La civiltà è... lo stadio di sviluppo della società, nel quale la divisione del lavoro, lo scambio tra individui da essa generato e la produzione di merci che li abbraccia entrambi, giungono al completo dispiegamento e rivolu¬ zionano tutta quanta la precedente società. La produ¬ zione di tutti i precedenti stadi della società era essen¬ zialmente una produzione comune, ...e la produzione; finché viene condotta su questa base, non può sover¬ chiare i produttori... il che accade regolarmente ed ine-
108 ALFRED SOHN-RETHEL viabilmente nella civiltà. Ma... gradatamente, la produ¬ zione delle merci diventa la forma dominante »5. E cioè non solo forma delle relazioni con l’ester¬ no tra le diverse comunità e i diversi Stati, com’era negli stadi precedenti, ma anche forma dei rapporti sociali di produzione aH’intemo. Potremmo aggiun¬ gere che la prima coniazione di moneta (intorno al 700 a.C. in Ionia) cade in quella svolta decisiva in cui la produzione di merci penetra anche la struttura interna della società e diventa così la forma econo¬ mica universalmente dominante. Engels la include senz’altro nella sua definizione riassuntiva. « Lo stadio della produzione delle merci con cui comincia la civiltà, viene, in termini economici, indicato dall’introduzione 1) del denaro metallico e con esso del capitale monetario, dell’interesse e dell’usura; 2) della classe dei commercianti come classe intermediaria tra i produttori; 3) della proprietà fondiaria privata e del¬ l’ipoteca; 4) del lavoro degli schiavi come forma di produzione dominante » 6. Le conclusioni raggiunte da Engels nella sua ri¬ cerca, in relazione agli effetti della produzione di merci e dell’economia monetaria sulla vita sociale, sono state in tempi più recenti portate avanti e fatte progredire di un passo essenziale da George Thom¬ son che, nel libro già citato, ha persuasivamente so¬ stenuto che lo sviluppo della produzione di merci è la radice dalla quale anche la filosofia trae origine. Egli formula come segue la sua concezione com¬ plessiva: « Nel Capitale Marx ha fornito la prima analisi scientifica di quelle cose misteriose che si chiamano 5 F. Engels, L’origine della famiglia ecc., Roma 1963, p. 204. 6 Ivi, p. 206.
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 109 ’ merci Una merce è un oggetto materiale che diviene merce solo in virtù dei suoi rapporti sociali con altre merci. La sua esistenza, in quanto merce, è una realtà puramente astratta. E’ nello stesso tempo..; il contras- segno della civiltà... Per questo il pensiero civilizzato è stato dominato, dalle fasi più arcaiche ai giorni d’oggi, da quello che Marx definì feticismo delle merci, cioè la falsa coscienza generata dai rapporti sociali caratteristici della produzione di merci. Nella filosofia greca arcaica vediamo che tale falsa coscienza emerge gradualmente e si impone sulle categorie universali di pensiero derivate dalla produzione di merci, come se tali categorie appar¬ tenessero non alla società, ma alla natura »7. Questa conclusione sembra però sollevare una questione importante. a) Due concezioni materialistiche palesemente con¬ traddittorie Come si accorda, con la teoria ortodossa della conoscenza del materialismo dialettico, la derivazione delle categorie fondamentali del pensiero della pro¬ duzione di merci, suggerita da Thomson? Le cate¬ gorie in questione sono concetti come « sostanza », « essere », « grandezza », « quantità », spazio e tempo astratti, moto puro o uniforme, ecc., concetti e prin¬ cipi quindi non dissimili da quelli di cui Engels, nell’Anti-Diihring dice: « Ma da dove il pensiero prende questi principi? Da se stesso? No,... il dominio puramente ideale si limita a schemi logici...; qui si tratta, invece, solo di forme dell’essere, del mondo esterno, e queste forme il pen¬ siero non può mai crearle né dedurle da se stesso, ma precisamente solo dal mondo esterno. Ma con ciò tutto il rapporto si inverte: i principi non sono il punto di partenza dell’indagine, ma invece il suo risultato finale; non vengono applicati alla natura e alla storia dell’uomo, 7 G. Thomson, op. cit., pp. 307-8.
110 ALFRED SOHN-RETHEL ma invece vengono astratti da esse; non già la natura e il regno dell’uomo si conformano ai principi, ma i principi, in tanto sono giusti, in quanto si accordano con la natura e con la storia. Questa è l’unica conce¬ zione materialistica dell’argomento e quella del sig. Diih- ring, ad essa contrapposta, è idealistica »8. Questa posizione engelsiana fu ripresa da Lenin ed elaborata come teoria del rispecchiamento9. Ma la concezione di Thomson, sebbene mostri evidenti differenze da questa, non è certamente idealistica, poiché anche secondo lui il penseiro non trae da se stesso le sue categorie fondamentali, ma dalla realtà esterna, e precisamente da quella della produzione di merci; quindi da una forma dell’« essere sociale degli uomini », come dice Marx nella formulazione citata in principio sull’elemento che determina la « coscienza ». Engels, d’altronde, parla di « mondo esterno », ed è difficile dubitare che una derivazione come quel¬ la suggerita da Thomson non fosse ciò che Engels aveva in mente quando scrisse il passo citato. Sembra così imporsi qui, almeno a prima vista, una certa incompatibilità tra due modi di pensare materiali¬ stici, dei quali uno fa risalire i principi della cono¬ scenza ad una radice presente nel nostro proprio « essere sociale », l’altro li deriva attraverso « astra¬ zione » e « rispecchiamento » dal « mondo esterno ». Questa palese discrepanza richiede un chiarimento, che può esser condotto nel modo migliore tramite una ricerca sistematica sulle implicazioni della con¬ cezione di Thomson. Ricerca che sembra degna di essere intrapresa, dato che la teoria di Thomson con¬ ferma perfettamente l’idea direttrice del materialismo 8 F. Engels, Anti-Diihring, Roma 1956, p. 44. 9 Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo. Su ciò an¬ che Adam Schaff, Zu einigen Frage der marxistischen Theo¬ rie der Wahrheit, Dietz (DDR), 1955.
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 111 storico, secondo il quale è P« essere sociale » degli uomini che, come scrive Marx nel passo citato al¬ l’inizio, « determina la loro coscienza ». In secondo luogo questa teoria promette, cosa che nessuna teoria materialistica ha ancora potuto fare, di derivare cate¬ gorie specifiche da specifici fondamenti dell’essere. In terzo luogo essa mira a comprendere le determi¬ nate forme di conoscenza esistenti in riferimento alle diverse epoche storiche, e potrebbe avviare così una teoria della conoscenza realmente storico-materialistica. La chiave per la comprensione che cerchiamo può trovarsi solo in una minuziosa analisi formale dello scambio di merci, perché è proprio questo, secondo la tesi di Thomson che è qui in questione, la fonte dell’astrazione dalla quale dovrebbe derivare il modo astratto di pensare che caratterizza le epoche nelle quali la produzione di merci è pienamente svilup¬ pata. U nostro punto di partenza è perciò l’analisi marxiana della merce nei primi capitoli del Capitale. b) L’analisi marxiana della merce Marx insiste particolarmente sulla natura astratta della merce e parla di « astrazione di valore » e « astrazione di merce ». Ciò che queste espressioni si¬ gnificano è astrazione dal valore d’uso delle merci, che ha luogo nello scambio. A proposito delle merci si dice: « Le loro proprietà corporee si considerano, in genere, soltanto in quanto le rendono utilizzabili, cioè le rendono valori d’uso. Ma d’altra parte è pro¬ prio tale astrarre dai loro valori d’uso che caratteriz¬ za con evidenza il rapporto di scambio delle merci » 10. Il valore d’uso delle merci si fonda sulla loro qualità materiale, sulla loro realtà sensibile, empirica, di cose. L’astrazione dal valore d’uso che caratterizza un rap¬ porto di scambio, è indice perciò di una astrattezza 10 K. Marx, Il Capitale, Roma 1974, voi. I, p. 69.
112 ALFRED SOHN-RETHEL che ha manifestamente una stretta parentela con raffermarsi, nella conoscenza, delle categorie dell’in¬ telletto ’ puro Solo la qualità di valori d’uso delle cose produce la loro differenziazione nel tempo e nel¬ lo spazio, sicché le forme conseguenti all’astrazione si rivestono necessariamente di un carattere di uni¬ versalità atemporale. L’astrazione dal valore d’uso è concepita da Marx come una conseguenza oggettiva, puramente fattuale e cieca, dello scambio. Ben lungi dal fondarsi sulle intenzioni e sulle considerazioni dei soggetti agenti, essa si compie senza che coloro che la mettono in atto se ne accorgano. « Non sanno di far ciò, ma lo fanno »11. I proprietari di merci sono le vittime ignare delle azioni e reazioni in cui l’astrazione che essi stessi mettono in atto irretisce i soggetti agenti. Solo post festum, dice Marx, a risultato compiuto del processo, comincia la riflessione su quelle che sono diventate le forme nelle quali è nascosta la ve¬ rità. Infatti « il movimento mediatore scompare nel proprio risultato senza lasciar tracce »11 12. Ma da dove lo scambio di merci prende la sua funzione astraente? Qual’è in ultima analisi la causa che la produce? Questo è naturalmente il problema decisivo. Agli occhi della maggior parte degli econo¬ misti e dei sociologi borghesi la dottrina del carattere feticistico delle merci è tutt’al più una speculazione non vincolante, senza un sufficiente fondamento nel¬ la realtà, che a loro parere può essere compresa be¬ nissimo come realtà empirica. Ma su che cosa pog¬ gia Marx la sua tesi, su che cosa è fondata? Se, at¬ traverso i numerosi passaggi logici, ripercorriamo at¬ tentamente fino alle sue premesse originarie la de¬ duzione marxiana cui tale tesi è ancorata, scopriamo che il punto di partenza essenziale è il riferimento 11 Ivi, p. 106. 12 Ivi, p. 125.
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 113 alla funzione propria dello scambio di equiparare le merci scambiate. Già nella terza pagina leggiamo che le diverse merci che si scambiano nelle più differenti proporzioni « debbono essere valori di scambio so¬ stituibili l’un con l’altro o di grandezza eguale fra loro. Perciò ne consegue: in primo luogo, che i va¬ lori di scambio validi della stessa merce esprimono la stessa cosa. Ma, in secondo luogo: il valore di scambio può essere in generale solo il modo di espres¬ sione, la « forma fenomenica » di un contenuto di¬ stinguibile da esso » 13. Più avanti, all’inizio dell’ana¬ lisi della forma di valore, troviamo: « x merce A = y merce B, oppure: x merce A vale y merce B... L’ar¬ cano di ogni forma di valore sta in questa forma semplice di valore. La vera e propria difficoltà sta dunque nell’analisi di essa » 14. E ancora: « Per sco¬ prire come l’espressione semplice di valore di una merce stia nel rapporto di valore fra due merci si deve in primo luogo considerare tale rapporto in piena indipendenza dal suo aspetto quantitativo... Tela = abito è il fondamento dell’equazione » 15. c) Il postulato di equivalenza Questa equazione venne accettata da Marx come un postulato fondamentale, che a parte la semplice esposizione non aveva bisogno di essere ulteriormen¬ te provato. In effetti essa costituiva la base comune di ogni teoria economica del valore fino a Marx, in¬ clusa l’economia classica premarxiana. E’ ben noto, però che solo 4 o 5 anni dopo la comparsa del primo volume del Capitale, gli economisti borghesi svilup¬ parono una teoria soggettivistica del valore, la teoria dell’utilità marginale, il cui motivo più penetrante 13 Ivi, p. 69. 14 Ivi, p. 80. 15 Ivi, p. 82.
114 ALFRED SOHN-RETHEL è la negazione del postulato di equivalenza. Questa scuola riduce il valore alla « logica della scelta » (Pareto), e la scelta presuppone differenza, non ugua¬ glianza dei valori. Certo questa posizione fa dell’idea¬ lismo il principio metodologico dell’economia, ma, comunque sia, d’allora in poi l’uguaglianza dei valori nello scambio non può più essere trattata come verità assiomatica. Il postulato di equivalenza dev’essere fondato, la sua validità dimostrata. Ciò non ricon¬ fermerà semplicemente l’analisi marxiana della mer¬ ce; questa subirà inevitabilmente un ampliamento e un approfondimento, e questo ampliamento compren¬ de, se non vado errato, anche l’inclusione della pro¬ blematica della conoscenza nell’analisi della merce e dell’economia. Ci sono più modi di affrontare questo compito, e innanzitutto quello di intraprendere una critica complessiva dell’economia soggettivistica e di rischia¬ rare dalle fondamenta la sua concezione della razio¬ nalità del calcolo economico del valore. Ciò è evi¬ dentemente impossibile in un breve articolo. Sce¬ glieremo dunque, in alternativa, un percorso abbre¬ viato che, oltre alla brevità, ha anche il vantaggio di eliminare l’intera problematica economica della grandezza del valore e della sua determinazione e di permettere così una concentrazione esclusiva sulla questione della forma dello scambio di merci e del valore. d) Atto d’uso e atto di scambio Per il nostro procedimento abbreviato ci servia¬ mo di una definizione di valore d’uso e di valore di scambio che da un lato soddisfa la teoria marxiana, e dall’altro non può venir respinta a limine neppure dai teorici soggettivisti. Tale definizione, ridotta ai minimi termini, è la seguente: come valore d’uso deve intendersi l’aspetto di una merce come oggetto
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 115 di atti d’uso, come valore di scambio il suo aspetto come oggetto di atti di scambio. Ciò è meno tauto¬ logico di quanto non sembri. La questione viene spostata dalle cose alle azioni che le concernono, e quindi alla prassi (si veda la prima tesi su Feuerbach). Si mostra così che oltre all’oggettiva differenza dei due modi di agire, è importante la circostanza che essi si escludono reciprocamente nello spazio e nel tempo. Atto d’uso e atto di scambio non sono solo materialmente differenti, ma anche imprescindibilmen¬ te separati nel tempo l’uno dall’altro. Questa circo¬ stanza contiene il fondamento dell’astrattezza del pro¬ cesso di scambio. Il processo è astratto perché in generale può aver luogo solo nella ’ astrazione ’ ef¬ fettiva dagli atti d’uso. Il rapporto di esclusione an¬ titetica spazio-temporale tra uso e scambio come azioni ha quindi per la nostra analisi uno specifico significato e dev’essere compreso con esattezza nella sua essenza. Su che cosa si fonda la separazione temporale, di che tipo è la sua necessità? Mentre sono oggetto di scambio tra i loro proprietari, le merci devono ri¬ manere esenti da ogni atto d’uso. La ragione è che gli atti di scambio servono a un solo tipo di cam¬ biamento, e precisamente a un mutamento di posses¬ so, a un mutamento cioè che riguarda soltanto lo stato sociale delle merci in quanto proprietà. Affin¬ ché questo mutamento puramente sociale possa aver luogo come prassi riconosciuta e secondo le sue pro¬ prie regole, l’uso materiale delle merci deve essere escluso per tutto il tempo necessario al mutamento stesso. Oppure, per dirla in maniera ancora più pre¬ cisa, lo status naturale o materiale delle merci, il loro status come oggetti di atti d’uso deve conservarsi in modo tale che possa essere considerato come immu¬ tato. Se questo presupposto, in un caso determinato, trovi riscontro nei fatti, è cosa che può restare inde¬ finita. Quel che è necessario perché lo scambio di
116 ALFRED SOHN-RETHEL merci sia realmente possibile è che le parti contraen¬ ti siano in grado di supporre, e postillino di fatto, che nel corso della transazione (consistente nella con¬ trattazione e nella consegna delle merci) lo status fisico delle merci, nella misura in cui esso riguardi il loro valore d’uso, rimanga intatto. E fintantoché questo postulato si riferisce ad azioni umane, gli può essere riconosciuta piena validità. Perciò, ogni qual¬ volta ha luogo uno scambio di merci, esso avviene sotto l’effettiva eliminazione o ’ astrazione ’ dall’uso. Non si tratta di una astrazione nel pensiero, ma nella realtà, nella prassi spazio-temporale dello scambio. Il fatto che non si verifichino atti d’uso è la condizione previa perché si verifichino atti di scambio. L’istitu¬ zione che serve alla realizzazione di una situazione di tal genere è il mercato. L’eliminazione dell’uso come azione non significa certamente che l’uso come scopo delle merci, e quin¬ di il loro valore d’uso, non giochi alcun ruolo nello scambio. Al contrario, il valore d’uso riveste per i soggetti che operano lo scambio un interesse vivissi¬ mo. Ma il valore d’uso, li occupa solo a livello delle rappresentazioni e della fantasia, ossia solo soggetti¬ vamente; sul mercato l’interesse non può tradursi in azione. Sul mercato, nelle vetrine, le merci stanno ancora ferme e mute in attesa solo di cambiare pro¬ prietario. In rapporto all’uso esse sono soltanto in esposizione. La merce contrassegnata da un prezzo fisso viene a trovarsi, per una sorta di finzione, in una condizione di identità fissa, che non può essere mutata né dalla natura né dalla mano dell’uomo. Questo non esclude che la si possa esaminare e pro¬ vare accuratamente, saggiare e collaudare, e persino che se ne possano avere dimostrazioni pratiche, seb¬ bene al limite queste non si possano distinguere dal¬ l’effettivo uso della merce. Comunque tutte queste iniziative servono, sul mercato, solo per una adeguata informazione e per una valutazione da parte dei dien-
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 117 ti, e restano separate con un limite invalicabile dal¬ l’uso pieno della merce in tutta la sua identità. Una barriera invisibile, dura come vetro, divide sul mer¬ cato l’uno dall’altro soggetto e oggetto. Le merci pas¬ sano dal sortilegio del mero fenomeno alla realtà della prassi oggettiva solo grazie al trasferimento dalla sfera pubblica del mercato alla sfera privata dei nuovi proprietari. Con uno sviluppo sufficientemente ampio del modo di produzione capitalistico la sfera del mercato si estende a tutto lo spazio ed il tempo della società, e l’offerta delle merci a un dato prezzo si generalizza. L’idealismo soggettivo del XVIII se¬ colo si adatta come fosse fatto su misura alle regole qui dominanti. La separazione tra atto di scambio e atto d’uso è fin dal principio caratteristica dello scambio (nel senso di uno scambio di proprietà tra possessori di merci fondato sulla reciprocità e sull’accordo). Ogni scambio di merci presuppone che la loro realtà fisica resti inalterata durante la transazione. Ciò non toglie che l’atto di scambio sia a sua volta un evento fisico, un atto dotato di realtà spazio-temporale. Solo a cau¬ sa della loro uguale realtà spazio-temporale scambio ed uso si escludono a vicenda. Viene a verificarsi così la situazione paradossale per cui un’azione, che ha a che fare solo con lo status sociale delle merci ed esclude come contraddittorio il fatto che ci si oc¬ cupi del loro status fisico, è non di meno dotata di realtà fisica. L’astrattezza ohe scaturisce dalla eliminazione del¬ l’uso è di conseguenza proprietà di una azione fisica- mente reale, quantunque solo per gli uomini che ne comprendono il senso come atto di scambio. Come la situazione che abbiamo così analizzato contribuisca a fondare il postulato di equivalenza, è una questione che qui dobbiamo limitarci ad accen¬ nare appena. E’ immediatamente evidente che la ne¬ gazione soggettivistica della equivalenza procede dal
118 ALFRED SOHN-RETHEL disconoscimento del fenomeno dello scambio, dalla sua interpretazione in termini di uso e di soddisfa¬ cimento di bisogni, con una totale ignoranza della sua realtà come forma di relazioni sociali e della sua conseguente determinazione formale. Il postulato di equivalenza si sviluppa dall’astrazione dello scambio o, più precisamente, dall’identità di forma che l’astra¬ zione stabilisce tra le due merci, i due soggetti che operano lo scambio ed i loro rapporti reciproci. E l’astrazione, dal canto suo, è legata alla reciprocità del mutamento di possesso come « scambio », ossia alla sua natura sociale e interumana. Una appropria¬ zione soltanto unilaterale, che sia fondata sul furto o sulla riscossione di tributi o anche sull’appropria¬ zione della natura, non richiede alcuna separazione dell’appropriazione dall’uso (il consumo può costi¬ tuire l’appropriazione). Perciò agli oggetti dell’appro¬ priazione unilaterale non si aggiunge alcun valore astratto diverso dalla loro utilità fisica. Il valore a- stratto è un concetto che viene in generale concepito solo ai fini di una possibile equiparazione di diffe¬ renti oggetti di uso neU’ambito delle relazioni di scambio. All’astrazione dello scambio come base del¬ la forma-valore si riallaccia ora l’analisi ulteriore. e) Gli elementi formali dell'astrazione dello scambio Uso l’espressione ” astrazione dello scambio ” nel senso di un’astrattezza che inerisce all’atto di scambio per il fatto che esso ha luogo per sua natura in ef¬ fettiva separazione da ogni atto d’uso. L’espressione non si identifica quindi con i concetti marxiani di astrazione di valore e astrazione di merce, che si ri¬ feriscono al lavoro astratto; essa si riporta invece a termini come forma di merce e forma di valore 15a. 15a Per esempio nella frase: « Il processo di scambio non dà alla merce che esso trasforma in denaro il suo valore, ma la sua forma specifica di valore» (Capitale, cit., p. 123).
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 119 L’astrazione dello scambio ha tuttavia in comune con l’astrazione della merce il fatto che è sottratta alla coscienza dei soggetti mentre compiono le azioni con le quali la producono. Mentre agiscono, infatti, i possessori di merci sono tutti presi dai loro interessi economici, e non possono prestare contemporanea¬ mente attenzione alle implicazioni formali del loro agire. La coscienza dell’astrazione in atto è una im¬ possibilità logica, poiché l’astrazione non avrebbe luo¬ go se la coscienza fosse rivolta ad essa anziché all’at¬ to di scambio. Poiché questo articolo riguarda la teoria della conoscenza, quello che più importa a proposito del¬ l’astrazione dello scambio è di determinare con pre¬ cisione l’atto di scambio in senso stretto: in tal atto, infatti, sono raccolti gli elementi costitutivi dell’astra¬ zione e il definirlo nelle sue parti consente di colle¬ gare i diversi elementi in uno schema. Lo schema dunque descrive l’atto del trasferimento del possesso delle merci tra gli operatori dello scambio come un puro movimento, attraverso spazio astratto e tempo astratto, di sostanze le quali durante il processo non subiscono alcun mutamento materiale, capaci di dif¬ ferenziazione meramente quantitativa. Queste deter¬ minazioni, anche senza una deduzione formale su cui non possiamo attardarci in questa sede, dovrebbero apparire abbastanza credibili nella loro origine dal¬ l’astrazione dello scambio, perché se ne possa far uso ai fini della nostra spiegazione. L’accento è posto sul fatto che gli elementi del¬ l’astrazione dello scambio sono elementi puramente formali che, sottratti ad ogni percezione sensibile, non ammettono altro modo per essere colti che la riflessione in puri concetti. Essi, però, non nascono nel concetto, non procedono dal pensiero! Essi han¬ no origine invece dall’« essere sociale », cioè scatu¬ riscono come risultato cieco ma tuttavia comprensi¬ bile e deducibile del processo di scambio, e quindi
120 ALFRED SOHN-RETHEL dalla causalità delle azioni umane, cioè da processi spazio-temporali, storici. Non è il pensiero umano a produrre per sua interna spontaneità queste astra¬ zioni formali, ma è al contrario l’astrazione formale dello scambio di merci nella società che produce il puro pensiero e crea con esso la divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. La dimostrazione di questa tesi, comporta per sua natura delle difficoltà. E’ però, possibile, anche se non facile, giungere, sulla scorta delle indicazioni della descrizione qui data dell’astrazione dello scam¬ bio, ad una determinazione completa e precisa dei suoi elementi formali. Chiunque si accinga a questo compito scoprirà che viene in tal modo fornita la spiegazione genetico-formale di quei concetti che so¬ no tradizionalmente noti come categorie dell’intellet¬ to puro e che, nella interpretazione ontologica o in quella epistemologica, costituiscono il problema cen¬ trale sul quale si è inutilmente rotta la testa la filo¬ sofia dai ’ primi filosofi ’ a oggi. f) II nucleo razionale della teoria della conoscenza Chiediamoci perciò dov’è, da un’angolazione mar¬ xista, il nocciolo razionale della filosofia teoretica. Esso sta nella questione: come è possibile una valida conoscenza della natura su una base diversa dal la¬ voro manuale? Si può dire che la filosofia è vecchia quanto questo problema. Nell’antichità toccò proprio ai filosofi ricercare col lavoro intellettuale la cono¬ scenza della natura; nell’età moderna la conoscenza 1616 « L’astrazione dell’oggettività borghese è dovuta al¬ l’analoga astrazione nella società » (C. Caudwell, Crisis in Physics, 1939, p. 80). Caudwell è, oltre a Thomson, uno dei pochi marxisti che ha intrapreso una direzione di pensiero affine alla mia. (Caudwell cadde nella guerra di Spagna).
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 121 della natura divenne compito della scienza, mentre i filosofi, da Descartes in poi, tentarono di rendere con¬ to proprio della scienza e della sua possibilità. Essi sono ancora occupati in questo compito. In entram¬ be le epoche la conoscenza della natura a livello in¬ tellettuale era una necessità indispensabile per le classi dominanti della società basata, nell’antichità sul¬ la produzione di merci semplice e, nell’età moderna, sulla produzione di merci capitalistica. Qui come là, il controllo sul processo di produzione è passato dai produttori manuali a una classe di non-lavoratori che esercitano il loro dominio di classe come capitalisti, cioè come detentori del potere del denaro. Una va¬ lida conoscenza della natura da fonti diverse dal la¬ voro manuale era perciò, ed è ancora, un’indispen¬ sabile necessità sociale. Naturalmente non abbiamo in questa sede né l’opportunità né l’intenzione di addentrarci nelle di¬ verse risposte che questo problema ha ricevuto in 2.500 anni di storia della filosofia fino a noi, fino a Wittgenstein, Dewey e Bertrand Russell. E’ sufficien¬ te qui accennare al fatto che queste risposte sono tutte concepite in termini atemporali, astorici, cosic¬ ché i bisogni particolari della società, che scaturisco¬ no dalla produzione di merci, appaiono come immu¬ tabili necessità naturali. A questo modo di pensare noi contrapponiamo una risposta marxista: la cono¬ scenza della natura che diventa necessaria nelle so¬ cietà produttrici di merci è basata, per quel che riguarda le categorie, sull’astrazione dello scambio. L’astrazione dello scambio è l’origine spazio-tempo¬ rale, storica, del pensiero atemporale, astorico. La natura compresa nelle forme di questo pensiero è natura in forma di merce 17. 17 Caudwell parla nel luogo già citato di ’mercato co¬ smico ’ e mette in relazione lo schema newtoniano del mo¬ vimento puro con l’astrazione dello scambio.
122 g) Movimento e materia ALFRED SOHN-RETHEL Questa indicazione dovrà restare qui una tesi senza dimostrazione, poiché è impossibile fornire in questo luogo adeguata conferma nei particolari. A sostegno di essa, comunque, consideriamo due ca¬ ratteristiche generali della scienza moderna e dello schema di pensiero che vi è sotteso. Una la si trova in Engels: « Il movimento è il modo di esistere della materia. Mai e in nessun luogo c’è stata o può esserci materia senza movimento. Movimento nello spazio cosmico, mo¬ vimento meccanico di masse più piccole nei singoli corpi celesti, vibrazione molecolare come calore o come cor¬ rente elettrica o magnetica, scomposizione e combinazio¬ ne chimica, vita organica: sono queste le forme di mo¬ vimento, nell’una o nell’altra o contemporaneamente in parecchie delle quali si trova, in ogni dato istante, ogni singolo atomo di materia cosmica » 18 (sottolineatura di Engels). L’altra in Bertrand Russell: « La teoria che il mondo fisico sia costituito solo di materia in movimento fu la base delle teorie general¬ mente accettate sul suono, sul calore, sulla luce e sul¬ l’elettricità » 19. La connessione necessaria di materia e movimen¬ to discende dalla definizione galileiana del principio d’inerzia20. Questa definizione fu il tocco finale per l’elaborazione del metodo matematico e sperimentale, 18 F. Engels, Anti-Dühring, cit., p. 70. 19 Storia della filosofia occidentale, Milano 1968, p. 793. 20 Nella formulazione di Newton la definizione suona: « L’inerzia è quella proprietà della materia in virtù della quale essa conserva lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché non lo muti una causa esterna ».
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 123 che fece di Galileo il fondatore della scienza moderna della natura. Come spieghiamo, a partire dalla nostra tesi, la sua interna possibilità conoscitiva? Alla luce della definizione galileiana di inerzia lo schema di movimento dell’astrazione dello scam¬ bio assume il valore di quel minimo che in generale può ancora essere considerato un evento fisico. Lo schema di movimento dell’astrazione dello scambio diventa qui, dal punto di vista metodologico, l’ele¬ mento di congiunzione tra matematica e natura. Un fenomeno naturale, che in conformità a questa forma elementare si lascia costruire come ’ movimento com¬ binato ’, diventa con ciò ipso facto sussumibile sotto gli elementi formali dell’astrazione dello scambio e riconducibile a trattamento matematico. A tale fe¬ nomeno si adatta perfettamente il procedimento ef¬ fettivamente seguito da una .conoscenza che quanti- fica la natura. Un’ipotesi teoretica in formulazione matematica viene enunciata e verificata mediante il confronto con la natura, o meglio mediante il con¬ fronto con quello specifico processo naturale accura¬ tamente isolato nel quale l’ipotesi contiene la defi¬ nizione. Questo confronto è realizzato dall’esperi¬ mento. Se l’esperimento fornisce una verifica convin¬ cente, l’ipotesi si eleva a ’ legge di natura ’ che ga¬ rantisce ora, in una ripetizione uguale nelle condi¬ zioni di isolamento dell’esperimento, la stessa cau¬ salità. Questa garanzia è uno degli innumerevoli ri¬ sultati della moderna indagine quantificante della na¬ tura, di cui gli imprenditori capitalistici hanno biso¬ gno per l’installazione di produzioni in serie di mer¬ ci per il mercato, e quindi per il processo di valoriz¬ zazione del loro capitale. Queste produzioni in serie sono la copia ingrandita, precisa, degli esperimenti di laboratorio delle moderne scienze esatte. Con ciò si chiude il circolo scienza, tecnologia, economia po¬ litica, di cui la tesi qui sostenuta promette di render conto sul terreno marxiano. La conoscenza della na¬
124 ALFRED SOHN-RETHEL tura da fonti diverse dal lavoro manuale, e precisa- mente da parte di un lavoro intellettuale irrimedia¬ bilmente separato dal lavoro manuale, è in realtà un’indispensabile necessità per la produzione capita¬ listica di merci. h) La riflessione dell’astrazione dello scambio Nel corso dei due ultimi paragrafi (f e g) abbia¬ mo lasciato intendere che l’astrazione dello scambio è entrata nella coscienza ed ha assunto un’adeguata forma concettuale. Ma sulla base della nostra espo¬ sizione dell’astrazione dello scambio questa è una supposizione inammissibile. In primo luogo perché non è astratta la coscienza di coloro che scambiano, ma solo il loro agire. In secondo luogo una coscienza dell’astrazione può in generale sorgere solo post fe- stum e non in actu. In terzo luogo una coscienza dell’astrazione è possibile solo in pura forma con¬ cettuale, senza passaggi intermedi, senza 'possibili te¬ stimonianze dirette della sua genesi. Come si può al¬ lora rendere comprensibile questa genesi? Ancora una volta dobbiamo qui limitarci ad una risposta astrattamente generalizzante, per così dire ad una risposta di principio. Una coscienza dell’astra¬ zione dello scambio è possibile solo se l’astrazione assume una rappresentazione peculiare. Ciò avviene solo nella forma del denaro, e propriamente della^ moneta coniata. « La forma semplice di merce è il germe della forma di denaro », dice Marx nella frase conclusiva della sua analisi della forma-valore21. Qui presupponiamo come nota quest’analisi, sebbene ven¬ gano sviluppati in particolare alcuni punti centrali. 21 Op. cit., p. 103.
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 125 i) L’evoluzione della moneta Nello stadio iniziale della « forma di valore sem¬ plice, isolata o accidentale », l’astrazione dello scam¬ bio non trova ancora un’espressione distinta di nes¬ sun genere, sia che ora si tratti di scambi tra comu¬ nità naturali a livello preistorico o di atti isolati di scambio in natura. Allo stadio più alto della « for¬ ma di valore totale o dispiegata », compare una molte¬ plicità di possessori di merci in una rete di rapporti di scambio multilaterali di un’ampia varietà di mer¬ ci. In questo scambio indiretto, una merce viene ad emergere su tutte le altre, fino a diventare media¬ trice dello scambio. Sebbene questa merce che funge da « forma particolare di equivalente » non assuma ancora una « forma di valore » differente dalla sua « forma naturale » di valore d’uso, la particolarità della sua funzione risalta tuttavia nel postulato che essa, durante il periodo in cui svolge questa funzione, debba essere considerata esente da ogni mutamento materiale. Questo postulato non trae certamente ori¬ gine dal suo valore d’uso. D’altra parte la merce che funge da equivalente viene scelta in modo tale da essere potenzialmente adatta a tale scopo. E pur- tuttavia in questo modo la caratteristica fondata sulla forma di valore per la coscienza comune continua ancora ad essere collegata con la particolarità del suo determinato valore d’uso. La forma di valore, in altri termini è ancora nascosta dalla forma naturale, seb¬ bene o proprio perché quella conferisce a questa uno splendore feticistico. E’ proprio ciò che accade quando questa forma particolare di equivalente ade¬ risce ai metalli nobili. Certo questi ultimi svolgono questa funzione già su scala internazionale, e rice¬ vono così per la loro forma di equivalente una va¬ lidità praticamente universale. « Tutto ciò però era ancora assai poco sviluppato; i metalli nobili comin¬ ciavano a diventare merce-denaro prevalente e uni-
126 ALFRED SOHN-RETHEL versale, ma non erano ancora coniati e venivano scam¬ biati ancora in base al loro peso grezzo »22 23. Per molti secoli essi svolgono questo ruolo di equivalente ge¬ nerale conservando la loro grezza forma metallica in barre, lingotti o grani, «e devono ogni volta essere tagliati o fusi, pesati, deve esserne accertato il titolo di purezza e cosi via; in breve, devono venir trattati conformemente alla loro forma naturale metallica. Proprio queste operazioni fisiche costituiscono però, in vista delle esigenze del mercato, imperfezioni e intralci fastidiosi che prima o poi vengono rimossi mediante la coniazione. Questo passo fu fatto per la prima volta nella storia intorno al 680 a.C. sulla spon¬ da ionica del Mar Egeo, in Lidia o in Frigia. « Dalla Ionia il nuovo mezzo di scambio si diffuse attraverso l’Egeo fino ad Egina, all’Eubea, Corinto, Atene e più tardi anche alle colonie greche in Italia e in Si¬ cilia. Cosi la società greca fu la prima a basarsi su di un’economia monetaria; molto raramente è stato valutato appieno il significato di tale sviluppo »B. L’introduzione e la rapida espansione della coniazio¬ ne è uno degli indici più sicuri dell’ampliamento dei traffici nell’epoca in cui la produzione di merci, per dirla con Engels, « entrò nello stadio del suo pieno sviluppo ». j ) Vintelletto autonomo In seguito alla coniazione si è invertito il rapporto che aveva dominato fino a questo punto e che vedeva la forma di valore della merce subordinata alla sua forma naturale: ora la forma sociale di valore si serve per i suoi scopi di ima determinata e particolare forma naturale. Un materiale naturale porta ora savraimpres- so, in una forma qualsiasi, che esso non è più destinato 22 F. Engels, L'Origine della famiglia, cit., p. 194. 23 G. Thomson, op. cit., p. 197.
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 127 all’uso, ma solo allo scambio. L’autorità che batte moneta — sia essa costituita inizialmente da privati commercianti o da un « tiranno » che si è arrogato un potere regale — garantisce il peso e il titolo delle monete e promette di rimborsare nel loro pieno va¬ lore quelle che abbiano subito un certo logoramento. Una moneta è perciò una cosa conforme ai postulati dell’astrazione dello scambio, una cosa astratta, una forma astratta fatta sensibile. Del suo materiale la prassi commerciale afferma che esso è fisicamente immutabile, un materiale su cui il tempo non ha al¬ cun potere e che circola tuttavia nel mondo delle cose materiali, le domina e fa loro da « equivalente ». E’ quindi ovvio e, a mio avviso, di stringente forza persuasiva, che il denaro coniato, in quanto è una cosa conforme ai postulati dell’astrazione del denaro, costituisce quell’elemento di congiunzione cer¬ cato attraverso il quale l’astrazione dello scambio passa dall’essere sociale alla coscienza e può divenire astrazione concettuale. Chiunque porti moneta in ta¬ sca e ne comprenda l’uso funzionale, deve avere in testa astrazioni concettuali pienamente determinate, che ne sia cosciente o meno. Egli, infatti, tratta in concreto queste monete come se consistessero di una sostanza indistruttibile e increata e capace inoltre di uno specialissimo tipo di movimento fra le merci sul mercato. Il possessore di denaro può rendersi conto solo molto vagamente dei suoi nuovi concetti, po¬ trebbe anzi sfuggirgli del tutto il fatto che (e come è che) essi divergono dalla natura fisica della sua moneta e in generale del mondo percepibile. Il dato di fatto storicamente databile è ciò non di meno che da questo momento diventano disponibili concetti nel senso proprio e formale del termine, concetti che si riferiscono a quello stesso mondo delle cui qualità fisiche la percezione fornisce Soggettiva testimonian¬ za. Non è certo necessaria una coscienza riflessa delle astrazioni con ciò messe in atto per servirsi del de¬
128 ALFRED SOHN-RETHEL naro per i propri evidenti scopi commerciali, per assicurarsi tutte le occasioni di profitto che con esso possono essere colte. La presa di coscienza di esse nei dettagli, invece, cioè una configurazione del pen¬ siero ad esse adeguate, l’assegnazione di nomi e pa¬ role e l’elaborazione di definizioni, la ricerca delle loro connessioni interne e delle contraddizioni (come quiete e moto, sostanza e atomo, continuo e discreto, ecc.), come anche la loro relazione, ma insieme con¬ trapposizione al mondo dei sensi, e così via, tutto ciò non è più questione che occupi l’ingegno del com¬ merciante che aveva inventato la moneta, ma risul¬ tato del poderoso sforzo del pensiero che i Greci chiamarono « filosofia » e i cui inizi risalgono a una o due generazioni dopo la più antica coniazione di moneta. Con ciò si vuol dire che la presa di coscienza dell’astrazione dello scambio non va intesa come ne¬ cessità automatica attraverso una determinazione mec¬ canica, ma costituisce una potenzialità condizionata e perciò chiaramente e distintamente definibile dello sviluppo economico. E ciò che dà stimolo a un tale sforzo non è l’interesse economico in senso stretto ma sono interessi di classe, nei quali gli uomini si identificano rappresentativamente con la loro società. Se siamo nel giusto, con la nostra teoria la filosofia greca dovrebbe diventare accessibile alla « critica » (prendendo il termine nel senso pieno di Hegel e Marx) fin nei particolari; la filosofia greca dunque, in questa luce, può essere vista come l’apporto ideo¬ logico degli antichi capitalisti del commercio e del denaro, delle classi cioè che organizzarono la società greca e romana come comunità di appropriazione dei detentori del denaro, cui i produttori non partecipa¬ vano in alcun modo ma di cui costituivano, in quanto schiavi, il principale oggetto di appropriazione. Gli schiavi non avevano diritto di possedere denaro, e, in base a questo criterio, non erano « uomini ». Ciò che con la concettualizzazione dell’astrazione
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 129 dello scambio prende forma e si affaccia all’esistenza è l’intelletto logicamente autonomo, costituzionalmen¬ te separato dal lavoro manuale. La sua indipendenza si spiega col fatto che le forme nelle quali esso si muove sono immediatamente forme sociali e cioè gli elementi dell’astrazione dello scambio che, sulla base della produzione di merci, è portatrice del nesso so¬ ciale. Di qui la generale universalità dei concetti del¬ l’intelletto « puro ». Ma sebbene dovuta esclusiva- mente alla natura immediatamente ed originariamen¬ te sociale delle sue forme concettuali, l’autonomia dell’intelletto appartiene però solo all’individuo che pensa in queste forme. Per quanto mediata, si tratta sempre di autonomia delPintelletto individuale, in cui la mediazione scompare. k) Falsa coscienza Abbiamo già accennato che nell’astrazione dello scambio il tempo diviene tempo non storico e lo spa¬ zio uno spazio non geografico; essi diventano « tempo astratto » e « spazio astratto », tempo infinito e spa¬ zio illimitato. In questa determinazione essi diventano la cornice di una concezione della natura come mero mondo oggettuale, che sta in opposizione antitetica al mondo umano della società. Questo concetto di natura non esisteva prima, ed è totalmente incompa¬ tibile con le connotazioni umane e sociali che anima¬ vano le rappresentazioni magiche e mitologiche della natura. Natura e mondo umano stanno l’uno di fron¬ te all’altro senza mediazione concettuale, senza istan¬ ze antropomorfiche che li colleghino. La natura in questo nuovo senso oggettuale costituisce l’immedia¬ to ed eletto oggetto di conoscenza dell’intelletto au¬ tonomo, attrezzato coi mezzi appropriati per compren¬ derlo e indagarlo grazie alle fonti dell’astrazione del¬ lo scambio. Tutti i concetti derivati dall’astrazione dello scambio hanno in comune il carattere atempo-
130 ALFRED SOHN-RETHEL rale, astorico, che contrassegna anche questo concet¬ to di natura come mondo oggettuale quantificabile. Nell’astrazione dello scambio la società svanisce. Qui sta l’arcano di questo concetto di oggetto e della sua genesi sociale non meno che della sua validità per la natura. L’intelletto puro e autonomo che così sorge in questo processo genetico, non reca alcuna traccia della sua origine. Questa è svanita per lui lungo il processo genetico, nella genesi stessa. Esso è giunto all’uomo come il più misterioso di tutti i misteri, come il suo incomprensibile potere di comprendere. L’intelletto astratto è in grado di soddisfare alle ne¬ cessità sociali, ma lo fa con falsa coscienza. Il mistero è siglato nella storia della filosofia con una lunga lista di nomi — logos, nous, intellectus purus, ego cogitans, spirito, soggetto trascendentale e altri an¬ cora. Ma il velo della falsa coscienza non nasconde all’intelletto solo la sua essenza; si estende su tutto il campo dei rapporti e delle attività sociali, e rende irriconoscibile agli uomini la loro stessa storia24. La facoltà dell’intelletto astratto sorge per l’uomo in maniera visibile in quella svolta storica decisiva in cui egli perde il controllo sul processo sociale. La sua ratio autonoma, che segue una logica sua propria, non ha altra funzione per lui che quella di una luce indispensabile per orientarsi in un mondo immerso nell’oscurità. Ma proprio questa costellazione forni¬ sce al suo pensiero l’idea di verità, il senso critico e autocritico. L’idea di verità compare nella storia come dominio della falsa coscienza. Essa è una falsa idea di verità, falsificata dal fatto che l’intelletto astratto è staccato dal lavoro manuale, dal « lavoro vivo » nel senso di Marx. All’interno di questa scissione, essa è 24 Sul problema della falsa coscienza si veda G. Thom¬ son, op. cit., e A. Sohn-Rethel, Necessary False Conscious¬ ness, in « Modem Quarterly », voi. 3, n. 1 (inverno 1947-8).
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 131 l’irresolubile questione a priori della verità assoluta, atemporale. Questa connessione contraddittoria di falsa coscienza e idea di verità costituisce il fenomeno biz¬ zarro e meraviglioso della filosofia e della sua comuni¬ tà di discussione che attraversa tutte le epoche della produzione di merci. La filosofia si fonda sul comune denominatore concettuale radicato nell’astrazione dello scambio. Essa attinge la soglia del suo autosuperamen¬ to in Hegel, che riconosce nella sua natura universale ed originaria l’oscurità che regna nei concetti del¬ l’intelletto e si avvia ad una concezione dialettica della verità come condizionata temporalmente, pro¬ cessuale. Ma anch’egli comprende il compito ancora come meramente immanente allo spirito — « portare l’intelletto alla ragione » — come egli dice. Solo Marx esce fuori dalla filosofia (non però dalla co¬ munità della discussione filosofica) e capisce che « si tratta di cambiare il mondo », e quindi di eliminare la produzione di merci che genera l’oscurità e di sostituirla con la libera associazione dei produttori. Conclusioni Siamo ora in grado di chiarire la palese contrad¬ dizione emersa tra le concezioni della conoscenza di Engels e Lenin da un lato, di G. Thomson e mia dall’altro. In verità non c’è contraddizione. Da ambo le parti i fondamentali concetti dell’rntelletto ven¬ gono concepiti come astrazioni che scaturiscono dal¬ l’essere, non dal pensiero. Su questa fondamentale posizione del materialismo non c’è alcuna differenza di opinioni. C’è differenza solo sul problema di co¬ me si debba pensare il processo di astrazione median¬ te il quale l’intelletto viene in possesso dei suoi in¬ dispensabili concetti. Su questo problema però Engels e Lenin non si sono espressi, mentre da G. Thom¬ son e da me viene esposta in proposito una precisa
132 ALFRED SOHN-RETHEL teoria. Espressioni come ’riproduzione’, ’riflessio¬ ne ’, ’ rispecchiamento ’, che spesso vengono impiega¬ te nelle discussioni sul materialismo, sono mere pa¬ role, che indicano l’assenza di una teoria compiuta piuttosto che rappresentarla o renderla superflua. Ca¬ ratteristica di ciò è la loro vaga generalità, che non intraprende neppure un chiarimento specifico di par¬ ticolari concetti. Queste parole sono per così dire etichette per un recipiente il cui contenuto è ancora da trovare. G. Thomson e io ci occupiamo di questo contenuto. Con i miei concetti, esso si può riassu¬ mere come segue. Il processo di astrazione, che contiene la spiega¬ zione dei concetti conoscitivi dell’intelletto, è il pro¬ cesso sociale complessivo della produzione di merci. E’ il processo storico di un’astrazione reale che ha luogo nello scambio di merci e grazie alla quale que¬ sto può fungere da veicolo della socializzazione in luogo della collettività di produzione delle epoche passate. Questa svolta coincide con la comparsa della moneta coniata, nella quale l’astrazione dello scambio perviene a raffigurazione sensibile. Il modo in cui, per mezzo di ciò, l’astrazione reale dello scambio perviene alla coscienza e forma l’intelletto astratto può essere designato, in senso non metaforico, come ’ riflessione ’, perché Tessere riflesso è già in se stesso astratto, è denaro, cosa astratta. Il processo di scam¬ bio non è pensiero, ma ha la forma del pensiero, l’astratta forma del ’ puro ’ pensiero. Le forme della coscienza astratta sono immediatamente prodotti del¬ la base sociale, ma la coscienza di queste forme è una parte molteplicemente mediata e faticosamente con¬ quistata della sovrastruttura. Questa relazione fornisce un chiarimento specifico di concetti particolari. Essa offre altresì la spiegazione della funzione conoscitiva cui questi concetti sono idonei. Lo scambio di merci infatti non crea, ma soltanto astrae le forme, che esso media per la coscienza riflettente. E in verità le astrae
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 133 dalla natura, dalla base naturale che sta a fondamento della società25 26. Nell’attività conoscitiva dell’intelletto la natura astratta perviene così, come risultato di cieche, obiettive mediazioni, ad un’applicazione alla natura concreta. Si spiega in questo modo l’enigma di come la conoscenza della natura indispensabile per la prassi dello sfruttamento derivi da fonti diverse da quella del lavoro manuale. Questa teoria espone una precisa conferma della tesi marxiana che abbiamo posto in cima a questo saggio, e che formula la quintessenza del materiali¬ smo storico meglio di ogni altra proposizione. Con la nostra teoria si dimostra in particolare come nel caso dell’« intelletto puro » e dei suoi concetti « l’es¬ sere sociale determini la coscienza ». Questo modo di spiegare i concetti dell’intelletto, atemporali nel loro contenuto, è profondamente e in¬ timamente storico. Viene così mostrato come questa astorica forma della coscienza ha una causa storica L’astratta forma della conoscenza intellettuale si rivela legata alle determinate formazioni sociali fon¬ date sulla produzione di merci. Se queste formazioni sociali volgono alla fine, volge alla fine anche la va¬ lidità del tipo di conoscenza e di coscienza contras- segnato della separazione del lavoro manuale. Una formazione sociale socialista dev’essere fondata sulla determinatezza strutturale del processo lavorativo della attuale produzione altamente socializzata. Non è necessaria una lunga analisi delle crescenti connes¬ sioni formali che ne derivano per capire che una tale base sociale esige l’unità di lavoro intellettuale e la¬ voro manuale. Una ricerca su come questa unità sia 25 Per la dimostrazione di ciò devo rimandare alla prima parte del mio libro nel frattempo apparso Geistige und körperliche Arbeit, Frankfurt 1970. 26 Prima di compilare la prossima teoria positivistica della scienza, si senta il dovere di demolire la teoria qui esposta.
134 ALFRED SOHN-RETHEL possibile esige analisi formali su un piano diverso da quello presente. Per la costruzione di una società socialista (e comunista) non basta certo riconoscere la possibilità dell’unità di mente e mano, ma bisogna produrla e praticarla coscientemente, e ciò esige l’in¬ tera e compiuta indagine storico-materialistica sulle cause dei tipi di pensiero socialmente necessari in ge¬ nerale. Parlando in generale le forme di conoscenza socialmente necessarie di un’epoca sono determinate mediante la formazione della sintesi sociale, della connessione sociale di questa epoca. La sintesi sociale sta a fondamento dei radicali mutamenti storici, e con esse muta il tipo di pensiero socialmente neces¬ sario. Connessa alla divisione tra mente e mano è quel¬ la fra economia e conoscenza. Non c’è mediazione logica tra le categorie dell’economia delle merci e quelle della conoscenza della natura. Questo duali¬ smo antitetico è espressione dell’incontrollabilità e della mancanza di pianificazione del processo sociale basato sulla produzione di merci; il socialismo ne postula la scomparsa. Entrambe le parti del dualismo risalgono al rapporto di merce e si sviluppano da questo come gemelli da uno stesso uovo, ciascuna con la sua essenza separata, ciascuna col suo sviluppo secondo la sua propria legge interna. La forma em¬ brionale del dualismo dovrebbe poter essere conosciu¬ ta sulla base dell’analisi della merce. Il fatto che ciò non si verifica, nell’analisi marxiana della merce, dà fondamento ad una sua critica. La carenza si rivela nella poco chiara discriminazione tra « forma di va¬ lore » e « sostanza di valore », forma astratta e la¬ voro astratto. Forma e lavoro sono entrambi astratti per il loro fondamento, o invece l’astrazione si fonda solo nella forma, e il lavoro non è che l’oggetto reso astratto? « Il processo di scambio non dà alla merce che esso trasforma in denaro il suo valore, ma la sua forma specifica di valore ». In questa frase già
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 135 precedentemente citata dal 2° capitolo la discrimina¬ zione è chiaramente espressa. Ma nell’analisi del pri¬ mo capitolo non viene portata avanti in maniera chiara, viene di frequente oscurata mediante un uso metaforico, caratteristico del senso critico marxiano, di concetti analitici. Ma in un luogo significativo la commistione di forma di valore e sostanza di valore diviene evidente. Nel passo sul carattere di feticcio della merce si dice: « Gli oggetti d’uso diventano merci, in' genere, sol¬ tanto perché sono prodotti di lavori privati, eseguiti indipendentemente l'uno dall'altro. Il complesso di tali lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo. Poiché i produttori entrano in contatto sociale soltanto mediante lo scambio dei prodotti del loro lavoro, anche i caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati appaiono soltanto all’interno di tale scambio »27. Donde però i lavori traggono, finché sono lavori privati, i « caratteri specificamente sociali » che non derivano loro dal processo di scambio, ma al con¬ trario « appaiono soltanto all’interno di tale scam¬ bio », e quindi chiaramente esistono già prima dello scambio e indipendentemente da questo? Le frasi che seguono sembrano in verità eliminare di nuovo la contraddizione: « Ossia, i lavori privati si effettuano di fatto come articolazioni del lavoro complessivo sociale mediante le relazioni nelle quali lo scambio pone i prodotti del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i produttori. Quindi a questi ultimi le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè, non come rapporti immediatamente sociali tra persone nei loro stessi lavori, ma anzi, come rapporti di cose fra persone e rapporti sociali fra cose ». 27 II Capitale, cit., p. 105.
136 ALFRED SOHN-RETHEL Analizzare criticamente questo robusto dettato marxiano è possibile, anche se non facile. « Rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori » sono la caratteristica di una produzione col¬ lettivamente gestita, dove il lavoro sociale comples¬ sivo si effettua nella sua vera identica figura. Nella produzione di merci accade il contrario. Qui il la¬ voro sociale complessivo si effettua in forma contrad¬ dittoria. Quésta forma contraddittoria ha la figura delle « relazioni nelle quali lo scambio pone i pro¬ dotti del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i pro¬ duttori ». Il processo sociale di scambio dei prodotti del lavoro come merci, e quindi la forma di merce dei prodotti del lavoro, è così una figura contraddit¬ toria del lavoro sociale complessivo. Ma così abbia¬ mo ancora a che fare con i « caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati », i quali ai produt¬ tori privati neiratto di scambiare si presentano nella forma inautentica di rapporti dei loro prodotti in qualità di merce scambiata e perciò come rapporti sociali fra cose o rapporti di cose fra persone. In realtà i caratteri sociali del lavoro, propri della pro¬ duzione collettiva, perdurano anche in seguito, seb¬ bene ora ci si trovi sul terreno della produzione pri¬ vata. La funzione socializzante dello scambio di mer¬ ci non deriva così da questa forma di circolazione, benché questa dia « alla merce che... trasforma in denaro,... la sua forma specifica di valore », verrebbe a discendere invece dall’attività dei lavori privati co¬ me lavoro sociale complessivo, in virtù dei « carat¬ teri specificamente sociali » a loro a torto attribuiti. Questo spostamento della funzione socializzante dallo scambio di merci al lavoro spiega perché in Marx l’analisi formale dello scambio di merci è interrotta. Non viene così colto il ruolo della forma di merce per la formazione della coscienza dei possessori di merci. La determinatezza formale dell’intelletto a- stratto, in realtà un epifenomeno della forma di mer¬
TEORIA STORICO-MATERIAL. DELLA CONOSCENZA 137 ce, resta, con lo sviluppo complessivo delle scienze naturali, chiusa alla comprensione materialistica della storia, e non viene percepito il rapporto gemellare e antitetico di economia e conoscenza. Devo però insistere con molta energia sul fatto che la mia critica all’analisi marxiana della merce non im¬ plica ovviamente il suo globale rifiuto. La stessa mia critica si muove fondamentalmente proprio sul ter¬ reno della prospettiva marxiana, ricalcando il model¬ lo esemplare del suo metodo che Marx ha dato nel¬ l’analisi della merce. Questa critica implica perciò, al contrario, il chiarimento e l’ampliamento dell’ana¬ lisi marxiana della merce. Resta in particolare intatto il suo significato per la critica dell’economia politica. Si aggiunge invece il suo significato per la critica della filosofia teoretica e in un senso più ampio per la critica dell’ideologia. Titolo originale: Grundzüge einer geschichtsmateridisti- schen Erkenntnistheorie, nel volume Materialistische Erkennt¬ niskritik und Vergesellschaftung der Arbeit, Merve Verlag, Berlin 1971.
Notizia su Alfred Sohn-Rethel 11 saggio qui pubblicato è uno dei pochissimi che Sohn-Rethel dette alle stampe prima del 1970. Può essere quindi utile fornire alcune informazioni ri¬ guardanti il suo lungo quanto taciturno itinerario intellettuale. Di lui, si è cominciato a discutere nella sinistra solo in questi anni, per quanto egli faccia par¬ te di quella stessa generazione di studiosi che, for¬ matasi negli anni Venti, ha dato numerosi contributi ad un ripensamento, in direzioni diverse, della pro¬ spettiva marxista. Nato nel 1899 a Parigi, Alfred Sohn-Rethel studiò infatti ad Heidelberg e a Berlino con Emil Lederer, Alfred Weber ed Ernst Cassirer. Il suo sviluppo intellettuale discende, come dichiara egli stesso, « da contatti con Ernst Bloch, Walter Benjamin, Theodor W. Adorno, Siegfried Kracauer e dall’influsso dei lavori di Georg Lukàcs, Max Hork¬ heimer ed Herbert Marcuse » (Geistige und körper¬ liche Arbeit, Frankfurt a.M. 70, II ed. riveduta e accresciuta 1972). L’attento studio del Capitale cui S.-R. si dedicò negli anni d’università lo lasciò con « l’irremovibile certezza della decisiva verità del pen¬ siero marxiano, insieme con un irremovibile dubbio sull’adeguatezza dell’analisi della merce nello stato in cui essa si trovava ». Il compito che S.-R. si pro¬ pose di risolvere fu quello di ritrovare, nella più intima struttura formale della merce, il soggetto tra¬
SU ALFRED SOHN-RETHEL 139 scendentale. Proprio alla difficoltà di questa impresa S.-R. attribuisce il fatto di essere rimasto, per tutta la vita, un outsider con la sua idée fixe. Tra i pochi che si interessarono alla sua ricerca già prima della seconda guerra mondiale S.-R. annovera Adorno; do¬ po il ’36, anno in cui l’autore si rifugiò, per sfuggire al nazismo, in Inghilterra, dove vive tuttora, egli man¬ tenne una costante collaborazione con G. Thomson, un marxista interessato anch’egli alla relazione fra filosofia ed economia monetaria. A parte lo scritto che qui si pubblica, ed altri due saggi di argomento affine, i risultati della cin¬ quantennale ricerca di S.-R. non vennero resi noti che con la pubblicazione, nel 1970, di Geistige und köperlicbe Arbeit. (Lavoro intellettuale e manuale). Il problema teoretico, sul quale è incentrata que¬ st’indagine, è quello di comprendere, da un punto di vista materialistico, la tecnologia e la scienza mo¬ derna della natura; la diagnosi storica, su cui questo programma si fonda, è quella del ruolo sempre cre¬ scente delle « potenze intellettuali del processo di produzione » nelle società tardo-capitalistiche. Pro¬ prio dall’esame di questo ruolo S.-R. prende le mos¬ se, per delineare una critica della divisione tra lavoro manuale e intellettuale, funzionale al dominio capi¬ talistico, e per mostrare la necessità e Fattualità sto¬ rica del suo superamento. Il riferimento alla rivolu¬ zione culturale cinese, come contestazione del coman¬ do burocratico sul lavoro, l’interesse per le più re¬ centi modificazioni dei processi produttivi e per lo sviluppo di forme di lotta operaia ad essi corrispon¬ denti, gli studi dedicati a più riprese alle contraddi¬ zioni del tardo capitalismo, fanno di S.-R. uno degli esponenti più significativi di un marxismo adeguato ai problemi del presente. a cura di Stefano Petrucciani
Karl Korsch A Brecht e a Partos Versione italiana a cura di Gabriella M. Bonaechi. A Brecht CCB [London] 17-3-1934 1) Dopo esser stato tormentato fino all’ultimo momento dall’indecisione, ieri sera ho scelto di ri¬ manere temporaneamente qui. Quando ritorna voglio veramente cercare di portare con me un « pegno di ospitalità ». Nel frattempo qui si sta apparecchiando, prima di quanto avessi previsto, la battaglia decisiva tra fascismo e socialismo per tutta l’Europa. 2) Sfogliando una vecchia Bibbia (con Vimpri¬ matur della Chiesa locale) ho scoperto che non si dice « pound » bensì « talent » che suona — a mio pa¬ rere —anche molto meglio. Il suo titolo va dunque assolutamente in man is man's talent (e: the poor man’s talent). Nell’inglese odierno il doppio senso esattamente come in tedesco, ma ciò non nuoce af¬ fatto, a mio parere. Ho anche fatto delle prove con inglesi colti ma semplici (uomini e donne) ed ho trovato che essi 1 ) con « pound » pensavano soltanto a cose sba¬ gliate, 2) con « talent » a) pur non pensando diretta- mente al passo biblico, tuttavia b) venivano suffi¬ cientemente interessati e stimolati nella direzione de¬ siderata dal titolo.
142 KARL KORSCH Non è dunque un male che questo rimanga un po’ osceno. Con ciò non voglio assolutamente decidere in merito alla questione se non si debba alla fine pre¬ ferire come titolo generale « The three pence Novel » o qualcosa di simile. Voglio solo comunicarle il ri¬ sultato dei miei esperimenti1 ! Le faccio ancora pre¬ sente la profonda concordanza tra « Bibbia » e « Ca¬ pitale » rivelata dal fatto che anche nella « Bibbia » il carattere di capitale di una somma di denaro di¬ pende dalla grandezza della somma (dal numero dei talenti!) 5 talenti e 2 talenti fruttano profitto, un talento non ne frutta alcuno. Il passo in cui Marx affronta la questione lo trova citato nella mia intro¬ duzione al I voi. del « Capitale » e più esattamente nel punto in cui alla fine del paragrafo sulla dialettica nel Capitale facevo menzione del concetto di « rove¬ sciamento »1 2. Per questo motivo nel suo testo la bottegaia non ha affatto operato un buon tentativo con la sartina, perché con tanto poco denaro, anche usato altrimenti, non ne vale proprio la pena. 3) Le spedirò presumibilmente domani uno sche¬ ma riassuntivo, adeguato alla situazione locale, sui mezzi relativamente migliori e più a buon mercato per abortire. Ho fatto del mio meglio per indirizzare nella direzione giusta le persone che lo stendono e prima di spedirlo lo farò controllare anche da Her¬ bert Levi3. In sé queste persone erano più per gli anticon¬ cezionali e ho detto loro di scriverlo nel loro exposé: Sono del parere che Lei potrebbe inserire anche que¬ 1 L’allusione è evidentemente all ’Opera da tre soldi di Brech la cui prima edizione apparve ad Amsterdam nel 1934). 2 Cfr. Introduzione al ’ Capitale in K. Korsch, « Dialet¬ tica e scienza del marxismo », Bari 1974, p. 70. 3 H. Levi, medico, apparteneva, a cavallo tra gli anni ’20 e '30 alla cerchia più ’ristretta del gruppo di Korsch a Berlino; in seguito emigrò a Londra.
A BRECHT E A PARTOS 143 sta circostanza, perché da un lato è utile per la pras¬ si, dairaltro potrebbe offrirle il destro di dire delle cose divertenti, nella misura in cui Polly in questo momento non può più servirsi di questi mezzi. E’ infatti tipico che si abbiano questi consigli solo quan¬ do non servono più. Assolutamente le pèrsone ritengono anche che nessun mezzo (all’infuori dell’intervento medico, qui assai difficile da ottenere) è sicuro e nessuno è senza controindicazioni e pericoli per la madre. Ho detto loro che se non ci sono buoni consigli, essi devono indicare i migliori e quelli peggiori, dicendo che e perché sono sconsigliabili. Spero che ne venga fuori qualcosa di utilizzabile. 4) Penso spesso con intima allegrezza a Lei, a Helli, ai bambini, alla casa e al suo ambiente. Saluti per me tutti! Il Suo K. P.S. Se dovesse inserire il passo, dovrà usare degli ac¬ corgimenti, come accenni allusivi, concreto montag¬ gio nell’azione ecc. Altrimenti, dato il rigore delle leggi locali, Lei rischia non solo una condanna (che potrebbe, se comunicata al momento giusto, procu¬ rare più pubblicità che danni), ma anche la censura del suo editore. Non mi sembra del tutto escluso che già il con¬ siglio della cipolla non abbia tali conseguenze. Sono molto favorevole alla sua idea di fungere anche da consigliere pratico. 5) Ho ricontrollato ancora una volta tutta la parte giuridica. Le cose rimangono dunque nei se¬ guenti termini: 3) la prima fase, Coroner’s Inqui¬ sition (coi giurati, ed esattamente 7-11) può proce¬ dere in forme abbastanza classicamente procedurali:
144 KARL KORSCH il Coroner interroga sotto giuramento tutte le per¬ sone che depongono spontaneamente sui fatti con¬ cernenti il caso di morte,ed anche tutte le persone che, secondo il suo libero giudizio, possono sapere qualcosa in proposito. Egli può anche costringere i testimoni a comparire e a deporre. Dopo di ciò i giurati emettono una sentenza {verdict) su chi era il morto come quando e dove è morto, e se sia morto per mano di un assassino o per un colpo, ed eventualmente persone riconosciute dai giu¬ rati come colpevoli o non colpevoli. In sé il Coroner può: 1) far arrestare subito ovvero ordinare l’arresto delle persone in questione, questa è la procedura in caso di assassinio; 2) ri¬ mettere i protocolli con le deposizioni dei testimoni ed il verdetto al Tribunale competente per il dibat¬ timento principale. Apparentemente verrebbe così a cadere la secon¬ da fase, perché la Coroner's inquisition ha già il ca¬ rattere di una causa (indictment). Ma io ho consta¬ tato esattamente come in caso di assassinio (o anche di colpo mortale o infanticidio) non solo è possibile ma anche usuale che prima che la causa arrivi da¬ vanti alle Assise (cioè praticamente la Central Cri¬ minal Court, dunque la Old Bailey) debba in pre¬ cedenza passare ancora attraverso il Gran Iury, ben¬ ché abbia già avuto luogo una Coroner's inquisition in sé già sufficiente. Dunque: seconda fase: procedimento davanti al gran Iury (almeno 12, potrebbero essere di più, ad es. 30, ma ciò che importa è che devono essere 12 per la causa). Il gran Iury si riunisce come poi i giurati nel dibattimento principale (trial presso le Assise (cioè praticamente anche già nelTOld Bailey, come credo
A BRECHT E A PARTOS 145 di poter ricavare dai libri, non è necessario che Lei dica qualcosa di preciso in proposito!). Il procedi¬ mento è però diverso che nel caso del dibattimento principale in quanto 1) Il Grand Iury dopo essere stato chiamato in seduta pubblica del tribunale, dopo avere giurato ed aver ricevuto dal giudice la richiesta di controllare determinate cause, si riunisce in un’altra stanza dove accerta le prove in una seduta a porte chiuse e decide se considerare la causa come buona oppure rifiutarla. Nei casi difficili un avvocato (solicitor) viene con¬ cesso per la (prosecution) 2) in prima linea viene esaminato secondo la procedura giudiziaria (analogamente a quanto avvie¬ ne nel dibattimento principale) solo il materiale per l’istruzione della causa (testimonianze). Il Grand Iury controlla dunque soltanto se la causa ha delle basi plausibili. In caso affermativo, esso fa ritorno alla se¬ duta pubblica del tribunale, dove il giudice chiede all’accusato di dichiararsi innocente o colpevole. Poi, a volte nella stessa seduta, più spesso però solo successivamente, tuttavia sempre nello stesso pe¬ riodo fissato per le sedute (Lei lo pone 8 giorni dopo) nel corso della Terza fase: tutta la faccenda viene decisa nel di- battimento principale davanti ad un giudice e a 12 giurati. Il procedimento è il seguente: 1) Il rappresentante dell’accusa (counsel for the prosecution) pronuncia un’arringa davanti ai giurati, illustrando le basi su cui si fonda l’accusa e le prove da produrre. Poi egli (e non il giudice) chiama i te¬ stimoni a carico e li interroga sotto giuramento. Ad ogni suo interrogatorio segue subito il controinter¬ rogatorio da parte del rappresentante della difesa e poi ancora un interrogatorio da parte del rappresen¬ tante nell’accusa. 2) La stessa cosa in termini rovesciati, sotto la
146 KARL KORSCH direzione del rappresentante della difesa (counsel for the defence). 3) Arringa riassuntiva del giudice al.Jury. 4) Verdetto (all’unanimità). 5) Sentenza conforme al verdetto. Penso che ciò basti ed addirittura avanzi rispetto a ciò che io e Lei volevamo. Se tuttavia ci dovesse essere ancora qualcosa di poco chiaro, adesso sono in grado di chiarire tutto esattamente. Di nuovo cordiali saluti, Il suo K.K. PPS. Ho dimenticato il nome dell’uomo che dovevo pregare, dopo che non aveva mantenuto la sua pre¬ messa nei confronti di Maria Lazare4, di rispedirle immediatamente il manoscritto sulle teste a punta e le teste rotonde! A che punto siete Lei e il com¬ pagno Eisler con questo lavoro? E’ già uscito il loro libro di poesie? 5. A che cosa sta lavorando adesso? Io sto per il momento guardandomi ancora un po’ di letteratura sulla rivoluzione in generale e cerco al contempo di ricavare teoricamente e praticamente il vero significato del marxismo nel movimento ope¬ raio inglese contemporaneo. Ci sarebbe ancora molto da dire in proposito, ma non ho un dattilografo e lei non conosce la stenografia. Rimandiamo dunque ad una successiva conversazione a voce! 4 Maria Lazar - Strindberg (1895-1948), temporanea col¬ laboratrice di Brecht nell’esilio danese). 5 Bertold Brecht / Hanns Eisler, Lieder Gedichte Chöre, Paris 1934.
A BRECHT E A PARTOS 147 A Partos London, 26-4-1935 Con la tua critica ai miei ultimi « prodotti di questo tempo » (come tu, giustamente caratterizzan¬ doli, li chiami), sono in generale d’accordo. Ti spe¬ disco ancora una volta fra l’altro, l’ultima recensione che tu hai dato a Dudoff *. Nonostante che essa sia, per il suo contenuto, la meno importante di tutte, in quanto aveva (come ti ho detto nell’ultima car¬ tolina) il significato del tutto personale di permet¬ termi di dimostrare che anche l’interpretazione « fi¬ losofica », « critica », « tesa a porre teoria = prassi », e « rivoluzionaria » del marxismo può essere (e di fatto viene) utilizzata in funzione della ideologizza- zione del fascismo e della capitolazione di fronte al fascismo, esattamente come le opposte tendenze inter¬ pretative della teoria marxiana da me attaccate nei miei precedenti scritti. (Punti nodali, Marxismo e Fi¬ losofia, Antikautsky). Ciononostante ti rispedisco la recensione perché ne ho ancora una copia. Detto per inciso, non avresti dovuto dare al com¬ pagno Dudoff i miei appunti privati sullo stesso libro e se non ti costa troppa fatica, ti pregherei di riprenderglieli prima che lui li abbia ricopiati. Mi ricordo ancora che le mie tesi sulla crisi del marxi¬ smo (Frankfurt 1927)1 2, furono diffuse, nonostante la mia opposizione molto più di quanto io avessi al¬ lora gradito. Quelle attuali3, sono nuovamente fin troppo anticipatorie, possono facilmente venire usate 1 Zlatan Dudov, produttore, assieme a Brecht, del film proletario « Kuhle Wampe » del 1932). 2 Si tratta forse del testo Crisi del marxismo, pubblicato per la prima volta in calce a Die materialistische Geschichtsa ufjassung, gennaio 1971, e tradotto in italiano nella raccolta di scritti di Korsch curata da G.E. Rusconi, Dialettica e scienza nel marxismo, Bari 1974). 3 Cfr. K. Korsch, Marxism as a Religion, in « Interna¬ tional Council Correspondence» n. 9 (Juni-Juli 1935).
148 KARL KORSCH contro di me e la mia tendenza. L’imprudenza da te commessa non è peraltro molto grave, non ti preoc¬ cupare. La cosa più interessante di questa piccola in¬ discrezione è, per me, il fatto che essa dimostra quan¬ to divergenti siano tuttavia, le nostre idee circa la funzione ancora positiva di alcune componenti della teoria marxiana. Ti posso dire soltanto che qui nella stampa del Labour Party vedo articoli (come ad es. quello sulla festa pasquale) che fanno drizzare i ca¬ pelli in testa da quanto sono reazionari e al di sotto del livello « socialista » quale quello oggi raggiunto, diciamo pure (per dire molto), perfino dal national- « socialismo » tedesco medio. Forse la prossima volta ti spedisco uno di questi articoli di un giornale di provincia, che ho prestato a Herbert; questo giornale ha la particolarità, per noi ancora stuzzicante, di mo¬ strarci veramente le devastazioni ohe un moderno atteggiamento scientifico, quale quello di Eddington (ma anche di un Russell et similia) produce quando viene posto immediatamente in rapporto alla tenden¬ za del movimento operaio. Quando si vedono queste cose, verrebbe voglia di convertirsi formalmente alle posizioni di Lenin nell’« Empireo-criticismo » (cosa che, però, quando rifletto in modo serio e del tutto svincolato da tali impressioni momentanee, natural¬ mente non faccio). Nei prossimi giorni riceverai anche il preambolo ad una nuova formulazione della mia attuale posi¬ zione nei confronti della Russia e del Partito Co¬ munista4, che ho abbozzato stanchissimo la mattina di questo — per me peraltro infelicissimo — 31 marzo, e che spero di portare avanti al più presto. Ivi troverai la conferma quasi letterale dell’impres¬ 4 Pubblicata in appendice alla lettera a Mattick del 12-5-1935. Cfr. K. Korsch, Briefe an Partos, Mattick und Brecht, in Arbeiterbewegung. Theorie und Geschichte, Jahr¬ buch 2, Marxistiche Revolutions-theorien, Ffm 1974, pp. 146- 148.
A BRECHT E A PARTOS 149 sione da te dedotta, come mi scrivi, dai miei lavori — che a mio avviso oggi i tempi non permettono ancora, in senso determinato di fare delle afferma¬ zioni positive sull’azione di domani. In assoluto, naturalmente una tale situazione non si dà. Sono ampiamente d’accordo con te che oggi è possibile per il teorico fare alcune affermazioni nel senso in cui alcuni decenni fa le faceva Sorel, dotate di un significato mediatamente anche pratico e a volte — anche utili. Ma per Sorel c’era ancora alme¬ no la realtà di un movimento operaio in lento disfa¬ cimento e di una tradizione borghese rivoluzionaria non ancora completamente logoratasi. Se invece con¬ sidero lo sviluppo degli USA vedo come qualcosa di assolutamente soggettivo bensì il semplice svilup¬ po « spontaneo » — nel senso del più volgare e stu¬ pido economicismo — della crisi sia decisivo di più della sostituzione di Roosvelt da parte di Huly Lang (a Coughlin)5, oppure dell’arresto improvviso di que¬ sto travolgente processo, magari in conseguenza di un reale superamento della crisi. Ed io posso, in senso rigorosamente marxista, ancora una volta sol¬ tanto dire: più dura la crisi, più chiaramente emerge, in cento diversi fenomeni,che il superamento della crisi può venir raggiunto veramente solo mediante un aumento del saggio del profitto ma anche in questa forma può venir perseguito e in parte rag¬ giunto. Non sono riuscito ad afferrare bene, dalle tue espressioni generali, che cosa tu abbia in mente con la formulazione di una posizione del proletariato, indipendente dalla posizione del proletariato russo, 5 Huly Land, senatore della Luisiana, inventore del fa¬ moso Share -Our -Wealth Programm — un misto di corruzione amministrativa e di demagogia volgarmente anticapitalistica — sostenne, a partire dall’inverno 1934-35 la candidatura presidenziale di un «.Third Party », per il 1936 assieme al predicare cattolico Conghlin, e fu considerato, fino al suo assassinio nel 1935, un esponente del fascismo americano).
150 KARL KORSCH nei confronti del «problema, del giorno (? KK) di una nuova guerra mondiale ». Forse il congresso mon¬ diale del Komintern che si riunisce in presenza di così gravi problemi di politica estera e di un rifiuto da parte nella Russia ufficiale quasi pronunciato pri¬ ma dell’inizio dei lavori, farà qui un così grande passo in avanti (in avanti nel senso della direzione fin qui perseguita) che anche la nostra critica pre¬ cedente a questa posizione riacquisterà, in tal modo un significato concreto. Nel frattempo si era giunti alla sgradevole situazione per cui ciò che noi, cioè gente come Rolf Katz6 avevamo detto in proposito dieci anni fa e in presenza di determinate condizioni che facevano apparire almeno come ancora pensabile un intervento pratico, era stato stravolto e trasfor¬ mato in un dogma del tutto astratto, negativo, pas¬ sivo e scettico, di cui io non sapevo più che farmene. Io non sono peraltro dell’avviso (come traspare anche dal mio punto interrogativo) che la nuova guerra mondiale sia già diventata un « problema del giorno » per il movimento operaio. In primo luogo anche in questa questione tutto dipende, in un modo palesemente « economicistica », dallo sviluppo o dal superamento della crisi. In secondo luogo io vedo la classe operaia, ad esempio qui in Inghilterra, occu¬ parsi di questa questione ancora in forme destinate a mio parere a dissolversi come neve al sole di fronte alla brutale realtà di una guerra. A mio avviso in merito a questa questione la classe operaia non solo non ha attualmente alcun programma, ma non ha neanche la possibilità di averne uno concretamente autonomo, e cioè basato su di un progetto: di azio¬ ne futura. Né mi sembra necessario un nuovo « Spar¬ takus » per rilanciare le parole d’ordine dell’incondi¬ zionato Internazionalismo e del « nemico del proprio 6 Rolf Katz fu, accanto a Boris Roniger, uno dei più stretti collaboratori di Korsch nella rivista « Kommunistische Politile ».
A BRECHT E A PARTOS 151 paese ». Un tale rilancio sarebbe inevitabilmente me¬ ne efficace del ricordo degli anni 1914-1919. Vo da tempo rimuginando l’idea di esporti un ragionamento riferito al significato dell’« assiomati- cità » nel marxismo. Il problema ha un lato negativo e uno positivo. Dal punto di vista negativo sarai probabilmente d’accordo con me, quando dico che tutti i fenomeni della statica e della dinamica economica (quest’ulti¬ ma nel senso dello sviluppo, dello sviluppo rivolu¬ zionario e, contemporaneamente così come la dina¬ mica sopprime, la statica — assorbendola come caso particolare —, così lo sviluppo rivoluzionario rias¬ sorbe quello evolutivo in un concetto complessivo di « rivoluzione », laddove a questo termine viene assegnato un significato analogamente ampio a quel¬ lo di cui già gode, nell’uso comune, il termine « evo¬ luzione », benché quest’ultimo sia storicamente sorto solo come termine « contrapposto » a quello di « ri¬ voluzione ». Ma il termine « rivoluzione » è, stato così poco approfondito in questo senso lato, (che ha tendenzialmente in Marx, così quanto la materia che è chiamato a definire) che, dunque, tutti questi fe¬ nomeni possono benissimo venir ricostruiti e « ge¬ stiti » tanto a partire dalla « produzione » che dalla « distribuzione » o dal « mercato » (circolazione) ma non altrettanto indifferentemente a partire dalla « po¬ litica » (dall’ideologia o da altri ambiti « sovrastrut- turali»!). A me personalmente ciò è già venuto in mente una prima volta in una polemica peraltro ab¬ bastanza stupida coi seguaci tedeschi di Sylvio Ge¬ sell7 e mi torna in mente adesso quando mi capita sotto gli occhi qualcosa della folle discussione che viene qui condotta tra i sostenitori — pazzi ma sem¬ 7 Cfr. K. Korsch, Der geschichtliche Charakter der mar¬ xistischen Wissenschaft, Die gesellschaftliche Wirklichkeit des Warts, Kommentare zur Deutschen Revolution und ihrer Nie¬ derlage, Gravenbage 1927.
152 KARL KORSCH pre più numerosi, in virtù della crescita del fascismo — della teoria della moneta del maggiore Douglas8, e gli economisti neoclassici (sia quelli ancora « saldi » che gli esponenti già un po’ « scossi »), con tutta la loro appendice marxista più « ortodossa ». Non si può nemmeno dire che a partire dalla produzione i fatti siano in se afferrabile più ampia¬ mente, più profondamente e in modo più funzionale all’intervento pratico (attuale) di quanto non avvenga da altri punti di partenza; tutto dipende dal procedi¬ mento complessivo. Ma, di fatto, probabilmente con gli assiomi « vol¬ gari » non si può (nel lungo periodo) andare così a fondo e lavorare così ampiamente e così funzional¬ mente ai fini pratici, come con gli assiomi classica- mente marxisti sulla produzione. Ciò va però dimo¬ strato sin nei più minuti dettagli. Questo sarebbe, schematicamente, uno dei due lati del problema. L’altro lato è strettamente legato ai problemi organizzativi del movimento: consigli, sin¬ dacati, partito ecc. E’ indubbiamente un grosso van¬ taggio che i teorici marxisti (marxisti in quel senso generale, critico ed elastico del termine in cui anche tu ed io ci consideriamo tali — tu poi sempre, ap¬ pena cominci a lavorare su di un particolare proble¬ ma!) non debbano misurarsi dettagliatamente con ogni stupida affermazione di avversari ed estranei, e pos¬ sano spesso limitarsi — ad esempio — a dimostrare (tenendo fermo, per brevità, all’esempio sopra ricor¬ dato) che il personaggio in questione pensa e vuole intervenire « a partire dalla distribuzione » o dal mer¬ cato (forse persino dalla « politica », dall’« ideolo¬ gia » o da altre province « sovrastrutturali » invece che dalla produzione. Capisci bene dove voglio an¬ dare a parare (...). 8 II programma di « credito sociale » di Clifford H. Douglas si presentava come una variante inglese della teoria geselliana della libera moneta.
A BRECHT E A PARTOS A Paul Partos 153 Skovsbostrand, 25-11-1935 Caro Paul, Oggi ho ripreso a lavorare al mio libro. A que¬ sto proposito devo notare che l’interruzione pluriset- timanale, il contatto col mondo, in parte anche i tuoi rilievi critici e le tue osservazioni relative a risultati marxianamente critici da me già raggiunti in prece¬ denza, renderanno forse necessari alcuni cambiamenti non secondari di paragrafi già pronti, e a quelli (eco¬ nomici) cui sto adesso lavorando, nonché all’idea ge¬ nerale che informa il volume. Nella maggior parte dei casi non mi sono potuto valere, come tu sai, delle tue osservazioni critiche. Tu, hai nei confronti della teoria marxiana, una po¬ sizione più critica della mia, addirittura ostile, talora ingiustamente. Ancora più importante mi sembra, pe¬ rò, una lacuna formale della tua critica a Marx, che è per lo più del tutto astratta, più una pretesa idea¬ listica che un risultato o una via praticabile o — perlomeno da te — già parzialmente praticata. Que¬ sto è quanto ho dedotto da tempo, osservando co¬ me nei tuoi lavori specifici, tu continui ad applicare il metodo marxiano nella stessa forma — la buona forma rivoluzionaria — in cui noi teorici di sinistra lo abbiamo elaborato nel dopoguerra (cioè prima del nostro passaggio dalla critica delle deformazioni di Marx ad una critica più o meno totale del marxismo stesso). Nel corso delle nostre ultime conversazioni, che vertevano direttamente sulle mie formulazioni di alcune « leggi » marxiane, è emersa la tua incapacità di completare la tua aspra (e testardamente ripetuta) critica con una positiva proposta di cambiamento. C’è da chiedersi se un tale genere di critica possa venir considerata, da un punto di vista materialistico e scientifico, una vera critica — (come tu ricorderai ho posto di recente la stessa questione in relazione alla critica delle forme attualmente esistenti di una
154 KARL KORSCH — presunta, o reale — politica marxisticamente ri¬ voluzionaria e pratica). — Ciononostante già a Parigi ho dovuto conveni¬ re con te su di un punto importante dei tuoi ri¬ lievi. Già prima di partire (durante il lavoro ai pa¬ ragrafi economici 8-10) *, avevo messo, nella mia di¬ sposizione, il vecchio paragrafo 3 (materialismo pro¬ letario) come paragrafo 6, cioè immediatamente pri¬ ma del paragrafo 7, che tratta dello « sviluppo rivo¬ luzionario ». Avevo però lasciato alla fine del « nuo¬ vo » paragrafo 6 la « Lode della dialettica » nata nel¬ la discussione con B(ert) B(recht) e quindi espressio¬ ne di una sorta di equilibrio tra il mio e il suo punto di vista. Questa chiusa « positiva » del paragrafo stava però in oscura contraddizione con le mie pre¬ cedenti osservazioni critiche sul carattere borghese e restauratorio della dialettica hegeliana e sulla impos¬ sibilità (marxista) di un metodo generale in sé ri¬ voluzionario, vale a dire dunque anche di una corri¬ spondente « depurazione » della dialettica hegeliana dal carattere borghese e restauratorio, ad essa pecu¬ liare. L’apparente soluzione era all’incirca così, che la dialettica hegeliana veniva rappresentata come un modo di pensare esso stesso non più meramente bor¬ ghese, bensì imposto alla borghesia dall’offensiva pro¬ letaria e da essa subito sabotato. Ma una tal concezione corrisponde più che altro all’idea fondamentale di B.B., quell’idea, cioè, che sta alla base anche della sua posizione, ad esempio, sulla costruzione del Socialismo in Russia, sulla colloca¬ zione del proletariato nel capitalismo e sul rapporto tra rivoluzione proletaria 6 rivoluzione borghese (e 11 I riferimenti di Korsch sono ai cambiamenti — cotn’è noto ampi ed importanti — da lui apportati, nel corso delle diverse stesure, al suo Karl Marx. Per tutta la questione si veda la nota introduttiva di Göetz Langkau all’ediz. Frankfurt 1967 di questo scritto, che compare anche nella traduzione italiana, Bari 1969.
A BRECHT E A PARTOS 155 in cui si possono trovare riecheggiati certi motivi già di Lenin e forse anche della teoria marxiana della rivoluzione). La mia tendenza fondamentale in questa questio¬ ne consisteva e consiste, invece, nel riconoscere tali tratti « impuri » della teoria e della prassi marxiana sì come storicamente necessari ed infinitamente su¬ periori ad ogni critica « pura » prigioniera di uno spazio privo di realtà pratica e persino teorica, ve¬ dendo però in essi, al contempo, un segno del fatto che la teoria (e prassi) marxiana rappresenta una teoria (e prassi) della rivoluzione proletaria, ma non come movimento autonomo di sviluppo bensì come prosecuzione della rivoluzione borghese, bloccata o sospinta ai margfiini periferici dal consolidarsi dello sviluppo della società capitalistica; del fatto, dunque, che la teoria marxiana è, sotto ogni rispetto, gravata ancora, teoricamente come praticamente, dall’eredità della forma, storicamente obsoleta, della rivoluzione borghese. Ho deciso dunque di riformulare il paragrafo 6 in questo modo: il titolo sarà « materialismo » non più « proletario », bensì « storico »; la « lode dia¬ lettica » verrà decisamente trasformata nella dimo¬ strazione di come queste forme di pensiero siano sorte come primo insufficiente tentativo di pensare la real¬ tà del processo rivoluzionario (meglio ancora: la real¬ tà della rivoluzione proletaria dal punto di vista bor¬ ghese). La dialettica si presta tanto poco a spiegare il processo rivoluzionario da poter essere, a sua vol¬ ta, speigata soltanto a partire dalla conoscenza del processo rivoluzionario. Specialmente la dialettica he¬ geliana deve la sua caratteristica teoricamente più rilevante — l’eccezionale acutezza dell’inconciliata oppisizione e contraddizione — molto più all’esisten¬ za — da Hegel filosoficamente (come economicamen¬ te da Ricardo) assolutizzata — delle classi sociali, che non al processo rivoluzionario (che ancora Hegel
156 KARL KORSCH e Fichte possono ipostatizzare nella forma ascensio¬ nale da esso posseduta, nel corso reale della rivolu¬ zione borghese, solo durante la breve fase della Con¬ venzione rivoluzionaria del 1792-94). Questa acutez¬ za può venir resa utilizzabile dalla teoria rivoluzio¬ naria solo dopo una riformuiazione: per la teoria proletaria l’antagonismo di classe è così assoluto, co¬ me per Hegel sempre, solo finché esistono le classi; le classi sono però destinate a venir soppresse, assie¬ me — dunque — al loro assoluto antagonismo, dalla rivoluzione proletaria, di cui la teoria rivoluzionaria — proletaria costituisce l’aspetto teorico. Delle molte differenze analoghe a questa e come questa elimina¬ bili solo in virtù di una riformulazione (che ne sot¬ tolinei il carattere simbolico), voglio ancora ricordar¬ ne soltanto una: Hegel comprende nella sua antitesi e sintesi dialettica le fasi passate di un processo or¬ mai conchiuso; per la teoria rivoluzionaria del pro¬ letariato deve essere, invece, resa passabile e gestibile soprattutto la transizione della fase attuale — retro¬ spettivamente irreversibile — del suo movimento ad un pluralismo di fasi sottratte, per l’avvenire, ad ogni sorta di irreversibilità. A questa critica della dialettica segue, a mo’ di conclusione del paragrafo 6, la dimostrazione che il più importante progresso del materialismo proletario rispetto a quello borghese (di cui mi occupo all’inizio del paragrafo) consiste nel carattere storicamente de¬ terminato degli enunciati della teoria proletaria. A ciò fa poi immediatamente seguito nel paragrafo 7, la vera e propria teoria della rivoluzione, cui si ag¬ giunge l’indicazione che i marxisti rivoluzionari pren¬ dono le mosse dallo sviluppo delle forze produttive, mentre i riformisti partono dallo sviluppo dei rap¬ porti di produzione o, addirittura, da quello delle forme di coscienza sociali, cioè dalle « ideologie po¬ tenzialmente progressive ». (Ma forse questo punto può anche venir spostato al paragrafo 11). Questo
A BRECHT E A PARTOS 157 criterio, adoperato già in precedenza e (se non ricor¬ do male) sempre con un discreto successo da noi marxisti rivoluzionari, mi è tornato in mente allorché, dando una fuggevole occhiata alla (superflua) critica marxista di Grossmann al libro sull’immagine del mondo di Borkenau2, libro peraltro privo di valore sia teorico che storico-pratico (a differenza di Kautshy che è stato storicamente importante, anche se dal punto di vista teorico l’ho preso un po’ troppo sul serio, dedicandogli una critica così serrata e detta¬ gliata), mi sono imbattuto, dicevo, in una buona ap¬ plicazione di questo criterio da parte di Grossman 3. Ciò mi deve adesso servire, accanto agli argomenti già sviluppati nel paragrafo 7, a dimostrare che in Marx il concetto di forze produttive non è affatto un cencetto mistico, come oggi sono invece propensi a credere alcuni critici di Marx (come Arthur Ro¬ senberg, il quale vuole tuttavia conservarlo perché ritiene che un marxista abbia bisogno di un po’ di « misticismo », vale a dire perché ad un volgare sto¬ rico borghese come lui capace soltanto di sfruttare astutamente lo strumentario suppletivo fornito dal marxismo, non ha alcun particolare interesse alla ve¬ rità — e come te, che per questo motivo vorresti abbandonare il concetto di forze produttive in senso marxiano). 11 secondo punto importante, nel quale non con¬ vengo tanto con i tuoi rilievi critici (dal momento che su questo punto nelle nostre conversazioni non c’è più capitato di tornare), come anche più avanti controllare con il testo originale (pag. 160). Tradu¬ zione pag. 13), riguarda la concezione dell’economia 2 Cfr. di F. Borkenau, Der Übergang vom feudalen zum bürgelichen Weltbild, Paris 1934. 3 Cfr. H. Grossmann, Die gesellschaftlichen Grundlagen der mechanistischen Phisolophie und die Manifaktur, in « Zeit¬ schrift für Sozialforschung», Bd. 4 1935, pp. 161-231.
158 KARL KORSCH e della critica dell’economia marxiane, portando a- vanti la suddetta revisione del paragrafo 6, della sem¬ plice esposizione di Marx ad una certa critica. Come tu sai, nel mio periodo « ortodosso » ho sempre so¬ stenuto che il vero nocciolo rivoluzionario della teo¬ ria economica di Marx sta nella sua « critica », cioè nella sua dissoluzione critica dell’« economia politi¬ ca », che è nella sua essenza borghese. Alla fondazione, sempre più articolata, di questa tesi ho dedicato diversi anni di lezioni e qualcosa di questo mio lavoro teorico-critico è emerso anche nei miei primi lavori a stampa. Nel mio ultimo ciclo di lezioni (inverno 1932-33) ho poi un po’ mutato il mio punto di vista, mostrando quanto sia limitato, a guardar bene, il contributo critico rispetto al con¬ tenuto economico fondamentale del Capitale e quan¬ to poco sviluppato sia l’approccio critico e come una vera critica anche dell’economia classica sia propria¬ mente rintracciabile solo nel primo volume — da Marx stesso revisionato — del Capitale, mentre nei manoscritti marxiani rielaborati e curati da Engels e Kautsky (voi. II e III del Capitale, Teorie sul Plus¬ valore) Marx si confronti criticamente solo con l’eco¬ nomia volgare, presentandosi invece come obbediente scolaro dell’economia classica e suo prosecutore in particolare per ciò che concerne la teoria del denaro, della rendita, ecc. Tanto per cambiare presi allora come punto di partenza della mia separazione di ciò che è vivo da ciò che è morto del marxismo, la po¬ sizione teorica e pratica di Marx nei confronti della « politica ». Da tutto ciò scaturì l’esistenza di un nesso tra il carattere borghese della politica marxiana e la mancata realizzazione della sua dissoluzione cri¬ tica dell’economia borghese in una scienza diretta- mente sociale e — corrispondentemente — in una prassi direttamente social-rivoluzionaria. Venne anche alla luce che Marx si è maggior¬ mente avvicinato ad una teoria della rivoluzione di¬
A BRECHT E A PARTOS 159 rettamente proletaria allorché nel 1844 in Francia, attraverso il concetto con gli operai comunisti fran¬ cesi e il primo confronto positivo con Proudhon, si allontanò dai suoi amici rivoluzionari-borghesi della sinistra hegeliana arrivando invece, alPapprossimarsi della pratica rivoluzione del 1848, a sostituire alla rivoluzione economicamente sociale ancora una rivo¬ luzione « totale », cioè — per lui — « politica » e, in questo modo, a prender parte alla rivoluzione te¬ desca, fino alla sua sconfitta nel 1849, da democra¬ tico borghese, restio ad accogliere gli obbiettivi e l’organizzazione autonoma degli operai. (Anche negli anni della riorganizzazione della Lega dei comunisti e della Lega con i blanquisti nel 1850-51, l’accentua¬ zione del carattere rivoluzionario ebbe luogo in for¬ me prevalentemente politiche: parole d’ordine blan- quiste della « dittatura » rivoluzionaria-politica « del proletariato » ecc.). Già nel corso della preparazione della mia edizione nel Capitale — 1932 — avevamo abbondantemente constatato quanto Marx, nei suoi ultimi anni in Inghilterra, sia caduto sotto l’influenza dei teorici radical-borghesi del luogo, arrivando ad¬ dirittura nel Capitale ad esaltare gli usuali ispettori di fabbrica borghesi come una riedizione dei Com¬ missari rivoluzionari della Convenzione giacobina. (Ecco qui anche una delle radici del tono partico¬ larmente rivoluizonario del capitolo sull’accumulazio¬ ne originaria specialmente per ciò che concerne la lotta contro gli eccessi della rendita nel « clearing of estates », ecc.). Nell’ultimo dei 3 paragrafi economici, quello che affronta il nocciolo compiutamente materialistico e scientifico della marxiana Critica dell’economia, avrò ora da dimostrare che Marx ha svolto relativamente bene la critica storica delle categorie economiche (e che, la critica di Sorci che nega anche questo, si spin¬ ge dunque troppo in là), mentre si limita a procla¬ mare solo astrattamente, dell’economia in una scienza
160 KARL KORSCH direttamente sociale, il « superamento » senza por¬ tarlo a termine, a prescindere da alcuni slogan (ad es. « politica-economia concentrata »; « la violenza è essa stessa una potenza economica ») spesso tirati in ballo dalla cattiva coscienza di alcuni marxisti, che fanno maggiormente risaltare la conservazione nella « normale » trattazione scientifica. Anche qui la teo¬ ria corrisponde esattamente alla prassi: partito poli¬ tico, e lotta « economica » dei sindacati ricondotti alla « totalità » attraverso la direzione politica del partito rivoluzionario. Per essere storicamente più precisi si può anche dire che la radicalizzazione della lotta politica mediante l’economia e il rinvio al ca¬ rattere parimenti « politico » della proprietà sono veramente di stampo giacobino. Tutto ciò non costituisce però una critica nega¬ tiva del marxismo bensì ad una rettifica storica ed una, di conseguenza, diversa posizione pratica nei confronti del problema di una futura « ricostituzio¬ ne » del vecchio movimento « marxista » socialde¬ mocratico e sindacale, distrutto dalla guerra mondiale, dai riformisti e dai comunisti di partito, da Musso¬ lini, da Hitler, ecc., (sia questa ricostituzione diretta, oppure mediata attraverso un « ritorno » al marxi¬ smo « autentico » di Marx stesso), come pure nei confronti delle corrispondenti aspirazioni nel campo della teoria. Non costituisce certamente una debolez¬ za della teoria marxiana Ü fatto che essa abbia pre¬ visto 90-70 anni fa lo sviluppo, allora effettivamente imminiente, della politica operaia e dell’economia eu¬ ropee, più correttamente di quanto non abbiano pen¬ sato alcuni dottrinari ed utopisti rivoluzionari-pro¬ letari, sviati dalle loro proprie illusioni. Anche que¬ sto era « materialismo storico ». Se, però, l’attuale e futuro capitalismo rimane ancora, per profonde che siano le trasformazioni subite, il « capitalismo », sarà possibile anche in futuro chiamare ancora socfiali-
A BRECHT E A PARTOS 161 smo]-com[unismo]-marxismo, la teoria e la prassi dell’unico movimento veramente anticapitalistico, per mutate che siano le forme sotto cui esso si presen¬ terà. K.K. A. P. Partos [Skovsbostrand] 16-17/17/35 Eccoti intanto Ü frammento dei manoscritti di Proudhon, editi da Rochel, Paris 1898 (ma forse nel frattempo apparsi anche nella edizione completa del¬ le opere curate dal Bouglé) su « Napoleon I », pp. 36-37: (Esiste un momento in cui Napoleone svela il suo segreto, il segreto della sua politica; ciò av¬ viene allorché egli, dopo il ritorno dalla Russia, ac¬ cusa in Senato la Philosophie e gli idéoloques. Il signor Thiers, che ci fornisce una lunga descrizione di questa scena, non ha capito niente di tutto ciò). « line voit pas que sous les noms de philosophes et idéologues, Napoléon accuse les liberaux, les par- lamentaires, les économistes, les hommes de ’89, la queue de Sièyès et Mirabeau, tous ceux qui récla- maient de liberté et des garanties politiquesf...] La France se dérobait sous l’Empereur; elle allait dans un autre sense que lui; elle ne pouvait vaincre les alliés, qui étaient ses amis, comme elle avait veinsu, en 93, ’95 et ’98, la coalition ». Come vedi Proudhon smaschera molto bene l’idea consueta dei borghesi sentimentali i quali inventano che « l’uomo d’azione », il « materialista » Napoleo¬ ne si sia rivolto contro il puro pensiero. Perfino un uomo intelligente come Lévy — Bruhl pensa ancora nella sua storia (inglese) della filosofia francese (o forse addirittura anche nel suo libro francese — del 1900: su Auguste Comte) che gli attacchi di Napo-
162 KARL KORSCH leone dimostrassero il grande significato scientifico della scuola degli ideologhi! Veniamo ora alla tua breve ma interessantissima lettera: Nel frattempo ti ho già scritto che io stesso sono dell’avviso che nella mia sintesi dei risultati della discussione parigina ho un po’ esagerato le differen¬ ze tra di noi. Peggio ancora, ho addirittura strumen¬ talizzato i tuoi più acuti rilievi critici nei confronti di Marx, « interpolandoli » alla mia propria critica a Marx per poterla presentare pur sempre come una difesa di Marx. Purtroppo, ormai è fatta. - E’ anche vero che tu non hai usato l’espressione « mistico » in relazione al concetto marxiano di forze produttive. Io l’ho usato una volta, nel nostro col¬ loquio, per delineare un rilievo critico che credevo di poterti attribuire e ho preso il tuo sorriso come un cenno di assenso. Prendo dunque atto del fatto che tu trovi il concetto soltanto troppo astratto e credi di poter rintracciare in esso una sostanziale subalternità nei confronti delle reificate forme reali e di pensiero del modo di produzione borghese che « degradano fortemente il carattere empirico dell’eco¬ nomia classica e, poi, di quella marxiana ». Tu ri¬ tieni che l’espressione « forze produttive » faccia pen¬ sare troppo al « capitale produttivo sociale » piutto¬ sto che alla « forza produttiva della società nel suo sviluppo ». Come avrai nel frattempo visto dal pa¬ ragrafo 10 del mio libro oggi stesso spedito, io sono di diverso avviso. Marx distingue accuratamente tra la parvenza fe¬ ticistica, per la quale il capitale produce, ha forze produttive che esso stesso sviluppa, ecc., e la reale forza produttiva del lavoro sociale, il cui accresci¬ mento è legato allo sviluppo del lavoro sociale stesso. Il concetto di « forza produttiva » non viene mai applicato da Marx al « capitale ». Riferendosi a que¬ st’ultimo egli parla piuttosto dell’incomprensibile « fe¬
A BRECHT E A PARTOS 163 nomeno » di un « valore che cova plusvalore ». An¬ che nel caso dell 'accumulazione (che tu chiami in cau¬ sa come ulteriore esempio del permanere della reifi¬ cazione) è tutt’al più la terminologia che può indur¬ re a pensare una cosa del genere. Ma anche qui il processo reale (1’« allargamento della scala della produzione ») è, nella sostanza, ri¬ gorosamente distinto dalla formale « accumulazione del capitale ». Solo nel caso della « riproduzione » semplice esiste una certa ambiguità terminologica. « Riprodotti »vengono da un lato le reali basi della produzione, le condizioni necessarie per la prosecu¬ zione immutata della produzione; — dall’altro lato il capitale in una grandezza immutata. Ma, in com¬ penso, viene detto molto chiaramente che questa « riproduzione semplice » è solo un’astrazione e che nella realtà della produzione capitalistica anche la ri- produzione semplice è possibile soltanto per il tra¬ mite di una riproduzione su scala allargata (accumu¬ lazione). Trovo dunque che la tua obiezione a Marx su questo punto è assai scarsamente fondata. Per contro sono dieci o quindici anni che non mi stanco di ripetere nei miei corsi, che nella successiva di¬ scussione marxista sul problema dell’accumulazione, dalla Luxemburg fino (ad es.) a Boris, questa « rei¬ ficazione » si fa penosamente avvertire, soprattutto negli oracoli su C e V e P, ovvero nei C(f) e C(c) aggiuntivamente inventati da Boris come formula del¬ la nuova fondazione delle crisi sul lodoramento del capitale fisso costante scoperta da Baris 1 1 Boris Roniger, militante dal 1923 della KPD. In Zur Programmfrage aveva aspramente criticato la bozza di pro¬ gramma dell’I.C. scritta da Bucharin e Thalheimer. Proprio per aver pubblicato questo articolo di Boris in « Intemazio¬ nale » (7Jg. Heft 10-11, 1924), Korsch venne attaccato al V Congresso Mondiale dell’Intemazionale (con Rolf)2 (nota 2: Rolf Katz).
164 KARL KORSCH (Questa teoria era, del resto, effettivamente l’an¬ ticipazione di una spiegazione oggi abbastanza gene¬ ralmente diffusa delle particolarità dell’attuale crisi « cronica »: ad es. Varga nel ultimo resoconto eco¬ nomico sulla «Basler Rundschau» del 4-12-1935). Sul problema generale tornerò poi, ora voglio fare innanzitutto alcune precisazioni su alcuni punti meno importanti: la tua proposta di espungere in un punto la parola « pianificato » per l’ambiguità che questo termine ha attualmente assunto, è inaccetta¬ bile perché in questo caso si tratta di una citazione letterale dal Capitale (p. 92 della nostra edizione) (come probabilmente ti sarai, nel frattempo, tu stesso reso conto dal testo e dalle note del paragrafo 10). Mi sembra un po’ esagerato espungere dal testo mar¬ xiano, che risale a 76 anni fa il termine « pianifi¬ cato » solo perché oggi è diventato un vocabolo alla moda tra i sostenitori del capitalismo di stato. L’unica cosa che posso fare è metterlo tra virgolette. Per quanto riguarda l’ultima delle tue proposte — spostare l’accento, nella esposizione del paragrafo 10, dalla critica «trascendentale» alla critica «im¬ manente » dell’economia, vale a dire la teoria econo¬ mica stessa, avevo io stesso provveduto, come avrai visto, a cambiare l’impostazione in tal senso. Mi ha fatto molto piacere il fatto che, in separata sede, fossimo pervenuti entrambi allo stesso risultato. Ciò mi sembra una prova della correttezza della forma adesso scelta. Certo, forse adesso dovrò cambiare in questo senso anche il capoverso della penultima frase di pagina 1 sulla « forma normale e tipica », in quan¬ to, pur non essendo formalmente sbagliato (per le diverse forme della critica vera e propria), esso ri¬ sente fortemente della mia impostazione precedente, ormai obsoleta. Gli ultimi residui di divergenza spero di averli eliminati con le mie — a mio parere del tutto nuove — riflessioni sulla natura sociale ed economica del valore d’uso. Mi preme soprattutto di sapere se
A BRECHT E A PARTOS 165 sei d’accordo con me su questo punto. Concordo senz’altro e anticipatamente con l’obiezione che tu muoverai presumibilmente a Marx su questo punto, rimproverandogli di non aver dato sufficiente rilievo a questo aspetto. Vedi però adesso il quaderno di appunti del 1882 e rifletti (secondo le indicazioni che ho spesso fornito nelle mie lezioni) sulla duplice costruzione del siste¬ ma concettuale del « Capitale » da un lato sulla base del valore d’uso e del lavoro specificamente utile (entrambi considerati nella loro forma sociale), e dal¬ l’altro sulla base del valore di scambio e della sua misura: le quantità relative di « lavoro » incorpo¬ rate nelle merci e socializzate a posteriori e in ma¬ niera incompleta (in altri termini i concetti, svilup¬ pati dall’economia, di valore e « lavoro »). 17-12-1935 A questo punto mi sono arrestato ieri sera. In realtà volevo, però, scriverti di tutt’altre cose. E cioè dei nuovi paragrafi che trattano delle « forme di coscienza sociale » economiche o meno. Qui emer¬ gono, oltre al solito embarras de richesse già riscon¬ trato a livello dell’economia, anche determinate dif¬ ficoltà logiche. L’excursus filosofico allegato ieri alla prima lettera ti avrà forse già fatto capire di che cosa si tratta. Marx distingue effettivamente (ed esatta¬ mente soprattutto nella sezione, peraltro generalmen¬ te un po’ ambigua, sul feticismo) in maniera insuf¬ ficiente tra: 1) la materiale dipendenza dei concetti ecc., dal loro oggetto; 2) l’unica questione che ab¬ bia davvero un senso per una libera posizione « ma¬ terialistica » della filosofia, vale a dire la questione della dipendenza dello stato di realtà sociale della coscienza (prescientifica e scientifica) dagli strati del¬ l’essere materiale sociale (che, dal punto di vista eco¬
166 KARL KORSCH nomico-feticistico, è da caratterizzare come « essere economico » mentre dal punto di vista direttamente storico-sociale non può che essere considerato come produzione materiale, rapporti sociali di produzione nel loro sviluppo e nella lotta di classe pratica). Così, ad esempio, quando Marx dice che alla coscienza feticistica i rapporti sociali dei produttori appaiono loro nella produzione di merci come ciò « che sono ». Neanch’io mi ero, all’inizio, del tutto liberato da questa parziale confusione e neanche tu hai notato che nel primo abbozzo sul « carattere fetictistico del¬ la merce » sono rimasto un po’ impigliato nella que¬ stione della possibilità o meno, nell’attuale fase « pia¬ nificata » e « monopolistica di Stato » dello sviluppo capitalistico, di arrivare prima o poi alla compren¬ sione, rappresentazione e trattazione direttamente sto¬ rica e sociale delle reali formule sociali della produ¬ zione. Si tratta del resto di una questione già fin troppo dibattuta (nella polemica tra marxisti, rivo¬ luzionari e centristi, nonché nell’attuale discussione sull’economia capitalistica di piano, oltre che sulla tesi di Mosca secondo la quale le forme di merce, denaro, lavoro salariato, calcolo della profittabilità ecc.; non rappresenterebbero ormai altro che momen¬ ti « secondari » di un modo di produzione nel com¬ plesso « socialista » in virtù « del piano », dell’as- -senza dei capitalisti privati e della dittatura di un partito proletario, cioè di un modo di produzione di¬ rettamente sociale). In verità, però, non è affatto così importante che uno possa o meno descrivere suffi¬ cientemente l’una o l’altra forma di produzione di merci mediante concetti direttamente sociali. Ciò è in effetti quasi sempre possibile anche se un’operazione del genere è talora difficile per i mo¬ tivi da me esposti. Ciò che più importa è se la co¬ scienza sociale, determinata nella sua struttura dal modo di produzione materiale, dagli interessi di clas¬ se ecc., possa svilupparsi solo in diretta connessione
A BRECHT E A PARTOS 167 con lo sviluppo reale {storico e pratico) di questa produzione materiale oppure in modo più o meno relativamente indipendente da tali nuove forme. Il risultato cui entrambe le problematiche approdano è abbastanza simile. Mi sembra necessario separarle teoricamente in modo un po’ più rigoroso di quanto non sia stato fatto fin’ora perché questo mi sembra l’unico modo per eliminare definitivamente dalla di¬ scussione della concezione materialistica della storia e della teoria delle ideologie gli ultimi resti (presenti sia negli avversari che negli amici) di metafisica, fi¬ losofia e gnoseologia. (Ancora pochi anni fa il mio editore russo Bammel « scusava » le mie deviazioni da ciò che là viene chiamato materialismo, con la cortese motivazione che « al compagno Korsch sono ignoti i problemi della gnoseologia »). Colgo l’occasione per soffermarmi anche su di un punto di secondaria importanza: tu usi ancora l’espressione lukacsiana della « reificazione ». E’ vero che Marx parla effettivamente a volte, di « guscio cosale » e di « cosalizzazione » del carattere sociale della produzione. Ma l’espressione « feticismo » è in¬ finitamente più appropriata per una concezione ma¬ terialistica e sociologica e per la descrizione di que¬ ste forme di pensiero. Nel caso di Lukàcs, che am¬ plia questo concetto in modo del tutto smisurato, si tratta in sostanza soltanto della protesta di una « filosofia della vita » contro il freddo mondo delle pietrificate cose materiali. Le categorie economiche assumono del resto al¬ trettanto facilmente di una forma cosale anche una forma personale. Pensa ad esempio a « Monsieur le Capital »; e « Madame la Terre » in Pecqueur (quale è citato nel « capitale ») e alle molteplici personi¬ ficazioni del denaro, del capitale come Moloch, come gigante che si tira all’indietro nella sua spelonca le vittime perché tutte le orme partano dalla sua spe¬ lonca stessa: sublime simbologia dell’annessione della
168 KARL KORSCH forza produttiva sociale del lavoro da parte del Ca¬ pitale. « Feticcio » è, invece, innanzitutto già nella sua forma, una categoria sociologica. Inoltre esprime an¬ che ciò di cui in realtà si tratta: la trasposizione delle forze umane. sociali, alle cose, la produttività del lavoro immediatamente vivo al lavoro morto ac¬ cumulato come capitale. Del tutto incidentalmente (e detto privatamente a te) voglio ancora osservare che mi è venuto in mente come Marx tiri sempre subito in ballo la re¬ ligione come termine di confronto per spiegare il feticismo delle merci. Si tratta qui di una semplice trasposizione all’economia delle relazioni da lui sco¬ perte in gioventù nel rapporto di religione e filosofia. Anche per questo dunque meglio «feticismo»! Con tanti cordiali saluti a te e a Käte. AA (...) Il vostro vecchio K.K. A Partos [Skovsbostrand] 26-6-1936. Caro Paul, rispondo subito alla tua lettera giuntami oggi assieme al capitolo 3 che hai provveduto a rispedirmi subito... e al tuo interessante articolo che ho letto... subito. Di questo ti scriverò poi a parte, mi sembra straordinario. Sono rimasto colpito dal fatto che esso rappresenta per così dire la risposta ai miei — in sé cordialmente insignificanti — pensieri con la schiera dei teorici della rivoluzione (Marx, Lenin, Proudhon, Sorel... Mussolini?). Trovo poi molto gentile da par¬
A BRECHT E A PARTOS 169 te tua 11 riservarmi sempre un trattamento partico¬ lare nonostante l’acuta — talora — divergenza di idee e il considerarmi sempre e comunque un alleato — in parte anche perché tu hai continuato a muo¬ verti esattamente sulla linea da me perseguita fin verso il 1928 .prima di cominciare a riflettere sulla impossibilità di condurre una lotta contro il mondo intero con niente dietro e davanti a sé; non perché io fossi per principio contrario alle lotte prive di prospettive — lotte di tal genere ne avevo — in precedenza — condotte sempre — tuttavia mi appariva ormai del tutto inutile fare una cosa del genere sol¬ tanto nel pensiero, ritenendo la peggiore realtà sem¬ pre preferibile alla migliore delle idee! E’, natural¬ mente, vero che quando si « rompe » in questo modo si è costretti — dopo un po’ di tempo — dopo, cioè, aver accumulato una quantità sufficiente di nuova realtà — a « ricominciare »; e il tuo punto di par¬ tenza in questo articolo mi appare, nonostante il suo carattere di tabula rasa, di nuovo reale. Non sarebbe affatto un cattivo programma per una nuova rivista se soltanto una cosa del genere fosse possibile! Dun¬ que o ci vediamo in autunno in Francia [...] e co¬ minciamo già a preparare qualcosa, oppure io mi procuro prima ciò che c’è in proposito, in America, 0 vieni tu stesso in America (dove la congiuntura da te prevista un anno fa non solo si è già verificata, ma ha addirittura già superato il suo culmine)! Cfr. 1 dodici milioni di disoccupati ufficiali! Assieme alla tua lettera me ne è giunta oggi una di Rummey...; è stato dall’editore e non crede che essi approveranno un secondo volume, ma farà di tutto per ottenere la pubblicazione o presso questo o presso un altro editore. Sono abbastanza deciso a conservare solo la seconda parte del 2° capitolof...] Per quanto concerne le tue osservazioni sul 3° capitolo: [...]in proposito mi è apparso chiaro una volta
170 KARL KORSCH di più ciò che sapevo anche prima, vale a dire che la prova decisiva del fatto che Marx ed Engels non potevano immaginarsi un socialismo altrimenti che come prosecuzione del capitalismo (ad esempio qual¬ cosa come un « comuniSmo originario ») sta nella loro posizione (apparentemente opposta) nei confronti del mir russo; cfr. le lettere di Engels a Danielson (una forma sociale superiore possibile in Russia solo se « questa forma superiore esisteva già in un altro paese ». « Dal momento che questa forma superiore, laddove sia possibile storicamente, è sempre la con¬ seguenza necessaria del modo di produzione capitali¬ stico ecc. ecc. Citerò eventualmente questo punto, ma riprendendo preferibilmente una espressione di Marx, ed utilizzando Engels solo a completamento del paragrafo. Quando avremo dunque completamente rotto col- sistema tornerà utile aver prima trattato ancora una volta, in questo modo così disinvolto, l’atteggiamen¬ to complessivo di Marx ed Engels nella teoria e nella prassi. Ma questa era solo una divagazione. 2. Non credo che faccia molta differenza se io scrivo: le norme di Marx valgono solo per i rapporti di una determinata epoca storica, oppure: Marx pre¬ tende solo la validità specifica. La seconda formula¬ zione concorda meno precisamente della prima con il contesto filologico-storico pur suonando, per il let¬ tore che non sia già straordinariamente diffidente, esattamente allo stesso modo. In queste questioni mi sembra che tu dia dei giudizi un po’ formalistici. Mi dici sempre che non vuoi mettere in discussione il mio atteggiamento po¬ sitivo verso Marx in questa opera e poi metti in discussione la costruzione perfino in tali piccolezze!... 3. Credo fermamente — te lo ripeto — che, sebbene io stesso abbia reso al lettore sospetto ab¬ bastanza il voi. 3°, locuzioni quali quella del « regno della libertà » potrebbero stare altrettanto bene nel
A BRECHT E A PARTOS 171 voi. 1°. L’idea è, nella sostanza, molto più giusta del- l’engelsiano « salto nel regno della libertà ». L’unica cosa brutta nell’esposizione di Marx è l’affermazione che il « pluslavoro deve esistere sempre ». In un precedente abbozzo del mio lavoro avevo posto questa affermazione in contrasto con i Manoscritti econo- mico-filosofici del 1844 le cui analisi conducono, se portate alle ultime conseguenze (cosa che invece Marx non ha fatto), alla necessità dell’eliminazione del « lavoro » *(nel suo significato specifico). La mia ar¬ gomentazione mi apparve poi, però, non del tutto convincente, a causa della sua brevità e del suo essere basata su vaghe espressioni di Marx (invece che su di una precisa analisi materiale, ed ho can¬ cellato tutto il passo). Per questo posso tranquillamente affermare di non aver misticizzato questa frase. Mi interesserebbe però sapere alcune espressioni, per me troppo logi- cistico-lukacsiane, del tuo saggio, che tu continui ad usare per comodità (ma fino ad un certo punto): « alienazione ed espropriazione » del movimento ope¬ raio » e della sua « coscienza » ecc., mi danno qui motivo di sospetto), se l’espressione engelsiana del « salto nel regno della libertà » non ti appaia (pre¬ scindendo per una volta dal fatto che proviene da Engels!) più simpatica e giusta di quelle locuzioni marxiane, da te accattate, sul « regno della libertà sulla base del regno della necessità ». Per quanto mi concerne considero l’uso che Lenin fa di questa ul¬ tima, idealistica, espressione, già direttamente bor¬ ghese; ma nella forma originariamente marxiana mi sembra ancora sopportabile, a differenza del « salto » engelsiano! Ma forse non ti comprendo appieno. Tu dici che il « materialismo coerente » non sarebbe privo di uno spiacevole gusto collaterale a causa di una troppo grande cautela e di una troppo tollerante (concilian¬ te?) autocritica. Forse che ho mai parlato di «eoe-
172 KARL KORSCH rente materialismo »? Non mi pare. O forse pensi che Marx faccia qui (a differenza di Engels) una conces¬ sione? Io sono d’opposta opinione: Marx non dice qui « ancora » qualcosa che proviene dalla sua edu¬ cazione hegeliana, bensì dice « nuovamente », con un cosciente ritorno ad Hegel, qualcosa contro il so¬ cialismo utopistico. Se la questione ti sembra im¬ portante, ti prego di rispondermi. Altrimenti puoi farne anche a meno. 4. La fonte principale per questo capitolo è l'In¬ troduzione alla critica ma solo nel senso che le sue argomentazioni: 1) vengono usate per trovare una osservazione ragionata, come si fa effettivamente nel capitale, dunque per motivi di brevità[...]; 2) ven¬ gono usate criticamente per dimostrare che la trat¬ tazione engelsiana dell’« azione reciproca » non è « né carne, né pesce », né filosofia hegeliana, né moderna scienza esatta. (Quando parlo così tu consideri cu¬ riosamente questo mio modo di esprimermi un « bel¬ l’esempio di relativa concordanza»!). 5.11 confronto critico con Spencer mi sembra, al pari di quello con Comte, utile e necessario. Ad Huxley, che non ho mai letto, dedico solo una frase! Allegato Sulla politica mondiale e nazionale non c’è molto da aggiungere a ciò che ci siamo detti nel nostro ul¬ timo colloquio. Le cose che più mi interessano: I) in Europa sono, soprattutto per la loro forma, gli stay-in-strikes francesi (scriverò sicuramente il mio prossimo libro, che si avvarrà di studi direttamente empirici, sulle nuove forme di lotta di classe, sulla loro genesi all’interno dei mutati rapporti di produ¬ zione, dei rapporti di mercato a livello mondiale, del nuovo rapporto di guerra e « pace », delle nuove for¬ me statali, soprattutto delle del tutto nuove condi¬
A BRECHT E A PARTOS 173 zioni del lavoro salariato e delle altre forme di la¬ voro non emancipato in generale... e, naturalmente sulle loro prospettive!). II) Laggiù in America, è invece soprattutto il movimento del sindacalismo industriale (Lewis-Diss- mann, Robertl, adesso di nuovo in ascesa (anche se, io credo, non più stabilmente di quanto lo sia stato negli ultimi 50 anni. Cfr. in proposito le speranze di Marx ed Engels, che corrispondono esattamente a quelle che capita di leggere oggi!). L’ultimo dibattito sulla politica estera nella camera bassa inglese mi ha solo confermato quanto avevo già da tempo indovinato, ma anche la conferma è triste quanto basta! Il tuo K.K. 1 [John L. Lewis (1880-1969), presidente del sindacato minatori americano e, nel 1935, figura di primo piano nella fondazione del C.I.O.; Robert Dissman (1878-1926), dirigente di primo piano dei fiduciari rivoluzionar idurante la la guer¬ ra mondiale]. A Partos [Seattle] 12-6-1939. Caro Paul, mi affretto a rispondere alla tua lettera del 31-5, appena giuntami per rompere finalmente il circolo vizioso delle lettere non più scritte per la paura di « incrociarci » nella corrispondenza. Finora ti ho scrit¬ to solo due lettere direttamente, entrambe stenogra¬ fate e della stenografia mi accingo a far uso anche adesso. Ho ricevuto da te dapprima una lunga lettera ed
174 KARL KORSCH alcuni giorni dopo l’annunciato resoconto su « gli ultimi giorni di guerra » \ Aspetto dunque da te ancora una lettera nel me¬ rito della questione che ci interessa e rimanderò, da parte mia, la discussione « scientifica » fino al ricevimento di questa lettera. A cominciare da oggi numererò in forma progres¬ siva le mie lettere: Questa è dunque la lettera numero 1. Veniamo subito al problema praticamente più im¬ portante. Non so come sia la situazione in Messico. Io ero per il Messico solo perché pensavo che là tu riuscissi, in un modo o nell’altro, ad andare avanti meglio che altrove. Io potrei, ad esempio, venirti a trovare lag¬ giù con la mia macchina o con una vettura presa in prestito. E potrei forse addirittura fermarmi un po’ di tempo a vivere vicino al confine, dal momento che posso disporre a mio piacimento del mio per¬ messo di soggiorno. Non posso immaginarmi che il Canada offra prospettive altrettanto interessanti, an¬ che se non so assolutamente se quelle del Messico siano davvero interessanti. Ma il Canada fa parte del mondo inglese; non so proprio su che cosa si fondi la tua speranza di ottenere là .un permesso di soggiorno una volta scaduto il permesso per la tua terra d’origine, o di riuscire in qualche modo a farti tollerare una volta giuntovi. Tutto il mondo inglese mi sembra così spiacevole che anche solo per questo preferisco, finché non vi si oppongono motivi precisi, il Messico. Il mio vero obbiettivo è sempre stato, fin dall’inizio, di portarti in qualche modo qui negli States. Sia nel tuo interesse, che in quello 11 Si trattava di un resoconto del crollo della resistenza repubblicana a partire dal 25-3-1939, poi ancora una breve lettera con l’annuncio del tuo viaggio nel continente, ed al¬ cuni giorni fa la lettera ad Hanna del 28-5-1939.
A BRECHT E A PARTOS 175 del mondo e della scienza, oltreché del mio perso¬ nale! [...] Se non riesci ad ottenere un visto di emigrazione dobbiamo vedere se puoi mettere le mani su di uno « students visa ». Si tratta, per ora, di un so¬ gno del tutto vago ma in situazioni disperate bisogna prendere in considerazione anche le più labili possi¬ bilità. Mi sono così chiesto, ad esempio, se tu non potresti lavorare come assistente o segretario scien¬ tifico di Kurt Lewin. Lewin è qui uno studioso mol¬ to considerato, ma non so quando diventerà citta¬ dino americano. E’ possibile che non lo diventi pri¬ ma di me e della mia famiglia perché è stato troppo a lungo professore-ospite qui col pensiero sempre rivolto alla Palestina; non so dunque quando ha co¬ minciato a decorrere, per lui, il periodo obbligatorio di 5 anni. Se diventasse americano entro un periodo di tempo utile (cioè, nel migliore dei casi, non prima di alcuni anni), ciò favorirebbe molto il sogno di cui parlavo sopra; ma anche nel caso contrario la cosa non dovrebbe essere impossibile. Ti sarà utile, in ogni caso, leggere il suo ultimo libro, (che ti avevo consigliato da tempo anche nel solo e puro interesse della scienza): The Conceptual Representation and the Measurement of Psychological Theory, apparso come voi. 1, n. 4 dei « Contribu¬ tions to Psychological Theory ». Duke University Press, Durham, N.C. 1938 (250 pagine). Si tratta, in pratica, della seconda parte del precedente ilbro di Lewin sui Principles of Topological Psychology, Me Graw-Hill Book Co. 1936. Oltre a ciò sta per uscire un resoconto di alcuni interessantissimi espe¬ rimenti sociologici con gruppi di bambini organizzati in modo rispettivamente autoritario e democratico. Lewin si trova comunque proprio sul punto di pas¬ sare dalla psicologia alla sociologia. Già che ci sono ti consiglio ancora (arrivando forse in ritardo) i libri di epistemologia psicologica
176 KARL KORSCH di Arne Ness, Truth, ecc. Oslo 1938 (118 pagine; li ricevo in questo momento e li recensirò per la Zeitschrift] f[ü] S[ozialforschung] inoltre un libro tedesco del 19362, e l’ultimo numero di « American Journal of Sociology » (voi. XLIV, n. 6, maggio 1939) che contiene un ragguaglio molto buono ed interes¬ sante sull’attuale livello della sociologia americana. Si tratta di un simposio su « The Individual and the Group » e quello di « gruppo » è un concetto cen¬ trale nella sociologia americana già a partire dagli anni ’20. [...] Non capisco bene che. cosa intenda dire doman¬ dandomi perché non abbia preso posizione nei con¬ fronti di Silone. Nella mia recensione della sua Scuo¬ la dei dittatori su « Living Marxism »3, ho messo sufficientemente in rilievo — mi sembra — sia teo¬ ricamente la sua lacunosa esposizione della questione economica che praticamente la sua ambigua presa di posizione nei confronti del fascismo. Nonostante que¬ sti limiti trovo il libro eccellente anche se non di grande valore scientifico né degno di essere consi¬ derato, sotto nessun aspetto « straordinario ». Hanna manda cordiali saluti a te e a Käte. Lo stesso farebbero anche Hedda, Sybille e Barbara, se fossero qui e potessero esprimere i loro sentimenti. Anche da parte mia saluta Käthe cordialmente. Posso perfettamente capire, spila base delle esperienze de¬ gli ultimi anni, che un viaggio in America la terro¬ rizzi. Ma in Francia non potrà rimanere più per mol¬ to tempo ed in Inghilterra non la lasceranno entrare; quantomeno non prima di aver ottenuto il visto per un altro paese. I tuoi giudizi sull’opera di soccorso durante e 2 Cfr. A. Ness, Erkenntnis und Wissenschaftliches Ver¬ halten, Oslo 1936. 3 Cfr. K. Korsch, Ignazio Silone. The school for Dicta¬ tors, in « Living Marxism », voi. IV, n. 6, aprile 1939.
A BRECHT E A PARTOS 177 dopo la guerra civile spagnola non mi sorprendono ma lasciano un po’ perplesso per il loro carattere assoluto. Le tue opinioni circa la possibilità di orga¬ nizzare la resistenza meglio in Spagna che in Germa¬ nia e in Italia, sono abbastanza interessanti. Ma io credo ohe, perlomeno per i prossimi anni, ciò con¬ durrebbe soltanto ad una ripetizione della tragedia appena vissuto dal popolo spagnolo. E questo a di¬ spetto della più grande energia e del più esaltante valore, nonché di tutto l’insegnamento tratto dagli eroi passati, da parte del popolo spagnolo. Per que¬ sto motivo penso che sarebbe meglio che non si arrivasse affatto ad una cosa del genere prima di un decisivo mutamento della situazione a livello europeo. Della buona notizia di Langerhans hai già sen¬ tito da me e da Herbert. Nel frattempo ho ricevuto da Use una lettera che riportava dei passi della sua ultima lettera ed ho già anche risposto. Per quanto concerne lui, ho buone speranze che Y Institut, sotto mia pressione, intervenga decisamente in suo favore, in quanto egli è un antico collaboratore dell’Istituto e là tutti lo conoscono e hanno quindi maggiore com¬ prensione nei confronti dei patimenti da lui sofferti. Ma anche per il tuo — più difficile — caso spero di ottenere da loro alcuni affidavits in più; ma du¬ bito che essi siano capaci di mettere insieme il va¬ lore e il coraggio necessari per questo ulteriore sfor¬ zo. Tenterò comunque di tutto... Quanto a me, purtroppo neanche in questo paese sono riuscito ad approdare a qualcosa. Questa volta ciò è da ascrivere, molto più del solito, alle mie — a te ben note — « qualità » di inerzia e di inetti¬ tudine al comportamento realistico. Certo potrei an¬ cora trovare, nonostante l’età, un job accademico; i miei libri sul marxismo, la mia fama tra gli emigrati tedeschi e last non least, la assai attiva resistenza del C.P. sono handicaps molto forti per tutto, perfino per la collaborazione alle riviste, per la pubblicazione
178 KARL KORSCH di libri e per conferenze e corsi, gratuiti o meno. Ad esempio, quando otto giorni fa in una piccola città industriale di non più di 30.000 abitanti ho tenuto in una People’s Church [...] una conferenza sulla .situazione in Russia, sono stato boicottato al 100% dal locale gruppo del C.P. La mia impotenza mi fa star male, soprattutto per la perdita di ogni effettiva possibilità di aiutare gli amici che essa comporta. Temo che quando, tra due anni e mezzo, avrò la cittadinanza americana, sarò troppo vecchio con i miei 55-56 anni, se non sarò già diventato qualcuno. Di Brecht ho visto recentemente non solo un buon inizio di un romanzo su Gli affari del signor Giulio Cesare, bensì anche — e soprattutto — un nuovo, straordinario, dramma teatrale, già tutto pron¬ to ma non ancora stampato, su « La vita di Galilei ». Un colpo veramente grosso; un grande tema e alla fine l’incomparabile nettezza brechtiana della nega¬ zione. Benché solo raramente la gente conformi la propria vita privata alle regole delle proprie convin¬ zioni generali, dopo questa rappresentazione del Ga¬ lilei, non riesce ad immaginare che Brecht possa con¬ tinuare a rimanere così fedele alla linea. Non gli ho più scritto da tempo, praticamente dal mio arrivo negli USA, ma ho intenzione di rompere questo lun¬ go silenzio. Ho sentito da più parti che egli ha in¬ tenzione di venire qui. Non ho ancora del tutto abbandonato il mio pro¬ gramma di lavorare su rivoluzione, e controrivoluzione, benché negli ultimi tempi mi sia soprattutto occu¬ pato ancora una volta di questioni di metodologia sociologica e di calcolo logico. Proprio adesso ho assunto nuovamente un atteggiamento critico nei con¬ fronti del calcolo, nonostante che qui agli emigrati tedeschi (Carnap, Mempel, ecc.) non abbia fatto male il contatto con l’America; essi appaiono molto disin¬ volti e tutto è fin troppo in movimento. Molto pro-
A BRECHT E A PARTOS 179 babilmente farò un salto al prossimo Congresso a Cambridge (settembre del ’39). Sto lavorando per l’appunto ad una conferenza che terrò domani sera ad un piccolo gruppo di graduate studens e di gio¬ vani docenti del luogo, su A materialistic theory of thought. Ho recentemente lavorato intensamente in questo campo e proprio su questo tema scriverò pro¬ babilmente il mio prossimo libro o almeno il mio prossimo lungo saggio. Qui il paesaggio e il clima sono indescrivibil¬ mente belli. Mi vergogno quasi di trovarmi io solo così bene. Il tuo vecchio. K.K. Salutami tanto Herbert e, se le scrivi, anche Use e, attraverso di lei, Heinz. A Partos [Seattle] 26-29/7/1939. Caro Paul, ho deciso di dedicare oggi un po’ di tempo a studiare se per Cx) (’y) f(x,y) posso trovare un contenuto cp che ci consenta di porre prima un E!: I-: cp (’x) (’y) f(x,y).). E! (’x) (’y) (f(x,y) ». 11 Le formule matematiche che, anche se non del tutto coerentemente, seguono il linguaggio logico di Carnap, signi¬ ficano: (’x) (’y) (x, y) è da leggere: « un rapporto f tra un singolo individuo x ed un singolo individuo y ». In questo modo l’intera formula va letta così: «Quando il rapporto f tra un singolo individuo x e un singolo individuo y ha la proprietà (o il contenuto) q> allora si può anche affer¬ mare che esistono due singoli individui di genere x ed y che stanno in un reciproco rapporto di f ».
180 KARL KORSCH A prescindere dai sempre possibili errori di for¬ mulazione logica, dal momento che XX, e PP sono in ogni caso costanti, questa formula sarebbe anche più facile da esprimere. Mediante l’affermazione che noi vogliamo domandarci quale contenuto abbia un f supposto come esistente, che soddisfi f(KK, PP); e dal momento che perfino il nostro rapporto è sempre, a prescindere dal suo contenuto, una costante, possia¬ mo tentare subito di determinare B in B(KK, PP), e così via). Ho letto con grande piacere e con altrettanto grande interesse la tua lettera del 20 giugno e del 4 luglio, e non capisco proprio perché fino ad oggi non ha affatto risposto oppure [...] l’ho fatto in modo del tutto insufficiente. Certo, nel frattempo ho affrontato un viaggio di sedici giorni (tra andata e ritorno) fino a Berkeley (San Francisco) California, dove ho energicamente la¬ vorato assieme a Kurt Lewin, e, a parte questo, ho avuto una montagna di cose da fare; tutto ciò non costituisce tuttavia una spiegazione sufficiente. In¬ nanzitutto ti comunico che quando questa lettera ti perverrà, avrò nuovamente cambiato indirizzo. La prossima settimana, probabilmente lunedì, parto nuo¬ vamente verso la costa orientale ed arriverò verso il fine settimana (5-6) agosto o a New York oppure già a Boston. Il mio indirizzo è dunque: 337 Charles Steet Boston, Mass. A questo punto ti comunico che ho dato il tuo indirizzo e quello di Herbert a Londra (consiglian¬ doli di far visita innanzitutto a te) ad uno studioso mio amico, di nome Easton Rothwel, che ho assistito l’anno scorso nella preparazione della sua tesi di lau¬ rea su Rosa Luxemburg, e che vuol compiere un breve viaggio, assieme alla moglie, in Europa. Si trat¬ ta di uno storico, di un instructor (all’incirca un li¬ bero docente con un incarico di insegnamento) della Stanford University (California); molto simpatico u¬
A BRECHT E A PARTOS 181 manamente, è politicamente un « rivoluzionario » che ha molto subito l’influenza dello studio delle opere di Rosa Luxemburg. Vedrai che ti piacerà; non so però di sicuro se arriverà fino a Londra. Forse pre¬ ferirà recarsi soltanto in Francia ed in Olanda, in quanto ha poco tempo e gli preme soprattutto infor¬ marsi sul movimento operaio europeo passato e pre¬ sente. Ma veniamo adesso ad un altro argomento. Ciò che mi hai scritto sulle tue buone prospettive di continuare a soggiornare in Inghilterra, fa natu¬ ralmente cadere tutte le mie speculazioni su imme¬ diate soluzioni d’emergenza a questo tuo problema. In una situazione del genere anch’io preferirei aspet¬ tare fino al momento di poter definitivamente emi¬ grare negli USA. Spero soltanto che tu non soprav¬ valuti la stabilità della situazione inglese. Non credo che al consolato americano ti chiedano referenze americane. Al momento opportuno spero di essere in grado (come lo sono già adesso) di pro¬ curarti degli affidavits di cittadini americani di prima classe. Se tuttavia ti dovessero chiedere qualcosa, puoi fare, per il momento, il nome di Mrs. Mary Farqu- harson; questa signora è membro del Senato dello stato di Washington (da non confondere con Was¬ hington DC!), buona amica di Hanna, ed anch’io co¬ nosco suo marito, che è un professore della locale Università; sono entrambi persone molto gentili e senza alcun pregiudizio politico. Io stesso mi farò premura di avvisarli (chiedendo loro eventualmente il permesso formale) che il loro nome può venir ti¬ rato in ballo nella tua faccenda. Sono sicuro, in ogni caso, del loro incondizionato assenso. Se ti dovessero chiedere in dettaglio i termini della tua amicizia con questa signora, devi renderla il più personale possi¬ bile: conoscenti comuni, a Berlino o a Parigi, e co¬ mune amicizia con la dott. Hanna Kosterlitz, resi¬ dente negli Stati Uniti fui dal 1934 a qui molto stimata come eccellente oculista; del resto già l’anno
182 KARL KORSCH prossimo Hanna stessa può richiedere la citizenship e all’inizio del 1941 sarà essa stessa cittadina ameri¬ cana. Per quanto mi riguarda io potrò farlo, com’è noto, non prima dell’inizio del 1942, ma nell’attuale situazione neanche questa scadenza sembra del tutto priva di significato! Ancora un’ultima cosa, a proposito di Heinz. Trovo il suo atteggiamento molto interessante e non incomprensibile, ma sono pienamente d’accordo con te sul fatto che si debba parlare [con] Use affinché si adoperi con ogni mezzo per lasciare Deutschland] 2; se lo ritiene utile Use può presentare questo come un mio consiglio. Del resto ho intenzione di scriver¬ gli io stesso dall’Est, forse riceverò nel frattempo, da te, o da lei, altre notizie a proposito di questa faccenda. Detto fra noi, al momento mi preoccupa più lo stato spirituale di Use che quello di Heinz; è maledettamente un peccato che ella non riesca ad uscire da questi stadi intermedi; ogni soluzione è, per lei, migliore di questa perdurante attesa piena di dubbi e di timori. Vengo adesso, siamo ormai a giovedì 27 luglio, alla parte « scientifica » della tua lettera e non so, di nuovo, da che parte cominciare. Farò dunque, in¬ nanzitutto, un paio di osservazioni sulla tua lettera, scrivendo poi a parte un resoconto-utilizzabile, spero, anche da altre persone — e miei propri pensieri e programmi. Sulla Spagna: sono d’accordo con tutto ciò che dici, benché io da solo non sarei mai stato in grado di pensare con tanta determinatezza. L’unico punto su cui non concordo pienamente è la tua prospettiva di un futuro in cui « comincerà Soggettivo processo di dissoluzione del fascismo su scala europea ». 2 In realtà Heinz Largerhans si trovava in questo periodo in Belgio, come risulta da una lettera di Use Bloch a Norsch del 20-8-1939.
A BRECHT E A PARTOS 183 Io non vedo un tale fujturo, né vicino né lontano, bensì credo piuttosto in un « terzo » sviluppo. Ma tutto ciò concerne soprattutto la situazione generale. « Se » lo sviluppo da te descritto avesse luogo in Europa entro un tempo non troppo lontano, allora le conseguenze sarebbero per la Spagna, quelle da te descritte. Altrettanto poco concordo col tuo term, nuova forma di espressione politica del capitalismo. Perché « politica »? A me pare che quello « economico » diventi sempre più il fatto principale e domini, in ogni caso, tutte le espressioni politiche. Né vedo V « insorgere di una reazione cosciente, formata e po¬ liticamente orientata, della classe operaia nell’imma¬ gine che io ho del futuro (e che non è naturalmente molto più definita e chiara della tua; oggi la scelta è soltanto tra idee chiare ma indubbiamente errate ed obsolete, ed una fondata incertezza sul futuro più o meno prossimo!). Noi siamo stati sempre d’accordo ■sul fatto di vedere nella schiera (decrescente) Germa¬ nia, Italia, ecc. Russia, USA, democrazie occidentali, più una comunanza di caratteristiche che un’opposi¬ zione. Le cose si complicano se in questa schiera si vuole unire Giappone e Cina ma anche in questo caso il presupposto fondamentale, a mio parere, rimane. Credo dunque che in questo complesso mondiale non sia rintracciabile alcuna tendenza verso quel movi¬ mento della classe operaia da te previsto. L’« idea » schematica, veteromaterialistica di una pressione co¬ stantemente prodotta in un sistema chiuso » mi ap¬ pare tuttora di grande valore teorico, la cosa migliore del marxismo; ma « teorico » non significa qui per me altro che il ^significato puramente scientifico del concetto di opposizioni « interne » e della dinamica « interna » in generale, in contrasto con le narrazioni e discussioni descrittive, geo-storiche e propriamente « prescientifiche », dei politici e scrittori contempo¬ ranei. Ma proprio perché, sulla base di tali concetti
184 KARL KORSCH e leggi autenticamente scientifiche si possono fare quelle che sono chiamate « previsioni » sicure (nel caso delle scienze sociali sarebbe meglio, a mio pa¬ rere, parlare non di previsioni, bensì di qualche cosa che includa la prassi) è del tutto insensato, su questa base, prevedere qualcosa sullo stato complessivo di un sistema totale. Sotto questo rispetto il materiali¬ smo, il positivismo ed il pragmatismo, le filosofie dominanti del nostro tempo, mi sembrano tutte e tre ugualmente sbagliate ed ormai obsolete dal punto di vista dell’impostazione. Di uno stato complessivo par¬ la in fondo soltanto il « buon senso comune » che non parla, secondo la sua natura, attraverso accenni frammentari, contraddittori ed arbitrari, senza cer¬ care altro. Perfino quando la « nuova sociologia » (prof Pic¬ kup) 3 gli ricorda di tanto in tanto che A è uguale ad A, ciò assume il carattere di una violenza, di una limitazione autoritaria del pensiero, della vita e del- l’agire «naturali». [...] Vengo così pertanto al tuo terzo punto: mi com¬ piaccio che tu abbia letto subito Arne Ness e ciò che scrivi in proposito mi sembra interessante e preciso. Temo tuttavia che sia stato preso un po’ troppo sul serio (come ben sai, io scrivo fin troppo seriamente sulle cose che ho appena letto o pensato). Credo an¬ che che egli non abbia detto niente di particolarmente nuovo né nell’ambito della « psicologia ’ obiettiva ’ » né in quello più generalmente epistemologico; anche i suoi uomini di fiducia come Brunswik4 ecc., hanno aggiunto poco al patrimonio ormai acquisito della tradizione psicologcia tedesca. Tuttavia il suo è un libro piacevole e fresco, come del resto il suo autore, 3 Si tratta del « consigliere segreto » dell’aspirante ame¬ ricano alla dittatura Döbbl Juh nella Scuola dei dittatori di Silone. 4 Egon Brunswick (1903-1955) psicologo della scuola di Karl Buhler.
A BRECHT E A PARTOS 185 soprattutto se lo paragona con i professionisti della logica, compreso Carnap, che richiamano troppo alla mente la philosophia perennis (e sembrano mante¬ nere il loro spirito per così dire al punto zero meta¬ fisico). Ma fai fin troppo onore alla sua « sociolo¬ gia » caratterizzandola come « timida » e ancora « po¬ co sociologica ». Essa è ancora una volta da tenere in conto solo per contrasto con gli altri, nei quali la sociologia non compare neanche come accenno o come spazio vuoto. Riassumendo, io credo che non ci sia molto da aggiungere dal momento che esiste, fra noi, un so¬ stanziale accordo sui suoi caratteri positivi come ne¬ gativi. Lo stesso vale per le osservazioni da te fatte, alla fine dell'analisi di Arne Ness nella lettera del 7 luglio, sulla tua posizione personale. In parte ho già dettò lo stesso manifestando la mia opinione sulle tue argomentazioni del 20 giugno. L’unica differenza è che tu dichiari inutili praticamente affermazioni po¬ sitive ed eventualmente anche critiche che travalichi¬ no i confini dell’attuale contesto mondiale capitali- stico-fascista, cosa che fa pensare quasi che tu le consideri praticamente utili per « un po’ più tardi » e che tu prenda ovunque le mosse da un concetto di scienza che ti dà adito di considerare non vera la scienza del presente e vera soltanto la scienza del futuro. Credo di aver qui rotto un po’ più radicalmente col nostro comune passato, come ho già acennato prima. Io penso che si faccia tanto più scienza quanto meno scienza si voglia fare e che nessuno scienziato possa fare di più. Una semplice « positivizzazione » e « computerizzazione » di determinate parti dei si¬ stemi di norme che adesso valgono « positivamente » pur non essendo ancora stati formulati, mi sembra un’occupazione del tutto oziosa, o tutt’al più, una mera preparazione alla vera critica. Per così dire, dunque, « atto copernicano » sempre soltanto a dif¬
186 KARL KORSCH ferenti livelli di maturazione; ma questo « atto » non è affatto un atto bensì sempre un indicatore di atti storici. Stavo per chiudere la lettera quando ho sco¬ perto un ultimissimo spunto delle tue « osservazioni (teorico-pratiche) generali » che pur non dicendomi molto mi ha tuttavia indotto ad aggiungere ancora qualcosa. « Problemi pratici dell’attività rivoluzio¬ naria ». A. L’azione rivoluzionaria diretta quale contral¬ tare dell’azione fascista diretta posso immaginarla come effettuabile, ad esempio, nel caso di una grande guerra, da me a da te insiepie. Anche allora essa avrebbe, ancora per molto tempo, il solo effetto di conservare in sé e negli altri una preparazione gene¬ rale e relativamente indeterminata ed a condurre il più possibile a ridosso della prassi; a reagire, ecc. ai « nuovi » eventi, sviluppi e conflitti caso per caso. B. L’attuale movimento sindacale fascista e « de¬ mocratico »? Qui negli USA tutto è ancora preistoria che prelude ad una storia grande e radicale. Man¬ cano i « punti di contatto ». Qui si possono fare e dire solo cose sbagliate, incomprese ed incomprensi¬ bili, se non ci si vuol limitare a partecipare anche solo parzialmente al lavoro di Sisifo della lotta con¬ tro l’opera di mistificazione del C.P. Ma anche qui non credo che si potrebbe evitare di fomentare in questo modo la lotta degli intellettuali borghesi con¬ tro la classe operaia. Lo stesso vale direttamente per il « lavoro sindacale rivoluzionario ». Chi volesse com¬ battere i closed shops od altri « caratteri fascisti » dei sindacati americani oppure anche soltanto i più potenti e corrotti orrori della burocrazia contro gli operai stessi ecc. si troverebbe inevitabilmente a la¬ vorare per la borghesia ed il capitale contro la classe operaia. Al momento infuria qui, ad esempio, la pseudo-campagna intorno alla deportazione di Harry Bridges, della quale parleranno senz’altro anche i giornali inglesi. Compaiono, uno dopo l’altro, decine
A BRECHT E A PARTOS 187 di spie della polizia che affermano di avere le prove del ruolo di primo piano giuocato da Bridges nel C.P., un partito che è chiaramente — si dice — in¬ surrezionale. Diversi dirigenti operai (Lund[e]berg e Bridges in primo luogo) lottano per il primato. Repubblicani, « democratici moderati », New Dealers, misurano le loro forze in una sorta di tug of war! Nessuno ha la minima intenzione « di vincere » da qualche punto di vista. In giuoco sono soltanto obiet¬ tivi tattici secondari. Perfino la lotta per le elezioni presidenziali, che è in procinto di scoppiare oscuran¬ do tutto il resto, non è, almeno per il momento, decisiva. Il nocciolo reale della situazione è un grande sciopero dei longshoremen e della maritime federa¬ tion (C.I.O., sotto la direzione di Bridges e, quindi, sotto la pravalente influenza comuinsta di partito) previsto per il 10 settembre5. Ma anche di altri (FAL)6 gruppi operai ma gli imprenditori che ten¬ gono costantemente il governo sotto l’aggressiva egi¬ da dei repubblicani, tentano non tanto di liquidare sul serio Bridges, bensì di discreditarlo sufficiente- mente per poter poi, allo scoppio dello sciopero, li¬ quidare più facilmente lui stesso ed il movimento. Com’è che possiamo noi trovare un collegamento con questa situazione? Io penso che se tu fossi qui, for¬ niresti risposte almeno « ipotetiche » a queste do¬ 5 Gli sicoperi per la ricostruzione dell’organizzazione sin¬ dacale nell’ambito del trasporto marittimo della costa occi¬ dentale, avevano condotto nel 1934 alla nascita della Mari¬ time Federation of the Pacific sotto la direzione di Harry Bridges (nato nel 1901 in Australia) e di Harry Lunderberg (nato nel 1901 in Norvegia). Nel 1938 Lunderberg lasciò, con la Sailors Union of the Pacific, la MFP, che continuò ad essere dominata dalla In¬ ternational Longshoremen and Warehou semen’S Union che sotto la direzione di Bridges si unì al C.I.O. 6 Si tratta evidentemente di un errore per AFL: Ame¬ rican Federation of Labor.
188 KARL KORSCH mande retoriche e forse ti seguirei quanto meno per un tratto. Ma ciò che il nostro uomo relativamente più at¬ tivo, Paul Mattick, fa in questo contesto, mi sembra troppo isolato e di troppo breve respiro, „perché io mi ci possa impegnare pienamente. Così mi scrive adesso che egli sta scrivendo con Auerbach, che è ospite da lui a Chicago assieme alla moglie, un opu¬ scolo su quanto sta oggi avvenendo nella W[ork] [P]rogress [Administration. Ma prima ancora di ricevere la lettera ho sentito che il movimento nella W.P.A. era già morto7. Benché adesso il C.P. (cioè in questo campo la sua organizzazione dei disoccupati, la workers allian¬ ce) faccia così poco che gente come Paul Mattick sembrano / credono (di) avere possibilità di inter¬ vento, tutto ciò è solo una nuova strofa della vecchia nota canzone per la quale la K.A.P. (etichetta che mi sembra definire meglio di quella imposta dal par¬ tito stesso, di trotskismo, tutto ciò che è a sinistra della K.P.) dovrebbe potere e dover fare ciò che sa¬ rebbe propriamente compito della K.P., solo quando la situazione è assolutamente disperata ed ogni in¬ tervento può condurre alla delusione e al danneg¬ giamento degli operai e al discredito degli autori del¬ l’intervento. Io credo che il « compito dei rivoluzio¬ nari » che non è stato assolto negli ultimi 20 anni, potrebbe essere formulato come il loro fallimento nel trovare la via per rappresentare qualcosa di più puro « completamento » ideale del partito comunista. Gli anarchici spagnoli sono stati gli unici a fornire un reale contributo storico in questo senso e tu sai bene quanto doloroso e di breve respiro sia risultato 7 Gli scioperi contro la riduzione dei salari del perso¬ nale nel W.P.A. raggiunsero il culmine nel luglio del 1939; cfr. commento di Mattici, Security with 40yS-what you ought to know about relief and W.P.A., in « Living Mar¬ xism », voi. 4, n. 8 (Sept. 1939), pp.225-233.
A BRECHT E A PARTOS 189 questo contributo — storicamente il migliore — al¬ l’assolvimento del compito generale. Se si vuole andare avanti e continuare a pensare, bisogna dunque convincersi che anche questo com¬ pito è stato posto in maniera sbagliata. Tutto il pas¬ sato movimento operaio, in tutte le sue forme, ha veramente preparato soltanto un progresso tutto in¬ terno al capitalismo che, promosso dall’attuale forma controrivoluzionaria del « fascismo » si sta consoli¬ dando e perfezionando in tutti i sistemi capitalistici del mondo. La tua « crescita del potenziale significato della classe operaia »; il suo « formale organizzarsi » su « di una scala sorprendentemente vasta », benché non « come classe » sia pur fornita di « una falsa coscienza »; e le « altre ’ contraddizioni interne ’ » (da te giustamente poste tra virgolette): si tratta in tutti questi casi di descrizioni parziali di questo dato di fatto. Se il movimento operaio dell’epoca più re¬ cente fosse stato più decisamente e più attivamente rivoluzionario, se avesse fornito un maggior contri¬ buto diretto o anche solo indiretto, provocatorio, al¬ l’instaurazione del presente stato di cose, il suo « po¬ tenziale significato » e la « vasta scala del suo orga¬ nizzarsi » sarebbero probabilmente fenomeni diversa- mente (e più significativamente) atteggiati. Tipica¬ mente diverse sono tuttavia le forme in cui questi fenomeni si presentano in Russia rispetto all’Europa occidentale e all’America; tipicamente diverse sono a loro volta le forme che assumono in Germania ri¬ spetto all’Italia e diventano poi del tutto peculiari, secondo la tua descrizione, nella Spagna capitalistica¬ mente « arretrata » e quindi « meno profondamente dominabile dalla controrivoluzione capitalistica » (?) Credo che un lavoro preparatorio molto utile per la realizzazione del tuo programma (studio dell’« ideo¬ logia fascista » e della « guerra »), sarebbe una dif¬ ferenziata analisi molto chiara ed empiricamente fon¬ data: a) del reale significato della classe operaia
190 KARL KORSCH nell’economia e nella società; b) del suo significato ideologico « potenzialmente » rivoluzionario, fenome¬ nologicamente controrivoluzionario ). Sulla scienza americana (o già tradotto in Dialet¬ tica e scienza nel marxismo p. 105) (da una lettera a P.P. della fine di luglio del 1939). Quando si passa a comunicare qualcosa dei pro¬ pri attuali pensieri, idee e programmi di lavoro, è inevitabile che tutto risulti soggettivistico, contingen¬ te ed estremizzato, rispetto alla precedente — già sistematizzata — impostazione. Ma è, in effetti, molto difficile dare un chiaro rilievo al « nuovo » senza in¬ correre in qualche esagerazione. Comincio con l’America. La prima cosa da dire è che questa America è veramente diversa dall’Europa, quanto meno della « vecchia » Europa in cui tutti noi abbiamo vissuto e condotto le nostre lotte. In primo luogo questa America non può essere « rifiutata » in linea di principio come lo è stato, da parte nostra, l’intero status quo in Europa. In Eu¬ ropa si aveva un’idea abbastanza precisa dell’« ordi¬ ne nuovo » che doveva essere sostituito al vecchio ordine dello stato e della società. Si pensava di sa¬ pere più o meno come sarebbe proceduto questo mu¬ tamento, e si vedevano almeno alcuni punti dello sviluppo in cui « incuneare » il proprio intervento soggettivo. Si era riusciti in un movimento che da un ben noto passato conduceva; attraverso un noto presente, verso un futuro sufficientemente noto. Si aveva una teoria di fronte alla quale potevano atteg¬ giarci tanto più criticamente quanto più solidamente eravamo ancorati ad essa. Qui non c’è niente di tutto ciò. Soprattutto dopo lo sfumare delle nebbie della prima impressione al¬ l’europeo che comincia ad orientarsi teoricamente e praticamente (ma anche all’americano, anche se egli è privo della coscienza di una possibile alternativa)
A BRECHT E A PARTOS 191 tutto appare troppo grande, troppo frammentario e dispersivo, perché egli possa assumere un atteggia¬ mento simile. Il singolo si sente qui piccolo, impo¬ tente e ignorante di fronte all’ampiezza, alla moltepli¬ cità e alla mutevolezza dell’esistenza e dell’accadere generali. L’individuo — e i singoli gruppi, correnti ed imprese — si trovano in uno spazio molto meno determinato e differenziato in cui muoversi e vivere. Qui non esiste, nel senso europeo, né uno stato, né una storia né una determinata articolazione della so¬ cietà in classi, interessi o idee vigenti. Le « possibi¬ lità illimitate » constestualizzano una realtà casuale nel passato, nel presente e nel futuro. Una astratta infinitezza e libertà esistono per tutti e per nessu¬ no. E’ difficile, tutt’oggi, evitare le categorie della « nuova frontiera » per descrivere la struttura del tutto singolare di questo spazio americano. O meglio, « foresta vergine » e « steppa » erano entità più de¬ terminate e meno impenetrabili alla teoria e alla pras¬ si dello sviluppo degli odierni stati e agglomerati ur¬ bani americani, di tutto questo mondo « botanico » in cui crescono gli uni accanto agli altri — diversi ma indistinguibili — fili d’erba, fiori ed alberi, o di questa massa statistica di mondi molecolari, in cui si stratifica con rigorosa coordinazione e ripetizione, un numero infinito di elementi uguali, che vanno a costituire e ad attivare, in modi tipicamente uguali, formazioni tipicamente uguali. Non meno diversa dal suo equivalente europeo è la scienza americana. Non intendo la fisica che, come la tecnica, è cosmopolita e internazionale e si diffe¬ renzia solo dal punto di vista quantitativo. Voglio dire l’intera scienza dell’« uomo » o, per usare un termine americano, la scienza del « behavior » (so¬ ciology, psychology, education, marriage, « economics and business; social work, advertising, political scien¬ ce, mental hygiene, public relations, ecc. ecc.). Se in Europa teoria « positiva » e « critica » si
192 KARL KORSCH contrappongono Tuna all’altra essendo la prima sta¬ tica e la seconda dinamica, la prima dotata di una tecnica razionale per la soluzione dei problemi cor¬ renti, e la seconda attenta a scoprire l’irrazionalità di queste tecnica di fronte ai problemi reali, qui ne¬ gli USA questa oppisizione non ha alcun senso. Pro¬ gressiva trasformazione dei fatti studiati, scoperta di nuovi campi e di nuovi metodi, immediato assorbi¬ mento di ogni controtendenza, neutralizzazione di ogni anormalità e illegalità, istituzionalizzazione de¬ gli affari, della politica, della corruzione, della vio¬ lenza, della criminalità: tutto ciò è qui un così ovvio presupposto ohe con la comparsa del « nuovo » nella scienza non significa né conflitto né tensione, bensì normale routine — laddove dal punto di vista fun¬ zionale non conta molto che il nuovo sia veramente nuovo, in quanto nell’incessante passaggio del noto all’« ignoto », anche la vecchissima quotidianità vie¬ ne sempre riscoperta come qualcosa di nuovo. Si po¬ trebbe dire che in questa scienza americana il muta¬ mento è altrettanto « positivo » quanto in Europa l’immutabilità e che proprio per questo i salti evolu¬ tivi, in sé dinamici, del meccanismo esistente sono garantiti da ogni critica radicale in una misura del tutto sconosciuta all’Europa degli ultimi secoli. In questo moto continuo, soltanto in superficie vorti¬ coso, non c’è nessun pericoloso ingorgo critico, nes¬ sun conflitto che non venga neutralizzato, e nessuna idea che non venga subito ideologizzata ed incorpo¬ rata nell’ideologia dominante come gradita novità. Nessuno si aspetta che Vapproach di oggi conduca a qualcosa di diverso da un altro approach per domani, e come al tocco di Mida tutto si trasformava in oro, qui il rinnovamento costante di ogni giorno si tra¬ sforma immediatamente in ovvia componente della opinione pubblica. Con tutto ciò sotto l’apparenza dell’apparenza si cela un reale progresso. Lo svilup¬ po della teoria tiene il passo con lo sviluppo della
A BRECHT E A PARTOS 193 società. Il progresso reale ed apparente della società fornisce alla scienza in continuo avanzamento un ma¬ teriale inesauribile e, contemporaneamente, al suo prodotto un mercato sempre recettivo. Là dove, tut¬ tavia, l’offerta supera la domanda del momento, vie¬ ne in soccorso (come nel campo della produzione materiale al tempo della « prosperity overlasting », e, in questo più elastico medium, temporaneamente senza alcun serio sconvolgimento) la produzione an¬ ticipata per il consumo futuro. Una scienza co-istitu¬ zionalizzata dal grande capitale istituzionalizzato pro¬ duce per una nuova forma di domanda sociale pro¬ dotta dagli stessi canali. Il capitalismo monopolistico riproduce qui, in questa sua non più ingenua prima¬ vera, la stessa felice costellazione die aveva un tempo caratterizzato la prima fase del capitalismo concorren¬ ziale; « fioriscono le scienze, prosperano le arti, è una gioia vivere ». Seattle, Washington 30-7-1939. Karl Korscb nel frattempo siamo arrivati al 29-7 Caro Paul! La lettera è un po’ cresciuta su se stessa: il pen¬ siero di un pubblico più vasto vi ha fatto scivolare dentro un po’ troppa lirica e un certo mal control¬ lato sentimentalismo. Per questo non voglio oggi scri¬ vere più tutto quello che intendevo scriverti sulla mia attuale posizione scientifica e sui tuoi problemi. Lo farò la prossima volta. Oggi mi limito pertanto ad allegarti la scaletta della conferenza che terrò per
194 KARL KORSCH Kurt Lewin (che non ci sarà) e me al Congresso dei logici a Harvard, all’inizio di settembre l. So che non sarai particolarmente d’accordo con il suo contenuto, ma mi sono dovuto limitare (data la ristrettezza dei tempi) a rielaborare in un giorno di intenso lavoro assieme a Lewin, l’abbozzo steso dal solo Kurt e già spedito per la stampa nei preprints che vengono presentati al congresso, e in modo tale, naturalmente da non « tradire » la posizione general¬ mente « filosofica » e scientifica di Lewin. In verità non credo a tutto il discorso, portato avanti da Bridg¬ man1 2 sui cosiddetti constructs cui non dovrebbe cor¬ rispondere alcuna esperienza immediata. Si tratta qui, in generale, soltanto della differenza tra « formazio¬ ne pre-scientifica e scientifica di concetti » (questo termine è altrettanto poco simpatico soltanto perché è stato elaborato dai Kantiani tedeschi, Rickert ecc.) e specialmente nel caso dei consrtucts dinamici per il fatto che questo particolare gruppo di concetti o terms si riferisce non ai fatti cosiddetti isolati (For¬ men), bensì ad intieri gruppi e alle leggi dinamiche che sussistono fra loro. [...] In secondo luogo, trovo che in questa conferenza non emerge chiaramente l’altro e (nella misura in cui è qui possibile usare un comparativo) più impor¬ tante lato della psicologia lewiniana, il suo carattere rigorosamente sperimentale nel senso della fisica. A partire dal punto III (infra, p. 2) l’introduzione dei constructs avrebbe dovuto precedere di pari passo con l’esposizione del loro significato per il lavoro speri¬ mentale. In ultimo luogo, ma ciò concerne più i due libri lewiniani che non questa breve trattazione, sono poco d’accordo con la maniera lewiniana di usare le 1 K. Lewin, K. Korsch, Mathematical Consrtuct in Psy¬ chology and Sociology, in «Journal on Unified Science», •voi. 9, Cambridge Mass. 1939. 2 Probabilmente si tratta di P.W, Bridgmam, The In¬ telligent Individual and Society, New York 1938.
A BRECHT E A PARTOS 195 formule matematiche (ad esempio l’uso di segni di addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, ecc.) nell’ambito dell’espressione di una funzione altrimen¬ ti ignota, ad esempio: F(/t(S') — t(S") / Ti-/t(S')-t(S") / Ti" fi = Ti" —Ti' invece di porre semplicemente fi = F/t(S'), t(S"), Ti', Ti", in una formula discus¬ sa proprio adesso fra noi sulla « fluidità » psicolo¬ gica, misurata sulla velocità di riequilibrio della ten¬ sione tra ambiti limitrofi alPintemo di una persona. Non dubito che su questo punto concorderai perfet¬ tamente con me, se riesci a capire qualcosa da questi miei rapidi accenni. Nonostante tutte queste obie¬ zioni tengo il metodo di lavoro lewiniano, dacché ne conosco meglio le basi sperimentali, l’effetto pedago¬ gico negli allievi e collaboratori ecc. in un conto an¬ cora maggiore di prima, e, a dispetto dei molti aspet¬ ti insoddisfacenti degli esperimenti tentati degli al¬ lievi di Lewin nel campo veramente sociologico (e non puramente socialpsicologico!), credo che con me¬ todi analoghi si potrà lavorare in modo eccellente nella sociologia, se si comincia seriamente a farlo. [...] Forse darò una spinta in questa direzione con un libro su social forces and social movementes [...], in cui, dovrebbero, fra l’altro, vedere finalmente l’in¬ chiostro dello stampatore anche i miei studi su ri¬ voluzione e controrivoluzione. Prima di questa ope¬ ra, il cui completamento richiederà ancora molto tem¬ po, vorrei scrivere eventualmente, per motivi esterni, il Textbook sulle social theories (di cui si avverte molto la mancanza). In questo modo potrei non solo diventare noto ed influente, ma anche ottenere un
196 KARL KORSCH Job accademico. I testi esistenti di Beach, Sorokin, Hankins, Barnes, ecc., sono straordinariamente in¬ sufficienti, perfino come testi scolastici, e non mi sembra troppo difficile produrre una cosa del genere; credo che basterà sfogliare tutti i libri sull’argomen¬ to, aggiungendoci i propri pensieri e trucchi pedago¬ gici, ed utilizzando forse alcuni dei libri migliori apparsi in Europa. Che ne pensi? Peccato che tu non sia qui ad aiutarmi. Nei due grossi volumi dell’assai fecondo Barnes3, che per i tempi antichi di Ibn Chaldun ecc. non è neppure privo di valore, non si fa neanche il nome, ad esempio, di un Sorel! Oggi come oggi una cosa del genere non mi sarebbe im¬ possibile, anche perché comincio finalmente a padro¬ neggiare sul serio questo benedetto inglese che co¬ nosco non solo teoricamente da più di 25 anni ma anche, dopo il soggiorno a Londra, praticamente. A questo proposito mi ha giovato molto la traduzio¬ ne del libro su Marx ma non ho ancora avuto modo di mettere a frutto il buon effetto da essa prodotto. Il mio inglese risulta così paurosamente inglese da non esserlo più affatto — e tanto meno americano! D’altro canto, mi è forse di impedimento presso gli editori competenti in materia — Mac Graw Hill ecc. — il fatto che sono conosciuto come marxista e che ho un job accademico; ma questo ostacolo potrebbe essere forse superato con l’aiuto di amici ecc. Ho dunque veramente scritto delle cose più esteriori e non voglio cominciare un foglio nuovo, benché la nave parta probabilmente non prima del prossimo mercoledì. Ma, come tu stesso vedi, sono sul punto di diventare un vero sociologo americano, e una cer¬ ta ambivalenza dei sentimenti è qui una cosa stret¬ tamente privata... Stanimi bene, saluta Käthe cordialmente, anche 3 H.E. Barnes, H. Becker, Social thought from Lore to Science, Boston 1938.
A BRECHT E A PARTOS 197 da parte di Hanna. Forse nel frattempo avrò altre tue notizie, ma aspetto in ogni caso una tua pronta risposta a questa lettera a Boston. E salutami molto cordialmente anche Use, erano proprio bei tempi quando a Parigi lavoravano giorno e notte insieme nel suo appartamento e ci sedevamo assieme, al mat¬ tino, al tavolo della prima colazione! Il tuo K.K. A Brecht Seattle 31-7-1939. Caro Bert Brecht, Le scrivo di nuovo in tutta fretta e molto bre¬ vemente, semplicemente per rompere il silenzio. Do¬ podomani ritorno sulla costa orientale (allo stesso indirizzo di Boston Mass 337 Charles Str.) e chissà quando avrò tempo di tornare a scriverle. Voglio e devo innanzitutto manifestarle il mio entusiasmo per il Galilei, speditomi qui da Hedda; l’ho già letto due volte ma lo leggerò un’altra volta prima di scri¬ vere qualcosa in proposito. Trovo il testo forte e buono — forse un po’ greve di pensieri per provocare come « giuoco » sul palcoscenico del resto inesistente, le impressioni, i sentimenti, le emozioni, e la « catarsi », da Lei per altro non desiderati. Ma, detto tra noi, nella terribile tragicità della fine emerge tuttavia in me, (o si im¬ merge, non so) una sorta di catarsi. Costruire una figura così colossale soltanto sullo spirito è una bella prestazione da parte del materialismo storico... Ho letto, rispendendolo subito — come richiesto¬ mi — ad Eisler (attraverso Auerbach che mi era venuto a trovare a Boston) « Il signor Giulio Cesare »
198 KARL KORSCH speditomi da Herbert, e aspetto con ansia la « con¬ tinuazione ». Da parte mia avrei molto da raccontare. Qual¬ cosa potrà ricavare: 1) dall’allegato frammento di una lettera a Paul Partos *, l’ultimo cavaliere dell’or¬ mai conclusa prima epoca rivoluzionaria del movi¬ mento operaio europeo fortunatamente rimpatriato alYultima ora — da Valencia (indirizzo attuale: 75 Healthcroft Hampstend London N.V. II). E’ un pezzo che ho scritto proprio pensando a lei, a Kurt Lewin, a Hedda, e a Herbert Levy, si tratta natural¬ mente solo di un primo abbozzo e la cosa più im¬ portante viene accennata solo alla fine! 2) Dall’estratto (che le allego) di un paper scrit¬ to per una conferenza che terrò per me e Kurt Lewin all’imminente Congresso di logici alla locale Cam¬ bridge. [...] A ciò aggiungo per adesso soltanto che sono in effetti in procinto di riqualificarmi, passando dal « marxismo » alla sociologia, ovvero alla « Logic of Social Science ». Ho in programma due libri: 1) Social Forces and Social Movements dovrebbe suddividersi in una prima parte molto astratta e in una parte quasi ideografica: applicazione a rivoluzio¬ ne e controrivoluzione. Tempo di lavoro: circa due anni (almeno); 2) Social Theory deve essere un libro di testo per uso accademico e procurarmi eventualmente un job. Tempo di lavoro: circa un anno (al massimo!) Sento dire talora che Brecht (o i Brecht) ha in¬ tenzione di emigrare negli USA, e già gioioso al pen¬ siero! Che c’è di vero in queste voci? E quando pensate di venire? La scarsa sicurezza della situazio¬ ne in Danimarca mi preoccupa sempre di più, benché 11 Korsch allude qui al frammento Sulla scienza ameri¬ cana allegato alla lettera a Partos della fine di luglio 1939.
A BRECHT E A PARTOS 199 non abbia mai pensato alla possibilità di un imme¬ diato scoppio della guerra in Europa. Ma si sa bene quanto grande sia il mistero che circonda Pinizio di una guerra moderna. E’ tuttavia chiaro che già al¬ cuni giorni prima della dichiarazione di guerra {if any) i soldati e i poliziotti tedeschi invaderanno tutta la Danimarca con tutte le conseguenze del caso. In mancanza di altro mi farebbe molto piacere sapere dove Lei e gli altri (Helli, Steff, Barbara che non è forse più così piccola...?) siete adesso e sarete nelPimmediato futuro! Hedda si trova in questo momento in un campo di addestramento per immigrati quaccheri non lonta¬ no da New York, in parte per lavoro in parte per riposarsi. Alla fine della settimana ci incontreremo a Boston e le ferie durano fino a metà settembre. Hedda ha una bella Ford che guida con molta disin¬ voltura. Anch’io ho usato spesso nelle ultime setti¬ mane la ancora più elegante e « giovanile » Chevro¬ let di Hanna; fra le altre cose abbiamo fatto alter¬ nandoci alla guida, mille miglia che portano lungo il Pacifico a San Francisco dove ha visitato Kurt Lewin, professore-ospite per Pestate all’università di Berkeley, nel frattempo ormai famoso negli USA ed anche veramente molto bravo ed attivo. Con Lewin ho un programma di lavoro comune anche se io do¬ vrò fare, credi, il lavoro più oscuro, avendo io in¬ contrato maggiori difficoltà, rispetto a Lewin, ad emergere nel campo accademico. Il mese prossimo esce la Master-Thesis di Sy- billa nella collana di scritti del maestro e dei suoi allievi diretta da Lewin. Barbara lavora durante le ferie, con alterna for¬ tuna, come cameriera in un luogo di villeggiatura chiamato « The Balsams » nella White Mountains nel New Hampshire. Forse ce la riportiamo a Boston per il resto delle ferie. E’ per il resto una brillante studentessa del biennio di medicina. Il mio libro ha
200 KARL KORSCH avuto un certo numero di recensioni in Inghilterra (gliene allego una, quella non pessima di Borkenau), mentre negliUSA, nonostante i miei modesti ma in¬ tensi sforzi personali, non è apparsa niente a causa del boicottaggio del CP; a parte tre recensioni di ultra-sinistra: 1) di Sidney Hook (nel repubblicano « New York Herald Tribune »); 2) di Paul Mat- tick (in « Living Marxism »); 3) di Arthur Rosen¬ berg (in « Modem Quarterly »). Uno è molto, — ma Laski, Klaus Mann ed altri, che volevano recensire il mio libro per « New Re¬ public » ecc., mi. hanno raccontato di essere stati im¬ pediti dalle rispettive redazioni, che hanno frapposto ogni sorta di ostacolo. Oltreacciò la casa editrice ame¬ ricana Wiley & Sons — un editore peraltro molto buono — non ha purtroppo alcun interesse a questo libro, e poiché ne ha ricevute solo 100 copie dall’edi¬ tore londinese, ha spedito solo 10 (letteralmente: 10) esemplari per recensione per gli USA! Adesso sono costretto a salutarla, altrimenti que¬ sta lettera non parte più dopodomani con il « Nor¬ mandie ». Il suo vecchio e, nonostante le apparenze, fedele K.K. Mi saluti tutti, tutti, oltre ad Helli (naturalmen¬ te!), Steff, Barbara e particolarmente anche Karin, Mary e gli eventuali ospiti estivi, incalliti giocatori di scacchi e bevitori di caffè; anche il gatto Korsch! Versione tedesca a cura di Michael Buckmiller e Goetz Lankau in «Jahrbuch Arbeiterbewegung » band 2, diretto da Claudio Pozzoli.
Riviste tedesche ALTERNATIVE [Alternativa] Alternative è la rivista che più ha contribuito all’apertura in Ger¬ mania della discussione su tematiche e filoni del marxismo fran¬ cese ed italiano fino a pochissimo tempo fa estranei al dibattito teorico tedesco. In modo particolare è ad Alternative che si deve la riproposizione ad un pubblico più vasto rispetto a quello rag¬ giunto, ad esempio, da un volume come Storia e struttura di Alfred Schmidt, della riflessione su Althusser — che, come vedremo, giuoca un ruolo importante anche nel progetto di nuovo approccio alla teoria marxiana proposto da Gesellschaft — e poi su Della Volpe. Il n. 97 di Alternative (17 Jg., August 1974) contiene ad esempio i seguenti articoli: Louis Althusser, Ideologia/Letteratura!Scienza (titolo generale del fascicolo). l. Althusser, Bertolazzi e Brecht. Osservazioni sul teatro mate¬ rialistico. k.m. bogdal, Arte/Ideologia,/Conoscenza. Sulle determinazioni di Althusser su arte e letteratura. p. SCHÖTTLER, Filosofia/Politica/Scienza. Osservazioni sulla trasfor¬ mazione della problematica teorica in L. Althusser. o. kallscheuer, ' Anti-hegelismo ' in seno al movimento operaio Ipotesi sulla scuola di Althusser e Della Volpe. DAS ARGUMENT [L'argomento] Questa « rivista per la filosofia e le scienze sociali » (così il sotto¬ titolo), edita da Wolfgang Fritz Haug, si colloca, come segnala la composizione del comitato dei collaboratori permanenti, tra i quali troviamo oltre a Wolfgang Abendroth altri significativi espo¬ nenti della (dekapista) « scuola di Marburg » come Frank Deppe, Hans Dieter Boris, Kurt Steinhaus e K.H. Tjaden, nell’area della sinistra tedesca più vicina — anche se in forma non settaria — alla DKP. Orientata a coprire uno spazio teorico che potremmo definire di « critica dell’ideologia », Das Argument ha dato vita, nel corso del 1973/4 ad una discussione — la Widerspiegelungs- Diskussion [Discussione sul rispecchiamento] protrattasi per tre fascicoli doppi il cui tema, la teoria del rispecchiamento come
202 RIVISTE presupposto gnoseologico e problematico del dibattito sulla dia¬ lettica materialistica, mette bene in luce l’indirizzo di ricerca divenuto recentemente dominante in seno alla rivista. Sollevato nel n. 81 dai saggi di W.F. Haug, Qual è il compito di una gnoseologia marxista?, di A. Leist, Rispecchiamento della realtà - realtà del rispecchiamento?, Friedrich Tomberg, Sul senso pratico del teorema del rispecchiamento, il dibattito sul « rispecchiamen¬ to » ha visto prima due interventi (n. 85), Semantica, ' rispecchia¬ mento ’ e gnoseologia marxista, di R. Zimmermann, e Con Marx e il linguaggio contro il materialismo? Replica a Leist e Zimmer¬ mann di J. Meyer-Ingwersen, orientati a privilegiare al suo in¬ terno la questione del ruolo del linguaggio per la conoscenza, e poi le prese di posizione (n. 87) di H.J. Sandkühler e R. Roter- mundt, anch’essi critici anche se da un opposto punto di vista, nei confronti del citato articolo di Haug in Argument 81. L’intento che presiede all’apertura del dibattito sulle Streitfragen materia¬ lisier Dialektik, è illustrato nell’editoriale che, nel numero 81 (Heft 7/8, Oktober 1973), si propone di fare il punto sulla svolta coscientemente affrontata dalla rivista giunta alla sua XV annata. « Per la prima volta dalla fine della guerra — si legge nell’edi¬ toriale — si assiste alla crescita, tra gli intellettuali della Germania Occidentale, di una nuova leva scientifica che, pur essendo affetta dal peccato originale dello scissionismo, ha una forma non super¬ ficiale di dimestichezza col metodo ed una serie di lavori fonda- mentali del marxismo. Questo sviluppo si riflette in maniera cre¬ scente nei manoscritti che arrivano alla redazione di Argument. Soprattutto la relativamente ampia recezione del Capitale dì Marx — non più limitata ai cultori delle materie immediatamente socio¬ logiche — comincia evidentemente a dare i suoi frutti. Nel¬ l’appropriazione e nella riflessione specifica sull’opera principale di Marx hanno inoltre trovato un piano comune d’intesa orga¬ nizzazioni e gruppi studenteschi di una sinistra altrimenti assai frazionata, ed alla redazione della rivista appare oltremodo im¬ portante — detto incidentalmente — rafforzare e per cosi dire completare questa unità in fieri di una concettualità e razionalità scientifica socialista quale procede dall’opera principale di Marx... Grazie all’accumulazione di sostanza scientifica, questo tentativo a livello di una rivista teorica ha acquisito maggiori probabilità di successo... Sul piano della prassi redazionale però, la ‘ facili¬ tazione ’ si è rivelata, almeno nell’immediato, una ‘ complicazione ’ che ha reso sempre più difficile fare i ‘ tipici quaderni tematici di Argument ’ nella forma usuale. E questo per due motivi: 1) l’aumento impetuoso, a partire dal ’69/’71 sia dei lettori che dei collaboratori; 2) l’approfondimento qualitativo e quantitativo di campi e problematiche all’interno dei quali dieci anni fa era ancora relativamente facile prestare un lavoro pioneristico. Quando Argument mosse i primi passi nel ‘ Nuovo Cohtinente ’ con temi e problematiche come Sessualità e dominio, Mezzi di comunica¬ zione di massa e manipolazione, Scuola ed educazione, e Teorie del fascismo, era sufficiente aggredire con alcuni contributi la problematica, nel senso di una teoria critica dinamicamente pronta a divenire concretamente politica... Solo così fu possibile dare impulso, specialmente negli ultimi 5 anni, ad un vasto movi¬ mento di critica della scienza borghese... ». Contro le accuse, provenienti anche dal ‘ campo anti-revisionista ’ della sinistra te-
GERMANIA OCC. 203 desca, di « stretta • osservanza tedesco-orientale », la redazione prende quindi ancora una volta posizione, rifiutando l’appellativo di « sinistra ortodossa » derivantele dalla sua vicinanza agli am¬ bienti della DKP, e ribadendo che proprio al rifiuto di percorrere « vecchie strade » secondo una « linea presumibilmente già pronta e data » va ricondotta anche la meditazione della sua passata concezione tecnico-teorica di intervento che prende avvio con le Controversie della dialettica materialistica. Assai illuminanti del¬ l’impostazione complessiva della redazione sono le motivazioni addotte per la scelta di un siffatto argomento che, si afferma, ha il merito di mettere immediatamente a fuoco le conseguenze poli¬ tiche dei diversi schieramenti sul fronte dell’interpretazione di aspetti non solo gnoseologicamente rilevanti della teoria marxiana e marxista. « Chi ritenga — si dice sempre nell’editoriale — che nel caso delle ‘ controversie della dialettica materialistica ’ si tratti di cose ultraspecialistiche che andrebbero lasciate ai ‘ filo¬ sofi di professione ’, si sbaglia di grosso. Dietro al rifiuto pla¬ teale, come ‘ filosofia ’, del lavoro specificamente teorico, si cela spesso la semplice volontà di continuare a fare tranquillamente uso, senza alcun ripensamento, della filosofia elaborata per comodità a proprio esclusivo uso e consumo. Ciò che viene chiamato in causa sotto il concetto di dialettica materialistica, riguarda le basi e lo strumentario concettuale di ogni lavoro scientifico e, contem¬ poraneamente, i problemi fondamentali di un’epoca quali si espri¬ mono nella regione delle astrazioni ideali. Ciò che con questo quaderno prende inizio come Discussione sul rispecchiamento verrà portato oltre la definizione ristretta dell’oggetto, con l’appoggio ed il contributo diretto della redazione. In modo particolare dovrà essere affrontato il rapporto di società e natura, e specialmente il rapporto di scienza della società e scienza della natura. D’altro canto Sarà necessario analizzare più di quanto non sia stato fatto in passato i campi di forza e le funzionalizzazioni che a partire dalla lotta di classe ideologica determinano tacitamente tali di¬ scussioni ‘ astratte ’, conferendo loro in modo incontrollato l’accentuazione specifica. ' Dialettica della natura ’ e ' lotta di classe ideologica ’ definiscono i poli tra i quali dovrà muoversi la delucidazione delle ‘ controversie della dialettica materialistica ’ ». ASPEKTE DER MARXSCHEN THEORIE 1 Zur metodischen Bedeutung des 3. Bandes des « Kapital ». Herausgegeben von Friedrich Eberle. es 632. DM10. - Suhrkamp. Beiträge von Böhm-Bawerk, R. Hilferding, Grossmann Peter Dobias, Ronald L. Meek, Alfredo Medio, Geoffrey Pilling. P. Mattick, Friedrich Eberle. ÄSTHETIK UND KOMMUNIKATION [Estetica e comunicazione] Ästhetik u. Kommunikation è sorta per iniziativa dell’Institut für Ästhetik und Kommunikation costituito, intorno al ’69, da un gruppo di allievi di Adorno che dell’insegnamento di quest’ul¬ timo aveva recepito soprattutto, a differenza del gruppo raccolto attorno a Gesellschaft, le istanze di critica dell’ideologia come cri¬ tica delle forme di cultura dominanti. L’attenzione costante al complesso intreccio di problemi attinenti alla « riproduzione » del capitale costituisce infatti il « filo rosso » dello sforzo com-
204 RIVISTE piuto dal collettivo redazionale (recentemente trasferitosi da Fran¬ coforte a Berlino) per dare agli interventi della rivista il carattere di contributi per una riproblematizzazione in senso dinamico ed antidogmatico del vecchio schema struttura/sovrastruttura, essere/ coscienza, rispecchiamento, ecc. Quale sia, ad esempio, l’intento della riproposizione, nel numero 21 (che comprende i seguenti interventi): o. popping a, Pionieri della frontiera. Sulla storia sovversiva di un paese della Frisia orientale. h. DiLLY, j. RYDiNG, Storiografia culturale prima e dopo la rivo¬ luzione borghese del 1848. c. kambas, Protosocialismo e prostituzione. Sul sospetto di una socializzazione immorale. b. brändli, Casa, cucina & socialismo. Il calendario tedesco-orien¬ tale per la donna del 1975. Note. f.e. schrader, La bella parvenza delle macchine. Appendice alla concezione di una ' ingenuità della macchina ’. d. hoffmann-axthelm , Appunti di discussione sull’uso marxista della storia culturale. G. Goebel, Introduzione alla letteratura della moda agli inizi del¬ l’epoca borghese. G. Goebel, Il ' sistema della moda ’ di R. Barthes. e. CÖRLIN, m. keiten, Esperienze durante la programmazione, rea¬ lizzazione ed elaborazione successiva dell’insegnamento sul tema moda/comportamento. E. karrenberg, Illusioni dell'obbiettivo di insegnamento sul com¬ portamento giovanile nei confronti della moda. h. joas, W.M. JOHNSTON, Storia della cultura e dello spirito austriaco. r. Paris, Il Soggetto come fattore), di un tema come Marxismus und Kulturgeschichte, viene espresso chiaramente nell’editoriale. Qui si afferma, infatti, che il « problema politico della tematica della storia culturale è contemporaneamente anche un problema di metodo scientifico. L’incapacità ad esempio di Rühle (ma questo vale per molti altri, in particolare per tutta la discus¬ sione in seno alla nuova sinistra che fa riferimento zW Origine della famiglia... di Engels, ecc.) di recepire — per non dire di utilizzare trasformandoli in senso rivoluzionario — gli stru¬ menti e i risultati dell’analisi borghese della storia della cul¬ tura —, questa incapacità nasce da un’idea ingenua e superficiale della storia, nella quale il dettaglio ha solo un valore illustra¬ tivo, senza che però si confidi nel fatto che la concrezione storica e solo essa sia il luogo di sedimentazione del mutamento storico e, quindi, la preistoria della propria situazione, vale a dire di ciò che è oggi la realtà del rovesciamento dei rapporti. Qui non si tratta tanto di accento o di interesse, quanto piuttosto di vedere, sia che si critichi Rühle, Fuchs ecc. o si faccia personalmente storia della cultura, se si è in grado di capire metodicamente la concrezione. Cosa ciò significhi emerge con più chiarezza laddove questa comprensione manca. La storia della cultura ha una sottosezione:
GERMANIA OCC. 205 la cultura della classe operaia che ha i suoi specialisti ed abbozzi di elaborazione. Ma come si perviene propriamente dalla storia della cultura borghese a quella della cultura proletaria?... Chi scrive sulla storia della cultura borghese descrive — per la pro¬ pria legittimazione politica — la sua marcia verso la decadenza. Chi scrive sulla cultura della classe operaia si sente probabilmente sufficientemente legittimato confrontandosi con la tesi delle due culture. E’ questo un modo di prendere sul serio la transizione rivoluzionaria dall’una all’altra?... Il rinnovamento del concetto di storia culturale — e noi non ci proponiamo niente di meno — è possibile solo se la critica della storia della cultura borghese viene portata avanti fino al punto in cui può essere discussa e legittimata al suo interno la questione della cultura proletaria ». AUTONOMIE - Materialen gegen die Fabrikgesellschaft [Autonomia. Materiali contro la società-fabbrica]. Il sommario del numero 1, ottobre 75 comprende: Kritik der Marxorthodoxie; Taylor in Russland; Facing reality: Für eine Politik in erster Person; Reisenotizen aus Portugal und Afrika; Rezension: Mario Tronti, Arbeiter und Kapital. E’ un trimestrale di militanti dell’autonomia con i quali è impegnato anche Daniel Cohn-Bendit. Il numero 3, aprile 76, è dedicato all’« ideologia rivoluzionaria delle regioni » (Sardegna, Corsica, Bretagna, Paesi Baschi, Irlanda, ecc.) che, mo¬ dificata dalle lotte operaie, si presenta ora — generalmente — con caratteristiche di lotta di classe. Al progetto di questa rivista ha dato un sostanziale contributo Karl Heinz Roth (il suo saggio L’altro movimento operato. Storia della repressione capitalistica in Germania dal 1880 a oggi, è stato recentemente pubblicato da Feltrinelli). Roth si trova in carcere dal 9 maggio 1975, in condizioni di salute gravissime, in seguito ad una provocazione poliziesca. E’ necessario battersi per la vita di Roth, contro l’annientamento fisico perseguito dai suoi carcerieri. Sottoscri¬ zioni per il Comitato di difesa e solidarietà: Spendekonto Roth, Hamburger Sparkasse, Nr. 1238/495590. Per scrivere a Karl Heinz Roth indirizzare a: Amtsgericht Köln, Abt. 205, Appell¬ hofplatz 1, Gs. 1251/76, 5 Köln 1. Il «caso Roth» è tra i più gravi dell’attuale fase repressiva che ha colpito, nella Repubblica Federale Tedesca, numerosi militanti e intellettuali. CIRKULAR Marxistische Gruppe / Theoriefraktion Politladen Er¬ langen, 852 Erlangen, Postfach 2849. ERZIEHUNG UND KLASSENKAMPFS Verlag Rote Stern, Frank¬ furt. EXPRESS Verlag 2000 GmbH, 605 Offenbach 4, Postfach 591 Zeit¬ ung für sozialistische Betriebs und Gewerkschaftsarbeit. GESELLSCHAFT [Società] Dal punto di vista editoriale, più che come una rivista, Gesell¬ schaft si presenta come una collana di volumetti curata per la Edition Suhrkamp di Francoforte sul Meno da un comitato reda¬ zionale formato da H.-G. Backhaus, H.-D. Bahr, G. Brandt, F. Eberle, W. Euchner, Chr. Helberger, E. Hennig, J. Hirsch, E.Th. Mohl, W. Müller, O. Negt, H. Reichelt, G. Schäfer e A. Schmidt.
206 RIVISTE Come suggeriscono i nomi dei responsabili della redazione, in parte già noti al pubblico italiano come legati, anche se in modo talora molto critico, alla vicenda teorica della « Scuola di Franco- forte » — basti pensare ad Alfred Schmidt, a Helmut Reichelt o a Oskar Negt — questa serie di « contributi per la teoria mar¬ xiana » (così il sottotitolo) rappresenta il tentativo di fornire una collocazione organica aigli sforzi compiuti da un gruppo di giovani teorici marxisti « francofortesi » per ricondurre sul ter¬ reno della critica dell’economia politica gli implicati più fecondi dell’analisi del rapporto Marx-Hegel sviluppato dalla « teoria critica » in un ambito più segnatamente filosofico. Nel primo volume della serie di Gesellschaft. Beiträge zur Manschen Theo¬ rie 1, [Società. Contributi per la teoria marxiana.] Frankfurt am Main 1974, sono comparsi i seguenti articoli: Helmut Reichelt, Note sul saggio di Sybille von Flatows e Freerk Huiskens « Sul Problema della deduzione dello Stato borghese »; Claudia von Braunmühl, Accumulazione capitalistica nel contesto del mercato mondiale. Per un approccio metodico ad una analisi dello Stato nazionale borghese-, Hans-Georg Backhaus, Materiali per la rico¬ struzione della teoria marxiana del valore-, Joachim Hirsch, Per l’analisi del sistema politico-, Friedrich Eberle, Per un confronto della teoria marxiana con gli approcci borghesi-, Cristina Penna- vaja, La recezione dell’opera di P. Sraffa in Germania. Per una problematizzazione dell’approccio neoricardiano; Winfried Schwarz, Il ‘ capitale in generale ’ e la ' concorrenza ’ nell’opera economica di K. Marx. Sulla scorretta interpretazione di Rosdolsky dell’ar¬ ticolazione del ‘ Capitale ’. Com’è detto nell’editoriale, l’intento principale di questo « forum per la discussione di lavori teorico-metodologici ed empirico-ma¬ teriali sulla teoria marxiana » è quello di dare forma sistematica al processo, solo frammentariamente avviato, di riflessione sulla scissione esistente tra le ricerche orientate alla ricostruzione cate- goriale-astratta del metodo di esposizione e del metodo materia¬ listico di Marx da un lato e le analisi, prevalentemente empiriche, più esplicitamente riferite alla critica dell’economia politica, dall’altro. Al legame, espressamente evocato da una citazione di Grossmann, con la tradizione teorica degli anni ’20 e ’30, tragicamente spez¬ zata dal nazismo, di cui non a caso si recupera il piano del di¬ battito sulle categorie della marxiana critica dell’economia poli¬ tica lasciato in ombra o, meglio, cristallizzato dalla « teoria cri¬ tica », si accompagna la recezione critica, quantomeno dell’istanza presente nella althusseriana « lettura sintomale », come corretta segnalazione dell’esistenza nell’opera marxiana di problemi a tut- t’oggi irrisolti. « Da ricostruire — si afferma — sono dunque le problematiche che Marx ha definito nel rapporto tra modo di ricerca e modo di esposizione e che condussero ad una forma di esposizione che — nella sua esplicazione delle leggi di movi¬ mento del modo di produzione capitalistico — si ritiene abbia validità finché esiste l’oggetto stesso esposto in questa forma. Ciò significa però che per fare questo non basta immergersi nel materiale storico, in quanto diventa di importanza primaria innan¬ zitutto interpretare il metodo marxiano alla luce dei problemi attuali. » Questa piattaforma teorica muove a sua volta da una precisa
GERMANIA OCC. 207 presa di posizione rilevante in senso più strettamente politico. All’esigenza di dare un avvio sistematico al superamento reale dello scarto esistente tra i lavori « astrattamente » metodologici e quelli « riduttivamente » empirici, corrisponde il rifiuto di ope¬ rare ogni sorta di escamotage nei confronti dell’aporia, definita « inevitabile », tra problemi teorici e necessità pratico-politiche. Poiché laddove si neghi l’esistenza di questa aporia — e la più recente esperienza della sinistra tedesca sembra sufficientemente confermare questa affermazione — e, di conseguenza, la necessaria provvisorietà di ogni sforzo, sia teorico che politico, teoria e prassi cadono facilmente preda di assolutizzazioni dogmatiche, mentre è necessario « comprendere e promuovere la teoria come un processo di riflessione della prassi politica capace di guidare l’azione ». Lungi quindi dall’essere emanazione di una qualche definita organizzazione politica, Gesellschaft è portatrice della proposta di « aggregazione » teorica di un gruppo la cui unica forma di omo¬ geneità è costituita (per sua stessa ammissione) dal comune inte¬ resse per la « rimessa in movimento » delle categorie marxiane, « imbalsamate » dagli esponenti dello Institut für Sozialforschung nella adeterminata universalità del valore di scambio, alla luce delle istanze emancipatrici espresse anche a livello teorico, oltre che pratico, dalla Revolte studentesca. I contributi finora apparsi su Gesellschaft testimoniano della priorità accordata dagli animatori della rivista a temi legati alla problematica dell’intervento statuale e delle modificazioni appor¬ tate dalla nuova « forma » assunta dallo Stato contemporaneo allo stesso terreno teorico della critica dell’economia politica. Del numero 5 (Gesellschaft, Beiträge zur Marxschen Theorien 5. Critica della politica degli armamenti. Analisi storica ed attuale. Ricerca sociale empirica e marxismo, Frankfurt am Main, 1975) segna¬ liamo i seguenti contributi: m.g. smith, Politica della spesa pubblica e sviluppo dell’accumu¬ lazione nel settore degli armamenti nella RFT. E. HENNIG, Riarmo industriale e preparazione bellica nel fascismo tedesco (1933-39). Note sullo stato ‘della’ più recente discus¬ sione sul fascismo. KOSMAS PSYCHOPEDis, La possibilità della filosofia della società in Hegel. Ursula Müller, Sul possibile significato della ricerca sociale em¬ pirica per la teoria marxiana. hartmann-sünderer, Materiali per la sociologia del corpo degli iscritti e del corpo elettorale del KPD al tempo della Repubblica di Weimar. HANDBUCH Europäische Verlagsanstalt, Frankfurt/Köln. N. 1 Perspektiven des Kapitalismus, hg. von Volkhard Brandes. N. 2 Unterentwicklung, hg. von Bassam Tibi und Volkhard Brandes. N. 3 Inflation-Akkumulation-Krise, hg. von Elmar Altvater, Volk¬ hard Brandes, Jochen Reiche. (Questo terzo numero sta per uscire e conterrà il saggio di Paul Mattick sull’inflazione apparso su Marxiana 1.)
208 RIVISTE INFORMATION DISKUSSION KRITIK c/o Kramer Verlag, 1 Berlin 44, Postfach 106. INFORMATION DIENST zur Verbreitung unterbliebener Nach¬ richten 6 Frankfurt 1 Homburger Str. 36. INTERNATIONALE WISSENSCHAFTLICHE KORRESPONDENZ Zur Geschichte der deutschen Arbeiterbewegung Im Aufträge der Historischen Kommission zu Berlin herausgegeben von Henryk Skrzypczak. 1 Berlin 45, Tietzenweg 79. JAHRBUCH ARBEITERBEWEGUNG Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt. Herausgegeben von Claudio Pozzoli. I numeri di questi Annali del movimento operaio, teoria e storia, diretti da Claudio Pozzoli, sono per metà monografici (n. 1, Karl Korsch; n. 2, Teorie marxiste della rivoluzione; n 3, Sinistra nella Socialdemocrazia; n. 4, che uscirà tra qualche mese, Fascismo e capitalismo), e per l’altra metà forniscono indicazioni bibliogra¬ fiche, censimenti di materiali, notizie su archivi, biblioteche, isti¬ tuti, ecc. Lo Jahrbuch organizza regolarmente dei dibattiti legati ai temi dei numeri monografici e a problemi generali di storiografia, i cui resoconti vengono poi pubblicati. Non è solo uno strumento di studio con saggi e informazioni ma anche un luogo di dibattito nel tentativo di rinnovare la storiografia del movimento operaio in senso marxista, cioè cercando di superare la storiografia come storia di idee o di organizzazioni. La ricostruzione della teoria marxiana costituisce quindi un ele¬ mento centrale. La rivista cioè rifiuta la riduzione della storio¬ grafia del movimento operaio a storia tout court, nel senso che il rinnovamento del movimento di emancipazione della classe ope¬ raia passa anche attraverso un recupero critico della teoria rivo¬ luzionaria di Marx. II tentativo di rinnovamento della storiografia in Germania, a parte l’importante esempio di Karl Heinz Roth (si veda qui la rivista Autonomie che è una delle più avanzate nel panorama della sinistra tedesca), è stato condotto soprattutto dagli storici bor¬ ghesi i quali, sulla scia degli Annales francesi, hanno scoperto la « storia sociale » in contrapposizione alla storia delle idee e delle istituzioni, ed egemonizzano ora anche la storiografia del movi¬ mento operaio. Perciò lo Jahrbuch, prima di essere un tentativo importante ed organico di riscrivere la storia del movimento ope¬ raio e del marxismo, si può dire l’unico punto di riferimento della sinistra per riavviare il dibattito sulla storiografia. La scelta dei temi monografici tuttavia, nonostante questa necessità di rivol¬ gersi a tutta la sinistra, lo caratterizza in modo preciso e ne fa uno strumento tra i più significativi della sinistra tedesca di questi anni. Band 3 Die linke in der Sozialdemokratie Inhalt I. Sozialdemokratie vor 1914 (I) 1. Georges Haupt: Lenin, die Bolschewiki und die Zweite Inter¬ nationale (1905-1914).
GERMANIA OCC. 209 Anhang - Sozialdemokratische Arbeiterpartei Russlands: Bericht und Anträge des ZK der SD APR an das ISB (Dezember 1913). 2. Enzo Collotti: Karl Liebknecht und das Problem der soziali- Stichen Revolution in Deutschland. 3. Annette Jost: Gewerkschaften und Massenaktion. Rosa Luxem¬ burgs Kritik der deutschen Gewerkschaftsbewegung. II. Archiv - Sozialdemokratie vor 1914 (II) Hans Manfred Bock-. Anton Pannekoek in der Vorkriegs-Sozial- demokratie. Bericht und Dokumentation. III. Diskussion 1. Die Linke in der SPD nach 1945 Diskussionsbeiträge und schriftliche Stellungnahmen von Eberhard Schmidt, Jürgen Seifert, Karsten Voigt, Oskar Negt, Fritz Lamm, Michael Buckmiller, Volkhard Brandes und Dieter Höhne. 2. Geschichte und Sozialwissenschaften. Beispiel: Arbeiterbe¬ wegung. Diskussionsteilnehmer: Theo Pinkus, Georges Haupt, Elmar Alt¬ vater, Oskar Negt, Urs Jaeggi, Berthold Rothschild und Esther Modena-Burkhardt. IV. Aufsätze 1. Sven Papcke: Karl Kautsky und der historische Fatalismus. 2. Peter Kühne: Die Arbeiterkorrespondenten-Bewegung der Ro¬ ten Fahne (1924-1933). 3. Helmut Dahmer: Rückblick auf Wilhelm Reich. 4. Enzo Modugno: Arbeiterautonomie und Partei. Das Proletariat zwischen politischem Staat und bürgerlicher Gesellschaft. V. Bibliographie VI. Rezensionen VII. Hinweise. JAHRBUCH ZUM KLASSENKAMPF Herausgegeben von Harald Wieser Rotbuch Verlag, Berlin 31, Jena es tr. 9. KRITISCHE JUSTIZ Europäische Verlagsanstalt, Frankfurt. KURSBUCH [lett. « Orario ferroviario »] Kursbuch, la rivista sorta per iniziativa di Hans Magnus Enzen- sberger, ed attualmente (con un ritmo di pubblicazione di almeno 4 numeri all’anno, è ora giunta al quaderno 40) edita per il Rotbuch Verlag oltre che da Enzensberger, da Karl Markus Michel e Harald Wieser, è stata, com’è noto, per un certo arco di tempo la « bandiera » della APO (opposizione extra-parlamentare) te¬ desca, essendo rimasta, dopo l’estinzione di Neue Kritik (la ri¬ vista del SDS francofortese) l’unico « forum » di discussione teorico-politica dei settori « anti-autoritari » più autenticamente legati alla Revolte degli anni sessanta. Da queste radici politiche nasce, ad esempio, l’approccio — in qualche misura caratteristico della rivista — vigilato ma attento ad evitare ogni forma di ridut- tivismo, alla tematica della « soggettività », forse l’elemento più specifico ed originale della « riscoperta » operata dalla Revolte studentesca della dimensione potenzialmente eversiva del valore d’uso nella sua contrapposizione al valore di scambio. A questo tema sono infatti dedicati i due quaderni (nn. 35 e 37) sulle
210 RIVISTE Verkehrsformen [Forme di comunicazione] I e II di cui ripor¬ tiamo gli assai significati indici: Kursbuch 35: Verkhersformen I (che potremmo tradurre con Forme di comu¬ nicazione) La sinistra gli uomini e le donne - Sulla difficoltà della loro emancipazione. r. zur lippe, Il fattore oggettivo soggettività. Colloqui con operai della LIP. de BEAUVOiR/sARTRtf, Sul nostro rapporto. s. de beauvoir, Sulla lotta per la liberazione della donna. anna/laura/louise/mary/wera, La causa delle donne. p. Schneider, La faccenda della ' virilità T. Schulz, La lotta come esperienza interiore. pohrt/SCHWARZ, Rapporti da buttare. Kursbuch 37: Verkehrsformen II Emancipazione nel gruppo e i ' costi ’ della solidarietà. l. BiNGER, Arringa critica in difesa del gruppo. l. Steffen, Le mie difficoltà coi compagni. Protocollo di un colloquio con tre operai, di H. Reidemeister. A. jovic, Ero scisso da me stesso... AHRENS/brUNS/v. HEDEN STRÖM / HOFFMANN / V .d. MARWITZ, L’omO- sessualità in noi. RED collective, Rapporto su di un rapporto a tre. Un esperi¬ mento sessuologico. F. graf, Rapporto su di una ' comune \ K. laermann, Discorsi da osteria. L’istanza anti-autoritaria è di fatto il tratto più saliente dell’impo-' stazione tematica ma estremamente « aperta » dei quaderni di Kursbuch, la cui omogeneità al tema di volta in volta prescelto non toglie loro minimamente il carattere di intervento attivo e vigile nei confronti dell’attualità, come dimostrano anche soltanto i titoli degli ultimi numeri apparsi, tra cui segnaliamo: 21: Capitalismo nella RFT. 23: Transizioni al socialismo. 24: Scuola, istruzione, lezione. 25: Politicizzazione-, critica ed autocritica. 26: Lotte di classe in Italia. 27: Programmare, costruire, abitare. 28: La miseria della psiche - I: psichiatria. 29: La miseria della psiche - II: psicoanalisi. 30: Il socialismo come potere statale: un dilemma e 5 rapporti. 31: Potere statuale e riformismo. 32: Tortura nella RFT. Sulla situazione dei prigionieri politici.
GERMANIA OCC. 211 33: Ecologia e politica o il futuro della industrializzazione. 34: Bambini. 36: Denaro (contiene un saggio di Paul Mattick). 38: Lavoro salariato. 39: Provincia (con un importante intervento di Ernst Bloch sulla Ungleichzeitigkeit, la « non contemporaneità »). 40: Professione: lunga o breve marcia, con i seguenti interventi: trakl/dienstag, Prospettive professionali? Discorso e contro¬ discorso. kamp/merten, Istruzione elementare. a. Berger, Aggiustaossi o avvocato dei sofferenti? Rapporto dal¬ l’ambulatorio sociale prassi medica e lavoro politico in ospedale. Esperienze di un gruppo di medici ospedalieri berlinesi. u. wesel, Dell’influenza dei giuristi sulla società. K. eschen, Davanti alle sbarre. Esperienze di un avvocato di sinistra. R. bosshard, A chi Dio ha dato una carica... h.m. ENZENSBERGER, Carriere. m.a. MACCIOCCHI, Visita nella torre d’avorio. K. stiller, Professioni di sogno. w.-D. narr, Interrogatorio. Sul problema se io stia o meno sul teneno dell’ordinamento fondamentale libertario-democratico. Uno psicogramma e conseguenze generalizzanti. DER LANGE MARSCH Zeitung für eine neue linke c/o Buchladen « Commune », 1 Berlin 45. LEVIATHAN Zeitschrift für Sozialwissenschaft Herausgeber: Klaus Horn, Claus Koch, Wolf-Dieter Narr, Claus ,Offe, Dieter Senghaas, Winfried Vogt 4 Düsseldorf, Postfach 1507. LINKS Sozialistische Zeitung, für Theorie der Praxis und für Praxis der Theorie. Verlag 2000 GmbH, 605 Offenbach 4, Postfach 591. MARXISMUS DIGEST [Selezione del marxismo] e MARXISTI¬ SCHE BLÄTTER [Fogli marxisti] Ad Argument, la voce più interessante e meno dogmatica del settore della sinistra tedesca orientato al recupero della tradizione comunista di partito della Germania Occidentale, la cui difesa essa si assume anche nel quadro di una coerente lotta contro ogni forma di anticomunismo, compreso quello a volte presente in forma strisciante anche nel campo della sinistra ‘ antirevisio¬ nista ’, fanno invece riscontro gli organi più o meno ufficiali del « marxismo di partito » della DKP: il Marxismus Digest e i Marxistische Blätter. Il primo, che pubblica « contributi teorici da riviste marxiste ed antimperialiste » (così il sottotitolo), è edito dallo « Institut für marxistische Studien und Forschungen » di Frankfurt am Main, con una periodicità trimestrale. La sua IV annata (1973) contiene, come riportiamo di seguito per dare un’idea degli orientamenti della rivista, la discussione dei se¬ guenti temi:
212 RIVISTE Heft 1: Pedagogia e società. Sulle concezioni fondamentali della pedagogia nei paesi socialisti (fine gennaio 1973). Heft 2: Settore economico statale-pubblico e nazionalizzazione nei paesi del capitalismo monopolistico di stato (fine aprile 1973). Heft 3: Bisogni, condizioni di riproduzione della forza-lavoro e consumo nel capitalismo (metà luglio 1973). Heft 4: Problemi filosofici delle scienze naturali (fine ottobre 1973). I Marxistische Blätter, « rivista per i problemi della società, della scienza e della politica », edito con periodicità bimestrale dal Verlag Marxistische Blätter di Frankfurt am Main, ha invece un’impostazione più « politologica ». MEHRWERT [plusvalore] Molto più del cenno che per ragioni di spazio siamo costretti a dedicarle, meriterebbe Mehrwert, i cui « contributi per la critica deH’economia politica » (così il sottotitolo) testimoniano della presenza, anche nel campo più specificamente economico, di quella esigenza di problematizzazione e dinamizzazione delle categorie marxiane che abbiamo visto — sebbene con differenziazioni anche forti — permeare tutte le riviste del campo non-dogmatico della sinistra tedesca. Nel n. 6 (giugno ’74) è apparso infatti un arti¬ colo di Carlo Jaeger, Arbeiterstandpunkt und politische Ökonomie (Punto di vista operaio ed economia politica), assai significativo del livello di penetrazione delle problematiche sviluppatesi ad esempio — in discussione è qui, come suggerisce il titolo, il contributo dato da un autore come Mario Tronti alla « rimessa in moto » delle categorie marxiane e, più in generale, alla ridi¬ scussione del peso specifico della eritica delTeconomia politica nell’ambito della teoria marxiana — in seno alla « nuova si¬ nistra » italiana. Ma significativi dell’impostazione generale della rivista sono anche gli altri contributi: nel quaderno 6, accanto all’articolo di Jaeger (un giovane economista svizzero allievo di Bertram Schefold), si vedano anche di a. gronert, Le tesi di J. Robinson sul rapporto della teoria keynesiana e marxiana; di m. deutschmann, La deproblematizzazione sistemologica della teoria sociale marxiana; e di h. Holländer, La legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. La fondazione di Marx e le sue implicazioni. Dei numeri finora usciti (con peiiodicità irregolare) segnaliamo inoltre i seguenti contributi: mehrwert 1 H.U. FOERDERREUTHER, J. GL0MB0WSKI, R. KÜNZEL, W. PFAFFENBER- ger, I concetti fondamentali e i rapporti economico-complessivi. Teoria del valore e del prezzo; materiali di studio - 1 parte, mehrwert 2 w. vogt, Per la critica della teoria economica borghese. r. HiCKEL, Sull’interpretazione degli schemi di riproduzione mar¬ xiani. Con un’appendice di Jörg Glombowski). b. schefold, Valore e prezzo nella teoria marxiana e neokeyne¬ siana dell’accumulazione.
GERMANIA OCC. 213 mehrwert 3 L. HEILIGENSTADT, R. HEINRICH, SÖNKE HUNDT, 2. KÜNZEL, E. LIEBAU, G. ortmann, Singoli concetti fondamentali e rapporti economici. Per la critica della teoria dell’economia aziendale, I parte: La produzione. mehrwert 4 j. Schubert, La teoria dello staatsmonopolistischen Kapitalismus (STAMOKAP) - Critica delle affermazioni centrali. H. u. foerderreuther, Produzione di merci socialista - produzione di merci nel socialismo. Un raffronto di 3 libri. mehrwert 5 d. freiburghaus/h.p. MÜLLER, Sulla struttura del problema della crisi in K. Marx, mehrwert 7 B. koch, Moneta mondiale e legge del valore. Sulla sostituibilità della merce-denaro col denaro-segno. MERVE Internationale Marxistische Diskussion. Merve-Verlag, 1 Berlin 15, Postfach 327. Si tratta in realtà di una collana di volumetti in cui è apparso anche il saggio di Sohn-Rethel pub¬ blicato in questo numero di « Marxiana ». POLITIKON Spartakus-Buchversand, 2 Hamburg 13, Postfach 132251. PROBLEME DES KLASSENKAMPFS (PROKLA) [Problemi della lotta di classe] Sorta nel 1971 (il primo numero è del novembre 1971) per ini¬ ziativa della ex-frazione di maggioranza di Sozialistische Politik (SOPO) [Politica socialista] — 1’« organo teorico » delle « cel¬ lule rosse » dell’Università Libera e Tecnica di Berlino Ovest — (si veda in proposito la Erklärung redazionale pubblicata nel primo Quaderno speciale di PROKLA), Probleme des Klassen¬ kampfs si è fin dall’inizio caratterizzata per l’accento posto dai suoi esponenti di maggior rilievo — fra i quali ricordiamo Elmar Altvater, già noto al pubblico italiano, fra l’altro, per il lavoro scritto assieme a Freerk Huisken, pubblicato (1975) negli Opu¬ scoli marxisti di Feltrinelli col titolo Lavoro produttivo e impro¬ duttivo — sulla necessità di far costante riferimento, nel lavoro di analisi dello stato attuale delle leggi di movimento della forma¬ zione economico-sociale capitalistica, alla forma « classica », oppor¬ tunamente ripristinata, delle categorie marxiane. Il tentativo del collettivo redazionale procede dunque (e non a caso si è parlato in proposito di neo-ortodossia) nel senso di un recupero dello strumentario metodico-analitico marxiano, liberato dalle deformazioni « revisionistiche », e di una verifica della sua fecondità ermeneu¬ tica anche sul terreno, profondamente modificate dall’intervento statuale, del capitalismo monopolisticamente maturo dell’epoca odierna. Le analisi contenute nella rivista, il cui collettivo reda¬ zionale (e, ora come Vereinigung zur Kritik der politischen Ökonomie e.V., [Associazione per la critica dell’economia politica] anche editoriale, dopo la rottura ed il fallimento del precedente editore, il Politladen di Erlangen) è politicamente schierato sulle
214 RIVISTE posizioni del Sozialistisches Büro (Offenbach-Frankfurt/Main), si lasciano quindi agevolmente articolare, come del resto viene fatto nell’ultimo numero apparso (il Sonderheft 19/20/21, Crisi e di¬ soccupazione - Influenza del mercato mondiale sullVRSS - Dibat¬ tito sulla teoria del rispecchiamento - Critica del sionismo, Ber¬ lin 1975), in filoni tematici. La riproponiamo pertanto in questa veste, scegliendo i contributi più caratterizzanti dell’impostazione della rivista, con la ovvia avvertenza che l’intenzione che presiede a questa articolazione tematica non sta nella settorializzazione della teoria marxiana, bensì nell’orientamento del lettore: Critica dell’economia politica ed analisi storiche dei paesi capita¬ listici sviluppati Heft 1: NEUSÜSS, BLANKE, Altvater, Mercato mondiale capitali¬ stico e crisi monetaria mondiale. Heft 2: semmler, hoffmann, Accumulazione capitalistica, in¬ tervento statuale e movimento del salario. Heft 4: salvati, L’origine dell’attuale crisi in Italia. Heft 10: Fassbinder, Formazione del prezzo, monopolio e specu¬ lazione sul suolo urbano. Heft 11/12: bruhn, wölfing, koch, Il denaro nell’imperialismo. Heft 13: Altvater, hoffmann, SCHÖLLER, semmler, Fasi e ten¬ denze di svilupo del capitalismo nella Germania occidentale - I parte. Heft 14/15: yaffe, La crisi della valorizzazione capitalistica - Una critica delle Tesi di Glyn/Sutcliffe. Heft 16: schöller, semmler, Altvater, hoffmann, Fasi e ten¬ denze di sviluppo del capitalismo nella Germania Occ. - II parte. Heft 17/18: dombrowsky, Per la critica delle teorie borghesi del¬ l’inflazione. Heft 17/18: altvater, hoffmann, künzel, semmler, Inflazione e crisi della valorizzazione capitalistica. Heft 19/20/21: hoffmann, semmler, Crisi capitalistica e disoc¬ cupazione nella RFT. Analisi di classe ed analisi dei gruppi sociali Heft 3: baumgartner, Tendenze di sviluppo nell’agricoltura te¬ desco-occidentale. Heft 4: armanski, Per la critica della teoria del nuovo ceto medio. Heft 7: Wagner, Il 'bluff - L’istituzione 'Università’ nel suo effetto sul modo di lavorare e sulla coscienza dei suoi membri. Heft 13: kostede, Accumulazione e classi medie - Per la discus¬ sione sulla teoria del nuovo ceto medio. Heft 16: armanski, Salariato statale nel capitalismo. Heft 16: graf, steglitz, Oppressione digli omosessuali nella società borghese. Heft 17/18: redaktionskollektiv, klassenanalyse, Notizie sulla analisi di classe nella RFT da parte del ‘ Progetto analisi di classe ’.
GERMANIA OCC. 215 Heft 17/18: g. hoffmann, v.d. marwitz, runze, Come possono delle donnette essere socialiste? Per una critica di Graf /Steglitz in PROKLA Nr. 16. Heft 19/20/21: hildebrandt, Sviluppo della struttura dell’occu¬ pazione e della disoccupazione della RFT. Movimento sindacale e processo di produzione Heft 2: redaktionskollektiv Gewerkschaften, Tesi per l’analisi del sindacato. Heft 3: redaktionskollektiv Gewerkschaften, Su alcuni aspetti delle lotte di classe nell’Europa occidentale degli anni ’60 alla luce di ricerche concrete. Heft 4: redaktionskollektiv Gewerkschaften, Sull'intensifica¬ zione del lavoro nella RFT - I parte. Heft 5: redaktionskollektiv Gewerkschaften, Intensificazione del lavoro nella RFT e sindacati - II parte. Heft 6: Ulrich, La valutazione dello sviluppo capitalistico e del ruolo dello stato da parte della Confederazione generale tedesca dei sindacati. Heft 7: betriebsgruppe bei bmw/münchen, (« Projektgruppe Technologie München »), Intervento in fabbrica alla BMW - Cri¬ tica di « Arbeitersache » [« Causa operaia»]. Heft 11/12: KLASSENKAMPF, BETRIEBSGRUPPE BEI OSRAM WEST¬ BERLIN, Il tamburo chiara - Le bandiere sventolano o: come la KPD scioperò alla OSRAM. Heft 13: redaktionskollektiv Gewerkschaften, Condizioni di un lavoro sindacale socialista. Heft 13: Lopez, Materiale sul movimento di sciopero spagnolo negli ultimi anni. Heft 19/20/21: redaktionskollektiv Gewerkschaften, Crisi ca¬ pitalistica, disoccupazione e crisi della politica sindacale nella RRD. Heft 19/20/21: funke, neusüss, Crisi dell’economia e crisi della politica sindacale. Heft 19/20/21: roemer, Crisi e politica sindacale in Italia. Heft 19/20/21: fuhrke, heimann, Il sistema di assicurazioni so¬ ciali nella RFT. Tattica del movimento operaio Heft 1: REDAKTIONSKOLLEKTIV THEORIE DES STAMOKAP, Tattica ri- voluzionaria? Heft 1: petrowsky, Per lo sviluppo della teoria del capitalismo monopolistico di stato (STAMOKAP). Heft 4: möcklinghoff, Aspetti della storia e teoria della politica di alleanze del Partito comunista di Germania e del Partito co¬ munista tedesco - I parte. Heft 5: möcklinghoff, Aspetti della storia e teoria della poli¬ tica di alleanze di KPD e DKP - II parte. Heft 5: ARMANSKi, Tesi sulla critica del 'revisionismo’. Heft 8/9: kadritzke, Fascismo come realtà sociale e come irrea¬ listico concetto di lotta.
216 RIVISTE Heft 8/9: baumgärtner, Note sulla politica contadina della DKP. Heft 11/12: rabehl, spohn, wolter, Debolezze nel superamento del leninismo. Sulla critica a Lenin del ‘ Progetto analisi di classe ’. Heft 14/15: meschkat, Nuove forme organizzative della classe operaia cilena durante il periodo di Unidad Popular. Heft 14/15: heimann, zeuner, Una nuova ideologia dell1 inte¬ grazione. Sulle Tesi per la strategia e la tattica del socialismo democratico di Peter von Oertzen. Heft 17/18: rabehl, spohn, wolter, L’influsso della tradizione giacobina e socialdemocratica sul concetto leninista di organiz¬ zazione. Movimento del mercato mondiale, imperialismo e sottosviluppo Sonderheft 2: autorenkollektiv/desai, Rivoluzione in India? Heft 3: Autorenkollektiv, Il Cile tra legalità borghese e rivo¬ luzione socialista. Heft 6: schöller, Trasferimento del valore e sottosviluppo - Sulla recente discussione attorno al mercato mondiale, il sotto- sviluppo e l’accumulazione del capitale nei paesi sottosviluppati (alla luce di: e. mandel, Il tardo capitalismo). Heft 8/9: busch, Scambio ineguale - Per la discussione sul saggio di profitto medio internazionale, lo scambio ineguale e la teoria comparativa dei costi alla luce delle tesi di Arghiri Emmanuel. Heft 11/12: altvater, Crisi energetica, crisi petrolifera o crisi del capitalismo? Premessa agli articoli di Massarat e Tahmassebi * Heft 11/12: massarat, Crisi energetica o la crisi del capitalismo. Heft 11/12: tahmassebi, Sulla situazione dei paesi esportatori di petrolio del Medio Oriente. Heft 14/15: hurtienne, Per una critica dell’ideologia delle teorie latino-americane del sottosviluppo e della dipendenza. Analisi delle società di transizione Sonderheft 5: damus, Categorie del valore come strumenti di pianificazione - Sulla contraddittorietà della pianificazione dei processi sociali complessivi nella Repubblica Democratica tedesca. Heft 11/12: olle, Sulla teoria del capitalismo monopolistico di stato - Problemi di teoria e storia nelle teorie della transizione. Heft 19/20/21: spohn, La dipendenza tecnologica dell’Unione So¬ vietica dal mercato mondiale - Rapporto e commento ad uno studio empirico di A.C. Sutton. Discussióne sullo stato Sonderheft 1: w. Müller, neusüss, L’illusione dello stato so¬ ciale e la contraddizione di lavoro salariato e capitale. Sonderheft 1: Fassbinder, Pianificazione urbana capitalistica e l’illusione della iniziativa dei cittadini democratici. Heft 3: altvater, Su alcuni problemi dell’intervento statale. Heft 7: von flatow, huisken, Sul problema della deduzione dello stato borghese. Heft 8/9: katzenstein, Sulla teoria dello STAMOKAP.
GERMANIA OCC. 217 Heft 8/9: wirth, Per una critica della teoria dello STAMOKAP. Heft 8/9: Sulla teoria della costituzione storica dello Stato borghese. Heft 14/15: blanke, Jürgens, kastendieck, Sulla nuova discus¬ sione marxista sull’analisi di forma e funzione dello Stato bor¬ ghese. Riflessione sul rapporto di politica ed economia. Discussione gnoseologica Heft 16: von greiff, h. herkommer, La teoria del rispecchia¬ mento e ‘ Das Argument ’. Heft 19/20/21: unger, a. neusüss, Il più recente problema della lotta di classe - La lotta contro la teoria del rispecchiamento. ROTE ROBE Beiträge zur materialistischen Kritik des bürgerlichen Rechts, Analysen zur Entwicklung des staatlichen Herrschaftasapparats, Berichte zu politischen Prozessen. 69 Heidelberg I, Postfach 1410. SOZIALISTISCHE POLITIK (SOPO) 1 Berlin 41, Postfach 410269. Nr. 33 - Juli 1975. Werner PESTSCHIK, Gerd siebert, Grundsätze gewerkschaftlicher Politik. Stephan albrecht, Verhältnis DGB-SPD - am Beispiel der Aus¬ einandersetzung um die Mitbestimmung. Jutta Ahrweiler, Kritik der Konzeption gewerkschaftlicher Ju¬ gendbildungsarbeit. JOHANNA HUND, ' Humanisierung der Arbeit ’ - Humanisierung dar .Ausbeutung? hörst löffler, ulrich schreyer, Das Lohnrahmentarifabkommen der IG Metall in Nordwürttemberg/Nordbaden - eine Wende in den tariflichen Auseinandersetzungen. Jürgen a.e. meyer, Aktuelle Probleme und Tendenzen im Ar¬ beitsrecht. Rolf geffken, öffentlicher Dienst und gewerkschaftliche Aufgflben. Rezensionen zur internationalen Gewerkschaftsbewegung. SOZIALISTISCHES JAHRBUCH Hrsg. Wolfgang Dressen Verlag Klaus Wagenbach, 1 Berlin 31, Jenaestr. 6. TINTENFISCH Jahrbuch für Literatur. Hrsg. Michael Krüger und Klau6 Wagenbach - Verlag Klaus Wagenbach, 1 Berlin 31, Jenaerstr. 6. a cura di L. G.
Indice Premessa p. 5 Nuova sinistra parlamentare. Lavoro manuale e intellettuale: Alfred Sohn-Rethel. Inedito sulle macchine: Panzieri e il PCI. Karl Marx Macchine. Impiego delle forze naturali e della scienza Parte prima. Pagine 190-219, Quaderno V, del Manoscritto 1861-63 Per la critica dell’economia politica 17 [Macchine e lavoro] 25 [Le macchine nel processo lavorativo e processo di accrescimento del valore] nel 29 [Macchine e plusvalore] 42 [Espulsione degli operai da parte delle macchine] Paul Mattick Consigli e partito 61 Organizzazione e spontaneità 66 Il 1905 70 Il 1917 83 La Comune di Parigi Alfred Sohn-Rethel Elementi di una teoria storico-materialistica della conoscenza 95 Premessa
102 1. Il linguaggio e le prime forme della coscienza umana 104 2. Scrittura e numero 107 3. Pensiero concettuale 109 a) Due concezioni materialistiche palesemente contraddittorie 111 b) L’analisi marxiana della merce 113 c) Il postulato di equivalenza 114 d) Atto d’uso e atto di scambio 118 e) Gli elementi formali dell’astrazione dello scambio 120 f) Il nucleo razionale della teoria della conoscenza 122 g) Movimento e materia 124 h) La riflessione dell’astrazione dello scambio 125 i) L’evoluzione della moneta 126 j) L’intelletto autonomo 129 k) Falsa coscienza 131 Conclusioni 138 Notizia su Alfred Sokn-Rethel Karl Korsch 141 A Brecht e a Partos 201 Riviste tedesche
AUT AUT n. 152-153 - marzo-giugno 1976 Discussioni: Intellettuali e classe operaia. Pier Aldo Ro¬ vatti, L’ideologia della mediazione; Roberta Tomassini, Il « Principe » e la classe; Maria Grazia Meriggi, I gruppi e le classi socialt; Umberto Curi, Da Gramsci a Tronti. Saggi e interventi: Antonio Negri, Esiste una dottrina mar¬ xista dello Stato?; Edoarda Masi, La gerarchia della cono¬ scenza e il problema dell’informazione in Cina; Paolo Gam- bazzi, Hegel e il mondo borghese. Appunti per un discorso su normalità e follia; Guido Lucchini, Dalla liberazione dal soggetto alla liberazione dalla prassi. Un nuovo modo di leggere Nietzsche?. Psicologia e critica dell’ideologia: Franco Rella, Nota intro¬ duttiva a « Costruzioni nell’analisi » di Sigmund Freud; Sig¬ mund Freud, Costruzioni nell’analisi; Angela Fabietti Pelle¬ grino; Edipo tragico e Edipo semiotico. Contributi: Umberto Curi, La critica marxiana dell’economia politica nell’« Einleitung»; Bruna Giacomini, Marx o Sraffa? Nota su un dibattito recente; Anna Duso, Il dopo Keynes; Mario Piccinini, Sul concetto di lavoro produttivo; Nadia Tempini, Su marxismo ed epistemologia; Giuliana De Cocchi, Lavoro, valore e scambio nello Hegel di Jena; Giangiorgio Pasqualotto, L’«Hegel politico» di Tronti; Michele Bertag- gia, Su critica, crisi e politica in Hegel; Giuseppe Duso, Su teoria ed epoca in Hegel. Discussioni: A. Vigorelli, Crisi del metodologismo e analisi di classe. PRIMO MAGGIO, N. 7 Saggi e documenti per una storia di classe. Quadrimestrale. Redazione e amministrazione: libreria-editrice Calusca, Cor¬ so Porta Ticinese 106, Milano. Direttore responsabile Ser¬ gio Bologna. L. 1.500. Lapo Berti, Tra crisi e compromesso storico; Franco Gori, Per una ricerca sul bilancio dello stato; Sergio Bologna, Pro¬ letari e stato di A. Negri: una recensione; Mike Davis, Il cronometro e lo zoccolo; Bruno Zavatta, I camionisti; Peter Martin, Operai e crisi dell’auto in Gran Bretagna. Lotta all’Innocenti. Dati sulla vertenza. Testimonianze ope¬ raie. La questione Innocenti nel dibattito operaio.
« QUADERNI PIACENTINI » n. 60-61, ottobre 1976 C. Donolo, Oltre il ’68. La società italiana tra mutamento e transizione. G. Jervis, Il mito dell’antipsichiatria. F. Rella, Nel nome di Freud. Il mito dell’Altro. M. Fruire, Il movimento delle donne: due passi avanti, uno indietro. S. Montefoschi, Il mito del femminile. R. Canosa, Il sistema carcerario e la rivolta dei detenuti. R. Parboni, Una nuova fase dello sviluppo capitalistico. Discussione sulla base statistica del Saggio di Sylos Labini- interventi di P. Sylos Labini, L. D'Agostini, L. Ricolfi. F. Ciafaloni, Cultura e controllo operaio. A. Pitassio, La storiografia marxista in Italia e l’autonomia operaia. LIBRI: L’antimarxismo tascabile di D. Settembrini (5. Bar¬ bera); Un mugnaio del Cinquecento (G. Sofri); Le due (o tre) schiavitù di B. Placido (F. Marenco); Celan: estetica del silenzio e silenzio dell’estetica (A. Berardinelli); Poesia e realtà nell’ultimo Kundera {G. Raboni); Simili a donne (L. Muraro); Terracini anni ’30 (AI. Flores); I nipotini del Pro¬ fessore (A. d’Orsi). Redazione-amministrazione: via Poggiali 41, 29100 Piacenza (telef. 31669). Abbonamento a cinque numeri lire 4.000 (so¬ stenitore 6.000, benemerito 10.000) per l’estero lire 5.000. Versamenti sul c.c.p. 25/19384. Si ringrazia Luigi Garzone per la preziosa collaborazione.
Finito di stampare nel mese di aprile 1977 dalla Dedalo litostampa in Bari
MARXIANA2 Critica della politica e dell'economia politica L'inedito di Marx costituisce la prima, più vasta ed articolata stesura del capitolo « Macchine e grande industria » del Libro I del « Capitale », e riconferma la lettura fattane da Panzieri sui « Quaderni Rossi ». Vi sono trattati temi come I'* autonomia del lavoro », l'uso antioperaio delle macchine, la dequalificazione, l'uso della scienza, al centro delle lotte di questi anni. Il manoscritto <■ Per la critica dell'economia politica », dal quale è tratto questo inedito, consta di 1472 pagine, ripartite in 23 quaderni (solo le pagine 220-972 furono pubblicate col titolo di «Teorie del plusvalore»; il resto è inedito e si trova negli archivi di Mosca. Delle pagine che appaiono qui tradotte per la prima volta, esiste solo una traduzione russa). Alfred Sohn-Rethel può essere considerato oggi uno dei maggiori teorici marxisti. Della generazione di Adorno, Bloch, Benjamin (è nato nel 1899), ha studiato ad Heidelberg e Berlino ed è poi emigrato, per sfuggire ai nazisti, in Inghilterra, dove vive tuttora. Il saggio qui tradotto, l'unico finora pubblicato in Italia, costituisce la prima, densissima formulazione della sua opera maggiore, intitolata « Lavoro intellettuale e manuale » (Francoforte 1970), già largamente nota in Germania, dove ha avuto una profonda influenza segnando una svolta nello sviluppo dell’analisi marxista che ha allarmato i comunisti « ortodossi ». La conoscenza, scrive Sohn-Rethel, è legata al lavoro manuale. Così la classe che non lavora sarebbe tagliata fuori dalla conoscenza se la necessità di dominare il processo produttivo non la costringesse a conoscerlo: filosofia e scienza — cioè lavoro intellettuale separato dal lavoro manuale — sono nate ed esistono appunto per questo. Il loro procedere per astrazioni poggia sull’astrazione reale del loro oggetto, la merce, e scomparirà con essa. E' un tipo di « conoscenza » che si caratterizza per il distacco dal lavoro manuale, una conoscenza cioè che è essenzialmente espressione e strumento del dominio di classe esercitato dalla parte che non lavora su quella che lavora. Premessa Nuova sinistra parlamentare. Lavoro manuale e intellettuale: Alfred Sohn-Rethel. L’inedito sulle macchine, Panzieri e il PCI p. 5 Karl Marx — Macchine. Impiego delle forze naturali e della scienza Inedito. Parte prima. Pagine 190-219 - Quaderno V - del Manoscritto 1861-63 p. 17 Paul Mattick — Consigli e partito Organizzazione e spontaneità. Il 1905. Il 1917. La Comune di Parigi p. 61 Alfred Sohn-Rethel — Elementi di una teoria storico-materialistica della conoscenza Per la critica della scienza e della filosofia p. 95 Karl Korsch — A Brecht e a Partos Un carteggio teorico-politico p. 141 Riviste tedesche Una rassegna critica dei periodici della sinistra nella Germania occidentale p. 201 Pubblicazione bimestrale. Anno I, numero 2, ottobre 1976. Spedizione in abbonamento postale, gruppo IV 70%. Distribuzione in libreria: Edizioni Dedalo Lire 1.500 (...) CL 22-2702-9